Horatio Nelson non deluse il re: preferì scegliere Bronte e del perché di tale scelta non c’è dato sapere. Forse per l’origine greca del nome (che significa "Tuono") o per la maestosità dell’Etna che lo sovrasta; oppure per l’estensione territoriale o per la salubrità e feracità del suolo o per i versi del poeta palermitano Giovanni Meli. Probabilmente scelse il territorio di Bronte perché si identificò con il mitico Ciclope: anche lui, infatti aveva un solo occhio, avendo perso l'altro (il destro) pochi anni prima (nel 1794) durante una battaglia. Al caro Ammiraglio venne anche conferito il titolo di Duca di Bronte, fu esentato dalla grossa somma che bisognava pagare alla Regia Corte per diritti di investitura e il munifico re Ferdinando gli concesse pure la facoltà di trasmettere la Ducea, a suo piacimento, non solo a qualsiasi dei suoi parenti ma pure ad estranei. Gli alberi della Victory, trasformati in forca, avevano fruttato all’amante di Lady Hamilton ed ai suoi eredi «… in perpetuo la terra (quasi 25.000 ettari) e la stessa città di Bronte, … con tutte le sue tenute e i distretti, insieme ai feudi, alle marche, alle fortificazioni, ai cittadini vassalli, ai redditi dei vassalli, ai censi, ai servizi, alle servitù, alle gabelle …» ed anche il diritto di "mero e misto impero". Scrive in Risorgimento perduto lo storico brontese Antonino Radice che «inoltre il re, annullando successivamente alcuni diritti un tempo appartenuti all'Ospedale palermitano, concedeva al Nelson e agli eredi che sarebbero venuti in seguito, la facoltà di intervenire nella amministrazione della comunità cittadina di Bronte, dentro i cui limiti territoriali la nuova Ducea veniva a trovarsi, e di poter nominare alcuni diretti rappresentanti della Ducea (o giurati) scegliendoli fra persone del luogo che naturalmente, per effetto della nomina, diventavano da quel momento dipendenti a tutti gli effetti del Duca inglese. Per tale diritto aggiuntivo concesso al nuovo padrone, una prima crepa accompagnata da continue ostilità cominciò a formarsi in mezzo alla stessa popolazione brontese che un po' alla volta assistette al sorgere di due partiti, il primo favorevole per ovvi motivi d'impiego e di assunzione, alla parte “ducale”, il secondo schierato a sostegno, degli interessi del Comune e per questo denominato “comunista”.» Horatio Nelson ebbe così cittadini vassalli, terre fertilissime, censi, servitù, gabelle ed anche il diritto di sedere in Parlamento nel braccio militare e la giurisdizione civile e criminale (il mero e misto impero, Merum imperium, il puro, il sommo, il più elevato fra tutti i diritti che esercitava il re, cioè il jus necis), diritti che, secondo il munifico Borbone, l'ammiraglio poteva esercitare in perpetuo e lasciare in eredità. Da notare che nella sua regalìa il Borbone non tenne in alcun conto diritti acquisiti (o, meglio, letteralmente, acquistati) dai brontesi: quello del "mero e misto impero", per il cui acquisto alcuni secoli prima, nel 1638, la popolazione si era dissanguata per oltre un secolo con la stipula di un mutuo, e l’affrancamento dal potere feudale dall’Ospedale di Palermo raggiunto con immani sacrifici dopo secolari lotte pochi anni prima (nel 1774). «La gente di Bronte - scrive Vincenzo Pappalardo - avrebbe fatto volentieri a meno di tanto onore. Negli stessi anni in cui a Parigi l'abate di Mirabeau e Napoleone limano i dettagli del nuovo mondo, della libertà e della democrazia, l'atto di creazione del feudo riporta la giurisprudenza borbonica all'epoca dei nobili cavalieri che partivano per le Crociate. Ai nuovi duchi è persino concesso il diritto di mero e misto impero, la giurisdizione civile e criminale, togliendolo alla Città di Bronte che l'aveva riscattato nel 1638 con immani sacrifici. Con lo spirito modernamente liberale che li rende famosi nel mondo, gli amministratori inglesi dissotterrano un polveroso armamentario di jus, gabelle, pedaggi e angherie varie da far invidia alle pagine più sinistre dell'oscurantismo medievale.» "L'aborrito Ferdinando I" (così lo definisce lo storico brontese Benedetto Radice) donò la città, le terre e i «villani" "nello stesso modo in cui erano appartenuti all’Ospedale grande e nuovo di Palermo». Il "munifico" Borbone salvò l'Ospedale commutando i mancati introiti e le rendite che ricavava di netto dallo Stato e terra di Bronte e di tutte le sue dipendenze in un assegno annuo di onze 5.600 a carico del Regno (due milioni e mezzo di euro ca., cfr. AN, Vol. 303-D pagg. 3-12), ma condannò i brontesi, vanificando i sacrifici ed i risultati ottenuti con le lotte di molte generazioni davanti ai tribunali. Scrive il Radice che «innalzando la terra a Ducea si abbassarono i cittadini a vassalli, da liberi che s'eran fatti con sacrifici pecuniari enormi e rovina del proprio Comune per la compra del mero e misto impero, costata 22.000 scudi, dei quali il Comune pagò 9.000 prendendo il denaro al 9 per cento. Così Bronte per la favola del nome ebbe l'onore della Ducea e confermata la sventura del vassallaggio, appunto come il cane a cui il padrone mette al collo una bella catena di argento o di oro.» Da quì nacque un’altra aspra contesa giudiziaria fra il nuovo padrone, il Duca di Bronte (Nelson e tutti i suoi discendenti, fino all'ultimo), e il Comune di Bronte che si protrasse per quasi un secolo, fino alla transazione del 1861, per proseguire poi, sotto altre forme per altri cento anni. E fu una lite giudiziaria dura e senza pause. Ancora nei primi anni del 1900 alla Ducea si rimpiangeva di aver perso il diritto del jus necis. Sarebbe stato veramente comodo averlo. Il poeta scozzese William Sharp, che fu ospite del V duca interpretò bene questo rimpianto quando nel suo "Attraverso la ducea Nelson" scriveva che «non è passato molto tempo da quando i ducali diritti di vita e di morte sono stati abrogati. Immagino che ci sono volte in cui l’odierno paziente Duchino e il suo amministratore, Mr Charles Beek, darebbero una buona fetta delle piantagioni di arance che si estendono per miglia giù nella valle del Simeto, dei grandi boschi di faggio di Serraspina e Serra del Re, lì verso Nord, se soltanto quell’utile vecchio privilegio potesse essere restaurato! Certamente semplificherebbe le cose negli eterni problemi che sorgono dentro e intorno alla scontenta e turbolenta Bronte.» Il munifico regalo fatto a Nelson con la conseguente restaurata situazione di vassallaggio del popolo brontese e l’asservimento ad un nuovo più agguerrito padrone, saranno anche motivi di tensioni sociali che accompagneranno i moti rivoluzionari del 1820, del 1848, che troveranno tragico epilogo nei più noti avvenimenti dell’Agosto del 1860 e che si protrarranno fino ad oltre la metà del secolo scorso (1963 - 1965). Tanto che il Radice - scrive N. Galati - «...nel suo j'accuse spietato, drammatico, dettato da sincera passione e amor patrio aveva descritto negli anni '20 in termini tristi il potere esercitato dai duchi riportando un adagio: due sono i più grandi mali che affliggono Bronte: l'Etna e la Ducea.» Horatio Nelson fu felicissimo dei suoi terreni e del suo titolo, e immediatamente cominciò a pianificare, come far diventare la sua, una proprietà modello. Diede incarico ad Andrea Graefer, primo amministratore della Ducea, un esperto giardiniere di origine tedesca cui si doveva la realizzazione del Giardino inglese della Reggia di Caserta, di ristrutturare e trasformare l’antica abbazia in una comoda e sontuosa dimora signorile. Furono progettati giardini, prati, piscina, ed anche una suntuosa dimora a Bronte. L'Ammiraglio e la sua amante ufficiale, lady Hamilton, con la quale trascorse gli ultimi anni della sua vita, non ebbero però il tempo nè la fortuna di mettere piedi nei possedimenti siciliani e di abitarvi. Sfortunatamente, le guerre napoleoniche lo tennero occupato a bordo delle sue navi perciò non abitò mai nel suo nuovo castello. Alla sua morte i suoi parenti, i Bridports, ereditarono le proprietà e la mantennero visitandola e vivendoci stabilmente fino a pochi decenni fa. Nei pochi anni di vita che gli rimasero l'Ammiraglio amava anche firmarsi "Nelson Bronte". Il nome "Bronte" era bello, persino gli inglesi lo potevano pronunciare con facilità e, unito alla gloria dell’eroe di Abukir e di Trafalgar, divenne così prestigioso che l’irlandese Patrick Brunty (o Branty), grande ammiratore di Nelson, mutò il suo cognome in Brontë, limitandosi a porre una dieresi sulla "e", e come Brontë divennero famose le sue tre figlie Emily, Charlotte e Anne. Anche la toponomastica dell’United Empire, il sistema colonialistico imperiale dell'Inghilterra, ribattezzava col nome di Bronte numerosi villaggi in Australia, Nuova Zelanda o Canada ancora durante gli anni Trenta dell’Ottocento. Il primo Duca di Bronte, morì nell'ottobre del 1805 a bordo della sua nave (la "Victory") al largo di Capo Trafalgar al termine di una furiosa e violenta battaglia (nelle due immagini a destra, una dipinto e un'incisione conservati nel Museo Nelson ne tramandano il momento); i suoi resti furono tumulati a Londra nella cattedrale di San Paolo. Morendo aveva affidato l'amante e la loro figlia Orazia al suo Paese, che però, in questo caso, non gli dimostrò alcuna gratitudine. Emma non ebbe la pensione ripetutamente chiesta ed invocata nè l'eredità che le fu sottratta dai suoi parenti. Non avendo l'ammiraglio eredi diretti (la figlia Orazia non fu neanche considerata, perchè illegittima) la Ducea passò al fratello, il rev. William, che divenne il II° duca di Bronte. Lady Emma e la figlia di Nelson, Orazia, - scrisse il Radice - morirono "nella più abbietta miseria". Nella cittadina etnea, intanto, con la donazione di re Ferdinando I del 1799, terminava la sottomissione dell’abbazia di Maniace e dei suoi possedimenti all’Ospedale di Palermo, voluta nel 1494 da Innocenzo VIII, ma per la popolazione ed i contadini brontesi non cambiava assolutamente nulla. Il loro territorio, e loro stessi, erano ancor più e sempre proprietà di qualcuno. Questa volta - e durerà quasi due secoli, la bandiera inglese sventolava sui torrioni del castello ancora fino a pochi decenni fa - erano proprietà feudale di una dinastia straniera: i fortunati discendenti dell'ammiraglio che oltre ad amministrare l'immenso feudo come una proprietà privata avevano anche grande influenza sugli avvenimenti politici ed amministrativi del piccolo Comune. "Aveva origine - ha scritto Michele Pantaleone - la "Ducea maledetta", causa delle lotte, delle persecuzioni, delle violenze e delle illegalità delle quali sono stati vittime i brontesi per oltre un secolo e mezzo". In quell’anno Bronte contava una popolazione di circa 9.500 abitanti, legati da sempre al lavoro della terra, ed aveva un reddito di 5.500 onze; non era quindi nemmeno una cittadina ricca e giusto la presenza degli eredi dell’ammiraglio (i Nelson-Bridport) inasprì attorno alla Ducea quelle tensioni sociali che sarebbero poi sfociate nei tristemente famosi fatti di Bronte del 1860. Durante le agitazioni del 1820, i moti del 1848 e del 1849 ma soprattutto durante la rivoluzione del 1860, la miseria delle masse contadine e la secolare fame di superfici agrarie resero naturalmente l’immenso patrimonio terriero della Ducea l’obiettivo principale dei rivoluzionari brontesi e della zona. «Nel 1860, a Bronte, - afferma Michele Pantaleone - non fu una guerra contro i Borboni ma una lotta degli oppressi contro gli oppressori e gli oppressori, grandi e piccoli, erano i notabili paesani al servizio della Ducea "maledetta"». Ma la Ducea di Nelson, comprendente migliaia di ettari di buon terreno, malgrado la liberazione garibaldina e l’unificazione italiana del 1861, rimase ancora in mano dei proprietari inglesi che continuarono a spadroneggiare e la repressione ed il feudalesimo proseguirono. Solo nel luglio del 1940, dopo la dichiarazione di guerra dell’Italia all’Inghilterra, al grido di Mussolini "Dio stramaledica gli inglesi", gli eredi di Nelson ed il loro amministratore, mr. George Niblet, dovettero abbandonare Maniace costretti a far ritorno in patria. Il Castello, molte case e 6.595 ettari di territorio - beni stranieri - rimasti alla Ducea furono posti sotto sequestro e passati prima nelle mani del Banco di Sicilia e dopo in quelle dell’Ente di colonizzazione del latifondo siciliano (ECLS). I terreni furono in parte quotizzati ed assegnati ai contadini del circondario. I 6.595 ettari di feudo furono suddivisi in quegli anni in circa 509 spezzoni (12 grandi affittanze, 335 piccoli affitti e 162 mezzadrie). Il Castello fu adibito a sede amministrativa; successivamente, nel 1943, ospitò il feldmaresciallo Kesserling e, durante l'avanzata alleata, il generale sir Harold Alexander. L'Ente, fra le altre opere, realizzò nel parco del Castello (vicino all’ingresso della residenza dei duchi) un villaggio rurale chiamato "Borgo Caracciolo", per ricordare la vittima italiana più illustre di Nelson e dello strapotere inglese nel Mediterraneo. Ma il sogno durò ancora una volta pochissimo, fino allo sbarco degli Alleati e all’arrivo delle truppe inglesi in Sicilia. Il 25 febbraio 1944 il Prefetto di Catania («ritenuto che per gli eventi bellici sopravvenuti si è mutata completamente la posizione delle cose») revocava il sequestro; nel mese di novembre l'Ufficio Controllo Beni degli Alleati disponeva la riconsegna dei beni nelle mani del Procuratore del Duca, cav. Luigi Modica. Il suddito britannico Visconte Bridport Nelson Hood riprese il possesso della Ducea ed alcuni anni dopo distrusse con le ruspe le costruzioni del Borgo Caracciolo (i resti del borgo sono ancora visibili nel parco antistante l’ingresso alla Ducea). I contadini che avevano tentato di migliorare le terre furono cacciati ed qualcuno trasferito a Gela nei campi di reclutamento per essere internato in India. Ancora per un lungo periodo di tempo, dopo la guerra, l’immensa Ducea continuò quindi ad essere al centro di rivendicazioni e di dure lotte contadine. Ancora nel 1950 il duca - aveva alle dipendenze ben 105 guardie ducali - pretendeva il pedaggio per il transito su un vecchio ponte di legno costruito sul torrente Saraceno, sulla cui adiacente riva sinistra è posto il Castello. Negli stessi anni dirigenti politici e sindacali, alla guida del movimento contadino, venivano perseguiti ed arrestati. Ancora nel 1950 Carlo Levi scriveva che «… la Ducea di Bronte può essere presa ad esempio del più assurdo anacronismo storico, della persistenza di un perduto mondo feudale e dei difficili tentativi contadini per esistere come uomini» (Le parole sono pietre, 1955). Il 12 Dicembre del 1950 la Regione Siciliana promulgò la Legge di riforma agraria, ma la legge stranamente non ebbe applicazione nei feudi della Ducea. «Il duca straniero - scrive l'on. Franco Pezzino, organizzatore delle lotte contadine per l'applicazione della riforma agraria e la divisione delle terre - era riuscito a calpestare la legge e a tenersi il feudo. Si era giovato dei cavilli frapposti dai suoi ben pagati avvocati e di una catena di complicità politiche locali e regionale.» Quale era la "trama" che il duca aveva intessuto per cercare di farla franca riuscendo per anni a eludere la riforma? Lo stesso Pezzino ci da una risposta: «Lo seppi il 6 marzo del 1956, quando un funzionario della questura di Catania mi mostrò copia di una incredibile nota diplomatica, diretta al governo italiano, con la quale quello inglese sosteneva la tesi aberrante dell'extra-territorialità della Ducea, per cui il governo di sua maestà britannica dichiarava che non si doveva procedere alla riforma agraria secondo le leggi italiane, essendo quei terreni di proprietà di un suddito inglese...». Anche la Ducea, naturalmente, alla fine fu quotizzata e distribuita a chi ne aveva diritto. Ma solo quindici anni dopo la legge di riforma agraria - negli anni ’63/’65 - le terre ducali furono assegnate ai contadini ed il Comune di Bronte, che già a seguito della costituzione del 1812 aveva ottenuto l’emancipazione dal vassallaggio ducale, ottenne la reintegra di quasi tutti i suoi beni. Oggi l’odiata Ducea inglese del "boia di Caracciolo" (così Benedetto Radice definì l’ammiraglio Nelson ma anche lo scrittore inglese D. H. Lawrence ne da un giudizio altrettanto poco lusinghiero) è diventata proprietà dei cittadini brontesi. Il 4 Settembre 1981, l’ultimo erede dell’Ammiraglio, il Duca Alexander Nelson Hood visconte Bridport, ha venduto al Comune di Bronte il complesso architettonico e l’annesso parco per l’importo complessivo di un miliardo e settecentocinquantamilioni (di cui 950 per il Castello vero e proprio e per il terreno, 237 per gli altri immobili, 570 per i mobili, i cimeli, i quadri ed ogni altra cosa mobile). L'acquisto, deliberato dalla Giunta comunale il 30 aprile 1981, fu finanziato dall'Assessorato ai Beni Culturali della Regione siciliana con i benefici previsti dalla L. R. 80/77. Dopo secoli di espropriazione e di vassallaggio, di lotte e di interminabili cause legali, l'antico potere feudale era finalmente cessato. La vecchia Abbazia Benedettina veniva finalmente restituita alla comunità brontese per essere convertita in un centro turistico culturale. Oggi la Ducea Nelson con gli appartamenti signorili dei Nelson (trasformati nel Museo Nelson), l’antica Abbazia benedettina, la Chiesa di Santa Maria di Maniace, i piccoli laboratori, i magazzini, le stalle, il granaio (trasformati in un centro culturale polivalente di studi, di congressi e mostre d’arte), il parco (dove è visibile uno straordinario Museo di scultura all'aperto) sono diventati una grande attrattiva turistica di straordinario interesse. Gli abitanti di Maniace hanno ottenuto l’autonomia amministrativa con Legge Regionale N. 62 pubblicata sulla G.U. dell’11.4.1981; al nuovo Comune è stato assegnato un territorio di 3.588 ettari.
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