Ricorre quest’anno il centenario del terremoto che all’alba di lunedì 28 dicembre 1908 (erano le ore 5,21) devastò Messina e Reggio Calabria - il “The Great Disaster”(1) come lo definì il Duca di Bronte
Alexander Nelson Hood - una delle tragedie naturali più orribili a memoria d’uomo sino a quel momento.
Restarono uccise molte decine di migliaia di esseri umani, molti dei quali sepolti vivi e morti dopo giorni di agonia.
Ancora oggi non c’è accordo sul numero delle vittime, il cui conteggio fu molto sommario nelle città, mentre risultò più preciso nei piccoli centri per la reciproca conoscenza fra i vari nuclei famigliari.
Si dice(2) che siano perite all’incirca 160.000 persone di cui circa 80.000 a Messina, che contava 140.000 abitanti, e 15.000 a Reggio Calabria su una popolazione di 45.000 abitanti.
I ricordi del Duca Alexander Il duca Alexander (aveva ereditato l’immensa Ducea di Bronte quattro anni prima e viveva stabilmente tra il Castello di Maniace e Taormina) riferendosi alla sola Messina, parla di 80.000 morti, altri(3) di 77.000 – 100.000 a Messina e 20.000 a Reggio.
Un inserto dossier del giornale “La Sicilia”, pubblicato nel 1998(4), in occasione del novantesimo anniversario dell’evento, ha più recentemente sovrastimato le vittime, valutando in 200.000 i morti della provincia di Messina e in 180.000 quelli della provincia di Reggio Calabria. Qualunque fu il numero esatto le dimensioni della tragedia, valutate in termini di perdite umane, furono planetarie. Anche se il secolo oramai trascorso e l’assuefazione ad eventi posteriori ancora più catastrofici, come quelli dei bombardamenti atomici di Hiroshima del 6 agosto 1945 e di Nagasaki tre giorni dopo, che provocarono rispettivamente 242.000 e 80.000 morti, ce ne hanno con molta probabilità se non rimosso almeno attenuato il terrificante ricordo. E’ sufficiente però rivedere qualche immagine dell’epoca, leggere una vecchia corrispondenza giornalistica o, al presente, solo ricordare i 300.000 morti dello “Tsunami” dell’Oceano Indiano del dicembre 2004 o le immagini del recente terremoto (12 Maggio 2008) del Sichuan in Cina con i suoi 69.000 morti, per rivivere il terrore di quell’alba del 28 dicembre 1908 a Messina, quasi una prova generale della fine del mondo.
“Perché – scrive Sandro Attanasio(5) – la catastrofe non solo aveva frantumato città e paesi e assassinato uno spaventoso numero di esseri umani, ma aveva cancellato i sogni e le speranze di tutti. E spezzato il cuore a coloro ai quali aveva risparmiato la vita e si aggiravano senza forza e senza volontà in mezzo ai luoghi toccati dall’Apocalisse. Trenta orribili secondi, che erano stati la prova generale della fine del mondo, avevano tolto ai superstiti anche la voglia di continuare a vivere”.
Quel 28 dicembre il duca Alexander Nelson Hood si trovava a Taormina, ospite dell’Hotel Timeo, in Via Teatro Greco, l’albergo fondato nel 1873 da Giuseppe La Floresta quando a Taormina la stagione turistica cominciava a novembre e terminava a Pasqua.
Il Duca vi si era trasferito dalla tranquilla Maniace per trascorrervi il Natale in compagnia degli amici inglesi, americani e tedeschi, che insieme con lui avevano sancito il successo della cittadina come “winter resort”, luogo di splendido e tranquillo soggiorno soprattutto durante l’inverno.
Il Duca stesso vi aveva acquistato un terreno nel 1903, sul quale aveva dato inizio alla costruzione de “La Falconara”, la villa da lui stesso progettata, i cui lavori nel 1908 erano ancora in corso. E’ possibile quindi che la sua presenza a Taormina nella notte fra il 27 ed il 28 dicembre 1908 fosse dovuta anche alla sua esigenza di seguire da vicino i lavori.
Si racconta a tal proposito che per la sua continua presenza in cantiere aveva fatto erigere sul posto una baracca come suo riparo dalla pioggia o dai raggi del sole (6). Così il Duca racconterà in seguito su “Sicilian Studies”(1) le prime notizie giunte quel 28 dicembre a Taormina sul destino di Messina:
“Verso sera, circolarono delle voci sul destino di Messina. Nessuno può dire da quale fonte provenissero. Il pensiero che una città di centosessantamila abitanti fosse andata distrutta fu considerata assurda. Gli uomini sorrisero e non vollero crederci. Era la solita fervida immaginazione meridionale (…), Messina era stata completamente rasa al suolo nell’arco di mezzo minuto (…) la popolazione era rimasta sepolta sotto le macerie delle case crollate”.
Ed in una lettera alla Principessa del Galles, Mary di Teck, della quale era all’epoca Segretario Privato, così riassume il suo stato d’animo(6):
“Scrivo queste poche righe – (è impossibile, si dice, servirsi del telegrafo perchè i cavi sono interrotti ovunque) - per fare sapere a Vostra Altezza Reale che mi trovo ancora tra i vivi, mentre lo stesso non può dirsi per tanta povera gente di qui attorno (…).
Alle 5.15 am questa mattina tutti qui sono stati svegliati da un violento scuotimento della terra e dal sollevamento dell’hotel. Tutto è durato circa mezzo minuto (…) il sisma si è ripetuto, ho contato sei scosse in un’ora”. Informa quindi la principessa sul fatto che il sisma non ha comunque provocato danni gravi a Taormina ed a Bronte.
Stretto di Messina, ore 5,21 del 28 dicembre 1908 E tra Scilla e Cariddi che cosa è successo? Ore 5,21 del 28 dicembre 1908, una sferzata sismica della durata di 37 secondi preceduta da un boato, tetramente profondo, si abbatte sulle città dello Stretto, portandovi morte e distruzione. Le prime scosse sono di tipo sussultorio per poi diventare ondulatorie da nord-est verso sud-ovest e poi da sud-ovest verso nord-est. Il mare sembra ritirarsi per poi formare delle onde immense, alte anche sino a 10 metri, che per quattro volte si scagliano sulla costa completando la distruzione e trascinando con se uomini e cose; si dice che furono raccolti dei cadaveri anche sulle coste turche e greche. Poi il silenzio. Per pochi istanti. Il silenzio della morte e dell’annientamento viene quindi spezzato dalle urla dei sepolti vivi e dei feriti, dal pianto dei disperati superstiti, dal latrato dei cani… nel buio di quell’alba piovosa ancora più profondo per la polvere. Furono istantaneamente distrutte le vie di comunicazione ferroviarie e stradali e le installazioni portuali. Il Telegrafo rimase muto. Le rovine di Messina e Reggio completamente isolate dal resto del mondo intanto cominciarono a bruciare essendo saltate le condotte del gas. La terra continuò a tremare tanto che si contarono almeno 138 scosse. Quel che restava delle due città e dei paesini dei dintorni era completamente isolato dal resto del mondo. Il sisma fu registrato dai sismografi di tutto il pianeta (Ottawa, Tokio, Sofia, Melbourne, Edimburgo..); in Italia, data l’ora, non ci si rese subito conto dell’ubicazione dell’immane disastro. All’Osservatorio Ximeniano di Firenze la prima scossa fu registrata alle ore 5 21’ 42’’, mentre Rocca di Papa la percepì alle ore 5 21’ 31’’, Palermo alle 5 21’. Gli studiosi dell’Osservatorio Ximeniano annotarono sui loro registri: “stamani alle 5,21 negli strumenti dell’Osservatorio è incominciata una impressionante, straordinaria registrazione: Le ampiezze dei tracciati ...non sono entrate nei cilindri. Da qualche parte sta succedendo qualcosa di grave”(7). Solo nella tarda mattinata del 28 dicembre, come riferisce il Corriere della Sera del 29 dicembre, cominciano a pervenire via telegrafo all’Ufficio Centrale di Meteorologia e Geodinamica di Roma le prime notizie sul sisma dagli osservatori di Domodossola, Pavia, Padova, Urbino, Macerata, Caggiano, Lecce e Foggia. In queste due ultime città il sisma è stato non solo registrato ma avvertito anche dalla popolazione. Si legge sullo stesso Corriere della Sera: “…Gli Osservatori di Reggio e di Messina non hanno ancora telegrafato all’Ufficio Centrale, ciò che fa supporre siano rotte le comunicazioni”. Le città ed i paesi dello stretto erano schiacciati nella morsa dell’Apocalisse ed il resto del mondo cominciava, con molto ritardo, solo a percepire le dimensioni dell’immane tragedia ed accoglieva le prime notizie con grande incredulità. Alle ore 12,05 del 28 dicembre, infatti, giunse al Ministero degli Interni dalla Prefettura di Catania il seguente telegramma inviato alle 9,10(8):
“Ore 5,20 di stamattina avvertitasi violenta scossa di terremoto ondulatorio durata vari secondi. Popolazione impressionatissima, riversatasi piazze, strade, accalcandosi specialmente lungo banchina porto (…). Telegrammi giunti finora da diversi comuni della provincia accennano soltanto a danni fabbricati ma senza disgrazie...”
Il ritardo nei soccorsi Alle ore 17,25 (dodici ore dopo la tremenda scossa tellurica) sempre del 28 dicembre giunge al Ministero degli Interni il telegramma spedito alle ore 14.40 dalla cittadina di Marina di Nicotera dal Sottotenente Bellini, comandante la torpediniera Serpente, inviata poco prima delle 9 dalle autorità militari di Messina, in perlustrazione lungo la costa tirrenica calabra verso nord con il compito di trovare un telegrafo ancora funzionante. Il telegramma di Bellini annunciava al resto del mondo che “viveva ancora”:
“Ore 5,20 terremoto distrusse buona parte di Messina – Giudico morti molte centinaia – case crollate – sgombro macerie insufficienti mezzi locali – urgono soccorsi per sgombri, vettovagliamento, assistenza feriti – ogni aiuto insufficiente” (5). Da questo momento, dodici ore dopo, inizia l’organizzazione dei soccorsi da Roma. Messina e lo Stretto sono raggiunti però solo all’alba del 29 dicembre(9) dalla Squadra Navale Imperiale Russa con la corazzata Makarov ed alcuni incrociatori e da una squadra navale della Royal Navy comprendente la corazzata Sutley. Gli stranieri, comunque, che per primi prestarono soccorso ai messinesi furono i tedeschi del piroscafo Salvador presente in porto. L’arrivo delle navi testimoniò che non si era trattato della fine del mondo e che questo poteva dare una speranza. I marinai russi ed inglesi furono determinanti nell’aiutare immediatamente la popolazione e collaborare con le autorità militari italiane che, dissoltasi ogni autorità civile, avevano assunto totalmente il comando di tutta l’area devastata. Raleigh Trevelyan scrive in proposito(3) che con l’aiuto dei marinai russi ed inglesi nei primi tre giorni dal sisma furono estratte dalle macerie di Messina 15.000 persone. Gli ufficiali medici russi in breve tempo organizzarono anche un efficiente ospedale all’aperto sulle banchine del porto sopperendo alle conseguenze della distruzione totale degli ospedali cittadini. Altri aiuti erano partiti dalle altre città siciliane: Catania, Siracusa e Palermo si adoperarono con generoso slancio, accogliendo in particolare i numerosissimi profughi in fuga con i piroscafi che facevano la spola da Messina. Catania diede complessivamente ospitalità a 30.000 profughi(2). La prima nave militare italiana a giungere fu la corazzata Napoli. Erano le 13,30 del 29 dicembre; seguirono altre navi e nella mattinata del 30 dicembre entrava in porto la corazzata Vittorio Emanuele con a bordo i Sovrani, il Guardasigilli V. E. Orlando ed altri ministri. L’arrivo dei Reali fu decisivo per le iniziative di soccorso. La loro partecipazione al dolore fu totale, sincera e commossa. Alcuni storici parlano a tal proposito del primo vero contatto fra i piemontesi e le derelitte province meridionali. Le terrificanti scene che si presentarono agli occhi del Re gli fecero inviare al suo Primo Ministro Giolitti il seguente telegramma: “Qui c’è strage, fuoco e sangue. Spedite navi, navi, navi e navi”. Scrive efficacemente Sandro Attanasio(5): “Vittorio Emanuele ed Elena del Montenegro (…) impersonarono degnamente la Nazione. (…)
I sovrani rappresentarono lo stato paterno, giusto, benefattore e comprensivo sempre sognato dalle popolazioni meridionali, che accorreva in aiuto ai suoi figli più sventurati. Uno stato che nulla aveva a che fare con quello brutale, ingiusto, poliziesco e sfruttatore che avevano conosciuto fino ad allora. Per un momento sembrò fosse scomparso il proverbio: Guvernu italianu guvernu buttanu!”
L’attivismo del Duca di Bronte Ci sembra opportuno fermare a questo punto l’informazione sommaria sull’evento. Siamo, infatti, certi che nei mesi che seguiranno, quanto più ci avvicineremo alla ricorrenza del centenario tanto più avremo modo di conoscere meglio la storia del terremoto e delle sue conseguenze e di approfondire questioni e polemiche, che si posero immediatamente in quel dicembre 1908 e continuarono poi per decenni durante la ricostruzione per poi cominciare assopirsi durante il ventennio fascista. Si parlerà così dei ritardi dei soccorsi, della loro disorganizzazione, della spietata legge della sopravvivenza che regnò fra i superstiti, degli atti di sciacallaggio veri o presunti e delle esecuzioni sommarie anche per opera dei russi, dello stato d’assedio, delle risorse dedicate a mettere in salvo, con precedenza sugli esseri umani, i caveaux delle banche, del panico delle Borse, dei profittatori che con cinismo vi speculavano, delle manovre messe in atto da spregiudicati circoli finanziari e massonici, degli enormi profitti delle compagnie d’assicurazione forti delle clausole di calamità, dei depositi non reclamati delle vittime incamerati dalle banche e dalle poste, del progetto di completare a cannonate la distruzione di Messina, del mercato degli orfani organizzato da associazioni di beneficenza, dello sfruttamento delle ragazze adolescenti avviate a fare da cameriere presso famiglie benestanti desiderose di aiutare i profughi e spesso anche alla prostituzione, dei profittatori delle innumerevoli sottoscrizioni di aiuti economici provenienti da tutto il mondo, del tentativo di abolire il prestigioso ateneo messinese, del ruolo della stampa, dei baraccati messinesi… Altre osservazioni saranno dedicate alle costruzioni antisismiche e si ricorderà che molto del disastro dello stretto fu dovuto alla qualità scadente delle edificazioni. Ma si dovrà anche parlare più positivamente degli atti di eroismo, dell’abnegazione dei soccorritori russi ed inglesi, e soprattutto della solidarietà dei siciliani e della generale partecipazione al dolore ed agli aiuti di tutto il popolo italiano in un momento di vera unità nazionale. Alexander Nelson Hood non poteva restare insensibile a quanto gli accadeva attorno. Il suo impegno fu subito rivolto al sollievo delle popolazioni della provincia messinese.
A Bronte non devono esserci stati danni gravi ne tanto meno vittime;
dai nostri anziani, infatti, non ci è giunta memoria di simili
eventi.
Il nostro comune ricade in una zona caratterizzata dai
gradi VI-VII della scala Mercalli ed i danni dovettero consistere
solo in lesioni come quelli che il Duca cita per il Castello di
Maniace(6): “Praticamente nessun danno qui. Ci sono lesioni nel soffitto dell’atrio e nel corridoio, dell’intonaco è caduto da uno degli archi sotto, anche in quattro camere da letto, ma niente di più di questo”. |