| | | La Ducea inglese ai piedi dell'Etna (1799 - 1981) | Tutto sulla Città di Bronte | |
| Ti trovi in: Home-> Storia-> H. Nelson-> L'azienda Agricola Maniace, 1941/1943 1 [2] [3] [4] [5] | Borgo Caracciolo, una breve felice, strana parentesi Azienda Agricola Maniace, 1941/1943 Tre anni appena della plurisecolare storia della Ducea Nelson di Mario Carastro | |
L’Ente di Colonizzazione del Latifondo Siciliano
Raccontando di Giovanbattista Peruzzo, Vescovo di Agrigento, Andrea Camilleri scrive: “La guerra terminò in Sicilia nel settembre del 1943 con la conquista totale dell’isola da parte degli alleati. E subito se ne iniziò un’altra, sanguinosa, fra i contadini senza terra ed i grandi proprietari terrieri, i nobili possessori degli sterminati feudi, la gran parte dei quali incolti. All’inizio i contadini chiesero il ripristino delle leggi fasciste del 1933 e 1940, che erano state denominate “assalto al latifondo” … I grandi proprietari terrieri … decisero di fare muro contro muro … nel 1944 … che poteva contare sull’appoggio più o meno esplicito degli Americani e degli Inglesi”.(1) A Maniace non ci fu spargimento di sangue e non fu necessario attendere a lungo la reazione del proprietario. Gli inglesi della VIII Armata entrarono in Bronte l’8 agosto 1943 ed a Maniace il giorno successivo. Una compagnia di fucilieri scozzesi prese possesso del Castello, dal quale erano appena partiti i tedeschi del Feldmaresciallo Kesserling. Pratt ricorda(2) che nel via vai di truppe fecero più danni i soldati inglesi usando i ritratti degli antenati per esercitarsi all’uso delle baionette che i tedeschi, i quali rivolsero le loro attenzioni al vino ed al cognac. Il 18 agosto giunse a Maniace il Col. Gerald Wellesley, 7° Duca di Wellington, Civil Affairs Officer dell’AMGOT (Allied Military Government of Occupied Territories) di Catania, accompagnato dal Cav. Luigi Modica. Il Direttore dell’Azienda Maniace dell’Ente di Colonizzazione del Latifondo Siciliano (ECLS), Dott. Giulio Leone (1915-2010), fu preso letteralmente di peso fra mani e piedi dai militari inglesi, caricato su una jeep e rinchiuso nel carcere di Bronte. Il 1° settembre la Ducea passa formalmente dal possesso dell’ECLS a quello dell’AMGOT. Si chiude così in un giorno del caldissimo settembre 1943 il capitolo della storia della Ducea di Bronte, che molto efficacemente nella sua sintesi Mons. Galati definisce appunto “una breve, felice, strana parentesi”.(3) | Mario Carastro, ingegnere minerario, appassionato ed attento collezionista di scritti e libri che vengono pubblicati su Maniace e sui Nelson, ha vissuto sempre con la Ducea nel cuore. Fin da piccolo ha respirato l'aria "inglese" del Castello; lì lavorava infatti suo padre, Giuseppe, e prima ancora suo nonno, Mario. In attesa di potersi dedicare, in "laborioso riposo, a scrivere su ricordi, racconti di famiglia e impressioni che riguardano la Ducea", ci ha affidato questa sua ricerca che sulla scorta di ricordi, racconti e documenti del Fondo Nelson dell’Archivio di Stato di Palermo ha effettuato sull’Azienda Agricola Maniace nata dall'immenso feudo della Ducea Nelson e sorta durante gli anni 1941-1943. Tre anni appena della plurisecolare storia della Ducea di Horatio Nelson ma che rappresentano per quel territorio “una breve, felice, strana parentesi". Grazie Mario! Associazione Bronte Insieme Ottobre 2012 |
Le Memorie di Giulio Leone Un capitolo delle Memorie che Giulio Leone, direttore dell’Azienda Agricola Maniace dell’ECLS, scrisse prima di morire è dedicato agli anni trascorsi a Maniace. Vi descrive fatti, personaggi, esperienze professionali e vita quotidiana vissuta nel Castello di Maniace, sede direzionale dell’Azienda. Ve lo proponiamo in formato PDF.
Arricchite la Storia dell’Azienda Agricola Maniace Se avete delle foto sull’argomento fatecele pervenire e le inseriremo in questo articolo. |
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| Breve perché iniziatasi solo tre anni prima; felice perché i contadini di Maniace passarono dalla disperazione di condizioni di vita al limite della sopravvivenza alla speranza di un futuro migliore ancorché da conquistare giorno dopo giorno con il sudore di tutta la famiglia; ma non proprio strana oggi che, quasi sbolliti i furori da pregiudizio ideologico, s’interpreta la storia di quel periodo con più serenità. Tant’è che è tutto un fiorire di saggistica sulla colonizzazione fascista(4) che ha preso l’avvio dai romanzi di Antonio Pennacchi e dal suo recente reportage sulle “città di fondazione” ed i borghi rurali del ventennio.(5) E’ questo l’argomento che desidero approfondire, sulla scorta di ricordi, racconti e documenti del Fondo Nelson dell’Archivio di Stato di Palermo, in questo articolo; spero con equilibrio, costretto come sono in un conflitto di interesse fra la mia formazione politico-sociale ed il senso di riconoscenza verso la Ducea per avere dato la possibilità alla mia famiglia con il lavoro di tre generazioni di vivere dignitosamente e migliorare la propria condizione sociale. | Giulio Leone
L’idea di scrivere qualcosa sull’Azienda Agricola Maniace fra gli anni 1941 - 1943 era nata in me alla notizia della scomparsa di Giulio Leone, cioè della persona che diede un fondamentale contributo alla storia della nostra terra in quel particolare periodo. Il Dott. Giulio Leone è scomparso il 19 agosto 2010 all’età di novantacinque anni, concludendo una vita ricca di esperienze e successi, dedicata al meridione d’Italia. Irpino di nascita, laureatosi in Scienze Agrarie all’Università di Portici, giunse giovanissimo in Sicilia e, dopo una breve esperienza di lavoro a Palermo quale funzionario dell’Ufficio Bonifica della Confederazione Fascista dei Lavoratori addetto ai lavori di trasformazione del demanio Civico di S. Pietro di Caltagirone, fu dal 1940 al 1943, nelle vesti di Direttore dell’Azienda Maniace dell’ECLS, la più importante autorità locale dello “Assalto al Latifondo” della Ducea di Bronte. Ho avuto la fortuna di conoscere Giulio Leone, che ha sempre mantenuto verso la mia famiglia quell’affetto nato negli anni dell’ECLS; sono stato anche onorato dall’averlo avuto come testimone di nozze nel 1978. Per valutarne lo spessore umano e capire il rapporto che riuscì ad instaurare con i dipendenti ed i contadini di Maniace basti dire che il suo ricordo era fino a qualche anno fa vivissimo fra la gente del posto, che ha continuato a rivolgersi a lui, prima caposervizio del Servizio Bonifiche e poi Vice Direttore della Cassa del Mezzogiorno, per le proprie esigenze così come nel periodo dell’ECLS, ricevendone sempre un affettuoso consiglio ed aiuto. Ricorda di lui Michele De Benedictis(6): “… particolarmente formativa sul piano dell’esperienza di campagna e di gestione dei non facili rapporti sociali ad essa associati fu la Direzione dell’azienda Ducea di Bronte, espropriata al proprietario inglese col sopraggiungere della guerra. L’Azienda aveva un’estensione complessiva di oltre 5700 ettari e vi lavoravano oltre cinquecento famiglie, con contratti di affitto e di metateria. La traccia profonda lasciata da questa esperienza nella personalità di Leone è testimoniata da quanto da lui stesso scritto nelle inedite memorie, destinate alle figlie, che contengono una quanto mai efficace descrizione di quella esperienza professionale, nonché della vita quotidiana nel castello di Maniace, sede direzionale dell’azienda: “… Non ho costruito né casa né terra. Ho operato sì per mantenere me e la mia famiglia, ma sempre in vista di un fine, di un traguardo, di una realizzazione che accomunasse più uomini. Finché ho vissuto in campagna, ho trepidato e pregato per gli uomini che stavano al mio fianco: lavoratori e contadini, dei quali conoscevo intenti ed ansie. Quando si è allargato il ventaglio della mia azione ho pensato, con riferimento costante, a quelle comunità attraverso le quali ero passato ed ho confrontato, idealmente, le reazioni che in esse avrei provocato”. La Politica Agraria del Fascismo in Sicilia
| | Fig. 1 - Il Dott. Giulio Leone ed il Sig. Giuseppe Carastro, padre dell'Autore. Leggi le Memorie che Giulio Leone ha dedicato agli anni trascorsi a Maniace Nella foto sotto, la firma di Giulio Leone in un documento dell'ECLS. | |
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| Ma vediamo di procedere con ordine e guardare quel periodo nel quadro generale della storia del ventennio fascista. La politica agraria del regime fu dettata ed interpretata da tecnici agrari di cultura originariamente liberale e via via si differenziò sino a giungere alla “Bonifica Integrale”, intesa non solo come politica di bonifica del suolo, idraulica, del territorio … ma anche, con l’intervento e sotto la direzione dello Stato, come occasione di riscatto sociale ed economico della “classe rurale”, che rappresentava per l’ideologia fascista la parte più sana, più ancorata ai valori genuini della tradizione e nei confronti della quale l’Italia aveva un debito d’onore per avere quella classe sopportato più delle altre il peso di sofferenze e contribuito più delle altre al sangue versato durante la Prima Guerra Mondiale. Enfatica fu l’esaltazione della “ruralità”. Il contadino o meglio “il rurale” è allo stesso tempo contadino e lavoratore, capofamiglia, colonizzatore, soldato, portatore di valori arcaici ed italici come gli antichi romani. La “Bonifica Integrale” era la realizzazione del sogno di fondere in un unico crogiuolo cultura, politica, economia, ingegneria, modernità, tradizione… Fra gli uomini che ne furono gli interpreti sono da ricordare i due Ministri dell’Agricoltura Arrigo Serpieri e Giuseppe Tassinari, Nando Mazzocchi Alemanni, Manlio Rossi Doria, Giuseppe Medici…, molti dei quali, come lo stesso Giulio Leone, nel dopoguerra si occuperanno ancora di bonifiche e di Riforma Agraria sul solco di idee, progetti e leggi formulati durante il ventennio(4). Infatti, se da una parte è vero che la Colonizzazione del Latifondo crollò con l’esito disastroso della guerra, dall’altra è da ammettersi che l’arcaico sistema latifondista siciliano era stato duramente attaccato ed intaccato e che la Riforma Agraria del 1950 era figlia della colonizzazione fascista. Lo stesso Ente di Colonizzazione del Latifondo Siciliano (ECLS) assunse proprio nel 1950 il nome di Ente per la Riforma Agraria in Sicilia (ERAS). Sin dal 1922 fu un susseguirsi d’interventi, commisurati via via al rafforzarsi del regime ed alla crescita del consenso attorno ad esso ed in Sicilia anche all’indebolimento, se non alla neutralizzazione, del potere mafioso. Dagli originari Consorzi di Bonifica obbligatori per i proprietari latifondisti, che permisero l’avvio d’importanti interventi come quello dell’Agro Pontino, si arrivò alla Legge Mussolini del 24 dicembre 1928. I proprietari perdevano il controllo dei Consorzi e i terreni improduttivi o abbandonati erano espropriati e passati sotto il controllo dello Stato attraverso l’Opera Nazionale Combattenti, che provvedeva alla bonifica e alla creazione della proprietà contadina. La legge Serpieri del 1933 (n. 215 del 13 febbraio 1933) regolava la bonifica a carico dello Stato e la miglioria, resa obbligatoria, a carico dei proprietari, determinando così la Bonifica Integrale. Ma tutto ciò che funzionava nel resto d’Italia incontrava difficoltà di attuazione in Sicilia. Un immobilismo per lo più colposo malgrado gli interventi economici dello Stato. Decisiva fu la visita in Sicilia di Mussolini nell’agosto 1937. Il Duce focalizzò i problemi dell’isola nella questione del latifondo ancora irrisolta. “Questi problemi vanno presi d’assalto”, dichiarò. Il progetto dell’assalto fu affidato a Giuseppe Tassinari e presentato il 20 luglio 1939 a Palazzo Venezia ai vertici nazionali e siciliani del partito. Mussolini, conscio delle resistenze passive sino allora opposte in Sicilia alle leggi di bonifica, avverte tutti: “Vi ho convocato a Roma per rendervi direttamente partecipi di un evento che considero di importanza rivoluzionaria, non solo da un punto di vista economico, di un evento che – atteso da secoli – è destinato a rimanere fra le date fatidiche della storia d’Italia. Queste decisioni potrebbero apparire una improvvisazione per taluni che vivono in un perenne stato di dormiveglia, mentre invece furono annunciate nel discorso che ebbi l’onore di pronunciare a Palermo esattamente ventitré mesi fa. Dissi allora: “Il latifondo Siciliano, quantunque oggi sia stato spogliato dai suoi reliquati feudali dalla politica fascista, sarà liquidato dal villaggio rurale, il giorno in cui il villaggio rurale avrà l’acqua e la strada. Allora i contadini di Sicilia, come i contadini di tutte le parti del mondo, saranno lieti di vivere sulla terra che essi lavorano. Finirà la coltura estensiva …”. Da oggi si passa all’azione che impegna tutte le forze del Regime in generale e quelle della Sicilia in particolare. Ho appena bisogno di aggiungere che se egoisti ritardatari e posizioni mentali sorpassate facessero tentativi di opporsi alla esecuzione del piano, tali tentativi sarebbero spezzati”.(8) Un nuovo modo di vivere la ruralità
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| Ecco quindi la Legge del 2 gennaio 1940 che istituiva l’Ente di Colonizzazione del Latifondo Siciliano (fig. 2), con il compito di assistere tecnicamente ed economicamente i proprietari nella trasformazione del sistema agricolo produttivo o di procedere direttamente alla colonizzazione delle terre delle quali l’Ente avesse acquistato la proprietà o il temporaneo possesso. L’Ente fu affidato alla Direzione Generale di Nallo Mazzocchi Alemanni. La legge mirava al superamento dell’immobilismo siciliano con la norma in base alla quale lo Stato si sarebbe sostituito al proprietario inerte. Il piano originario riguardava l’appoderamento in 20.000 unità di 500.000 ettari di latifondo lasciati incolti o destinati a pascolo o a coltivazione estensiva di cereali da pochi proprietari (432.000 Ha sono posseduti da solo 892 persone(7) abituati ad una rendita parassitaria con contratti di gabellato, che lasciavano subaffittuari e braccianti in perenne stato di povertà e precarietà. Vige adesso l’obbligo dell’appoderamento in unità autonome di 25 ettari, della costruzione in ciascun podere di una casa colonica, della dotazione di bestiame bovino ed equino e dell’affidamento ad una famiglia colonica con contratto collettivo regolato dalla legge di lunga durata, di tipo mezzadrile o enfiteutico; pena in caso di inadempienza: la espropriazione. In altre parole se la proprietà latifondista non vuole o non può investire i capitali necessari l’Ente gli subentra nella realizzazione delle opere di trasformazione; a lavori ultimati il proprietario ha due possibilità: rimborsare la quota di spese prevista a suo carico o cedere equivalente valore in terreni bonificati da ripartire per la formazione della piccola proprietà. Lo Stato provvede dal canto suo alla bonifica, alle opere infrastrutturali, all’approvvigionamento idrico, alla costruzione dei borghi rurali. Furono previsti originariamente otto Borghi, cui se ne aggiunsero in seguito altri sei, fra i quali Borgo Francesco Caracciolo a Maniace. Il loro Progetto fu redatto da architetti siciliani e oggi quelli che ancora resistono all’abbandono, agli atti di vandalismo e all’incuria del tempo e degli agenti meteorologici sono esempi di archeologia agraria di notevole pregio storico-architettonico tanto che spesso si parla del loro recupero e della loro fruibilità.(18) | | Fig. 2 - "Il Popolo di Sicilia" del 21 luglio 1939 annuncia l’assalto al Latifondo Siciliano(7) «Rapporto dalla Sicilia a Palazzo Venezia / Il Duce ordina la colonizzazione e la trasformazione del latifondo isolano / Un miliardo per opere pubbliche / 20.000 case coloniche sorgeranno su 500.000 ettari di terreno Il Segretario del Partito esprime l'impegno del popolo siciliano e delle sue gerarchie di dare tutta la propria appassionata collaborazione alla realizzazione del vasto piano». |
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| Tempo massimo dell’intervento: dieci anni. Investimento previsto fra privato e pubblico pari a due miliardi di lire, di cui un miliardo da parte dello Stato da destinare per il 40% a opere pubbliche e per il restante 60% a contributi per le opere di competenza privata. Inizia un nuovo modo di vivere la ruralità avvicinando proprietari e contadini nella creazione e gestione della piccola proprietà e ribaltando con l’eliminazione della figura del gabelloto atavici equilibri sociali. Antonio Pennacchi nel suo “Fascio e Martello: viaggio per le città del Duce”(5) descrive in modo originale e incisivo e con la franchezza paradossale fuori dal coro che gli è congeniale l’evolversi dal 1924 al 1940 della politica agraria del fascismo: prima fase 1924-1931 - “Bonifica Integrale” (Legge Serpieri – Consorzi di Bonifica); seconda fase 1931-1935 – “Ruralizzazione ONC”; terza fase 1935-1938 – “Impero”; quarta fase 1938-1943 – “Dittatura proletario – contadina”. Altro che rivoluzione della piccola borghesia, scrive Pennacchi! “… Non è esattamente così che dovrebbe comportarsi una dittatura borghese. Tu sei proprio sicuro che le dittature della borghesia - reazionarie e di destra - siano mai state solite donare le terre ai poveri?”(5). Eppure era proprio così: una “felice, strana” nuova rivoluzionaria epoca. Con la Legge N.1 del 2 gennaio 1940 il fascismo si guadagnò l’iniziale diffidenza dei contadini e la malcelata definitiva ostilità di agrari e gabelloti, che mostrò tutta la sua potenza nel 1943, allo sbarco degli Alleati in Sicilia. Così si spiega l’“Elogio del Latifondo Siciliano” scritto clandestinamente nel 1941 da quel Lucio Tasca, ben visto dagli ambienti mafiosi e del separatismo siciliano, che gli americani si affrettarono a nominare sindaco di Palermo. Il libello vantava la razionalità dell’economia latifondista ed esaltava quel ceto di gabelloti e campieri, che spadroneggiava indisturbato nel latifondo sfruttando subaffittuari e braccianti. Ed ecco perché nell’immediato dopoguerra come ricorda Camilleri “… i contadini chiesero il ripristino delle Leggi fasciste del 1933 e 1940…”.(1) | pagina 1 di 5 | |
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