L’estrema condizione economico-sociale che le nuove opere andavano a modificare è così descritta dalle parole di F. Pollastri: “Negli angusti abituri, talvolta in un unico ambiente, vivono … nella più abbietta promiscuità uomini ed animali; famiglie numerose e bimbi poppanti fra mura sconnesse e senza intonaco, accumulate le povere masserizie, i giacigli sui trespoli; il pavimento è la nuda terra … e la vita, questo splendido dono della Creazione, è ivi stento, miseria e avvilimento. Tutto ciò non è un quadro di fantasia, ma è una dolorosa pressante realtà”.(17) Nallo Mazzocchi Alemanni non si trattiene dicendo che(7) “… le condizioni sociali ed umane dei contadini documentate …” dalle poche ma struggenti foto ritrovate di Eugenio Bronzetti(21, 22 34) “denunciavano la vita dei rurali nel comprensorio di Maniace, un marchio di infamia contro gli estromessi padroni inglesi”. (fig. 10, 11, 12, 13, 14, 15). I contadini che stanno lasciando la famiglia per andare in guerra possono adesso, paradossalmente, sperare in un futuro migliore. Partendo conoscono già, probabilmente, la “quota” che toccherà in affidamento alla propria famiglia, dove sognano di tornare presto per riprendere il lavoro o per una “licenza agricola” magari richiesta dal Direttore dell’Azienda. La costruzione delle case coloniche procede speditamente ed intanto è trascorsa la prima annata agraria (1 settembre 1940-31 agosto 1941). Il rapporto fra Ente e famiglia colonica all’inizio è, conformemente a quanto lasciato dalla precedente amministrazione, di tipo mezzadrile in base alle regole del “Patto Colonico” vigente, che prevedeva e regolava suddivisione dei prodotti, anticipi delle sementi e delle lavorazioni. I rapporti poi, stante che i terreni erano oramai pervenuti in proprietà all’Ente e in quanto tali destinati per legge alla formazione graduale della piccola proprietà contadina, si sono evoluti verso due tipologie contrattuali: Concessione in Enfiteusi previo Affitto Migliorativo e Contratto Individuale di Colonia con Obbligo di Migliori di lunga durata. La Concessione in Enfiteusi si basava su un affitto iniziale di 3 anni con obbligo di miglioria e l’enfiteusi per 25 anni con successivo affrancamento. Il contratto prevede canoni ed obblighi reciproci, compresi l’obbligo per l’enfiteuta quello di sottostare alle indicazioni dell’Ente sulla destinazione agricola del terreno e per l’Ente quello di fornire piante ed essenze arboree ed i materiali per la costruzione di una casa colonica. Questo tipo di contratto fu utilizzato soprattutto per l’ex feudo Tartaraci e per quote di estensione media pari a 5 Ha. La stipulazione continuò sino al giugno 1943, cioè due mesi prima appena dell’entrata degli inglesi a Maniace. Il Libretto del Colono e le assicurazioni
Nel restio dei terreni a seminerio dell’Azienda si adottò il Contratto Individuale di Colonia, caratterizzato dal fatto che il colono stipulava l’atto in nome della propria famiglia che risultava ben individuata da un elenco nel Libretto del Colono allegato. I poderi affidati alle singole famiglie sono di estensione media pari a 15-20 ha, in dipendenza quindi anche della consistenza del nucleo famigliare. E’ prevista una casa colonica dotata di annessi e scorte, ivi compresi bovini ed equini necessari alla coltivazione. La durata contrattuale è, a garanzia del colono, pari a 38 anni, per poi diventare indeterminata. L’Ente si riserva la facoltà, infatti, di trasformare il contratto in un altro, ancorché da studiare ed approvare da parte del Ministero dell’Agricoltura, che determini il passaggio graduale alla proprietà definitiva del colono. La stipulazione e la registrazione di questo tipo contrattuale continuarono anch’esse sino al maggio-giugno 1943. A titolo di esempio di chi usufruì di questo tipo di modello contrattuale, piace citare a caso alcuni nomi di coloni fra quelli di un elenco trovato nell’Archivio Privato Nelson: Sanfilippo Salvatore per Fondaco 4; Bertino Placido per Balzitti 2; Furnari Salvatore per Balzi 1; Calà Campana Vincenzo per Cavallaro 1; Calanni Antonino per Petrosino 3; Pinzone Vecchio Giuseppe per Boschetto Vaccheria 3. Non sono mancati casi, infine, di Contratti di Piccola Affittanza della durata di soli 3 anni, per i quali l’Ente al solito si riservava il diritto di sostituirli con altri a lunga scadenza del tipo “con obbligo di miglioria”, che consentissero nel seguito il graduale passaggio di proprietà all’affittuario. Il “Libretto del Colono” (fig. 21) era un libretto-documento ufficiale, nel quale, a seguito della stipula, erano trascritte, in aggiunta ai patti di legge regolanti il contratto stesso, tutte le notizie riguardanti la “famiglia colonica” nella specifica “colonia” e la sua composizione. Venivano riportati su pagine opportunamente predisposte, i dati della quota, l’inventario e lo stato di coltura del fondo, la descrizione dei fabbricati e degli accessori, la consegna di macchine, attrezzature, scorte, bestiame. Vi era compreso un registro di Conto Corrente in debito e credito del colono, dove venivano registrate tutte le operazioni aventi per ogni anno colonico riflessi economici, in modo da avere un riepilogo-bilancio che poteva chiudersi a debito o credito del colono. Gli uffici dell’Ente, in attesa del completamento di Borgo Caracciolo, furono sistemati nei vecchi uffici della Ducea. L’Azienda aveva un organico fra impiegati e salariati fissi di circa 70 persone, non computando nel numero i funzionari dell’Ente e i dipendenti dell’Impresa Castelli che aveva in appalto la costruzione delle case coloniche e del Borgo Caracciolo. Alle dipendenze dell’Azienda c’erano anche un medico condotto, il Dott. Rosario Pappalardo, ed una ostetrica, la Sig.na Giuseppina Galvagno. L’ambulatorio era provvisoriamente ubicato nel vecchio caseggiato in contrada Balzitti, in corrispondenza del quale adesso c’è il Casolare delle Balze, che precedentemente aveva ospitato anche la Caserma dei Carabinieri ed in ultimo dal dopoguerra fu l’abitazione della Famiglia di Sebastiano Arcodia, il maggiordomo del Castello. Dal 1946, poi, medico ed ostetrica furono a carico della Ducea(14) e l’ambulatorio, che ancora oggi si intravede fra le case, fu aperto in contrada La Piana. (fig. 22) Scartabellando fra i pochi documenti dell’Ente di Colonizzazione rimasti nell’Archivio Privato Nelson(27) si scoprono curiose realtà per i contadini di quegli anni, che, una volta dissoltesi con la fine dell’Azienda Maniace, saranno irraggiungibili desideri per molti anni ancora nel dopoguerra. Come definire diversamente il fatto che, in piena guerra, l’Ente si preoccupava della previdenza assicurativa dei propri coloni? Nulla ovviamente era offerto gratis, ma era stata ideata dall’Istituto Nazionale delle Assicurazioni una Polizza Poderale con duplice funzione: assicurazione sulla vita a cura dell’INA e assicurazione per i rischi ramo danni a cura delle Assicurazioni d’Italia. Per il settore vita, studiato appositamente per i coloni e le loro famiglie e che rispondeva alle necessità di carattere previdenziale, furono trovate “condizioni eccezionalmente favorevoli” e tali da rendere a ciascuno “molto lieve l’onere derivante dall’assicurazione stessa”. |