Si dice che i Borghi furono un fallimento nella politica di ruralizzazione perché negli anni a venire le campagne sono state abbandonate e i contadini si sono ritrovati di nuovo nei paesi lontani dai poderi. In realtà negli intenti dei tecnici e dei politici del regime questi centri non dovevano essere dei nuovi nuclei di urbanizzazione ma solo la sede di servizi essenziali per i coloni. Attorno non era previsto, infatti, un villaggio di contadini. I coloni vivevano nelle loro case nei poderi che coltivavano. Se Borgo Caracciolo fosse stato costruito per esempio in contrada Fondaco, oggi, con molta probabilità, sarebbe ancora in piedi a testimoniare anche materialmente ciò che voleva essere e fu nello spirito all’epoca della breve, felice, strana parentesi e nei sogni dei coloni negli anni a venire: il centro aggregante e di riferimento di una comunità, quella dei contadini della Ducea e di Maniace. Questa comunità, nonostante le vicissitudini, non si è mai dispersa; non è andata via a inurbarsi nei paesi vicini e di origine, ma è rimasta attaccata alla propria terra ed è ancora lì nelle contrade storiche della Ducea attorno al Comune di Maniace. Da questo punto di vista, non sembri un paradosso, l’utopia di Borgo Caracciolo rappresenta, anche non volutamente ma fatalmente, uno dei grani costituenti il terreno da cui germogliò il Comune di Maniace. Perché – come scrive V. Sapienza – “… Maniace non può essere compresa senza la Ducea”(28) e la sua storia. In definitiva efficacemente sintetizza lo stesso Sapienza: “Esiste un luogo in Sicilia dove il tentativo di spezzare i privilegi dell’aristocrazia del latifondo e distribuire la terra ai contadini, di potenziare e modernizzare il settore della produzione agricola, di radicare le masse popolari nel territorio, insomma di costruire la città rurale tanto vagheggiata, ha avuto un esito favorevole; e questo luogo è Maniace”.(28) La progettazione del Borgo fu affidata all’Arch. Francesco Fichera (1881-1950), professore all’università di Catania e autore di opere importanti quali il Palazzo delle Poste ed il Palazzo di Giustizia di Catania. Non è il giovane ed entusiasta architetto del gruppo mobilitato da Nallo Mazzocchi Alemanni. E’ un professionista affermato quale richiede la dimostrazione magistrale che il regime intende dare di fronte al mondo della redenzione di quel latifondo già proprietà di nobili inglesi. L’importo totale dei lavori, poi affidati a licitazione privata all’impresa Castelli di Roma, era di Lire 4.228.000(7), comprendendo sia le opere a carico dello Stato che quelle a carico dell’Ente con il contributo dello Stato. Nel caso specifico, essendo il latifondo della Ducea pervenuto in proprietà all’Ente, le opere sono tutte a carico dello Stato e dell’Ente, che opera per la parte statale quale Concessionario dello Stato. Come tipologia è del Tipo A, cioè del più dotato di costruzioni. Manca solo la Chiesa, perché, certamente nelle intenzioni dell’Ente la Chiesa doveva essere sempre e solo quella di Santa Maria di Maniace nel Castello con l'Immagine miracolosa della Vergine. Borgo F. Caracciolo è oggetto, insieme ad altri borghi, di un completo e approfondito studio di Vincenzo Sapienza(28), dal quale ho tratto alcuni dei brani sopra riportati. L’autore, Professore Associato di Architettura Tecnica presso la Facoltà di Ingegneria della Università di Catania ha avuto anche l’opportunità di consultare i documenti dell’ECLS raccolti negli archivi dell’ESA riguardanti gli aspetti tecnico-amministrativi dell’appalto affidato all’Impresa Castelli e gli elaborati grafici del Progetto dell’Arch. Fichera facenti parte dell’Archivio Fichera del Dipartimento di Architettura ed Urbanistica della Facoltà. Ne è risultato, per quanto riguarda Borgo Caracciolo, una panoramica ricca di dettagli su un complesso monumentale che non esiste più, ricostruita con scienza e vera pazienza filologica sulla scorta del poco a disposizione. Lascio ovviamente al ricercatore intatto il pregio delle sue deduzioni evitando di inquinarle con aggiunte certamente fuori posto, se provenienti da un neofita dell’argomento come sono io, e raccomando la lettura della sua pubblicazione scientifica a chi desidera approfondire sui Borghi in generale e su Borgo Caracciolo in particolare l’aspetto non solo tecnico-architettonico ma anche sociale e storico del contesto in cui essi sono stati fondati. La costruzione iniziò nell’ottobre 1941 come si legge nel Certificato di Collaudo(28): i lavori probabilmente furono consegnati, nelle more della stipula del Contratto il 6/4/1942, sotto riserva di legge ai sensi dell’art.337 della Legge 20 marzo 1865. Se non fosse così non ci spiegheremmo il notevole volume di lavori eseguito sino al luglio 1943 e la dichiarazione dell’ECLS del 20 luglio 1941(8) con la quale si annunciava Borgo Caracciolo già in costruzione per essere ultimato entro il 20 luglio 1942, anche se poi questa data non fu rispettata per le difficoltà poste dalla guerra. I lavori furono poi interrotti nel luglio 1943 con la dichiarazione dello stato di emergenza in Sicilia. Dal Fondo Nelson dell’Archivio di Stato di Palermo è stato possibile ricavare alcune notizie, riportate nel successivo paragrafo, che si aggiungono a quanto ricostruito dal Prof. Sapienza. A proposito del Fondo Nelson è da rilevare la stranezza che lo stesso conservi documenti datati solo sino al 1943-46; mancano quelli degli anni seguenti sino all’anno della sua vendita nel 1981, cioè di ben 37 anni circa, fra i quali quelli importantissimi riguardanti le lotte contadine degli anni cinquanta e sessanta e quelli del contenzioso con lo Stato italiano a proposito dell’Ente di Colonizzazione e di Borgo Caracciolo. So per conoscenza diretta che questa parte dell’archivio esisteva, ma probabilmente, ritenuta nel 1981 ancora di possibile uso o comunque non abbastanza antica, è ancora nel Castello custodita dal Comune di Bronte. Colgo l’occasione, pertanto, per raccomandarne la massima cura e di tenerla a disposizione di quanti desiderano consultarla. Non sono poche, infatti, e di scarso interesse le questioni che potrebbero trovare in essa la necessaria documentazione. Considero fra queste, per esempio, quella concernente l’eventuale indennità di esproprio depositata dall’Ente su qualche conto a credito di Lord Bridport al momento dell’esproprio della Ducea; era un esproprio e non una confisca e quindi una pur piccola indennità di esproprio a norma delle Leggi dello Stato (art. 42 del dl n.215 del 13 febbraio1933, richiamato nella Legge n. 1 del 2 gennaio 1940) doveva esserci. E ci sono altri indizi. Alcune lettere, infatti, del dicembre 1944 fra il Cav. Luigi Modica e l’Amgot(29) trattano del possibile trasferimento in una banca di Londra su un conto del Lord Bridport, Duca di Bronte, di Lire 1.700.000. Tale somma poteva essere l’intero margine di gestione in cassa dell’annata 18 agosto1943-31 agosto 1944(30) oppure il recupero di parte d’una eventuale indennità di esproprio congelata e poi annullata, a seguito della restituzione della proprietà dopo tre anni di possesso da parte dell’ECLS. |