«Nella storia delle concessioni feudali, […] è rimasta celebre questa di Ferdinando III a Nelson, nella quale innalzando la terra a Ducea si abbassarono i cittadini a vassalli, da liberi che s’eran fatti con sacrifici pecuniari enormi e rovina del proprio Comune per la compra del mero e misto impero […]. Così Bronte per la favola del nome ebbe l’onore della Ducea e confermata la sventura del vassallaggio, appunto come il cane a cui il padrone mette al collo una bella catena di argento o di oro.» Seguono sei pagine di descrizione della grandiosa festa per l’investitura del Nelson e degli scritti in versi e prosa inneggianti al re e al nuovo Duca di Bronte. «Così fra canti e suoni e una apoteosi carnevalesca si celebrava in Palermo il martirio di Napoli, mentre il cadavere dell’ammiraglio Caracciolo, galleggiante sulle acque, chiedeva invano sepoltura, e le teste dei patriotti repubblicani rotolavano giù dal palco; e col prezzo del sangue, per la favola del suo nome, si ribadivano a Bronte le catene del vassallaggio.» «Questa terra, vinta dal guerriero bizantino Giorgio Maniace nel 1040 contro i Saraceni, sembra essere stata destinata dal fato ad altri guerrieri: a Giovanni Calafato da Federico II nel 1221, a Giovanni Ventimiglia dal re Martino nel 1396, a Orazio Nelson dal re Borbone nel 1799. «Al vincitore d’Aboukir, vissuto fra il fragore delle tempeste e delle battaglie, non poteva convenire nome più battagliero e più significativo di Bronte; né a Trafalgar il destino poteva assegnargli morte più bella ed eroica. Gli antichi lo avrebbero assunto ai cieli e adorato come un novello dio di battaglie marine: il dio Bronte Nelson. «I Rettori dell’Ospedale Grande e nuovo di Palermo mostrarono grande allegrezza di essere liberati dalla amministrazione dei beni dello Stato di Bronte, per i quali, a causa dei continui turbamenti, avean già chiesto, fin dal 1691, a S. M. la facoltà di poterli concedere in enfiteusi. […] Il re […] avocate a sé le due abazie di S. Maria di Maniace e di S. Filippo di Fragalà, perché di regio patronato, insieme con lo Stato di Bronte, ne faceva concessione perpetua all’ammiraglio Nelson. E l’Ospedale si assicurava così un reddito certo e libero da litigi. «Nelson non vide mai i suoi vasti possedimenti, che forse doveva ereditare la bella e fatale adultera: mistero profondo di quell’anima! Piacquesi solamente pel significato etimologico e fragoroso del nome firmare: Bronte Nelson. E’ da immaginare come gli abitanti di Bronte in mezzo a tutte quelle feste abbiano accolto la notizia della elevazione della loro terra a ducato e della nomina del novello padrone, col quale finivano le aspirazioni di reintegrazione al Demanio Regio, nutrite per 300 anni; svanivano i sacrifici per la libertà della terra, sulla quale la volontà nefasta di Ferdinando III di Borbone suggellava il novello vassallaggio. […] «Il De Luca, al suo solito, afferma aver letto in un libro dei padri basiliani, che non m’è stato possibile trovare, che il paese accolse con gioia l’elezione del nuovo padrone. […] Il fatto è che Bronte non ebbe più pace neppure cogli eredi del nuovo padrone. «Il re, annullando i capitoli con l’Ospedale […] per la compra del mero e misto impero, […] concedeva facoltà all’Ammiraglio per l’amministrazione dell’Università; Nelson eleggeva […] i novelli giurati […] e i novelli giurati servirono il novello padrone. «[…] Andrea Grafer, primo governatore di Orazio Nelson, fece tosto comprendere ai Brontesi che il novello padrone non era diverso dall’antico, e rinnovò i soliti bandi proibitivi, strumenti potenti di spoliazione. […] Nuovi metodi inventò il Grafer per l’esercizio del mero e misto impero che costrinsero i Brontesi a supplicare al Re. «Moriva intanto il 21 ottobre 1805 a Trafalgar l’Ammiraglio Orazio Nelson. Succedeva nella ducea di Bronte il di lui fratello Guglielmo […] che chiedeva al re il possesso della ducea e […] di portare il titolo di duca di Bronte. «Ma a metter fine ai travagli di Bronte per le sue secolari aspirazioni che la volontà di un re fedifrago aveva soffocato, spuntava l’anno liberatore. I nobili siciliani, mossi dalle nuove idee che la rivoluzione francese aveva disseminato nel mondo, spinte e sponte, abdicavano i loro diritti feudali. Il vecchio edificio della feudalità ruinava da tutte le parti. La memoranda seduta del 19 luglio 1812 […] segnò la fine del feudalismo e il sorgere dei piccoli comuni a vita di libertà. Così Bronte per incalzare dei tempi e per legge riacquistava la libertà agognata da secoli. «Ma non finirono le liti, che queste più feroci sorsero per lo scioglimento dei diritti promiscui sui beni posseduti in comune col duca, e si protrassero per lungo tempo ancora. […] Pretendeva Bronte che tutto il demanio comunale appartenesse all’Università, che Lady Carlotta Nelson, succeduta al di lei padre Guglielmo, non avesse diritto che alle sole decime concesse da Nicola I, arcivescovo di Messina, sull’abazia di Maniace. […] «La demanialità comunale dell’intero territorio, sebbene in modo subdolo usurpato prima dai frati maniacesi e sanzionato poscia da privilegi reali e da altre spoliazioni dell’Ospedale, non poteva in verun modo sostenersi, mancando allora i documenti necessari per provare l’anteriorità di Bronte sull’abazia di Maniace. La questione della lite era una questione storica di priorità e di esistenza. […] «Sorgeva l’anno liberatore: la Sicilia si univa all’Italia. «I Brontesi non vedevano di buon occhio in potere dello straniero beni che credevano essere appartenuti ai loro padri e concessi per la violata fede al Nelson in prezzo della soffocata repubblica. Onde, come in tutti i comuni feudali dell’Isola, più o meno violenta contro i baroni creduti usurpatori, fu violentissima in Bronte che vide perduta la speranza di avere censiti i beni dell’Ospedale: […] e in ogni rivoluzione cercava pretesti e subbugli per spartire la ducea. «Nel ’48 alcuni forsennati andarono al Boschetto a dividersi le vigne, […] Nel 1860 speravano i Brontesi che caduta la dinastia borbonica, doveva cadere di diritto la concessione fatta da Ferdinando a Nelson sui beni della Corona […] In ogni guerra sono sempre soppressi i beni del nemico; come nella gloriosa guerra 1914/18 […] ma Lady Carlotta Nelson non era austriaca, era inglese; e l’Inghilterra in quei giorni favoriva la rivoluzione italiana. Nessuno osava alzare la voce. Al palazzo ducale in Bronte e a quello di Maniace sventolava la bandiera britannica. […] e quei feroci popolani non osarono torcere un capello a nessuno; guardava biecamente e sfogarono solo la loro ira contro i fautori della ducea. «Dato però assetto alla rivoluzione, si ragionava liberamente e si desiderava da tutti che il governo italiano facesse paghi i desiderii del popolo brontese annullando la donazione e restituendo al Comune il mal tolto patrimonio, ma si aspettò invano […] «Cogliendo l’occasione della sommossa seguita in Bronte nell’agosto 1860, il dottore Antonino Cimbali funzionante da delegato e di grande autorità presso il popolo, indusse il governatore Thovez nel giugno 1861 a una transazione generale. Ma, se fu troncata la secolare lite […] ne nacquero altre […] ai nostri giorni con il duca Alessandro Bridporth Lord Nelson, pronipote del grande Ammiraglio.» La principale fu quella che riguardava l’acqua della sorgente di Maniace «che da secoli disseta i Brontesi, irriga le loro vigne, rende ubertosi i terreni sottostanti e mette in moto parecchi mulini.» [1] Seguono due documenti: una lettera della Real Segreteria al Nelson e la sua risposta, datata Palermo 13 agosto 1799, e firmata Bronte Nelson. |