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Bronte prima faceva parte della diocesi di Messina, ma nel 1178 passò «sotto la dominazione ecclesiastica di Monreale e le fu soggetto 624 anni, quando la bolla di Papa Pio VII, Imbecillitatis humanae mentis, del 12 marzo 1802 ne la staccò e l’aggregò (io direi riaggregò) alla diocesi di Messina. […] Nel 1817 Bronte fece parte della diocesi di Nicosia e per la bolla di Papa Gregorio XVI nel 14 maggio 1844 fu definitivamente aggregato all’arcivescovado di Catania» […] Nel 1574 a Bronte «il clero era composto di tredici preti, tre suddiaconi, due chierici e l’arciprete era il sac. D. Giovanni Antonio Capizzi, il vicario foraneo D. Antonio Ciraulo; diede alle confraternite capitoli onde governarsi; proibì che le piagnone entrassero in chiesa per farvi lor piagnistei, […] minacciò multe ai trasgressori dei suoi ordini da spendersi nella fabbrica delle chiese; ammonì e punì sacerdoti indegni. “Frugando i registri di battesimo che cominciano dal 1582, quelli di matrimonio che datano dal 1589 e quelli di morte che cominciano al 1613, i soli documenti che ci è concesso consultare, giacchè di anteriori non esiste vestigio, vi appaiono diversi nomi di dignità e d’ufficio: Parroci, Arcipreti, Ebdomadari o Simaneri, Canonici, Pro Arcidiaconi, Vicarii, Abati regi, Protonotari apostolici, Consultori del Santo Ufficio. “Era ufficio del parroco amministrare i sacramenti, e diversi preti battezzavano e congiungevano in matrimonio di propria autorità. Dal che, scrive il De Luca, si argomenta che in Bronte, prima del 1590, non c’era un vero e proprio parroco, ma una comunìa di preti, che, a turno per settimana, detti perciò Ebdomadari, Simaneri, cappellani, col permesso dell’Arcivescovo di Monreale, esercitavano quell’ufficio. “Nel 1500 appare il primo parroco in persona di D. Vincenzo Saccullo e s’intitola parroco della chiesa Madre. […] “In seguito ai pro-arcidiaconi, spesso in lotta cogli arcipreti per diritti di preminenza, e divenuto l’arciprete il solo parroco, furono sostituiti i vicari foranei, che continuarono a vigilare sulla condotta dei sacerdoti, dei chierici e sul pubblico costume. Il vicario foraneo, legato in rapporto colle autorità civili (giudici e capitani di giustizia) ordinava l’arresto dei bestemmiatori, dei concubinarii. […] “Non mancarono in Bronte bestemmiatori ed eretici […]. Certo Antonino Gorgone, inteso Galluzzo, contadino, scontò nelle carceri del S. Ufficio in Palermo le sue bestemmie ereticali.[…] Segue l’elenco degli Arcipreti di Bronte (15) da Uccellatore 1484 a Giuseppe Ardizzone fino 1899; parlando diffusamente nella nota (214) della “lotta che il clero, capitanato dal P. Gesualdo De Luca cappuccino, fece al 12° Arciprete e Parroco Sac. D. Salvatore Politi 1859 - sospeso dalla dignità e ufficio arcipretale e parrocchiale il 19 marzo 1866 - morto in età di 46 anni il 6 aprile 1877; è sepolto nella chiesa di S. Vito,” per competenza di elezione tra il Comune di Bronte, patrocinato dal Cardinale De Luca,e il Vescovo Rigano il quale, dopo 12 anni di contesa, nominò il sac. Politi. Morto Mons. Rigano, “il clero si scatenò contro il Politi. Dirigeva la lotta il P. Gesualdo De Luca cappuccino, che non risparmiò mezzi perché fosse annullata l’elezione[…] Troppe ire di sacerdoti e di cittadini per ragioni di parte si erano accese contro” il Politi il quale continuò scrivendo al Sommo Pontefice e al Cardinale De Luca a difendersi ma alla fine, “nel 1877, uscì di senno e di vita.” (10) |
Mentre si costruivano chiese “e i quartieri sorgevano sotto la protezione dei Santi, la pietà verso gli infermi poveri accese il cuore del sac. Luigi Mancani, il quale testava che finita la fondazione della cappella dell’Assunta nella chiesa del Rosario, del rimanente patrimonio, una terza parte fosse spesa al ristoro delle fabbriche dell’ospedale, e due terze parti impiegate a costituire una rendita per venire ogni anno in soccorso ai poveri carcerati. “Nel 1882, per l’allargamento della via principale, buttata giù una parte dell’ospedale, gli infermi furono ricoverati nel soppresso convento dei PP. Cappuccini. In seguito la Congregazione di Carità vendette l’ospedale con la cappella e pensò fabbricarne un altro in luogo solatio e fuori della cinta del paese. Ma sorse sotto la stazione ferroviaria, sulla via provinciale, addossato a un gran muro di lava e circondato da case, donde l’occhio dei poveri infermi invano cercherà un fil di verde che loro accresca e rallegri in cuore la speranza della guarigione; quando un po’ più lungi, a poche centinaia di metri, al posto Salice, avrebbe potuto sorgere in alto, in prospetto di campi verdeggianti. Ma al sac. Prestianni, uomo d’affari e cocciuto, mancava il senso della bellezza estetica. Meglio ancora l’ospedale si sarebbe potuto costruire al Conventazzo, come già nel 1574 era stato ordinato da mons. Ludovico Torres I nella sua visita pastorale. “Di questo novo ospedale si è inaugurato un padiglione, il 3 febbraio 1923. Il nuovo rettore sac. Benedetto Ciraldo, che ha già dato prova di zelo, come procuratore della chiesa dell’Annunziata, intende ora al compimento e miglioramento dell’Ospedale. Auguriamo che il suo nome si unisca alla piccola falange dei maggiori benefattori. “Esiste ancora del vecchio ospedale un antico crocifisso del sec. XVI che porta la data del 1590; fu fatto ridipingere nel 1799, e di nuovo nel 1865 da Agostino Attinà, pittore brontese.
«Contemporaneamente ai quartieri e alle chiese sorse il carcere, nel luogo ove è ora, presso la chiesa Maggiore. Sono sette luride buie stanze con una cappella. Alla finestra era un tempo appesa una grata, dentro la quale, ad ammonimento del popolo e ad esempio di terrore, tenevasi il teschio dell’ultimo condannato a morte, godendo il Comune sin dal 1638 il diritto di mero e misto impero. Nel quartiere di S. Caterina, nel 1710, sorse il carcere per gli animali erranti e danneggiatori dei campi, detto il carcere dei bovi. Era un gran recinto, di cui non esiste più vestigio.(2) “Vicino al fondaco Stancanelli […] era un teatro, e il luogo è detto ancora - teatro vecchio -. “Dagli anziani però sentii, nella mia giovinezza, che era circo e non teatro; né di teatro c’è vestigio alcuno: esistono solo le mura di cinta; il teatro sorse nel quartiere S. Rocco, dove è ora il Collegio Capizzi. I signori lo cedettero al Grande Benefattore e fu incorporato al Collegio. Essi, a spese loro e del Comune, nel principio del secolo XIX, ne edificarono un altro più grande, al piano della Badìa; […] esso ha tre ordini di palchi con 32 logge. Ora, in tempi di progredita civiltà, per colpevole oblìo degli amministratori del Comune, il teatro è in biasimevole stato.»(3)
«Nel 1879 il Comune deliberò la costruzione d’un cimitero sotto la chiesa della Madonna della Venia. Fu cominciato nell’aprile del 1880. La facciata bellissima di stile gotico, disegnata da un ingegnere messinese fu messa da parte; ne fu eseguita un’altra che non si sa cosa abbia voluto rappresentare alla mente dell’ingegnere. Esso ha la forma di un quadrilatero della superfice di circa mq. 20.000. In alto l’adornano le cappelle delle sei confraternite, in basso sorgono alquante cappelle di famiglia; la loro quasi uniformità architettonica toglie ogni bellezza estetica. Nel mezzo dovrà sorgere una colonna che ricordi ai posteri i morti per la patria.» (4)
«Mentre cominciava a fiorire il Collegio Capizzi, altri generosi benefattori pensavano alla educazione delle giovinette, fondamento della famiglia e del benessere della patria. Il sac. Pietro Calanna, vissuto a Roma gran parte della sua vita, fondava in Bronte in vari quartieri scuole per le giovinette; le quali scuole furono aumentate dal sac. Giovanni Artale Boscia col legato del ricco pistacchieto. “A questa pia e civilizzatrice opera, ispirata certo dal Capizzi, volse prima il pensiero Donna Maria Scafiti, la quale, con dispaccio reale del 9 maggio 1780, otteneva dal re Ferdinando la facoltà di fondare in Bronte un collegio di Maria per le fanciulle povere ed orfane. Gareggiarono con lei nell’opera santa e benefica i suoi fratelli sacerdoti Vincenzo, Mariano e Raffaele e l’arciprete Vincenzo Uccellature, […] i quali assegnarono all’erigendo collegio somme che però erano poche all’alta e nobile impresa. Sorse allora generosamente il sac. Giovanni Piccino (fu quello per Bronte il secolo dei benefattori), il quale […] lasciava nel 1794 metà del suo patrimonio all’erigendo collegio di Maria, e metà per maritagi di ragazze povere […]. Alre somme lasciava pure per i gettatelli. […] Architetto del Collegio di Maria fu D. Basilio Gullo, basiliano. “Il Collegio sorse accanto alla chiesa del Rosario, quasi nascosto, in una viuzza scoscesa e ripida. Il sac. R. Scafiti con denaro proprio e con l’assegno lasciato dal Piccino, fabbricò il primo piano. Approvato lo statuto […] nel 1875, il Collegio fu aperto al bene delle famiglie nel 1879, sotto la custodia delle suore Salesiane di Maria SS. Ausiliatrice. Le scuole del Collegio sono state comprese tra le comunali obbligatorie, per alleviare le spese al Comune. Ma il Collegio […] dovrebbe essere trasformato in un seminario di buone madri di famiglia, di colte massaie […] e a formare colla severità della disciplina il carattere delle madri, decoro tutelare e ornamento benefico delle famiglie e della città. […] “L’antica pianta della Beneficenza, che nei secoli XVII e XVIII, tanti mali alleviò, sembra ora quasi intristita, né Comune, né ricchi signori volgono più il pensiero ai poveri indigenti bisognosi di rifugio; né ai figli del popolo che vagano per le vie inbestiandosi(5), pensa alcuno a strapparli ai pericoli del mal costume, che attaccandosi all’anima semplicetta, fa di loro i futuri delinquenti e l’onta della città. | ||||||||||||||||
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