Il 25 giugno 1771, in una lettera al sac. Sinatra di Bronte, Ignazio Capizzi stabilisce il luogo dove costruire le scuole: al quartiere di S. Rocco nel centro dell'abitato. Due anni dopo, nel 1773, vengono comprati per 80 onze il terreno ed un gruppo di case di proprietà del medico Rosario Stancanelli e, su sua iniziativa, è inviato a Bronte da Palermo il Sac. Salvatore Marvuglia, architetto del Comune di Palermo, per visionare il luogo dove doveva sorgere l’Istituto e disegnarne la struttura. Chiamato il capomastro legnaiuolo Giuseppe Lupo, consegnatogli il disegno, si pose mano all’opera. L'edificio doveva, secondo il disegno del Capizzi, compartirsi «in tre ordini formanti un quadrato con grande atrio in centro e con appartamenti diversi in ciascuno dei quattro lati per ognuno degli ordini.» Il sessantacinquenne Ignazio Capizzi nella primavera del 1774 ritorna a Bronte, accompagnato dal suo amico ed amministratore sac. Lanza e da quattro confratelli. Alloggiato nel convento dei Cappuccini, apri una solenne missione nella Chiesa Matrice. «La sua parola, - scrive Vincenzo Schilirò ne "Il venerabile Ignazio Capizzi" - tutta fuoco e zelo, scosse le coscienze e allentò i cordoni delle borse. Questa volta, insieme coi problemi dell’eternità, il buon servo del Signore agitava e caldeggiava i diritti dell’intelligenza e la causa di un popolo dimenticato». «Finalmente - continua - il primo di maggio 1774, quando si aprono al sole le rose e le speranze, Ignazio, macilento e canuto, a capo d’una folla festosa e fiduciosa, si reca al posto dell’erigendo collegio, e li si carica sulle spalle la prima pietra, che va a collocare nel fosso delle fondamenta; poi la benedice e la mura. Dinanzi a quel suo gesto di umiltà, ecco accendersi l’entusiasmo del popolo tutto, che fa a gara per trasportare e approntare materiali da fabbrica; e tanti ne accumula, che bastano ai muratori per un mese di lavoro. Intuivano confusamente anche i modesti figli della terra che da quelle pietre benedette si sarebbe sprigionata la "luce intellettual piena d’amore" di cui il loro santo parlava con tanto fuoco, e di cui si sarebbero avvantaggiati un numero sterminato di giovani siciliani.» Ignazio ritornò al suo apostolato di Palermo, dopo aver affidato al barone Vincenzo Meli e al sacerdote Placido Minissale la cura e la vigilanza dei lavori. Pochi mesi dopo, il 22 Luglio, inviava, tramite il marchese Tanucci, primo ministro e consigliere di S. M., una supplica al "Real Sovrano" domandando che «su gl'introiti della Mensa Arcivescovile di Monreale si facesse un congruo assegnamento in pro della sua Patria Bronte, acciò si potessero in essa stabilire le pubbliche scuole» e «per abilitare quei poveri abitanti di Bronte suoi paesani e vassalli sfortunati di S. M., alla coltura delle scienze non solo, che de' costumi.». Dalla sua residenza in Palermo e personalmente, con visite annuali, egli intanto dirigeva i lavori dell'edificio. Pur tra mille difficoltà, i lavori procedettero alacremente e in poco tempo risultarono già portati a compimento il piano terra, il refettorio, la cucina ed il primo piano. Già nell’aprile del 1777 molte camere erano finite ma le opere proseguirono fino al 1778, quando il 15 ottobre (quattro anni dopo la posa della prima pietra), finalmente avvenne la solenne apertura della scuola. La realizzazione dell'opera non fu facile: Ignazio Capizzi affrontò e superò moltissimi impedimenti, ironie, ostracismi, contrasti e calunnie d’ogni genere; elemosinò le risorse necessarie in ogni luogo. Alla fine ebbe l’appoggio di tutti. "Molti signori di Palermo, - scrive G. De Luca nella sua Storia della città di Bronte - di lui amantissimi, gli diedero vistose somme, ... " i facoltosi di Bronte e di paesi vicini contribuirono tutti generosamente alla fabbrica. I preti, i nobili, tutto il popolo, trasportava, essendone convocato, pietre ed ogni altro materiale sulle proprie spalle". Il 7 settembre 1777 Ferdinando III Re delle due Sicilie, accogliendo la supplica del Capizzi di quattro anni prima, concedeva 200 onze annue in perpetuo a spese della Mensa Arcivescovile di Monreale e decretava che l’erezione delle scuole pubbliche di Bronte dovesse comprendere cinque scuole: di aritmetica, di grammatica inferiore e superiore, di filosofia e teologia. Nel mese di Settembre dello stesso anno erano pronte le stanze per le scuole, il refettorio, la cucina ed il primo piano per i convittori ed i superiori. L'organizzazione
Ignazio Capizzi, approfittando della sua esperienza di educatore scrisse anche le "Regole" per il suo Istituto: ne disciplinò gli studi, l'elezione del direttore, gli stipendi degli insegnanti, i doveri e gli obblighi dei maestri, dei convittori e degli studenti. Il 14 Aprile 1778 il Vicerè approvava le Regole per il governo delle Scuole Pubbliche nella Città di Bronte per istruzione della gioventù e dava al Capizzi la facoltà di eleggere i primi deputati ed amministratori (la Deputazione). Con atto in notaio Abbadessa, Ignazio Capizzi nomina i primi superiori del Collegio: Rettore il sac. Placido Minissale; "deputati" i sac. G. Piccino e Pietro Uccellatore, il barone Vincenzo Meli e D. Carlo Stancanelli; "razionale" (contabile) D. Filippo Galvagno; "visitatori" (vegliavano sulla disciplina e sulla corretta amministrazione) l'arc. Placido Dinaro, il Vicario foraneo sac. Benedetto Verso e il confessore del monastero di Santa Scolastica. Scrive A. Corsaro che «il Capizzi dispose un oculato meccanismo di ricambio triennale dei deputati che non prevedeva possibilità di riconferma; nessuna carica poteva così protrarsi oltre il tempo fissato. Solo il Rettore, in casi di particolare opportunità stabiliti dalla Deputazione, poteva essere riconfermato al proprio posto». Il 15 ottobre 1778 (quattro anni dopo la posa della prima pietra), finalmente avviene la solenne apertura della scuola, presenti 37 collegiali, provenienti da Bronte, Cesarò, Castell'Umberto, Biancavilla, Nicosia, Patti, Centuripe, Pettineo, Randazzo, Mascali, Troina, Regalbuto, Roccella, Francavilla e, addirittura 10 da Gangi. La retta era di onze 14,25 l'anno. Nel 1781 il Presidente del Regno, D. Antonio Cortada, approva i regolamenti del Collegio redatti dallo stesso sac. Capizzi. Il primo bilancio 1778-79 si chiuse con un passivo di onze 108, anticipate dal primo rettore Placido Minissale (totale entrate onze 585, uscite 693). Il Collegio non possedeva beni immobili, ma molti benefattori brontesi continuavano a dare contributi in natura (pecore, frumento, ecc.). L'anno successivo, 1779-80, i convittori furono 55, provenienti anche da Maletto, Sperlinga, Alcara, Castiglione, e il Municipio di Bronte intervenne in aiuto concedendo lo "scasciato" a 15 collegiali. Nel 1781 il Presidente del Regno, D. Antonio Cortada, approva i regolamenti del Collegio redatti dal suo fondatore. La deputazione è composta dal direttore del Collegio sac. dr. Mariano Scafiti e da 4 deputati: uno nobile, il barone Giuseppe Meli; uno ecclesiastico, il sac. G. Uccellatore; uno legale, il dr. G. Margaglio e il quarto borghese, Nunzio Scafiti, in realtà rappresentanti i ceti cittadini. Il Collegio diventa, quindi, patrimonio del popolo, che tutti si impegnano a salvaguardare e potenziare. «Non c'è dubbio - scrive Salvatore Cucinotta (“Sicilia e Siciliani – Dalle riforme borboniche al “Rivolgimento” piemontese” – Edizioni Siciliane, Messina, 1996) - che il p. Capizzi, non potendo garantire la sua presenza a Bronte, sapendo di che tempra sono i Brontesi, era tranquillo che affidando la sua creatura a tutto il popolo, menti sagaci e disinteressate l'avrebbero fatta crescere e prosperare. Come di fatto si verificò. D'altra parte tutti sono coscienti che ne va di mezzo il fiore all'occhiello di Bronte, la sua gloria storica, motivo di celebrità dovunque.» Si operava, ovviamente, in mezzo alle difficoltà iniziali comuni a qualsiasi attività («mi ha bisognato correre col vento per fare il dovuto cammino», scriveva il venerabile il 23 Aprile 1781 al Direttore D. Mariano Scafiti), anche perché molti generi necessari alla vita del Collegio si compravano altrove: pasta a Giarre; fagioli a Mascali; noci, nocciole, castagne a Randazzo; formaggio e caciocavallo a Francavilla; vino a Linguaglossa e Piedimonte, ecc.. I deputati alla gestione decidono anche di prendere terre in affitto per allevarvi in conto proprio vitelli, pecore e castrati (vennero presi in affitto una chiusa e terreno a pascolo in contrada Malaga, con salario al pastore di onze 6 l’anno). Intanto i convittori aumentarono: nel 1780-81, tre anni dopo l'apertura, sono 63 , provenienti, in particolare dai Nebrodi, Ucria, Ficarra, Militello, Cerami; 66 nel 1781-82 provenienti anche da Castelbuono, Capizzi, Mirto, Sperlinga, Galati Mamertino, Barcellona Pozzo di Gotto, Tortorici, Raccuia, Mistretta, Valguarnera, S. Salvatore di Fitalia, Caprileone, S. Marco, Caronia, Tusa. Due anni dopo, nel 1783, Ignazio Capizzi moriva a Palermo nel convento dell’Olivella, dove viveva. L'umile sacerdote ben poche volte ritornò a Bronte dopo l'inaugurazione del Collegio, sicuro com'era di averlo affidato ad uomini e sacerdoti brontesi, non solo capaci, onesti e istruiti, ma profondamente impegnati con tutte le loro energie alla sua fioritura. Dopo appena vent'anni, nel 1796-97, i convittori raggiungono il ragguardevole numero di 195. La biblioteca fu rifornita di altri libri e la cappella interna di arredi sacri. Furono costruiti pure un piccolo teatrino, andato successivamente perduto, ed altre aule per la scuola e per i dormitori. Ai convittori, oltre il catechismo e la messa giornaliera, non venivano suggerite altre pratiche religiose. Regole ferree ed analitiche disposizioni regolavano la vita del collegiale. L'inizio delle lezioni era fissato al 15 ottobre e il termine al 31 agosto; vacanza il giovedì pomeriggio e dal 1 settembre al 14 ottobre. Il Collegio doveva sostenere notevoli spese per il vitto dei convittori: Tutti i generi venivano comprati in luoghi anche lontani nel periodo della raccolta, spesso inviando in loco mediatori per farne incetta. Immaginabile la lunga colonna di muli, che si snodava attraverso le regie trazzere fin nei lontani paesi dei Nebrodi. Il che comportava, altresì, l'approntamento a Bronte di locali idonei a questi usi. In una parola diventò in poco tempo fonte di lavoro non solo per gli addetti interni (in certi periodi il personale di servizio superò le trenta unità, oltre al personale insegnante e dirigente) ma nell'indotto per un gran numero di lavoratori, ai quali era assicurato un lavoro sicuro e tranquillità economica. Produsse a Bronte un benessere mai visto fino allora. |