Bronte è diventata un punto di riferimento importante per la cultura e le arti figurative
Questa nuova e importante realtà del patrimonio storico culturale di Bronte è nata dopo un lungo e impegnativo cammino nel segno della progressiva rifunzionalizzazione del Real Collegio Capizzi, la prestigiosa istituzione fondata da Ignazio Capizzi nel 1778, con l'obiettivo di «promuovere un'offerta culturale al passo con i tempi e in grado di parlare al cuore dei giovani per promuovere l'elevazione spirituale e la conoscenza della dimensione etica della persona umana».
E' sorta grazie all'intuizione ed al costante impegno del prof. Nunzio Sciavarrello illustre artista brontese (nella foto a destra dell'ottobre 2010, mentre sfoglia il catalogo il giorno dell'inaugurazione della Pinacoteca), che ha donato al Collegio la ricca e preziosa collezione di opere grafiche e pittoriche frutto della personale raccolta nel corso della sua attività professionale ed ha contribuito, con instancabile generosità e sollecitudine, al definitivo allestimento riponendo in esso i frutti del suo sapere e della sua esperienza, dell’impegno artistico e sociale che hanno caratterizzato il percorso della sua vita.
Per dare degna ed organica allocazione alla raccolta delle opere sono stati ristrutturati i locali del piano terra del Collegio, con accesso autonomo dalla via Card. De Luca, ed è stata costituita tra il Real Collegio Capizzi ed il Comune l’“Associazione Culturale di Studi, Formazione Ricerche e Servizi Nicola Spedalieri” che è il mezzo di gestione della Pinacoteca e della Biblioteca e di altre attività che sono in cantiere.
Il corposo nucleo di opere, raccolte e acquisite con dedizione e lungimiranza da Sciavarrello e donate al Collegio con atto del 22 Marzo 2001, rappresenta un significativo exursus artistico dei maestri del 900 ed una preziosa testimonianza del panorama artistico siciliano e nazionale fra secondo e nono decennio del ‘900.
Sono, infatti, presenti, per citarne solo alcune, opere di Alessandro e Carmelo Abate, Sebastiano Formica, Rosario Frazzetto, M. M. Lazzaro, Concetto Marchese, Sebastiano Milluzzo, Francesco Ranno, Elio Romano, Domenico Tudisco, Carla Accardi, Concetto Maugeri, Filippo Scroppo, Remo Brindisi, Ernesto Treccani, Gastone Breddo, Carlo Levi, Emilio Isgrò, Mirella Bentivoglio, Alberto Abate, Adriano Altamira, Marco Nereo Rotelli, Antonio e Tano Brancato, Franco Vaccari, Enzo Indaco e di molti altri pittori e scultori del panorama artistico siciliano. Per Giuseppe Frazzetto trattasi di «un nucleo importante di opere che in pratica assegnano alla raccolta lo status di unicum, considerato che nessun’altra collezione esistente propone alla considerazione degli storici un repertorio analogo (qualche collezione sita nella zona occidentale dell’isola documenta l’attività artistica in Sicilia negli anni precedenti o negli anni successivi)».
Per doveroso omaggio e riconoscimento la Pinacoteca è stata intitolata a Nunzio Sciavarrello ed è stata ufficialmente aperta domenica 10 Ottobre 2010 alla presenza dello stesso Sciavarrello e di numerosi artisti ed autorità. Uno staff qualificato della Accademia di Belle Arti di Catania, ha contribuito ad organizzare nei vari aspetti (archiviazione, catalogazione, documentazione, comunicazione, etc...) l’avvio della “Pinacoteca Nunzio Sciavarrello”.
«Se la Pinacoteca – ha affermato il primo responsabile Avv. Enrico Ciraldo - saprà dare ai suoi visitatori, che ci auguriamo numerosi, la ricreazione dello spirito e dell'animo nella ammirazione del Bello avrà raggiunto il proprio scopo, appagando di tante attese e fatiche tutti coloro che hanno lavorato per raggiungere tale fine.»
La Pinacoteca Nunzio Sciavarrello
di Giuseppe Frazzetto
Un discorso sulla Pinacoteca Nunzio Sciavarrello del Reale Collegio Capizzi di Bronte implica inevitabilmente un riferimento al suo promotore, Nunzio Sciavarrello(1).
Beninteso, non intendo riproporre qui le analisi storiche e critiche della sua figura artistica che ho avuto modo di articolare in varie occasioni (ad esempio nel libro Solitari come nuvole e nella mostra e nel relativo catalogo La questione siciliana)(2).
È però opportuno notare come questa collezione sia da un lato contrassegnata dalla singolare natura del suo determinarsi, e come dall’altro lato in essa sia riscontrabile un legame profondo con le motivazioni complessive dell’intellettuale e organizzatore di cultura Sciavarrello.
Comincerò spiegando perché ho scritto “singolare natura” del determinarsi della collezione. Ovviamente, le collezioni d’arte iniziano e si sviluppano per volere d’un privato oppure di un’istituzione; il privato di norma segue motivazioni appunto private, laddove le istituzioni dovrebbero agire in vista d’un interesse più astratto, impersonale.
In altri termini, il privato è quasi sempre un collezionista, più o meno competente, più o meno benestante, più o meno illuminato; la sua collezione riflette il suo specifico gusto e/o la direzione culturale che ad un certo momento deve pur avere intrapreso consapevolmente.
Il collezionista può avere l’orientamento esclusivista, appassionato, talvolta fazioso che nel suo celebre libro Occhio critico Guido Ballo assegnava agli artisti: l’Occhio assolutista, capace di cogliere nelle opere congeniali il minimo e appena accennato fremito, e all’opposto del tutto freddo se non ottuso di fronte alle opere escluse dalla luce accecante di quell’interesse da fan.
Di conseguenza una raccolta da collezionista è spesso intensiva, e altrettanto spesso è soggettiva, perfino umorale, riflettendo con grande somiglianza la fisionomia culturale ed umana di colui che la mise insieme. D’altro canto, le raccolte organizzate dalle istituzioni hanno (o dovrebbero avere) un carattere più estensivo, focalizzandosi su finalità scientifiche e/o didattiche, perfino staccandosi dall’individualità dei curatori pro tempore.
Quanto appena ricordato è ovviamente assai generico: in non pochi casi il collezionista ha anche una lucidità da storico, in non pochi casi le collezioni pubbliche risultano casuali e disorganiche.
Tuttavia non è difficile cogliere la validità generale dell’argomentazione, almeno dal punto di vista per così dire statistico. Ora, bisogna notare che questa collezione (di cui non ricostruisco la vicenda) non ha avuto quelle caratteristiche. Sciavarrello non si è mosso da collezionista: ancora oggi, la prima cosa che afferma, parlando della sua raccolta, è che la sua motivazione è stata documentaria.
Documentaria, quindi assimilabile a una collezione pubblica; tuttavia, sebbene la sua attività si leghi inestricabilmente alla fondazione di un’Istituzione pubblica, l’Accademia di Belle Arti di Catania, Sciavarrello è pur sempre un privato.
Insomma, non bisogna chiedere alla raccolta Sciavarrello quello che evidentemente non poteva avere, ad esempio “completezza”; d’altra parte, non ha nemmeno lo stigma spesso monotematico delle collezioni private.
In più, la raccolta rivela l’origine delle singole opere, non di rado donate o acquisite per una cifra simbolica sulla base di rapporti di stima, d’amicizia e perfino d’affetto (per cui a volte le opere sono quasi pagine di diario, veloci appunti a matita o a penna, o sono contrassegnate da dediche).
L’intento di Sciavarrello del resto risulta particolarmente chiaro là dove si consideri che uno dei nuclei di interesse della raccolta è la documentazione dell’attività artistica in Sicilia e in particolare nella zona etnea nel periodo che va dagli anni ‘30 agli anni ‘60.
Un nucleo importante di opere che in pratica assegnano alla raccolta lo status di unicum, considerato che nessun’altra collezione esistente propone alla considerazione degli storici un repertorio analogo (qualche collezione sita nella zona occidentale dell’isola documenta l’attività artistica in Sicilia negli anni precedenti o negli anni successivi).
Di là dalla considerazione critica é delle singole opere, il valore appunto di documentazione storica di quel corpus appare insostituibile. Tuttavia la raccolta Sciavarrello non è soltanto una collezione di dipinti e sculture prodotti da artisti siciliani.
Al contrario, un gruppo ancora più numeroso di opere documenta, sia pure in termini sintetici e non esaustivi, la produzione di alcuni fra i protagonisti della ricerca artistica italiana della seconda metà del ‘900.
Un altro nucleo documenta alcune fra le tendenze emergenti nell’arte fra gli anni ‘70 e ‘80, con specifico risalto assegnato alla generazione nata negli anni ‘50. (Un discorso a parte andrebbe poi fatto per la corposa collezione di grafica, di provenienza in questo caso internazionale).
La collezione documenta alcuni aspetti del ‘900 italiano. Qui si presentano circa cento quaranta opere, selezionate fra le oltre trecentocinquanta della raccolta completa (esclusa la grafica).
Parlarne pone l’opportunità di una riflessione complessiva; d’altra parte, sarebbe francamente incomprensibile non cogliere l’occasione offerta dalla collocazione definitiva della raccolta per rilanciare una campagna di nuove acquisizioni, con tempi e modalità di cui qui ovviamente non è il caso di discutere, ma che di certo potrebbe e dovrebbe orientarsi verso un’integrazione dell’indagine sul recente passato, e verso un interesse per l’attualità e per la produzione dei giovani artisti.
Come si è detto, un gruppo di opere documenta l’attività degli artisti siciliani nati nei primi due decenni del ‘900, o poco prima (fra gli altri Alessandro e Carmelo Abate, Sebastiano Formica, Rosario Frazzetto, M. M. Lazzaro, Concetto Marchese, Sebastiano Milluzzo, Francesco Ranno, Elio Romano, Eugenio Russo, Domenico Tudisco).
Pittori e scultori attivi in una fase delicatissima della vita culturale e sociale dell’isola: si tratta infatti dell’ultima stagione nella quale gli artisti siciliani non avvertono un distacco effettivo dal dibattito nazionale, interpretandosi non come testimoni d’una realtà provinciale ed emarginata, bensì come
La nozione di “rinnovamento” è anzi quella centrale, là dove si voglia comprendere il senso complessivo dell’attività di questi artisti portabandiera di un’efficace volontà di “rinnovamento”.
Un aggiornamento culturale ed esistenziale che significava da un lato consapevolezza dell’urgenza del Moderno, in ogni sua forma (non solo artistica, intendo), e dall’altro lato comportava l’acquisizione delle “novità” con una sorta di beneficio di inventario, per cui il susseguirsi degli “ismi” non veniva registrato come semplice dato a cui adeguarsi, e al contrario appariva punto di partenza su cui commisurare, rinnovare ed eventualmente modificare la propria identità artistica.
Tale tensione verso il Moderno può cogliersi quasi in ogni testimonianza, artistica e critica, dell’operato e delle intenzioni di questi artisti. E talvolta quella tensione veniva vissuta come rischio o come opportunità d’un distacco dall’opinione comune, e dunque come rivendicazione d’essere specialisti, portatori d’un vessillo ancora misconosciuto ma vincente. Un esempio. Così recita uno scritto di Lazzaro, del ‘32: “La nostra mostra [...] ha avuto il mandato di far conoscere alla cittadinanza catanese il Martirologio, vita passione peccati e miracoli degli artisti catanesi.
Dopo la Mostra Sindacale di Palermo, il nostro sforzo è stato vagliato da tutta la stampa della Penisola, auspice il ‘Popolo di Sicilia’ nonché la cortesia del direttore della Galleria Arbiter, si è voluto mostrare in blocco, come non si vedeva da parecchi anni, tutto il fiore della Passione catanese, [...] cinquantasei opere di ben quindici artisti tutti distinti e separati. Proprio tutti distinti e separati anche quando il grosso del pubblico classifica in blocco due intere pareti, dal primo al diciassettesimo pezzo, come prodotto di una scuola o tendenza di ‘Novecento’, insomma solo, matematico, indiscutibile e certo come la morte”.
Dopo aver esaminato alcune fra le opere presentate Lazzaro passa alle opere ‘novecentiste’, fra cui le proprie: “Del Lazzaro, naturalmente, ci piace tutto checché ne pensi tanta gente che abbiamo udita.
Solamente teniamo a dichiarare che le male parole che riguardano lui e i suoi amici modernisti lasciano il tempo che trovano, e sono destinate a percorrere, in effettivo, quei quindici o venti centimetri che distanziano in linea retta gli orecchi di ognuno: dal sinistro al destro e viceversa. Alla gente, si sa, non piacciono mai gli artisti modernisti, a qualsiasi secolo appartengano, solo perché li tocca, li vede e possibilmente ci gioca a biliardo”(3).
Il tema della ‘incomprensione’, ovvio risultato dell’intento rinnovatore degli artisti, riecheggiava del resto in molte riflessioni dell’epoca. Incomprensione, in primo luogo, fra gli artisti e quelli che avrebbero dovuto essere i loro naturali interlocutori, i letterati. Da questo punto di vista, il caso isolano è esemplare, come esplicita manifestazione di una costante che ha caratterizzato la situazione della cultura italiana dai primi del ‘900 fino ad oggi, ovvero la scarsa collaborazione se non la reciproca diffidenza fra il sistema dell’arte e il sistema della letteratura.
Questi artisti affrontarono il travaglio d’un passaggio epocale, durante cui si consumò la transizione fra due modi radicalmente diversi e forse opposti d’intendere e di realizzare l’arte.
La Pinacoteca Nunzio Sciavarrello è aperta tutti i giorni (escluso il lunedì) dalle ore 8.30 alle 13.30 e dalle 15.30 alle 18.30. E' stata inaugurata alla presenza del Maestro Sciavarrello nel mese di ottobre 2010. Annamaria Dimino, moglie di Nunzio Sciavarrello ha tagliato il nastro inaugurale.
Prof. Nunzio Sciavarrello
«Sono trascorsi più di dieci anni da quando, con il consenso del compianto rettore Giuseppe Calanna e dell’attuale rettore don Giuseppe Zingale, l’Ente Morale Real Collegio Capizzi accettò la mia offerta, d’accordo con i miei familiari, del patrimonio di cui disponevamo, per far sorgere una Pinacoteca d’arte italiana del ‘900 nell’ambito della storica istituzione che per secoli ha dato lustro a Bronte.
Le premure del Collegio furono immediatamente poste in atto e l’amministrazione dispose gli atti necessari per ordinare l’intero piano terra, affinché tale intendimento si verificasse, attuando anche un indispensabile centro di restauro per le esigenze della pinacoteca, di enti e di istituzioni varie (delle chiese della Sicilia in modo particolare).
Nonostante le remore e le lungaggini burocratiche, finalmente oggi apre la Pinacoteca, e presto, ci auguriamo, il resto. La Pinacoteca nasce con il patrimonio donato dallo scrivente e dalla famiglia Sciavarrello, nelle persone di Annamaria Dimino in Sciavarrello, Patrizia e Teo Raciti, Clelia e Duilio Adamo, Andrea e Clementina Lo Nigro, Anna Sciavarrello.
Per l’attuazione della pinacoteca ho avuto la valida collaborazione dei miei amici pittori Nunzio Urzì e il compianto Giuseppe Finocchiaro D’Inessa, ai quali esprimo la mia gratitudine.
Questa pinacoteca è da considerarsi la prima parte della donazione. Un altro settore dedicato all’arte in Sicilia, già in possesso del Collegio, sarà sistemato negli spazi che l’amministrazione del Collegio reputerà opportuni, affinché tutta la sede della storica istituzione divenga un grande centro d’arte, collegato alla storica biblioteca, al grande auditorium e alla preziosa chiesa.
Intanto, finalmente, per quanto concerne l’arte, apre la pinacoteca, con l’auspicio di un’accoglienza benevola dei concittadini, che hanno tutti i crismi della cultura.
Siamo ben onorati, perché molti figli illustri hanno contribuito a dare prestigio a questo centro. Auguriamo che questo avvio possa essere di auspicio per incrementare il futuro della nostra Bronte.»
L'offerta di opere di grafica internazionale, dipinti e sculture per far sorgere la Pinacoteca di Bronte
Ill.mo Sac. Don Giuseppe Calanna Rettore del Real Collegio Capizzi, Bronte
In varie occasioni, durante le conversazioni intercorse per favorire la rinnovata attività culturale del Real Collegio Capizzi, dalla S. V. retto con squisita sensibilità a favore della comunità brontese, lo scrivente ha manifestato il suo intendimento di far confluire, dietro le decisioni del Consiglio di Amministrazione dell'Istituto per la cultura e l'arte di Catania un congruo numero di opere grafiche internazionali della raccolta dell'ICA con altre opere grafiche significative realizzate nell'arco di un cinquantennio dallo scrivente e ancora di altre opere (dipinti, sculture e disegni) comprese quelle ispirate alla "Libertà", e ciò per favorire la istituzione in seno al glorioso Collegio di una galleria d'arte pubblica denominata "Pinacoteca di Bronte", dove oltre alle opere predette dovranno trovare posto i dipinti più qualificati di proprietà del Collegio medesimo.
Certo di fare cosa gradita al Collegio e alla comunità brontese, in attesa di riscontro la prego di gradire devoti ossequi.
Nunzio Sciavarrello 20 aprile 1990
Salvacondotto, durante quel difficile e rischioso transito, fu per alcuni l’idea dell’oltranza linguistica, prima futurista poi novecentista; per altri fu la rielaborazione d’un modernismo “spiritualizzato”, spesso consentaneo ai modi del Liberty; per altri (soprattutto per gli scultori) fu la nozione d’un “classicismo moderno” che riuscisse a saldare in unità la maestria del fare e l’inquietudine dei tempi nuovi.
A tutti fu comune un disagio e un disincanto, che per qualcuno divennero amaro rinserrarsi nella dignità della propria cifra stilistica, mentre per altri si sublimarono in fervore didattico e organizzativo.
Del resto, è il caso di ricordare che se l’inizio degli anni ‘30 vide apparire alla ribalta il palermitano “Gruppo dei Quattro” (Guttuso, Pasqualino Noto, Franchina, Barbera), caso esemplare del colloquio fra attitudini culturali di origine locale e istanze di respiro europeo, viceversa alla fine degli anni ‘30 o subito dopo la Seconda Guerra Mondiale molti giovani protagonisti della cultura artistica isolana decisero di emigrare.
E la presenza rilevante degli “emigrati” nell’ambito della cultura artistica nazionale è uno degli elementi specifici di quella che altrove ho definito “la questione siciliana”. La vicenda del Moderno nell’isola va contestualizzata nell’ambito d’un discorso più ampio.
Dato il carattere composito della collezione, che propone documenti artistici contrassegnati anche dalla compresenza di (e/o dalla dialettica fra) globale e locale, ovvero di “stile internazionale” e di sviluppi regionali, si dovranno ricordare alcune peculiarità del Moderno, considerato sia nelle sue motivazioni e nei suoi esiti “alti” che nelle sue dislocazioni diffuse, inavvertite, perfino di secondo grado.
In particolare, non poche testimonianze qui proposte (ad esempio quelle di Carla Accardi, Concetto Maugeri, Filippo Scroppo, da un lato; Remo Brindisi, Ernesto Treccani, Gastone Breddo, Carlo Levi dall’altro) richiedono una riflessione sul tema, così presente (così ossessivo, per essere precisi) nel dibattito artistico italiano, dell’alternativa fra astratto e figurativo.
Per quanto concerne il ‘900 italiano, le origini di tale dibattito possono cogliersi già nella pulsione macchinica del Futurismo, e dell’avanguardia “sommersa” fra le due guerre; ma è nel dopoguerra che la questione si pone all’ordine del giorno, implicando anatemi, rotture, fraintendimenti.
La polemica fra “astratto” e “figurativo” è la manifestazione del contrasto fra una concezione dell’arte come correlato narrativo d’una “realtà” che si suppone conoscibile agli occhi ed alla mente del pittore (oppure: alla sua ideologia), e una diversa idea dell’arte, che sospende o revoca il giudizio di conoscibilità dell’esterno, concentrandosi piuttosto sulla considerazione del proprio modularsi, e scommettendo talvolta sulla connessione o identità fra quel modularsi delle forme/colori e un ipotetico affiorare della “autenticità” del Singolo, giusta la vulgata esistenzialista.
Ma ci si può chiedere se, pur essendo non più pensate come segnale d’un individuo, d’un oggetto o di una storia, le “forme” possano (o debbano) conservare un legame col visibile.
E qualcuno ipotizza che sia impossibile immaginare forme che non ne siano derivate.
Lucia, di Rosario Frazzetto (1970, bronzo)
Elio Romano, Autoritratto con la moglie, 1980
D’altra parte, si può decidere d’abolire il racconto; ma allora, a cosa si dovrà affidare il Singolo, per manifestarsi? Dovrà azzerarsi, muovendosi verso un’arte oggettiva, che è quanto dire “disumana”?
La soggettività dovrà scomparire, dato che le forme, nella loro cartesiana ed astratta chiarezza o nel loro sconfinamento simpatetico, rivelano lo strutturarsi d’un più alto, immateriale piano dell’esistenza? Oppure all’emozione dovrà sostituirsi la mera percezione?
Beninteso, si tratta di tematiche che attraversano l’intero percorso dell’arte dalla fine dell’800, e che so stanziano prima il Simbolismo, poi l’Avanguardia Storica, poi l’apparente ripiegamento del cosiddetto “Ritorno all’ordine”; tematiche che nel Dopoguerra italiano vengono tuttavia riprese con specifiche tonalità (ad esempio esplicitamente ideologiche, oppure di impostazione cattolica).
Non a caso, la koinè informale italiana si configura con movenze assai diverse rispetto a quella francese e più in generale a quella europea.
Nel passaggio fra gli anni ‘50 e i ‘60 si osserva una ulteriore vaporizzazione delle poetiche e degli stili.
La nuova cesura è legata all’avvento della società “dei consumi”; e il linguaggio più comune tende a diventare il Pop, sedotto dall’artificialità mediatica (ascendenze Pop possono cogliersi anche in molti protagonisti di quella che si chiamò “Nuova Figurazione”).
Allo stesso tempo si registra il diffondersi di esperienze oggettuali e protoconcettuali. In questione è talvolta la stessa nozione di opera, “aperta” e/o destrutturata da tattiche intertestuali e infratestuali di relativizzazione mentalizzata dei linguaggi.
È in certo senso una risposta al primo apparire del Nuovo Mondo Estetico, che continuamente consuma e rianima parole e immagini, sfiorando l’entropia dell’assenza di senso per eccesso di senso. I linguaggi sempre più spesso appaiono rovine d’una costruzione che forse in origine fu razionale e comunicativa, ma che è ormai inabitabile per l’uso reiterato e maldestro.
Se l'indagine del nesso significante/significato (o significante/significante) si confronta col campo dell'artificiale, del mediale, del simulato, altre esperienze fanno i conti col rapporto critico fra Singolo e Collettivo.
La prassi analitica, esplicitamente mentalizzata, attraversa gli anni dalla metà dei '60 alla fine dei '70. La scommessa analitica muove dal credito assegnato all'idea d'un soggetto saldamente legato ad un progetto forte, tanto forte da sopportare perfino la propria sostanziale eclisse.
E l'indagine metalinguistica ha per oggetto talvolta anche la pittura, della quale si rimettono in gioco le articolazioni primarie, destrutturando il rapporto fra stesura superficie, cromatismo e segnicità, quasi per verificare se e come pittura possa ancora farsi. Quella fase sembra concludersi negli anni '80.
E un altro gruppo di opere della raccolta (ad esempio quelle di artisti diseguali per intenti e per generazione, come Emilio Isgrò, Mirella Bentivoglio, Alberto Abate, Adriano Altamira, Marco Nereo Rotelli, Antonio e Tano Brancato, Franco Vaccari, Enzo Indaco), acquisite durante quel decennio, propongono un'ulteriore riflessione storico-critica.
Gli anni '80 appaiono una fase decisiva di snodo: se da un lato in essi sembra concludersi e allo stesso tempo estremizzarsi il percorso iniziato negli anni '60, nella moltiplicazione di istanze di poetica e di prassi (dal Pop alla costellazione molteplice della Neoavanguardia, senza dimenticare la presenza della pittura), dall'altro gli anni '80 ci appaiono come la fase aurorale di un confronto col Nuovo Mondo Estetico, ultratecnologico e affollato di quelle che Flusser definiva "tecnoimmagini" (technischen Bilder).
Già dalla fine degli anni '70 emerge una questione, ancora attuale, che per qualche tempo fu indicata con l'ambiguo termine “postmoderno”.
Qui risulta chiarificatore il riferimento a qualche argomentazione d'un autore che qualcuno fraintende come apologeta del postmoderno, laddove tentava d'essere un estremo e forse disperato difensore del Moderno.
Lyotard notava che nello iato moderno/postmoderno in arte era in questione uno specifico rapporto fra la “presentazione” e ciò che viene “presentato”: “l'estetica moderna [...] permette che l'impresentabile sia messo avanti solo come un contenuto assente, ma la forma continua a offrire al lettore o allo spettatore, grazie alla sua consistenza riconoscibile, motivo di consolazione e di piacere”; viceversa “il postmoderno sarebbe ciò che nel moderno mette avanti l’impresentabile nella presentazione stessa; ciò che si sottrae alla consolazione delle buone forme, al consenso di un gusto che permetterebbe di provare in comune la nostalgia dell’impossibile; ciò che cerca presentazioni nuove, non per goderne ma per far meglio sentire che c’e dell’impresentabile”(4).
Il maestro e la modella, di Salvatore Fiume (1985). A sinistra, Spiaggia, di Giovanni Alicò (1938) e Un uomo, di Remo Brindisi (1984)
Suonatore di violino, di Alessandro Abate (1927); Il cappello di paglia, di Sebastiano Milluzzo (1999); Paesaggio, di Gastone Breddo (2005)
Maternità, di Ernesto Treccani (1980); Panico, di Francesco Ranno (1946) e E così ho cercato di fare debordare il fumo dal comignolo, di Tano Brancato (2005)
Ritratto, di Carlo Levi (senza data)
Autoritratto, di M. M. Lazzaro (1934)
L'arciere, di Rosario Frazzetto (1949)
Aci e Galatea, di A. Portale (part.)
Figura femminile e Capra che allatta, di Concetto Marchesi (1983)
Fiori secchi, di G. Fichera (1948)
Figura, di Emilio Greco (1984)
A destra Interno a via Ripetta, tempera di Concetto Maugeri (1951) e Mare, pastello e olio di Vincenzo Indaco (1980)
Quel brano riproponeva in fondo una notazione di Benjamin (in Il dramma barocco tedesco): problema essenziale della “modernità” è la “rappresentazione”, anche o soprattutto perché il Singolo stenta a “fare esperienza” di se stesso e del mondo.
Di conseguenza l’arte sembra doversi orientare verso il riconoscimento della negazione, dell’assenza, manifestandosi nelle forme “tragiche” a cui alludeva Benjamin. In altri termini, un esito della Modernità, in arte, è la messa in questione della possibilità di confrontarsi con la “realtà”, distinguendo reale da simulato, possibile da esistente, e avvicinandosi dunque all’“ideale barocco del sapere, l’immagazzinaggio”(5).
La soggettività estetica sembra allora tentare altre vie, ancora più tortuose e improbabili, accettando il proprio essere decentrata e dispersa e/o presentificando l’assenza, sia che ne accetti l’ineliminabilità, sia che la esorcizzi col sovrabbondante, con la citazione, con la ripetizione differente; e l’inestinguibile contrasto fra il Singolo e l’esterno (emblematizzato in quegli anni dal ritorno di interesse per la nozione di Sublime) appare l’ambito ambivalente di un “non luogo a procedere”(6). Gli anni ‘80, quindi.
Secondo non pochi interpreti, si tratta degli anni in cui in effetti si conclude il ‘900. Il secolo breve. Tuttavia si potrebbe proporre un’argomentazione opposta. Il ‘900: ne siamo usciti? In termini meramente cronologici non c’è dubbio.
Ma si mostrano elementi diversi, sopravvivenze e anticipazioni. Se si dovesse allora accennare a qualche linea di tendenza che gli sviluppi ulteriori della collezione potrebbero o dovrebbero fare propri, senz’altro si dovrebbe indicare l’opportunità di mantenere il suo carattere variegato e documentario, in un’apertura spregiudicata alle nuove opzioni connesse a quello che chiamo il “terzo stato dell’arte”, al ritorno della soggettività o al suo ipotetico oltrepassamento, nonché al proporsi di nuove tecniche e di tecniche ormai consolidate (e penso alle prassi fotografiche e video) che tuttavia attraversano una feconda fase di verifica. Giuseppe Frazzetto
[tratto dal Catalogo della Pinacoteca Nunzio Sciavarrello - Bronte]
NOTE
1) Nunzio Sciavarrello (Bronte 1918) nel ‘32 si trasferisce a Roma per proseguire gli studi iniziati presso la scuola comunale di disegno della città natale. A partire dal ’43 racconta i “disastri della guerra” in una serie di incisioni. Nel ‘46 si trasferisce a Catania dove si segnala come attivissimo organizzatore culturale. È fondatore, con Lazzaro, Giuffrida, Ranno dell’Istituto Statale d’Arte (1950); quindi dà impulso determinante alla fondazione del Liceo Artistico (1964) e nel 1967 all’Accademia di Belle Arti di cui per molti anni sarà Direttore. Nel ‘75 è premiato dalla Presidenza della Repubblica quale benemerito della cultura. All’attività di pittore e incisore si affianca quella di scenografo e costumista. Numerose le “personali” e le partecipazioni alle più importanti mostre nazionali e internazionali. È presente alla 25°e 26°Biennale, e alla VI, VII, VIII e IX Quadriennale.
Mons. Carmelo Patanè, di A. Brancato e, a destra, Antonio Corsaro di Guglielmo Volpe(1984)
2) Mi sia consentito ricordare alcuni miei saggi dedicati alla storia dell’arte in Sicilia: Arte a Catania 1921-1950, Pellicanolibri, Catania 1984; Elio Romano, Mazzotta, Milano 1986; Solitari come nuvole. Arte e artisti in Sicilia nel ‘900, Giuseppe Maimone Editore, Catania 1988; La danza e la conchiglia, in AA.VV.; Emilio Greco. Catalogo generale dell’opera incisoria, Il Cigno Galileo Galilei, Roma 1994; La questione siciliana, Giuseppe Maimone Editore, Catania 1997; Tracce di una storia naturale, in AA.VV., Museum, Artecontemporanea, Bagheria 1997; L’affare Guttuso. Appunti per una fenomenologia dell’emigrazione intellettuale, in AA.VV.; Renato Guttuso. Gli anni della formazione 1925-1940, Silvana Editoriale, Milano 2001; Accanto all’origine. Attualità del Gruppo di Scicli, in AA.VV., Il Gruppo di Scicli, Silvana editoriale, Milano 2004; Lo scirocco e l’Etna, Maimone Editore, Catania 2005; Il gioco dei contrasti, in Le ferite dell’essere. Solitudine e meditazione nell’arte siciliana degli anni Trenta, Ed. Amici della pittura siciliana dell’Ottocento, Agrigento 2006; Il Gruppo di Scicli, Ed. Amici della pittura siciliana dell’Ottocento, Agrigento 2008.
3) M. M. Lazzaro, La mostra d’arte alla Galleria Arbiter, in “Il popolo di Sicilia”, 8 Aprile 1932, p.3. Qualche refuso dell’originale qui è stato corretto.
4) Jean-François Lyotard, Il postmoderno spiegato ai bambini, Feltrinelli, Milano 1987, p. 23.
5) Walter Benjamin, Il dramma barocco tedesco, Einaudi,Torino 1971, p.195.
6) Ho proposto la nozione di “non luogo a procedere” in L’implosione postcontemporanea. L’arte all’epoca del Web globale, Città Aperta, Troina 2002. Sulla situazione tardo-moderna dell’immagine fra arte e sviluppo dei nuovi media, utili suggestioni vengono ad esempio da V Flusser, La cultura dei media, Bruno Mondadori, Milano 2004.