Fra felice da Bronte Per la scultura va segnalato fra Felice da Bronte, al secolo Pietro Paolo Costanzo, laico confesso cappuccino, “bravo architetto e migliore intagliatore e scultore in legno”, attivo nella seconda metà del XVIII secolo, che Gesualdo De Luca cita per le piccole statue e gli intagli della custodia del SS. Sacramento, ormai perduta o dispersa, sull’altare maggiore della chiesa dei Cappuccini. Per la pittura vanno aggiunti Ignazio Capizzi, Giuseppe e Nicolò Dinaro, Giuseppe Politi, Placido e Domenico De Luca, Nunziato Petralia. Il numero degli artisti e delle opere potrà aumentare nel tempo, specie se la ricerca sarà sistematicamente estesa ai paesi vicini, ma sembra che siano da escludere le sorprese. Cocina
La mostra era in corso di avanzato allestimento quando si è avuta conferma dell’attività di un pittore brontese, certo Cocina, di cui esisteva a Frazzanò una tela firmata e datata 1787. (Di 150 anni prima, del 1621, sono invece alcuni disegni fatti da un "siciliano di Bronte", Natale Di Pace, per una relazione sulle eruzioni vulcaniche dell'Etna stampata a Siviglia (Ndr). Ritorniamo davanti alla grande tela che nella sistemazione della mostra è la prima a ricevere il pubblico ed è la più scenografica, gustosa e stimolante per notazioni di varia natura. Dei nomi che abbiamo in vista potremo prelevare, con i dubbi ed i limiti che saranno precisati, quelli di Ignazio Capizzi e di Placido De Luca. I quali, d’altra parte, non furono ammessi per meriti artistici; come pure, molto probabilmente, lo stesso Spedalieri. Il pittore Attinà, infatti, incaricato in data anteriore al 1883 di stendere un “referto ufficiale” sul patrimonio artistico locale, quale opera di mano brontese elenca solo la custodia lignea di fra Felice Costanzo. E’ quanto si ricava dalla relazione ripresa da Gesualdo De Luca (cappuccino e correligionario, si badi, del frate scultore), per il capitolo della sua storia di Bronte dedicato alle «Specialità d’arti». Non sufficientemente avvertito, o a suo modo esigente, Attinà testimonia una valutazione molto prudente, che appare condivisa dagli altri scrittori locali. Delle opere di pittura di autore ignoto del XVII e del XVIII secolo esistenti in Bronte forse alcune saranno state eseguite da artisti locali di cui non ci è pervenuto il nome. | Fra Felice da Bronte (al secolo Pietro Paolo Costanzo) nacque il 29 giugno 1734 da Antonino, e venne battezzato con i nomi Pietro Paolo Lorenzo [alle ricerche nell’archivio della chiesa madre di Bronte ha validamente collaborato il sac. Salvatore Sanfilippo]. La prima notizia su frate Felice si trova in G. De Luca, Storia della città di Bronte (Milano 1883, p. 299 e 395), che ricorda che scolpì per la chiesa dei Cappuccini «le colonnette spirali, i capitelli, gl’intagli e le statuette in legno di S. Antonio, di S. Fedele e della Concezione da lui lavorate per l'antica Custodia del SS. Sacramento dell'Eucaristia all'altare maggiore», elencata ancora in loco nel 1907 e non più nel 1923, rispettivamente, da F. Nicotra (Dizionario illustrato dei Comuni siciliani, vol. I, Palermo 1907), e da B. Radice (Chiese, conventi, edifici pubblici di Bronte, ivi 1923, pp. 103-104). Di fra Felice si è occupato di recente S. Calì nel volume sulle Custodie francescano-cappuccine in Sicilia, Catania 1967, alle pp. 44-45. Calì riporta inoltre un brano di un’opera manoscritta in cui sono nominati “Mastro Nunzio padre e Mastro Francesco Paolo figlio” Mavica, ebanisti brontesi che verso la fine del secolo scorso lavorarono ad alcuni altari ed ad altre cose della chiesa dei Cappuccini. Nella foto a destra, gli intarsi policromi dell'altare maggiore della Chiesa dei Cappuccini. |
In un manoscritto databile tra il 1850 e il 1860 (posseduto dal prof. Giuseppe Fragale a cui dobbiamo la segnalazione) - A. G. Monsù Scolaro, Storia dello antico e moderno stato di Frazzanò - tra le opere conservate nella chiesa di Tuttisanti è menzionato un quadro “pennellato da Cocina da Bronte al 1787” (foglio 358). Il Fragale ricorda che rappresentava S. Lorenzo da Frazzanò inginocchiato con le braccia incrociate in atto di adorare la Santissima Trinità. L'opera del Cocina - che forse venne tenuta presente dal pittore brontese Giuseppe Dinaro per il suo omonimo dipinto che si conserva, come vedremo, in S. Blandano - venne distrutta nel 1934 da un appaltatore, durante i lavori di restauro della chiesa. Nei registri brontesi il cognome Cocina ricorre molto raramente: il 5 gennaio 1773 viene battezzata una bambina, figlia di certo Martino, che potrebbe essere il nostro pittore. |
| Ignazio Capizzi In attesa di future precisazioni bisogna muovere dalle notizie raccolte che assegnerebbero al venerabile sacerdote Ignazio Capizzi (1708 - Palermo 1783) non solo il merito di avere inviato da Palermo dipinti e sculture, ad ornamento delle chiese del paese natale, ma anche quello di iniziare la serie degli artisti brontesi, per avere eseguito disegni e schemi compositivi per tele e incisioni. Purtroppo non siamo riusciti a rintracciare a Palermo la tela eseguita dal pittore Gaetano Mercurio nel 1761, nè a trovare esemplari delle più significative stampe “di sacre immagini da lui disegnate, fatte incidere, e diffuse in migliaia e migliaia di copie” come riferisce G. De Luca. Dalle descrizioni possedute, ricavate anche dalle opere edite dall’infaticabile sacerdote, e da una incisione (contenuta nel volumetto «Relazione alle sacre monache ... », del 1773) è da rilevare un complesso ed artificioso simbolismo devozionale che trova riscontro nelle prediche del Capizzi e appare rinforzato dalle scritte, piuttosto abbondanti, che questi sceglieva ed inseriva nel contesto dell’incisione, per sollecitare e orientare le meditazioni dei fedeli con l’immagine e con la parola. | Il brano citato nel testo a sinistra è tratto da G. De Luca, Storia..., p. 251. Nella Relazione alle sacre monache di Palermo di una Pittura delineata in rame rappresentante l'Ammirabile, il Perenne l'Universale Frutto del Divino Eucaristico Sacrificio dal Sac. Ignazio Capizzi, Palermo 1773, troviamo il primo accenno all'attività grafica del Capizzi. Questi presenta “una tela dipinta ultimamente uscita alla luce, e di cui ne sono state fatte già le replicate stampe in carta grande” (p. 13) e poi dedica un capitolo alla “Delineazione de' Personaggi dipinti” nella tela dedicata al “gran perenne frutto della Santa Messa” per spiegare “il disegno già ivi delineato ... per non giudicarsi da chicchesia essere stata vana, chimerica, ed insussistente, o parto d'una debole fantasia feminile” (p. 21). F. M. Agnello (nella Vita del Ven. Sac. Ignazio Capizzi di Bronte, Palermo 1879, a p. 144) afferma “egli stesso concepì il disegno”. Una ulteriore conferma è nella fonte da cui i biografi hanno largamente attinto, cioè le testimonianze raccolte per il processo di beatificazione [in Panormitana beatificationis et canonizationis Ven. Servi Dei Ignatii Capizzi.... Roma 1854: una copia del rarissimo volume è conservata nella biblioteca del Collegio Capizzi]. Parlando delle incisioni incluse in un'opera del Capizzi [Lavoro della divina grazia .... Palermo 1775) raffigurante “Gesù Bambino nel cuore umano”, un testimone afferma “sebbene non fossero state di sua invenzione, pure furono fatte stampare da lui (p. 81) e un altro conferma che non furono” invenzioni sue, come Egli stesso mi disse” (p. 90). Questa precisazione non sarebbe stata data dal Capizzi se non avesse inteso respingere la paternità di quell'invenzione che poteva essergli attribuita tenendo presente un'attività da lui notoriamente svolta. Per la tela della “Trinità” fatta dipingere per la chiesa di S. Eulalia di Palermo e le relative incisioni si confronti a p. 89 del citato volume Panormitana... e G. De Luca Vita del Venerabile Sac. D. Ignazio Capizzi da Bronte. Adernò 1873, p. 98. |
| Nicola Spedalieri Di Nicola Spedalieri (1740 - Roma 1795) possediamo una opera esattamente databile, l’autoritratto , eseguita all’età di trentatré anni, quindi nel 1773. A nostro parere deve essere stato dipinto a Palermo, poco prima della partenza per Roma. Alla pittura lo Spedalieri si era dedicato mentre studiava nel seminario di Monreale, frequentando lo studio di Gioacchino Martorana. Questo artista, non anonimamente incanalato nella tradizione della pittura barocca palermitana, inquieto e versatile, amava la musica al pari del giovane brontese. Dalla spinetta conservata nel Collegio Capizzi è documentata questa duplice vocazione dello Spedalieri. I vari dipinti che la adornano vanno collocati in data anteriore all’autoritratto per la minore sicurezza tecnica avvertibile nella composizione che è fittamente segnata da una decorazione rococò into-no a marine e scene campestri, svolte in chiave arcadica ma con cadenze provinciali. L’ammissione dello Spedalieri tra i membri dell’accademia romana dell’Arcadia non deve quindi suggerire la proposta di una datazione più tarda, che contrasterebbe pure con gli sviluppi che non potevano mancare a seguito dei vivaci e continui incontri con personalità quali J. J. Winckelmann, F. Milizia, A. R. Mengs, A. Canova e il siciliano V. Errante. Basta tener presente che il piglio vivace e talvolta fresco di qualche episodio con pastorelle e contadini è rallentato da un bagaglio ancora scolastico sia pure sostenuto, principalmente negli inserti floreali, dalla conoscenza della pittura napoletana. Questi limiti sono invece quasi assenti nell’autoritratto che riflette una fiera coscienza ed una orgogliosa penetrazione dei tratti affilati del proprio volto. Il chiaro assunto apologetico di quest’opera trova non casuale riscontro nella difesa delle tesi teologiche professate durante l’insegnamento al Seminario di Monreale - avversate e sospettate di eresia dai teologi palermitani - e nel successo dopo l’approvazione rilasciata dai revisori romani. Anche per questo l’autoritratto dello Spedalieri risulta l’opera più significativa nel quadro dell’attività dei pittori brontesi attivi tra sette e ottocento. | L'autoritratto donato al collegio Capizzi nel 1886 dagli eredi del filosofo come precisa una scritta aggiunta nella parte alta del dipinto, reca in basso l'iscrizione “Nicolaus Spitaleri aetat: suae XXXIII / Hanc sui suamet manu pinxit effigiem”. E’ noto che il vero cognome del Nostro è Spitaleri, e che il filosofo lo cambiò in Spedalieri a Roma (cfr. G. Cimbali, Nicola Spedalieri, pubblicista del secolo XVIII. Città di Castello 1888, vol. I, p. 95). Ecco una conferma della nostra ipotesi. A proposito della scritta “Sac. Nicolaus Spedalieri P.” (questa abbreviazione va completata in Pinxit), che si legge nella spinetta (foto a destra), è da precisare che appare apposta da altra mano ed in epoca chiaramente successiva. La notizia relativa al Martorana è ricavata dai Materiali di notizie riguardanti la storia del Seminario di Monreale raccolte da Biagio Caruso, e ora per la prima volta pubblicate a cura di V. Di Giovanni, in «Nuove effemeridi siciliane”, vol. VI, 1877, p. 24. Dallo stesso Caruso, letterato brontese che conobbe lo Spedalieri e fu rettore del Seminario di Monreale, abbiamo la segnalazione (a p. 26) che il Nostro a Roma “non lasciava la pittura ed in Bronte sua patria vi è qualche pittura sua nella chiesa parrocchiale”. Una di queste opere è da riconoscere nella “bella testa della Vergine, ammirevole per la finitezza del colorito e l’espressione dolce del viso” che Benedetto Radice (Memorie storiche di Bronte. vol. I, Bronte 1928, p. 348) elenca tra quelle della cappella del Cuore di Gesù della chiesa madre, aggiungendo che “De Luca dice sia opera del filosofo Spedalieri”... Da tempo si è perduta ogni traccia di questo dipinto che forse può essere identificato con “La piccola cornice con la Madonna” da Nicola Spedalieri legata per testamento al fratello Erasmo (Cimbali, op. e vol. cit. p. 165). Un piccolo dipinto attribuito a Nicola Spedalieri (una tavoletta di 15 cm. x 30) è conservata a Bronte nella chiesa della SS. Trinità (la Matrice); trattasi dello sportello di un tabernacolo. Per i rapporti con l’ambiente artistico romano, oltre Cimbali, (op. vol. e pag. cit.), si vedano le Memorie raccolte da Francesco Cancellieri intorno alla vita ed alle opere del pittore cavaliere Giuseppe Errante ..., Roma 1824. Cancellieri scrive “[l’Errante] molti lumi pure ricavò dal nostro Don Nicola Spedalieri, che poteva star con esso del pari. Per molto tempo anch’io mi approssimai a quest’ultimo, perché sempre m’intesi acceso d’impegno di conoscere il vero motivo della mediocrità presente dell’arte, e perchè abbiamo qualche Artista, ma non l’arte”. Nelle due foto a sinistra, l'autoritratto di N. Spedalieri ed un particolare dei disegni da lui eseguiti sulla spinetta. Nella foto sopra a destra, N. Spedalieri, dipinto di Agostino Attinà nel quadro Uomini illustri di Bronte, ritratto con gli "strumenti" del suo sapere: fu infatti poeta, musicista, oratore, storico, matematico e, prevalentemente, apologeta e pubblicista. |
| Giuseppe Dinaro Del pittore Giuseppe Dinaro (1795 - 1848) si conservano quattro opere firmate e datate, dal 1821 al 1827. Resta pertanto scoperto un buon tratto di presumibile attività posteriore, un ventennio, e quello più breve a partire dall’apprendistato nello studio di qualche pittore che, non soltanto per i ben noti legami tra Bronte e Palermo, è da ricondurre nell’ambiente artistico di quella città. Infatti il Dinaro si rivela legato alla pittura del tardo Settecento, e poi più decisamente ai modi di Giuseppe Velasquez. O perché l’abbia frequentato preso la Regia Accademia di Palermo, o perché ne abbia tenuto presenti svariate opere: ad esempio le pale che l’artista palermitano aveva dipinto per la chiesa di S. Maria di Randazzo (così vicina a Bronte) e per altri centri non lontani della Sicilia orientale. In particolare le due tele nella chiesa di S. Blandano, e l’Assunta dipinta a fresco (foto a sinistra) nella volta della chiesa di S. Silvestro (o della Badia), ci confermano che il Dinaro assimilò non le forme neoclassiche - che giungeranno a Bronte nel 1830 con la fredda e scolastica «Discesa dello Spirito Santo» del palermitano Giuseppe Patricolo per l’altare maggiore della Badia - ma le composizioni barocche. In queste ritrova l’approdo più sicuro ed allettante per il successo presso i committenti, smorzando debitamente i colori, i ritmi dei panneggi e i battiti delle ali degli angeli. Si direbbe sulla falsariga dell’Annunciazione di Randazzo (giustamente attribuita al Velasquez), ma con risultati modesti, che valgono piuttosto a documentare più minutamente la fortuna di talune forme ritardatarie nel corso del primo Ottocento. | Giuseppe Dinaro nacque il 5 febbraio 1795 dal notaio Nicola e morì il 31 luglio 1848, come risulta dai registri di battesimo e morte della Chiesa Madre. Vi indichiamo alcune sue opere visibili a Bronte, firmate e datate: S. Lorenzo da Frazzanò e S. Giovanni Damasceno del 1827. | Le due tele sono esposte sopra due altari della chiesa di S. Blandano (vedi le due foto a destra in alto); S. Gaetano Thiene del 1821 (sopra un altare laterale della chiesa di S. Antonino, vedi foto sotto a sinistra) e l'Assunta del 1826 affrescata nella volta della chiesa di S. Silvestro (foto nella colonna a sinistra). Queste opere di G. Dinaro sono tutte ricordate dal Radice (Storia e vol. cit., pp. 337, 391, 399 e 400) che giustamente gli attribuisce pure, il S. Giovanni di Dio (a destra) visibile nella Chiesa di S. Antonino (p. 377); non può essere accolta invece la proposta per Il sacrificio di Noè (o, secondo qualcuno di S. Gioacchino), visibile nel coro della chiesa di S. Silvestro (p. 391). | |
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| Giuseppe Politi E’ possibile ridurre il vuoto dal 1827 al 1862, anno del primo dipinto datato di Agostino Attinà, con opere e dati poco rilevanti. Quali appunto, la tempera firmata da tale Giuseppe Politi (non altrimenti noto ma sicuramente brontese), che nel 1832 lasciò una testimonianza diretta dell’eruzione dell’Etna, utile per geologi e vulcanologi. L’avvenimento è colto con occhio attento nel riprodurre l’abitato di Bronte e la colata lavica che avanza rischiarando appena, e con qualche effetto, le tenebre della notte del 31 ottobre. | Nella foto a sinistra un particolare del quadro di G. Politi conservato nel Real Collegio Capizzi e recentemente restaurato. Il dipinto (tempera di cm. 95x48) porta la scritta “Eruzione dell’Etna la notte del 31 ottobre 1832 / la di cui lava diretta per Bronte distruggeva [qui è una parola ormai illeggibile] terreni coltivati” ed è firmata due volte “Politi Giuseppe pinse”. Tratto dal quadro vedi il delizioso disegno della Città di Bronte e un articolo de La Sicilia «Sulle orme dei pittori “abbagliati” dall’Etna». Nelle due foto di questo riquadro, particolari di due disegni a tempera dello stesso pittore, rappresentativi dei costumi della Sicilia: Legnaiuolo di Floridia ed il Ricottaro di Cannicattini in Siracusa. Le due tempere sono proprietà di privati. |
| Placido De Luca In rapporto allo stesso avvenimento includiamo Placido De Luca (1802 - Parigi 1861), l’economista già incontrato nel quadro degli uomini illustri. Risulta che in quella occasione «volle salire sul nostro vulcano, e fece schizzi, disegni e lettere descrittive che mandava al fratello Antonino». Amò la musica che eseguiva su vari strumenti, e protesse l’Attinà “giovinetto pittore”, il quale poi, mosso anche da gratitudine, lo ritrasse in varie tele. A tutt’oggi disponiamo solo di questi labili indizi estratti dalle biografie del Radice. | Il passo riportato nel testo a sinistra e le altre notizie sono tratti da B. RADICE, Due glorie siciliane: I fratelli De Luca, Bronte 1926, pp. 40, 42 e 160. Nella foto a sinistra Placido De Luca (particolare tratto dal quadro "Uomini illustri di Bronte" di Agostino Attinà). A Catania il De Luca fu nominato Consigliere d'Intendenza e, nel 1860, eletto deputato al primo parlamento del Regno d'Italia (fu eletto nel collegio di Regalbuto con 334 voti su 455). |
| Domenico De Luca Di Domenico De Luca (1839 - 1917), che a lungo si dilettò di pittura, esistono invece varie tele presso gli eredi. Sono copie da opere più o meno famose (è del 1865 la “Madonna della seggiola” da Raffaello) a riprova di un tenace esercizio che raggiunse talvolta il risultato di una tecnica non piatta, come nel fiero “S. Paolo”. | Nessuna notizia biografica o di altri tipo siamo riusciti a trovare di questo artista, sconosciuto anche agli storici G. De Luca e B. Radice. |
| Nicolo' Dinaro Pur non essendo brontese di nascita, Nicolò Dinaro (Biancavilla 1834 - Bronte 1908), figlio del già citato Giuseppe, va incluso in questa rassegna. Documentato solo da opere eseguite a Bronte, Nicolò Dinaro si presenta divergente dalla pittura del padre, e manifesta il piano delle sue prestazioni con la decorazione del soffitto ligneo della chiesa di S. Maria della Catena. L’effetto insistito e vistoso dei motivi geometrici floreali e grotteschi, nelle travi e negli scomparti, risulta mediato da cadenze tipiche della decorazione popolare, però con una netta tendenza al monocromato. Come è confermato dagli affreschi della volta della cappella ottagona di S. Maria delle Grazie (già firmata e datata 1896). Qui, entro i riquadri disposti intorno all’Eterno, risalta l’ornamentazione copiosa ma svelta dei girari bianchi e grigi, risonanti, che in basso incorniciano, animandole, le scene della vita della Vergine. Tra queste, ingenue e comunicative, saporose e attraenti, è da notare la Natività ravvivata da pochi tocchi di colore. Non trascurabile documentazione dell’attività avanzata di un umile ma felice decoratore che ci attira come gli autori delle buone pitture su vetro. Dinaro, più precisamente mette a frutto ed arrangia i suggerimenti assorbiti da opere quali gli affreschi del bresciano Giuseppe Tamo in Biancavilla, dipinti un secolo e mezzo avanti, (in primo piano quelli della chiesa dell’Annunziata); e dalla conoscenza delle volte della chiesa di S. Maria di Randazzo e della ormai distrutta chiesa di S. Giorgio di Cerami. | Nicolò Dinaro nacque a Biancavilla il 22 luglio 1834 e morì a Bronte il 21 maggio 1908 (nell’atto di morte del Municipio risulta «di professione pittore »). Il 4 settembre 1875 riceve «a conto della pittura che dovrà eseguire nella soffitta [della chiesa di S. Maria della Catena] Lire trenta», e poi ancora altri acconti sino al 20 maggio del 1876 (questi documenti, ricavati dal volume dei «Conti 1875-1885», conservato nell’archivio della stessa chiesa, ci risultano da una ricerca del dott. Francesco Longhitano Ferraù). Il sac. Salvatore Sanfilippo potè trascrivere, prima che venisse cancellata, l’iscrizione degli affreschi della chiesa di S. M. delle Grazie, posta sotto la cornice dello scomparto con la presentazione di Gesù al tempio, “Per devozione del sac. Giuseppe Lombardo Nicolò Dinaro pinse 1896”. Gli affreschi di Cerami sono riprodotti in G. Paternò-Castello, Nicosia, Sperlinga, Cerami, Troina, Adernò, Bergamo 1907, p. 89. Nelle tre foto a destra: decorazioni del soffitto ligneo della chiesa di S. Maria della Catena e, in alto, la volta ottagonale di Santa Maria delle Grazie affrescata da N. Dinaro e un riquadro della volta.. |
| Agostino Attinà Si dice che Agostino Attinà (1840 - 1893) abbia studiato presso l’Accademia di Belle Arti di Napoli, in anni e per un periodo non precisati. Tenuto conto che il suo protettore Placido De Luca insegnò nell’Università partenopea dal 1845 al 1859 e morì due anni dopo, è da supporre che per quel soggiorno non si debba andare oltre il 1861. Si avrebbe una conferma nell’unica opera della prima attività giovanile, il ritratto del sac. Nunzio Leanza, del 1862 (vedi nel riquadro a destra). A giudicare da questo dipinto, oltre la compostezza, di rito ma non banale, e la capacità di dar saggio di sensibilità pittorica, il giovane brontese prometteva un’attività non certo disinformata dei movimenti artistici contemporanei, sia pure mediati dall’ambiente catanese. Invece, già a partire dal 1874 - anno del quadro degli uomini illustri, (in cui tuttavia si possono isolare alcune figure per una discreta efficacia ritrattistica, che si ripeterà sempre più di rado) - Attinà farà ricorso a un mestiere che via via viene meno. Per commissione o altro, copia prevalentemente opere dei sei e settecento esistenti a Bronte (citiamo solo le copie, del 1876, da due tele secentesche di Giuseppe Tommasio da Tortorici, per la chiesa di S. Maria della Catena) o le assume a modello (il “Buon Pastore” della Chiesa madre, del 1880, nella foto a destra). Giustamente il Radice lamenta, a proposito delle due copie, “molta vivacità e avventatezza di colori che tolgono molto all’armonia dell’insieme”. Maniera che tende a una generica e spesso dolciastra adesione al soggetto religioso che talvolta si alterna o accompagna a sortite in campo veristico. Conviene prendere in considerazione la “Santa Domenica” della chiesa di S. Antonino (foto a destra), del 1874, per la figura del pastore descritta con intensa e non torpida cura e la coppia di buoi inginocchiati, dallo sguardo così cattivante, degna dei più esemplari ex-voto; e la tela con le contadinelle ed il capretto squartato, del 1878, che tardivamente si ricollega alla pittura napoletana, con inflessioni dialettali ma con acre efficacia, che difficilmente è raggiunta dall’Attinà nelle altre numerose sue tele. | Agostino Attinà nacque il 20 luglio 1841 da famiglia di artigiani a Bronte, dove morì il 12 giugno 1893. Per i rapporti con Placido De Luca, si cfr. Radice, Due glorie cit., pp. 21-23 e 42. Radice ricorda più volte il suo “buon amico” pittore elencandone le opere in Bronte (nella Storia cit., vol. I, pp. 346, 348, 364, 377; vol. Il, p. 310). Nel già menzionato volume di conti della Catena, risultano due pagamenti ad Attinà, nel gennaio 1879, per le copie dal Tommasio - eseguite nel 1876 (Radice, op. cit., p. 364) - e “a conto dei due quadretti delle Salette e di Lourdes” (sono firmati e datati 1877). Nel settembre del 1883, in occasione delle feste centenarie della morte del Capizzi, gli venne affidato l’incarico di eseguire “tre dipinture trasparenti”, intricatissime; venne esposto in una piazza del paese il quadro degli uomini illustri, e in più luoghi vennero sistemati ritratti di degni concittadini convenuti a “far corte” al Venerabile (anche per la cronaca di questo avvenimento si veda De Luca, Storia cit., pp. 355-58). Nel gennaio dell’anno successivo Attinà si prodigò in altre invenzioni, per il catafalco dei funerali del Card. Antonino De Luca (Radice, Due glorie cit., p. 331). Sul quadro degli uomini illustri (1874, tela ad olio di 193 cm. per 280 di altezza), “idea patriottica” dell’Attinà, si veda: G. Cimbali, Nicola Spedalieri cìt., vol. I, p. 36 in nota, e Radice, Storia cit., vol. II, p. 310. Leggi la concettosa iscrizione riportata in basso nel quadro. Per le relazioni dell’Attinà sulle opere d’arte si veda De Luca, Storia cit., pp. 393-396. E' da ricordare, infine, che i numerosi disegni e le figure originali del libro Storia della Città di Bronte di p. Gesualdo De Luca sono «fatti dal pittore Brontese signor Agostino Attinà per mero patrio amore» ed incise dal «bravo incisore» Angelo Colombo. Rappresentano oggi una vera rarità perchè ci consentono di vedere e conoscere dopo oltre 150 anni com’erano tanti monumenti e chiese brontesi. Nelle foto alcune opere di Agostino Attinà: il quadro di S. Giuseppe dipinto nel 1876; il ritratto del sac. Nunzio Leanza rettore del R. C. Capizzi (1862); il Buon Pastore (1880); un disegno del prospetto della chiesa di S. Blandano realizzato per il libro di p. Gesualdo De Luca, le copie del 1876 da due tele secentesche di Giuseppe Tommasio da Tortorici dipinte per la chiesa di Santa Maria della Catena (il Martirio di Santo Stefano ed il quadro di San Filippo Neri con la visione della Madonna). Molte altre opere di Agostino Attinà trovansi in alcune chiese brontesi, nel Real Collegio Capizzi e in qualche casa di privati. Fra le tante citiamo un ritratto del Papa Pio IX (olio su tela 90x120 cm del 1880) ed Il Buon Pastore (1880) nella Chiesa Madre; la Madonna di Fatima (1877) e la Madonna di Lourdes (1877) nella chiesa della Catena; Santa Domenica (1874) nella Chiesa di Sant’Antonino ed un
bel quadro di S. Giuseppe e Gesù Bambino (1876) nella Chiesa di San Silvestro. |
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| Nunziato Petralia Di Nunziato Petralia (1859 - 1936), “bravo pittore di stanze” come lo definisce Radice, sappiamo con precisione l’arrivo a Napoli, nel giugno 1877 (sembra con un contributo del Comune) “per studiare ornato e figura”. Petralia amava ripetere di essere stato alla scuola di Domenico Morelli, che proprio in quegli anni viveva il periodo più entusiasta e fecondo del suo insegnamento, al fianco di Francesco Palizzi. In fondo, quello era solo un ricordo per Petralia che, anche quando prova nella romanticheggiante tavoletta “Desideri”, dimostra di non avere saputo trarre vantaggio da quel soggiorno. A partire dal 1889 accompagnò la sua attività di accurato decoratore di interni eseguendo copie (ne abbiamo da Raffaello e persino da Caravaggio), ritratti e scene di genere che attestano un lavoro ostinato e ambizioso, ma modesto di risultati. Delle sue molte opere segnaleremo alcuni quadretti dedicati a tipi e scene popolari siciliani, e le tele (foto a destra) per la cappella del Sacramento nella chiesa madre, che riproducono esattamente i due affreschi sottostanti). In entrambe è da sottolineare l’effetto della trascrizione, caratterizzata da amabili abbreviature compositive e cromatiche. Va rilevato che le opere più valide di Nicolò Dinaro, di Attinà e di Petralia sono contrassegnate, con intonazioni diverse, da questa inclinazione comune, culturalmente esigua; e che il capitolo dei pittori brontesi di ieri si può descrivere con una curva discendente, che corrisponde al progressivo sgretolarsi di una tradizione tutt’altro che stimolante. Si noterà invece che non mancano puntuali e continui rapporti con la cultura a loro contemporanea nelle opere degli artisti formatisi a partire dal terzo decennio del presente secolo. Vito Librando Presentazione fatta in occasione della Mostra degli «Artisti brontesi di ieri e di oggi» tenutasi nei locali del Real Collegio Capizzi dal 28 gennaio al 24 febbraio 1973. | Nunziato Petralia, come si legge sulla lapide tombale, nacque il 28 gennaio 1859 e morì il 15 dicembre 1936. Molti lo ricordano infaticabile al cavalletto, geloso dei “segreti” della sua pittura, anche quando lavorava a decorare le case dei benestanti, troppo orgoglioso dei suoi dipinti. L’accenno del Radice è nella più volte citata Storia a p. 295. Per il viaggio a Napoli si veda A. Cimbali, Ricordi e lettere ai figli, Roma 1903, pp. 112-113. Sue opere si trovano nella chiesa del Rosario; nella Chiesa madre (ai lati del presbiterio e nella cappella del Sacramento: firmate e datate, rispettivamente, 1899 e 1895); al cimitero, nelle cappelle delle Confraternite della Misericordia e di S. Maria e Gesù; nelle raccolte del collegio Capizzi e presso numerose case private. Nelle due foto
a destra di questo riquadro vi mostriamo due oli di N. Petralia: Carrettiere
(copia di un disegno di Gaston Vuillier del 1887 intitolato "Popolano") e Paesaggio; nella colonna a sinistra, altre due tele che disegnò per la cappella del Sacramento nella Chiesa Madre riproducenti esattamente due affreschi sottostanti e coperti dai quadri. Petralia ci ha lasciato anche i ritratti di Gesualdo De Luca e di Pietro Graziano Calanna e dipinto molti quadri per le chiese di Bronte. Nella sagrestia della Matrice è conservato un ritratto dell'arciprete Giuseppe Minissale e nell'attiguo Oratorio di Gesù e Maria quello di Gesù e Maria tra simboli della passione (foto a destra). Ricordiamo ancora la Sacra famiglia e la SS. Trinità (ambedue del 1899) appesi alle pareti del presbiterio alle spalle del coro ligneo ed i quattro grandi quadri della chiesa del Rosario (vedi foto sotto): San Casimiro re di Polonia, l'Assunzione della Madonna, Sant'Onofrio (olio su tela di m. 2,90 per 1,75) e S. Simone Stock, tela che “Nunziato Petralia pinse 1900”. |
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