LE CARTE, LE PERSONE,  LA MEMORIA...

Artisti brontesi tra sette e ottocento

I personaggi di Bronte, insieme

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Uomini illustri di Bronte

Scultori, pittori, musicisti, decoratori vissuti a Bronte tra il 1700 ed i primi anni del '900

Questa "presentazione storico-artistica degli artisti del passato" è stata fatta in occa­sione della Mostra degli «Artisti brontesi di ieri e di oggi» dal Prof. Vito Librando, «un caro amico - lo definì allora Nunzio Sciavarrello - legato a Bronte dai ricordi della sua adolescenza».
La mostra, tenutasi nei locali del Real Collegio Capizzi dal 28 gennaio al 24 febbraio 1973, fu promos­sa ed organizzata dal Sac. Giuseppe Calanna, rettore del Collegio, dall'Avv. Renato Radice e dal Prof. Nunzio Sciavarrello. Fra gli "artisti di oggi" parte­ciparono Lino Ciraldo, Domenico Girbino, Nunzio Sciavarrello e Rosetta Zingale.

 

Artisti brontesi tra Sette e Ottocento

Presentazione di Vito Librando

Uomini illustri di BronteTra i volumi di sva­riate discipline e gli stru­menti che quali­fi­cano l’opera degli uomini illustri bron­tesi nella gran­de tela ela­bo­rata dal loro con­citta­dino Agostino Atti­nà, si incon­trano tavo­lozze e pen­nelli, mar­telli e arnesi per la scultura.

In contrada Parnaso o Eli­co­na, un solerte gruppo di amorini è applicato a scri­vere, a suonare, a scolpire ed a dipingere al cavalletto: con il compito di mimare l’attività svolta da quegli uomini ora radunati e con candida regia disposti a ridosso del paese natale, sui pendii dell’Etna.

Passando in rassegna i Brontesi che nel 1874 vennero ritenuti degni di convenire nel dipinto - per esortare «ad egregie cose» i posteri ed in particolare gli alunni del collegio Capizzi - troveremo la tavolozza tra i contrassegni raccolti accanto a Nicola Spedalieri.

Se aggiungiamo l’autore della tela, Agostino Attinà, che a tutte maiu­scole segna nell’iscrizione latina i propri meriti ed avanza una cauta proposta di cooptazione, il totale resta basso.

Ad accrescerlo è bastato cercare tra le opere possedute da chiese e privati, frugare nella memoria degli uomini, nei volumi e nelle carte d’archivio. 

 

Fra felice da Bronte

Per la scultura va segnalato fra Felice da Bronte, al secolo Pie­tro Paolo Costanzo, laico confesso cappuccino, “bravo archi­tetto e migliore inta­gliatore e scultore in legno”, attivo nella seconda metà del XVIII secolo, che Gesualdo De Luca cita per le piccole statue e gli intagli della custodia del SS. Sacramento, ormai perduta o dispersa, sull’altare maggiore della chiesa dei Cappuccini. Per la pittura vanno aggiunti Ignazio Capizzi, Giuseppe e Nicolò Dinaro, Giuseppe Politi, Placido e Domenico De Luca, Nunziato Petralia.

Il numero degli artisti e delle opere potrà aumentare nel tempo, specie se la ricerca sarà sistematicamente estesa ai paesi vicini, ma sembra che siano da escludere le sorprese.


Cocina

La mostra era in corso di avanzato alle­stimento quando si è avuta con­ferma dell’attività di un pittore brontese, certo Cocina, di cui esiste­va a Frazzanò una tela firmata e datata 1787.

(Di 150 anni prima, del 1621, sono invece alcuni disegni fatti da un "siciliano di Bronte", Natale Di Pace, per una relazione sulle eruzioni vulcaniche dell'Etna stampata a Siviglia (Ndr).

Ritorniamo davanti alla grande tela che nella sistemazione della mostra è la prima a ricevere il pubblico ed è la più scenografica, gustosa e stimolante per notazioni di varia natura.

Dei nomi che abbiamo in vista potremo prelevare, con i dubbi ed i limiti che saranno precisati, quelli di Ignazio Capizzi e di Placido De Luca. I quali, d’altra parte, non furono ammessi per meriti arti­stici; come pure, molto probabilmente, lo stesso Spedalieri.

Il pittore Attinà, infatti, incaricato in data anteriore al 1883 di stende­re un “referto ufficiale” sul patrimonio artistico locale, quale opera di mano brontese elenca solo la custodia lignea di fra Felice Costanzo. E’ quanto si ricava dalla relazione ripresa da Gesualdo De Luca (cap­puc­cino e correligionario, si badi, del frate scultore), per il capitolo della sua storia di Bronte dedicato alle «Specialità d’arti».

Non sufficientemente avvertito, o a suo modo esigente, Attinà testi­monia una valutazione molto prudente, che appare condi­visa dagli altri scrittori locali.

Delle opere di pittura di autore ignoto del XVII e del XVIII secolo esi­stenti in Bronte forse alcune saranno state eseguite da artisti locali di cui non ci è pervenuto il nome.

 

Fra Felice da Bronte (al secolo Pietro Paolo Costanzo) nacque il 29 giu­gno 1734 da Antonino, e venne battezzato con i nomi Pietro Paolo Lorenzo [alle ricerche nell’archivio della chiesa madre di Bronte ha valida­mente collaborato il sac. Salvatore San­filippo].

La prima notizia su frate Felice si trova in G. De Luca, Storia della città di Bronte (Milano 1883, p. 299 e 395), che ricorda che scolpì per la chiesa dei Cappuccini «le colonnette spirali, i capitelli, gl’intagli e le statuette in legno di S. Antonio, di S. Fedele e della Concezione da lui lavorate per l'antica Custodia del SS. Sacramento dell'Eucaristia all'altare maggiore», elencata ancora in loco nel 1907 e non più nel 1923, rispettivamente, da F. Nicotra (Dizionario illustrato dei Comuni siciliani, vol. I, Palermo 1907), e da B. Radice (Chiese, conventi, edifici pubblici di Bronte, ivi 1923, pp. 103-104).

Di fra Felice si è occupato di recente S. Calì nel volume sulle Custodie fran­ce­scano-cappuccine in Sicilia, Catania 1967, alle pp. 44-45.

Calì riporta inoltre un brano di un’ope­ra mano­scritta in cui sono nomi­nati “Mastro Nunzio padre e Ma­stro France­sco Paolo figlio” Mavi­ca, ebanisti bronte­si che verso la fine del secolo scorso lavorarono ad alcuni altari ed ad altre cose della chiesa dei Cappuccini.

Nella foto a destra, gli intarsi policromi dell'altare maggiore della Chiesa dei Cappuccini.



 

In un manoscritto databile tra il 1850 e il 1860 (posseduto dal prof. Giusep­pe Fragale a cui  dobbiamo la segnalazione) - A. G. Monsù Scolaro, Storia dello antico e moder­no stato di Fraz­zanò - tra le opere conservate nella chiesa di Tuttisanti è men­zio­nato un quadro “pennellato da Cocina da Bronte al 1787” (foglio 358).

Il Fragale ricor­da che rappre­sen­tava S. Lorenzo da Frazzanò inginoc­chia­to con le braccia incro­ciate in atto di adorare la Santissima Trinità.

L'opera del Cocina - che forse venne te­nuta presente dal pittore brontese Giu­seppe Dinaro per il suo omonimo dipinto che si con­serva, come vedre­mo, in S. Blandano - venne distrutta nel 1934 da un appalta­tore, durante i lavori di restauro della chiesa.

Nei registri brontesi il cognome Cocina ricorre molto raramente: il 5 gennaio 1773 viene battezzata una bambina, figlia di certo Martino, che potrebbe essere il nostro pittore.

Ignazio Capizzi

In attesa di future precisa­zioni bisogna muovere dalle notizie raccolte che asse­gne­rebbero al venerabile sacer­dote Ignazio Capizzi (1708 - Palermo 1783) non solo il merito di avere inviato da Palermo dipinti e sculture, ad ornamento delle chiese del paese natale, ma anche quello di iniziare la serie degli artisti brontesi, per avere eseguito disegni e schemi compositivi per tele e incisioni.

Purtroppo non siamo riusciti a rintracciare a Palermo la tela eseguita dal pittore Gaetano Mercurio nel 1761, nè a trovare esemplari delle più signi­ficative stampe “di sacre immagini da lui disegnate, fatte incidere, e dif­fuse in migliaia e migliaia di copie” come riferisce G. De Luca.

Dalle descrizioni possedute, ricavate anche dalle opere edite dall’infa­ti­cabile sacerdote, e da una incisione (contenuta nel volumetto «Relazione alle sacre monache ... », del 1773) è da rilevare un complesso ed arti­ficioso simbolismo devozio­nale che trova riscontro nelle prediche del Capizzi e appare rinforzato dalle scritte, piuttosto abbondanti, che questi sceglieva ed inseriva nel contesto dell’inci­sione, per solleci­tare e orientare le meditazioni dei fedeli con l’immagine e con la parola.

Il brano citato nel testo a sinistra è tratto da G. De Luca, Storia..., p. 251. Nel­la Relazione alle sacre monache di Palermo di una Pit­tura delineata in rame rappresentante l'Ammi­rabile, il Perenne l'Universale Frutto del Divino Eucaristico Sacrificio dal Sac. Ignazio Capizzi, Palermo 1773, trovia­mo il primo accenno all'attività grafica del Capizzi. Questi pre­senta “una tela dipinta ultimamente uscita alla luce, e di cui ne sono state fatte già le replicate stampe in carta grande” (p. 13) e poi dedica un capitolo alla “De­lineazione de' Personaggi dipinti” nella tela dedicata al “gran perenne frutto del­la Santa Messa” per spiegare “il disegno già ivi deli­neato ... per non giudi­carsi da chicchesia essere stata vana, chimerica, ed insussistente, o parto d'una debole fantasia feminile” (p. 21).

F. M. Agnello (nella Vita del Ven. Sac. Ignazio Capizzi di Bronte, Palermo 1879, a p. 144) afferma “egli stesso concepì il disegno”.
Una ulteriore con­ferma è nella fonte da cui i biografi hanno largamente attinto, cioè le testimo­nianze raccolte per il processo di beatificazione [in Panormitana beatifica­tionis et canonizationis Ven. Servi Dei Ignatii Capizzi.... Roma 1854: una co­pia del rarissimo volume è conservata nella biblioteca del Collegio Capizzi].

Parlando delle incisioni incluse in un'opera del Capizzi [Lavoro della divina grazia .... Palermo 1775) raffigurante “Gesù Bambino nel cuore umano”, un testi­mone afferma “sebbene non fossero state di sua invenzione, pure furo­no fatte stampare da lui (p. 81) e un altro conferma che non furono” inven­zioni sue, come Egli stesso mi disse” (p. 90).

Questa precisazione non sarebbe stata data dal Capizzi se non avesse inteso re­spingere la paternità di quell'invenzione che poteva essergli attribuita tenendo pre­sente un'at­tività da lui notoriamente svolta.

Per la tela della “Trinità” fatta dipingere per la chiesa di S. Eulalia di Paler­mo e le relative incisioni si confronti a p. 89 del citato volume Panor­mita­na... e G. De Luca Vita del Venerabile Sac. D. Ignazio Capizzi da Bronte. Adernò 1873, p. 98.

Nicola Spedalieri

Nicola Spedalieri (all'età di 33 anni, autoritratto)Di Nicola Spedalieri (1740 - Roma 1795) possediamo una opera esattamente databile, l’autoritrat­to , esegui­ta all’età di trentatré anni, quindi nel 1773. A nostro parere deve essere stato dipin­to a Palermo, poco prima della partenza per Roma.

Alla pittura lo Spedalieri si era dedicato men­tre studiava nel seminario di Mon­reale, frequentando lo studio di Gioacchino Martorana.

Questo artista, non anonima­mente incana­lato nella tradi­zione della pittura barocca palermitana, inquieto e versatile, amava la musica al pari del giovane brontese. Dalla spinetta conservata nel Collegio Capizzi è documentata questa duplice vocazione dello Spedalieri.

I vari dipinti che la adornano vanno collocati in data ante­rio­re all’auto­ritratto per la minore sicurezza tecnica avvertibile nella composizione che è fittamente segnata da una decorazione rococò into-no a marine e scene campe­stri, svolte in chiave arcadica ma con cadenze provin­ciali.

L’ammissione dello Speda­lieri tra i membri dell’acca­demia romana del­l’Arca­dia non deve quindi suggerire la proposta di una datazio­ne più tarda, che contraste­rebbe pure con gli sviluppi che non potevano mancare a seguito dei vivaci e continui incontri con personalità quali J. J. Winckelmann, F. Milizia, A. R. Mengs, A. Canova e il siciliano V. Errante.

Basta tener pre­sente che il piglio vivace e talvolta fresco di qualche episodio con pastorelle e contadini è rallentato da un bagaglio ancora scolastico sia pure sostenuto, principalmente negli inserti floreali, dalla conoscenza della pittura napoletana. Questi limiti sono invece quasi assenti nell’autoritratto che riflette una fiera coscienza ed una orgogliosa penetrazione dei tratti affilati del proprio volto.

Il chiaro assunto apologetico di quest’opera trova non casuale riscon­tro nella difesa delle tesi teologiche professate durante l’insegna­mento al Seminario di Monreale - avver­sate e sospet­tate di eresia dai teologi palermitani - e nel successo dopo l’ap­provazione rilasciata dai re­visori romani. Anche per questo l’autoritratto dello Spedalieri risulta l’opera più signi­ficativa nel quadro dell’attività dei pittori brontesi attivi tra sette e ottocento.

L'autoritratto donato al collegio Capizzi nel 1886 dagli eredi del filosofo come precisa una scritta aggiunta nella parte alta del dipinto, reca in basso l'iscri­zione “Nicolaus Spitaleri aetat: suae XXXIII / Hanc sui suamet manu pinxit effigiem”.

E’ noto che il vero cognome del Nostro è Spi­taleri, e che il filosofo lo cambiò in Speda­lieri a Roma (cfr. G. Cimbali, Nicola Spedalieri, pub­blicista del secolo XVIII. Città di Castello 1888, vol. I, p. 95). Ecco una conferma della nostra ipotesi.

A proposito della scritta “Sac. Nicolaus Speda­lieri P.” (questa abbreviazione va completata in Pinxit), che si legge nella spinetta (foto a destra), è da pre­cisare che appare apposta da altra mano ed in epoca chiaramente successiva.

La notizia relativa al Martorana è ricavata dai Materiali di notizie riguardanti la storia del Seminario di Monreale raccolte da Biagio Caruso, e ora per la prima volta pubbli­cate a cura di V. Di Giovanni, in «Nuove effemeridi siciliane”, vol. VI, 1877, p. 24. Dallo stesso Caruso, letterato brontese che conobbe lo Spedalieri e fu rettore del Seminario di Monreale, abbiamo la segnala­zione (a p. 26) che il Nostro a Roma “non lasciava la pittura ed in Bronte sua patria vi è qualche pittura sua nella chiesa parrocchiale”.

Una di queste opere è da riconoscere nella “bella testa della Vergine, ammire­vole per la finitezza del colorito e l’espressione dolce del viso” che Benedet­to Radice (Me­morie stori­che di Bronte. vol. I, Bron­te 1928, p. 348) elen­ca tra quel­le della cap­pella del Cuore di Gesù della chiesa madre, aggiungendo che “De Luca  dice sia opera del filosofo Speda­lieri”...
Da tempo si è perduta ogni traccia di questo dipinto che forse può essere iden­tifi­cato con “La piccola cor­nice con la Madonna” da Nicola Spedalieri lega­ta per testamento al fratello Erasmo (Cimbali, op. e vol. cit. p. 165).

Un piccolo dipinto attribuito a Nicola Spedalieri (una tavoletta di 15 cm. x 30) è conservata a Bronte nella chiesa della SS. Trinità (la Matri­ce); trattasi dello sportello di un tabernacolo.

Per i rapporti con l’ambiente artistico romano, oltre Cimbali, (op. vol. e pag. cit.), si vedano le Memorie raccolte da Francesco Cancellieri intorno alla vita ed alle opere del pittore cavaliere Giuseppe Errante ..., Roma 1824. Can­cel­lieri scri­ve “[l’Errante] molti lumi pure ricavò dal nostro Don Nicola Spe­da­lieri, che po­teva star con esso del pari.
Per molto tempo anch’io mi appros­simai a que­st’ultimo, perché sempre m’intesi acceso d’impegno di conoscere il vero motivo della mediocrità presente dell’arte, e perchè abbia­mo qualche Artista, ma non l’arte”.

Nelle due foto a sinistra, l'autoritratto di N. Spedalieri ed un particolare dei dise­gni da lui eseguiti sulla spinetta. Nella foto sopra a destra,  N. Spedal­ieri, dipin­to di Agostino Attinà nel quadro Uomini illustri di Bronte, ritratto con gli "stru­menti" del suo sapere: fu infatti poeta, musi­cista, ora­to­re, storico, ma­te­matico e, prevalente­mente, apologeta e pubbli­cista.

Giuseppe Dinaro

Del pittore Giuseppe Dinaro (1795 - 1848) si conservano quattro opere firmate e datate, dal 1821 al 1827. Resta pertanto scoperto un buon tratto di presumibile attività poste­riore, un ventennio, e quello più breve a partire dall’apprendi­stato nello studio di qualche pittore che, non soltanto per i ben noti legami tra Bronte e Palermo, è da ricondurre nell’ambiente artistico di quella città.
Infatti il Dinaro si rivela legato alla pittura del tardo Settecento, e poi più decisamente ai modi di Giuseppe Velasquez. O perché l’abbia frequentato preso la Regia Accademia di Palermo, o perché ne abbia tenuto presenti svariate opere: ad esempio le pale che l’artista palermitano aveva dipinto per la chiesa di S. Maria di Randazzo (così vicina a Bronte) e per altri centri non lontani della Sicilia orientale.

In particolare le due tele nella chiesa di S. Blandano, e l’As­sunta dipin­ta a fresco (foto a sinistra) nella volta della chiesa di S. Sil­ve­stro (o della Badia), ci con­fer­ma­no che il Dinaro assimilò non le forme neoclas­siche - che giunge­ranno a Bronte nel 1830 con la fredda e scolastica «Disce­sa dello Spirito Santo» del paler­mitano Giu­seppe Patricolo per l’altare maggiore della Badia - ma le compo­si­zioni barocche.

In queste ritrova l’approdo più sicuro ed allettante per il successo presso i committenti, smorzando debitamente i colori, i ritmi dei panneggi e i battiti delle ali degli angeli.

Si direbbe sulla falsariga dell’Annunciazione di Ran­daz­zo (giusta­mente attribuita al Velasquez), ma con risultati modesti, che valgono piuttosto a documentare più minutamente la fortuna di talune forme ritardatarie nel corso del primo Ottocento.

Giuseppe Dinaro nacque il 5 febbraio 1795 dal no­taio Nicola e morì il 31 luglio 1848, come risulta dai registri di batte­simo e morte della Chiesa Madre.

Vi indichiamo alcune sue opere visibili a Bronte, firmate e datate: S. Loren­zo da Fraz­zanò e S. Giovanni Dama­sceno del 1827.

Le due tele sono esposte sopra due altari della chie­sa di S. Blan­dano (vedi le due foto a de­stra in alto); S. Gae­ta­no Thiene del 1821 (sopra un altare laterale della chiesa di S. Antonino, vedi foto sotto a sinistra) e l'Assunta del 1826 affrescata nel­la volta della chiesa di S. Silvestro (foto nella colonna a sinistra).

Queste opere di G. Dinaro sono tutte ri­cordate dal Radi­ce (Storia e vol. cit., pp. 337, 391, 399 e 400) che giusta­mente gli attri­buisce pure, il S. Gio­vanni di Dio (a destra) visibile nella Chiesa di S. Anto­nino (p. 377); non può essere accolta invece la proposta per Il sacrificio di Noè (o, secondo qual­cuno di S. Gioacchino), visibile nel coro della chiesa di S. Silvestro (p. 391).

Giuseppe Politi

Eruzione dell'Etna la notte del 31 Ottobre 1832 (dipinto di G. Politi)E’ possibile ridurre il vuoto dal 1827 al 1862, anno del primo dipinto datato di Ago­stino Atti­nà, con ope­re e dati poco rilevanti.

Quali appunto, la tem­pera fir­ma­ta da tale Giuseppe Politi (non altrimenti noto ma sicura­men­te brontese), che nel 1832 lasciò una testimo­nianza diretta dell’eruzione dell’Etna, utile per geologi e vulcanologi. L’avvenimento è colto con occhio attento nel riprodurre l’abitato di Bronte e la colata lavica che avanza rischiarando appena, e con qualche effetto, le tenebre della notte del 31 ottobre.

Nella foto a sinistra un particolare del qua­dro di G. Politi conser­vato nel Real Collegio Capizzi e recen­temente restaurato.

Il dipinto (tempera di cm. 95x48) porta la scritta “Eru­zione dell’Etna la notte del 31 ottobre 1832 / la di cui lava diretta per Bronte distrug­geva [qui è una parola ormai illeg­gibile] terreni col­tivati” ed è firmata due volte “Politi Giu­sep­pe pinse”.

Tratto dal quadro vedi il delizioso disegno della Città di Bronte  e un articolo de La Sicilia «Sulle orme dei pittori “abba­gliati” dall’Etna».

Nelle due foto di questo riquadro, particolari di due disegni a tempera dello stesso pittore, rappresentativi dei costumi della Sicilia: Legnaiuolo di Floridia ed il Ricottaro di Cannicattini in Siracusa. Le due tempere sono proprietà di privati.

Placido De Luca

Placido De LucaIn rapporto allo stesso avvenimento includiamo Placido De Luca (1802 - Parigi 1861), l’econo­mista già incontrato nel quadro degli uomini illustri. Risulta che in quella occa­sione «volle salire sul no­stro vulcano, e fece schizzi, disegni e lettere descrit­tive che mandava al fratello Antonino». Amò la musica che eseguiva su vari strumenti, e protesse l’Attinà “giovinetto pittore”, il quale poi, mosso anche da gratitudine, lo ritrasse in varie tele. A tutt’oggi disponiamo solo di questi labili indizi estratti dalle biografie del Radice.

Il passo riportato nel testo a sinistra e le altre notizie sono tratti da B. RADICE, Due glorie sici­liane: I fratelli De Luca, Bronte 1926, pp. 40, 42 e 160.

Nella foto a sinistra Placido De Luca (particolare tratto dal quadro "Uomini illustri di Bronte" di  Agostino Attinà).

A Catania il De Luca fu nominato Consigliere d'Intendenza e, nel 1860, eletto deputato al primo parla­men­to del Regno d'Italia (fu eletto nel collegio di Regalbuto con 334 voti su 455).

Domenico De Luca

Di Domenico De Luca (1839 - 1917), che a lungo si dilettò di pittura, esistono invece varie tele presso gli eredi. Sono copie da opere più o meno famose (è del 1865 la “Madon­na della seg­giola” da Raffaello) a riprova di un tenace esercizio che raggiunse talvolta il risultato di una tecnica non piatta, come nel fiero “S. Paolo”.

Nessuna notizia biografica o di altri tipo siamo riusciti a trovare di questo artista, sconosciuto anche agli storici G. De Luca e B. Radice.

Nicolo' Dinaro

Pur non essendo brontese di nascita, Nicolò Dinaro (Bian­cavilla 1834 - Bronte 1908), figlio del già citato Giuseppe, va incluso in questa rassegna. Documentato solo da opere eseguite a Bronte, Nicolò Dinaro si presenta divergente dalla pittura del padre, e manifesta il piano delle sue presta­zioni con la decora­zione del soffitto ligneo della chiesa di S. Maria della Catena.
L’effetto insistito e vistoso dei motivi geometrici floreali e grot­teschi, nelle travi e negli scomparti, risulta mediato da cadenze tipiche della decorazione popolare, però con una netta tendenza al monocro­mato. Come è confermato dagli affreschi della volta della cappella otta­gona di S. Maria delle Grazie (già firmata e datata 1896). Qui, entro i riquadri disposti intorno all’Eterno, risalta l’ornamentazione copiosa ma svelta dei girari bianchi e grigi, risonanti, che in basso incor­niciano, animandole, le scene della vita della Vergine.

Tra queste, ingenue e comunicative, saporose e attraenti, è da notare la Natività ravvivata da pochi tocchi di colore. Non trascu­rabile documentazione dell’attività avanzata di un umile ma felice decoratore che ci attira come gli autori delle buone pitture su vetro.

Dinaro, più precisamente mette a frutto ed arrangia i suggeri­menti assor­biti da opere quali gli affreschi del bresciano Giu­seppe Tamo in Biancavilla, dipinti un secolo e mezzo avanti, (in primo piano quelli della chiesa dell’An­nunziata); e dalla cono­scenza delle volte della chiesa di S. Maria di Ran­dazzo e della ormai distrutta chiesa di S. Giorgio di Cerami.

Nicolò Dinaro nacque a Biancavilla il 22 luglio 1834 e morì a Bronte il 21 mag­gio 1908 (nell’atto di morte del Municipio risulta «di professione pittore »).

Il 4 settembre 1875 riceve «a conto della pittura che dovrà eseguire nella soffitta [della chiesa di S. Maria della Catena] Lire trenta», e poi ancora altri acconti sino al 20 maggio del 1876 (questi docu­menti, ricavati dal volu­me dei «Conti 1875-1885», conservato nell’archivio della stessa chiesa, ci risultano da una ricerca del dott. Francesco Longhitano Ferraù).

Il sac. Salvatore Sanfilippo potè trascri­vere, prima che ve­nisse cancellata, l’iscrizione degli affreschi della chiesa di S. M. delle Grazie, posta sotto la cornice dello scomparto con la presentazione di Gesù al tempio, “Per devozione del sac. Giuseppe Lombardo Nicolò Dinaro pinse 1896”.

Gli affreschi di Cerami sono riprodotti in G. Paternò-Castel­lo, Nicosia, Sperlinga, Cerami, Troina, Adernò, Bergamo 1907, p. 89.

Nelle tre foto a destra: decorazioni del soffitto ligneo della chiesa di S. Maria della Catena e, in alto, la volta ottagonale di Santa Maria delle Grazie affrescata da N. Dinaro e un riquadro della volta..

Agostino Attinà

Si dice che Agostino Attinà (1840 - 1893) abbia studiato presso l’Accade­mia di Belle Arti di Napoli, in anni e per un periodo non precisati.

Tenuto conto che il suo protettore Placido De Luca insegnò nel­l’Uni­versità partenopea dal 1845 al 1859 e morì due anni dopo, è da sup­porre che per quel soggiorno non si debba andare oltre il 1861. Si avrebbe una conferma nell’unica opera della prima attività gio­vanile, il ritratto del sac. Nunzio Leanza, del 1862 (vedi nel riquadro a destra).

A giudicare da questo dipinto, oltre la compostezza, di rito ma non bana­le, e la capacità di dar saggio di sensibilità pittorica, il giovane brontese prometteva un’attività non certo disinformata dei movimenti artistici contemporanei, sia pure mediati dall’ambiente catanese.

Invece, già a partire dal 1874 - anno del quadro degli uomini illustri, (in cui tuttavia si possono isolare alcune figure per una discreta efficacia ritrattistica, che si ripeterà sempre più di rado) - Attinà farà ricorso a un mestiere che via via viene meno.

Il buon pastore (di A. Attinà)Per commissione o altro, copia preva­lente­mente opere dei sei e sette­cen­to esistenti a Bronte (citiamo solo le copie, del 1876, da due tele secen­tesche di Giuseppe Tommasio da Tortorici, per la chiesa di S. Maria della Catena) o le assume a modello (il “Buon Pastore” della Chiesa madre, del 1880, nella foto a destra).

Giustamente il Radice lamenta, a proposito delle due copie, “molta viva­cità e avventa­tezza di colori che tolgono molto all’ar­monia dell’insieme”. Maniera che tende a una gene­rica e spesso dolciastra adesione al sog­getto religioso che talvolta si alterna o accom­pagna a sortite in campo veristico.

Conviene prendere in considera­zione la “Santa Domenica” della chiesa di S. Anto­nino (foto a destra), del 1874, per la figura del pastore de­scritta con intensa e non torpida cura e la coppia di buoi inginocchiati, dallo sguardo così catti­vante, degna dei più esemplari ex-voto; e la tela con le contadinelle ed il capretto squar­tato, del 1878, che tardivamente si ricollega alla pittura napoletana, con inflessioni dialettali ma con acre efficacia, che difficil­mente è raggiunta dall’Attinà nelle altre numerose sue tele.

Agostino Attinà nacque il 20 luglio 1841 da famiglia di ar­ti­giani a Bronte, dove morì il 12 giugno 1893. Per i rapporti con Pla­cido De Luca, si cfr. Radice, Due glo­rie cit., pp. 21-23 e 42. Radice ricorda più vol­te il suo “buon amico” pittore elencan­done le opere in Bronte (nella Storia cit., vol. I, pp. 346, 348, 364, 377; vol. Il, p. 310).

Nel già men­zionato volume di conti della Catena, risultano due paga­menti ad Attinà, nel gennaio 1879, per le co­pie dal Tom­ma­sio - ese­guite nel 1876 (Radice, op. cit., p. 364) - e “a conto dei due quadretti delle Salette e di Lourdes” (sono firmati e datati 1877).

Martirio di S. Stefano (Agostino Attinà, 1876)Nel settembre del 1883, in occasione delle feste centenarie della morte del Capizzi, gli venne affidato l’incarico di eseguire “tre dipinture trasparenti”, intrica­tissime; venne esposto in una piazza del paese il qua­dro degli uomini illustri, e in più luoghi vennero siste­mati ritratti di degni concit­tadini  con­venuti a “far corte” al Venera­bile (an­che per la cronaca di questo avve­ni­mento si veda De Luca, Storia cit., pp. 355-58).

Nel gennaio dell’anno successivo At­tinà si prodigò in altre invenzioni, per il cata­falco dei funerali del Card. Anto­ni­no De Luca (Radice, Due glorie cit., p. 331).

Sul quadro degli uomini illustri (1874, tela ad olio di 193 cm. per 280 di altez­za), “idea patriottica” dell’Atti­nà, si veda: G. Cim­bali, Nicola Spedalieri cìt., vol. I, p. 36 in nota, e Radice, Storia cit., vol. II, p. 310.  Leg­gi la concettosa iscrizione riportata in basso nel quadro. Per le relazioni dell’Attinà sulle opere d’arte si veda De Luca, Storia cit., pp. 393-396.

E' da ricordare, infine, che i numerosi disegni e le figu­re originali del libro Storia della Città di Bronte di p. Gesualdo De Luca sono «fatti dal pittore Brontese signor Agostino Attinà per mero patrio amo­re» ed incise dal «bravo incisore» Angelo Colombo. Rappresentano oggi una vera rarità perchè ci consentono di vedere e conosce­re do­po oltre 150 anni com’erano tanti monumenti e chiese brontesi.

Nelle foto alcune opere di Agostino Attinà: il quadro di S. Giu­seppe  di­pin­to nel 1876; il ritratto del sac. Nunzio Leanza rettore del R. C. Capizzi (1862); il Buon Pastore (1880); un disegno del prospetto della chiesa di S. Blandano realizzato per il libro di p. Gesualdo De Luca, le copie del 1876 da due tele se­cen­tesche di Giuseppe Tommasio da Tor­torici dipinte per la chiesa di Santa Ma­ria del­la Catena (il Martirio di San­to Stefano ed il quadro di San Filippo Neri con la visione della Ma­donna).

S. Filippo Neri (Agostino Attinà, 1876)Molte altre opere di Agostino Attinà trovansi in alcune chiese brontesi, nel Real Collegio Capizzi e in qualche casa di privati. Fra le tante citia­mo un ritratto del Papa Pio IX (olio su tela 90x120 cm del 1880) ed Il Buon Pa­store (1880) nella Chie­sa Madre; la Ma­donna di Fatima (1877) e la Madon­na di Lour­des (1877) nella chiesa della Ca­te­na; San­ta Domenica (1874) nella Chie­sa di Sant’An­to­nino ed un bel quadro di S. Giu­seppe e Gesù Bambino (1876) nel­la Chie­sa di San Silvestro

Nunziato Petralia

Di Nunziato Petralia (1859 - 1936), “bravo pittore di stan­ze” come lo definisce Radice, sappiamo con precisione l’arrivo a Napoli, nel giugno 1877 (sembra con un contributo del Comu­ne) “per studiare ornato e figura”.

Sant'Antonio (di N. Petralia)Petralia amava ripetere di essere stato alla scuola di Domenico Morelli, che pro­prio in quegli anni viveva il periodo più entusiasta e fecondo del suo insegna­mento, al fianco di Francesco Palizzi.
In fondo, quello era solo un ricordo per Petralia che, anche quando prova nella romanticheggiante tavoletta “Desideri”,  dimostra di non avere saputo trarre vantaggio da quel soggiorno.

A partire dal 1889 accompagnò la sua attività di accurato decoratore di interni eseguendo copie (ne abbiamo da Raffaello e persino da Cara­vaggio), ritratti e scene di genere che attestano un lavoro ostinato e ambizioso, ma modesto di risultati.

Rodolfo d'Asburgo (di N. Petralia)Delle sue molte opere segnaleremo alcuni qua­dret­ti dedicati a tipi e scene po­polari siciliani, e le tele (foto a de­stra) per la cap­pel­la del Sa­cra­mento nella chie­sa madre, che ripro­ducono esatta­mente i due affre­schi sotto­stan­ti). In en­trambe è da sot­to­li­nea­re l’ef­fetto del­la tra­scri­zione, carat­teriz­zata da amabili ab­brevia­ture com­posi­tive e cromati­che.

Va rilevato che le opere più valide di Nicolò Dinaro, di Attinà e di Petralia sono con­tras­segnate, con intonazioni diverse, da questa inclinazione comune, culturalmente esigua; e che il capitolo dei pittori brontesi di ieri si può descrivere con una curva discen­dente, che corri­sponde al progressivo sgretolarsi di una tradi­zione tutt’altro che stimolante.

Si noterà invece che non mancano puntuali e continui rapporti con la cultura a loro contemporanea nelle opere degli artisti formatisi a partire dal terzo decennio del presente secolo.

Vito Librando

Presentazione fatta in occasione della Mostra degli «Artisti brontesi di ieri e di oggi»  tenutasi nei locali del Real Collegio Capizzi dal 28 gennaio al 24 febbraio 1973.

Nunziato Petralia, CarrettiereNunziato Petralia, come si legge sulla lapide tomba­le, nacque il 28 gennaio 1859 e morì il 15 dicembre 1936.
Molti lo ricordano infa­ticabile al cavalletto, geloso dei “segreti” della sua pittura, anche quando lavo­rava a deco­rare le case dei bene­stanti, troppo orgoglioso dei suoi dipinti.
L’accenno del Radice è nella più volte citata Storia a p. 295. Per il viaggio a Napoli si veda A. Cimbali, Ricordi e lettere ai figli, Roma 1903, pp. 112-113.

Sue opere si trovano nella chiesa del Rosario; nella Chiesa madre (ai lati del presbi­te­rio e nella cappella del Sacramento: firmate e datate, rispet­tiva­mente, 1899 e 1895); al cimite­ro, nelle cappelle delle Confraternite della MisericordiaNunziato Petralia, Paesaggio e di S. Maria e Gesù; nelle raccolte del collegio Capizzi e presso numerose case private.

Nelle due foto a destra di questo riquadro vi mostriamo due oli di N. Petra­lia: Carrettiere (copia di un disegno di Gaston Vuillier del 1887 intitolato "Popolano") e Pae­saggio; nella colonna a sinistra, altre due tele che disegnò per la cap­pel­la del Sacra­mento nel­la Chiesa Madre ripro­du­centi esat­ta­mente due affreschi sot­to­stanti e coperti dai quadri.
Petralia ci ha lasciato anche i ritratti di Gesualdo De Luca e di Pietro Graziano Calanna e dipinto mol­ti quadri per le chie­se di Bronte.
Nella sagre­stia della Matrice è con­servato un ritrat­to dell'arci­pre­te Giuseppe Mi­nis­sale e nell'at­ti­guo Ora­to­rio di Gesù e Maria quel­lo di Gesù e Maria tra simboli della passione (foto a destra).
Ricordiamo ancora la Sacra famiglia e la SS. Trinità (am­be­due del 1899) appesi alle pareti del presbi­terio alle spalle del coro ligneo ed i quat­tro grandi quadri della chiesa del Rosario (vedi foto sot­to): San Casi­miro re di Polonia, l'Assun­zione della Madonna, Sant'Ono­frio (olio su tela di  m. 2,90 per 1,75) e S. Simone Stock, tela che “Nunziato Petralia pinse 1900”.

San CasimiroS. Simone Stock (carmelitano)
 

 

Il primo artista brontese di cui conosciamo l'esistenza

Il MonGibello di Don Natale Di Pace

Colto e nobile canonico della Matrice

In questo elenco di artisti bron­tesi che operarono tra il 1700 ed i primi anni del '900 tratto dalla relazione del Prof. Vito Librando, vogliamo inclu­dere anche Natale Di Pace, un no­bile e colto artista brontese vissuto qualche secolo prima, nel 1600.

Testi­mone delle care­stie, epidemie e delle eru­zioni dell’Etna avvenute a Bronte, sua città natale, dalla fine del 1500 ai primi anni del 1600, fu autore di una rela­zione tradotta in castigliano e stampata a Siviglia con il titolo Compendio della Natu­ra­le Historia di MonGibello di D. Natale di Pace Siciliano di Bronte (nella prima, a destra, il fronte­spizio).
Il mano­scritto su carta, ampia­mente corredato dal Di Pace con Natale Di Pace, siciliano di Bronte, MonGibellodisegni ad acquerello e guazzo, è del 1621 (Lisbona, biblioteca da Ajuda). Fortunatamente è giunto sino a noi ed è stato scoperto da Lina Sca­lisi che nel suo libro «Per riparar l’incendio - Le politiche dell’emer­genza dal Perù al Mediterraneo (2013) ha ripor­tato qual­che brano della relazione ed alcuni dei disegni fatti dal Di Pace siciliano di Bronte.

Di questo artista, orgo­glioso delle sue origini brontesi tanto da indi­carle esplicitamen­te nel titolo della sua opera, conosciamo però ben poco e nulla ci dicono di lui i nostri due storici. Benedetto Radice cita spesso membri della famiglia Di Pace e un don Natale De Pace, deputato brontese, vissuti alla fine del 1500.

L'altro storico brontese padre Gesualdo De Luca ricorda che «nel 1593 il Sac. D. Natale De Pace fu Canonico e Parroco della Matrice Chiesa». E, sicuramente, l'istruito, dotto pittore del MonGibello è proprio lui.

Il 28 Agosto 1607 troviamo il Presbiter Don Natalis De Pace, insieme ad altri tre sacerdoti, sottoscri­vere un contratto col Priore di Maniace, D. Vito Bonina, per conto dell’Ospedale Grande e Nuovo di Palermo, obbligandosi a celebrare la messa et divina officia per tre anni continuos et completos nella Chiesa del Monastero di Maniace per 30 onze ciascuno. (Arch. Nelson, vol. 123-2, pag. 101). Due anni dopo lo troviamo nominato dall'Ospedale alla carica di Priore dello stesso Monastero per un biennio.

Sappiamo anche che nello stesso secolo visse a Bronte il nobile capi­tano d’armi Matteo Pace (o Di Pace). Capi­tanò una rivolta contro «i cattivi governatori» e fu condannato a morte: ebbe tron­cata la testa a Messina il 16 gennaio 1637.

«Il canonico di Bronte – scrive il Prof. Peppino Ortoleva (La Sicilia, 21 Novembre 2019, pagina 25) - ricollega l’Etna alla sua visione religiosa del mondo: per cui le fiamme che il mondo sotterraneo lancia su di noi non possono venire che dal fuoco infernale.»
«Nella prima meta del secolo in cui l’Etna ha più fatto temere la sua potenza distruttiva, un uomo certamente dotto ma di cui non ci era quasi rimasta notizia ha provato a mettere insieme le informazioni che erano state raccolte e le ipotesi che erano state proposte per spiegare il vulcano, la sua natura e le sue manifestazioni, a “inquadrarlo” come diremmo oggi per come poteva farlo la cultura del suo tempo. Con una differenza importante da tanti altri dotti che se ne erano e se ne sarebbero occupati: Natale di Pace scriveva da uomo che conosceva il vulcano non grazie a visite episodiche per quanto accurate, ma da brontese, da cittadino dell’Etna se cosi possiamo dire, cresciuto sulle sue pendici. E questa familiarità si nota, a mio vedere, in modo sorprendente nei disegni che accompagnano il volume (…)».

«Un altro aspetto che merita ancora oggi la nostra attenzione: contrariamente alla tendenza diffusa a pensare che il cammino dalla superstizione alla scienza sia stato lineare e irreversibile, per secoli la ricerca di spiegazioni razionali e la narrazione mitica hanno continuato a intrecciarsi, come nel Compendio il confronto tra le diverse teorie sulle cause dei fenomeni vulcanici si incontra con le fiamme dell’inferno. E questo resta ancora oggi almeno in parte vero: tanto più di fronte a una realtà, che la chiamiamo Etna, Mongibello o semplicemente ‘a Muntagna, che continua ad affascinarci, e continua a presentarci più misteri che certezze.»

Dal mano­scritto - opera fra mito e scienza - del canonico Don Natale Di Pace, il primo artista brontese di cui conosciamo l'esistenza, vi presentiamo alcuni suoi disegni.

1) Il frontespizio della relazione Compendio della Naturale Historia di MonGibello di D. Natale di Pace Siciliano di Bronte (tradotta in castigliano e stampata a Siviglia nel 1621, Lisbona, biblioteca da Ajuda).

2) Effetti delle eruzioni con danni alle campagne e il conse­guente formarsi del vulcano. Nella parte alta l’immagine riporta la scritta “Fiammeggia con danno di molte vigne et il monte cresce con le faville, che son tante pietre infocate, e con l’Arena portata dal fumo”. In basso un profilo di tre paesi posti ai piedi dell'Etna: Randazzo, Bronte e Adernò.

Nel riquadro a destra, da sinistra in senso orario:

3) Un'altra delle illustrazioni del canonico brontese, iimmaginosa ma molto colorata e naif: questa vuole indicare le terre lontane visibili dall’Etna durante il sereno. In alto l’immagine riporta la scritta “Quando l’Aria è serena si vedono tutti questi Paesi apparendo il Sole”.

4) Un disegno ancora attuale: compresenza sull’Etna di sereno e tempesta, acqua e fuoco. In alto l’immagine riporta la scritta “Di sopra sereno, di sotto Pioggia, con tuonj, d’una parte Acqua, e dall’altra Fuoco”.

5) MonGibello impossibile (struttura e spiegazione dell’attività dei vulcani ritenuta impossibile dall’autore). In alto l’immagine riporta in uno svolazzo la scritta “MonGibello Impossibile”.
In basso la frase “Questo fuoco dentro il Centro della terra, o è naturale o metaforico o sopra naturale. S’è naturale, e senza aperture p. far l’esalatione, né anco haverà nutrimëto, et a questo modo non può essere. Di più saria otioso.

6) Mongibello necessario (struttura e spiegazione dell’attività dei vulcani ritenuta realistica dall’autore). In alto l’immagine riporta in uno svolazzo la scritta “MonGibello Necessario”.
Dalla destra, in corrispondenza di altri vulcani, le scritte Licia, Chimera, Cafang; in basso Terra del Fuoco – India; sulla sinistra Vulcano.


Altri artisti brontesi
: Nunzio Sciavarrello  |  Rosetta Zingale  |  Lino Ciraldo  |  Domenico Girbino  |  Ninetta Minio

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