ROSETTA ZINGALE di Mario Monteverdi «Direi che la componente poetica essenziale della pittura della Zingale è il senso della solitudine. Nei suoi paesaggi quasi pietrificati in una visione, che l’accaloramento d’un tessuto cromatico denso, profondo, riscatta dall’immobilità emotiva e trasferisce, per contro, in un’eccitata tensione espressiva, manca, solitamente, l’elemento umano.
I fiori e le nature morte, pur componendosi con estremo rigore in una scansione di spazi paralleli, posseggono fremiti nutriti dal macerarsi dell’impasto in una ricerca di modulazioni sempre più calde. Le figure si stagliano nelle loro vesti di lutto su pareti di tuguri isolani o sullo sfondo di città vuote e drammaticamente silenziose. (…) La pittura di Rosetta Zingale rifugge in maniera assoluta dalla cronaca, è contemplazione proiettata in uno spazio temporale che esula da una definizione contingente poiché vuol appartenere a tutti i tempi, vuole soprattutto, ricuperare quei valori eterni, che solo una natura posta al di fuori dell’avvicendarsi delle stagioni ci può offrire, una natura antica per intenderci. Milanese di adozione, Rosetta Zingale è siciliana per nascita e per ceppo. Ed è proprio codesta sua «sicilianità» - da intendersi alla stregua di quella d’un Salvatore Fiume, per fare un esempio illustre - che ne determina le scelte, gli orientamenti, l’ispirazione. Il suo mondo pittorico è decisamente mediterraneo: i suoi imponenti alberi solitari (un ulteriore richiamo ad una situazione interiore), le rocche massicce e impenetrabili, i paesi aggrappati alle pendici laviche del Mongibello, quelli arroccati su ambre desolate o nascosti negli anfratti d’uno sperone roccioso. (…) «L'impasto cromatico assume per la Zingale un'importanza determinante in quanto è non solo dai valori tonali, peraltro essenziali, ma persino dagli spessori, dalla consistenza delle sovrapposizioni che deriva quello specifico valore cui l'artista può conferire una determinante funzione plastica.» L'immagine di questo riquadro: Paesaggio meridionale (olio su tela) di Rosetta Zingale. | Realtà e fantasia di Rosetta Zingale Di Domenico Manzella Non saprei dire con esattezza se R. Zingale sia pittrice colta - intendo nel suo campo d’azione artistica - oppure istintiva. I termini sono antitetici e tuttavia, nel suo caso, accettabili. Istintiva, per una giovane che ha studiato all’Accademia di Brera, di Milano, allieva di Aldo Carpi? Colta, per una pittrice che, a parlarle in privato e con schiettezza, confessa candida che certi artisti contemporanei citati per la sua pittura lei li conosce appena di nome, o per qualche tela vista di sfuggita?
Il fatto é che dopo gli anni di Accademia, e mai concedendosi pause nel lavoro, la Zingale è vissuta appartata dall’ambiente artistico. Conoscitrice della tecnica, ha cercato per anni i motivi dell’ispirazione principalmente in se stessa. A seconda delle scoperte personali, che andavano maturando via via la sua pittura, pur sempre coerente nel rigore dell’impostazione, subiva una lenta metamorfosi in nulla conseguente alle mode, bensì come risultato dell’inappagato bisogno di conquista, di affinamento, di aderenza al proprio mondo spirituale; conquista tanto più difficile in quanto la parte più schietta della nostra personalità é spesso ignota a noi stessi; ed é attraverso l’arte che, per paradosso, la liberiamo inconsciamente per gradi. Nel caso di Rosetta Zingale, per rendersene conto alla sua ultima “personale” allestita nella milanese Galleria Vinciana, era necessario conoscere l’itinerario non facile e, riconosciamolo, incerto, attraverso cui la pittrice era passata, e quindi aver visto le altre sue tre mostre (1949, 1950, 1951), i quadri partecipanti alle “collettive”, e quelli mai esposti. La costante, se vogliamo trovarla, sta, nella disposizione della pittrice a svolgere il suo modulo realistico sul filo della memoria e persino del sogno, nell’amalgama allettevole di fantasticheria e di impressioni dal vero. E’ una costante che si é andata accentuando sino a determinare un’evoluzione decisiva rispetto alla sua prima “maniera” nell’ultima “personale”, dove l’abbandono ai colori accesi, una certa inclinazione romantica, un incontrollato sentimento affettivo, hanno dato posto alla severità di impasto denso, al cromatismo meno vario e più drammatico, a una oggettivazione - non completa, e quindi non fredda - misurata dall’autocritica, a una più profonda presa di coscienza, insomma a una virilità di contenuto e di forma che fa assumere alla sua pittura, specie nei paesaggi, una fisionomia propria, avvalorante la convinzione che il periodo di ricerca, se non finito - e per un artista vero non finisce mai - ha raggiunto lo stadio culminante, ha trovato la strada personale sulla quale proseguire. Mi riferisco, in particolare, ai quadri “Pitigliano”, Villaggio rivierasco, Paesaggio al crepuscolo, Villa di campagna, al robusto Castello Archinto, all’incantato Paesaggio romagnolo, alla sironiana natura morta Bottiglia e caffettiera; e ancora a L’amica triste , dalla sinuosità modiglianesca della linea, a Milano: San Nazziaro dove predomina il rosso mattone della “scuola romana”, e dove mi sembra d’ascoltare l’eco della Piazza Navona di Scipione.
Ho citato altri pittori, a proposito di questi quadri, e ad essi ne va aggiunto un altro: quello di Salvatore Fiume, verso la pittura del quale la Zingale non nasconde la propria predilezione. E’ l’unica ammissione che ella fa; e sulla sua sincerità non ho dubbi. Per gli altri pittori non saprei proprio parlare di derivazione, quanto di spontanea e indipendente affinità, di un rapporto spirituale, di un modo di guardare e di trasfigurare artisticamente congeniale. Pittura solida, costruita, severa nell’impostazione compositiva, dove l’insegnamento accademico non limita la spontanea ispirazione; ma si avverte che esso è stato formativo, ha insegnato alla Zingale il senso della misura, dell’euritmia e così l’estro e l’equilibrio, cioè il gusto, sono associati, fusi nella riuscita del quadro. Alla mostra milanese - e mi pare che la notizia di cronaca non sia del tutto futile - sono intervenuti parecchi artisti e scrittori, fra i quali: Salvatore Quasimodo, Giovanni Titta Rosa, Leonardo Borgese, Salvatore Fiume. Nell’intervista radiofonica concessa in occasione della “vernice” Rosetta Zingale, siciliana d’origine, ma residente da molti anni a Milano, ha espresso con calde parole la sua fedeltà sentimentale alla terra natia. E’ una fedeltà, pero, che non lascia quasi traccia nei suoi quadri, per niente legati alla tradizione coloristica meridionale, ma che si sostanziano - nonostante l’apparente letizia e cordialità della Zingale - del suo animo inquieto, espressione di un travaglio intimo e di una fede artistica che possono trovare l’unico mezzo di espressione nella pittura. Domenico Manzella Valigia Diplomatica, N. 205-206, anno XXVI (Numero dedicato a Rosetta Zingale). A destra una foto della pittrice e un suo quadro: La Solitudine (1971, olio su tela, cm 60x80) | Rosetta Zingale, pittrice di paesaggi di Giorgio Mascherpa Anche se non se ne può fare motivo esclusivo di pittura, il colore è certo, dell’anima di un artista, la spia più intima e più sincera. E il colore é prepotente, luminoso, ricco di echi e di slanci nei paesi, nei cieli, nei castelli grandeggianti su cupi orizzonti di Rosetta Zingale, una giovane pittrice che espone alla Vinciana di Milano.
Siciliana d’origine e milanese adottiva, la Zingale ha studiato pittura con Aldo Carpi ed é alla sua terza personale ma stavolta si presenta in grande con tre sale di mostra: paesaggi, ritratti, nature morte. E ne esce un ritratto completo delle sue qualità e soprattutto defle sue possibilità. Ama la pennellata succosa e ad impasti densi, imbevuti di luce, una luce lampeggiante e carica d’energia come nei secentisti (e diremmo lo Strozzi se non Frantz Hals) e per fare esempi più vicini, come nei pittori della scuola romana. Mafai ad esempio, e lo fa giustamente osservare Mario Monteverdi acutamente presentando la pittrice. E questi lampi di luce impostano la sua scena pittorica sul significato di una realistica fiaba, che mai il racconto pittorico si ferma qui all’obbiettiva osservazione delle cose e dei fatti, ma li avvolge di una misteriosa, o calda o sognante (ma di sogni fatti ad occhi aperti) atmosfera, di cui lo spettatore sente echi e vicende nascoste, oltre il colore. E commossa malinconia, pur nell’esattezza ragionata dei termini pittorici, destano certe nature morte come quei “Vecchi ricordi di famiglia”. Dove gli oggetti sul tavolo, l’inclinazione prospettica del piano e il fondo che s’intravvede carico di care polverose memorie, di timide luci rapprese dagli anni e che tutte hanno, nel ricordo, un significato, concorrono a creare una composizione di contenuto e pittoricamente fuso lirismo. E tra i paesaggi ricordiamo Castello Archinto e quella scalinata di Capri, cupo di notte il primo, accesa di sole la seconda ed entrambi ricchi di suggestione e d’una impaginazione anche scenicamente, (come certo ben pensa il presentatore citando Salvatore Fiume) nuova e di monumentale rilievo. (stralcio da una recensione di Giorgio Mascherpa, 1960. A destra, quadro di Rosetta Zingale (A ciascuno il suo, olio su tela, 60x120 cm) | Gioia e tormento La pittura della Zingale di Mario Monteverdi Di Rosetta Zingale vorremmo, in primo luogo, sottolineare il meditato, profondo, grave impegno. Una qualità morale, codesta, che si aggiunge a quelle estetiche, senza le quali non potrebbe esservi neppure un avvio all’arte. Ma quand’anche vi siano tali virtù d’istinto, é soltanto una severa coscienza etica, una volontaria trasformazione del piacere in dovere che ligittima la pratica dell’arte e la conduce dalla sfera dell’edonistico diletto a quello della ideale missione.
Nata in Sicilia - e resta tuttora in lei il gusto per talune arcane evocazioni, per il sapor lavico di certe rocce combuste -, divenuta milanese d’adozione, Rosetta Zingale frequentò Brera ed incominciò a dipingere avendo a maestro Aldo Carpi. La sua fase accademica s’arresta qui: acquisita la necessaria padronanza nel disegno, impadronitasi di tutti gli accorgimenti tecnici connessi alla pittura, la giovane artista incominciò a cercare una propria via che valesse - innanzitutto - a svelare (a sé stessa e agli altri) il proprio intimo, il segreto dei sentimenti più veri, delle ansie più umanamente scavate e sofferte. La gioia del dipingere è cosi divenuta, al tempo stesso, un tormento. Un tormento senza il quale la vita di Rosetta Zingale non avrebbe né senso né scopo: dipingere e cantare e nel canto s’assommano felicita e dolore, festa e solitudine, ebbrezza e sconforto. L’umanità - insomma - ed i sentimenti che la sostanziano sono gli unici protagonisti di questa macerata pittura. Ecco perche simile schietta testimonianza d’un’anima squisitamente femminile ha tuttavia bisogno d’una solida sostanza formale, va alla ricerca di un linguaggio talor persino aspro, sempre tormentato al punto da farsi crudo. Ciò che non esclude - a tratti - un più manifesto desiderio d’abbandono all’inquieto torpore di certi colori fulvi, caldi, roridi di succhi: ma forse un inconscio pudore sopravviene a temperare l’inclinazione sentimentale e spinge l’artista ad una nuova, più insistita e scavata ricerca che annulla ogni edonismo e si specchia nell’arsura d’un paesaggio dai cieli cupi ed affocati, si rinchiude nel metaforico carcere d’un castello diroccato, simile alle rocce su cui esso stesso sorge. Le immagini umane che vi affiorano non possono nutrire un animo diverso da quello di chi le ha evocate: qualunque sia il volto cui la pittrice ha prestato austere e malinconiche fattezze, idealmente esso rappresenta un autoritratto interiore di Rosetta Zingale e ne precisa - senza indulgenza alcuna – la più autentica natura.
Per un suo intuito, la nostra pittrice ha scoperto la fonte culturale che meglio le si adatta: a non conoscerne i precedenti, la si direbbe uscita dal crogiolo della “scuola romana”, quando Mafai parlava un caldo ed umano linguaggio, quando Tamburi rifletteva nei cieli occidui il biondo fulvo del Tevere; ma certo Rosetta Zingale a ciò non ha pensato, cosi come non pensa a Sironi o a Salvatore Fiume quando immagina mondi magici, di monumentale possanza, di silenziosa incombenza. E’ lei: una donna piena di repressa tenerezza che possiede il segreto d’una pregnante epica. Ed il suo canto dai toni gravi, dai passaggi densi d’ombra, epperò ansioso di dispiegarsi, é una sorta d’invocazione che solo l’arte potrà, un giorno, appagare. Mario Monteverdi (Valigia Diplomatica, N. 205-206, anno XXVI, Numero dedicato a Rosetta Zingale). Le immagini di questo riquadro: una foto di Rosetta Zingale e due suoi dipinti: Adolescente (olio su tela, cm 50x70) e La Rossa (olio su tela, cm 80x40). | Rosetta Zingale, colorista nata di Pedro Fiori Un “diario dei sentimenti”: e il “ritratto interiore” della pittrice Rosetta Zingale che ci rivela, nella sua pittura, i valori sensibili della sua personalità. Immagini che sono come un atto d’amore che si avvicina al rituale del mistero, come una poesia silenziosa che vive in lei assieme alle sue gioie e al suo dolore, alle sue speranze e ai suoi sogni. Una dimensione espressiva che ha un suo posto in quell’area lirico-figurale dell’odierna pittura italiana, fra gli artisti della generazione del dopoguerra. Si può dire che la prima mostra di Rosetta Zingale a Milano (Galleria Vinciana, febbraio 1960) era stata una consacrazione per l’interesse che destò allora nel pubblico e nella critica. Sono venute poi altre personali alla Gussoni, alla Pater, al Cigno, in Spagna, Francia, Montecarlo, altre partecipazioni a importanti rassegne milanesi (Palazzo Reale, Rotonda della Besana, Permanente, Arengario, Galleria d’Arte Moderna, Premio Ramazzotti). Già nel 1962, Carlo Carrà, dopo aver visitato una sua mostra, l’aveva segnalata per “la serietà tonale e il valore compositivo”. Conoscere Rosetta Zingale, parlare con lei, intuire i nodi emotivi che la fanno dipingere, significa scoprire il mondo che si porta dentro (Zingale vive e lavora a Milano in Largo Rio de Janeiro 7, tel.2363431).
I palpitanti Paesaggi si trasformano in metafore della realtà che si espandono sulla tela. Le forme vengono stilizzate da una geometria lirica dove la bravura del disegno si fonde con le masse del colore. Gli ampi spazi racchiudono nostalgici cieli, alberi, boschi, evocative strade, case, Si riempiono di fiori plasmati come una favola cromatica. Le gamme del verde, azzurro, giallo e viola sono i suoi personali simboli di luce. Un impasto luminoso (olio), mortificato nei toni, nella purezza dei pigmenti. Rosetta Zingale é una colorista nata. Un'altra rivelazione poetica sono i suoi personali, stupendi Ritratti. Possiedono una struggente bellezza nel ritmo delle forme, delle linee, nella morbida vibrazione del colore. Sono essenziali nei piani, nella materia timbrica, nei segni di una estrema sintesi: è il segreto dei maestri. I personaggi sono avvolti da una carica umana, da una intensa poesia (il ritratto del Prof. Anselmo Di Bella, dello Scià, di Valentina Cortese, di Chiara (foto a destra) e altri). L’artista scopre la loro anima attraverso l’espressione degli occhi, i gesti del volto e delle mani. Certe sue figure vivono in un'atmosfera onirica.
Sono anni che Rosetta Zingale non espone a Milano. Ma in tutto questo tempo ha continuato a lavorare in solitudine, a cercare nell’intimo il senso della vita, dell'amore, dell'universo, di Dio. Un suo “diario dei sentimenti” che lei non ha mai interrotto. I nuovi quadri che ha creato rivelano appunto la stessa vitalità della sua pittura, lo stesso mondo di poesia che la nutre. Pedro Fiori Valigia Diplomatica, N. 205-206, anno XXVI (Numero dedicato a Rosetta Zingale). | Zingale alla Galleria Pater Rosetta Zingale, pittrice ampiamente nota al pubblico e alla critica, torna ad esporre a Milano dopo oltre cinque anni dall’ultima personale. In questo lasso di tempo parecchi i viaggi che l’artista ha compiuto in Italia e all’estero trasferendo nella pittura visioni e nuove esperienze che qui vengono esemplificate per la prima volta.
Chiara ci sembra l’evoluzione subita dal suo linguaggio sia nella direzione del colore che in quella della forma. Difatti le primitive campiture cromatiche, a toni bassi e dense di materia, oggi appaiono sintesi filtrate con accensioni timbriche assai pulite e sonore. Maggiore é il rigore costruttivo di forme ormai tendenti ad una geometrizzazione pacata, di tono classico. Si notino, a questo riguardo, in particolare, le tipiche case siciliane e spagnole, i paesaggi archeologici, in cui predomina una linearità architettonica ottenute per masse distribuite in uno spazio ben determinato. Fa spicco, tra l’altro, per finezza cromatica ed intensità poetica la composizione dedicata a Sancio Pancia. Gli stessi fiori, pur nulla perdendo della loro delicatezza, sono saldamente costruiti, come d’altronde le figure, di cui ci piace mettere in rilievo le “Due donne siciliane” dall’atteggiamento fiero e contenuto. In linea più generale si può dire che il mondo pittorico di Rosetta Zingale, pur restando ancorato all’area della cultura mediterranea, si è alquanto distaccato da quella visione mitica che caratterizzava la sua precedente maniera per assumere significati più umani e realistici. Ritrattista di sicuro gusto, la Zingale presenta in questa rassegna, forse per la prima volta, un panorama completo della sua tematica, in cui conferma quella “serietà tonale e il valore compositivo” che già le riconosceva Carrà, apprezzandola. Gino Traversi, 1968
(Nella foto a destra Le due nonne siciliane di Rosetta Zingale) |  Massimo Becattini, autore e produttore di film documentari, ci ha fatto notare come in un suo documentario "Una Rosa di guerra" (distribuito da Cinecittà-Luce e dall'Editore Gallucci insieme al film originale) raccontando la storia del film d'animazione La rosa di Bagdad (1949), di Anton Gino Domeneghini, il primo film d'animazione in Italia ed anche il primo film italiano in assoluto girato in Technicolor, nel corso delle sue ricerche sugli artisti che avevano lavorato al film, si è imbattuto nel nome di Rosetta Zingale, che tra il 1940 ed il 1945 collaborò al film in qualità di "Aiuto animatore e scompositore". Il suo nome compare anche nei titoli di testa del film.
«Gli "aiuto animatori" - ci dice il registra Beccattini - hanno il compito di "animare" (cioè far muovere) i personaggi secondari e i dettagli di una scena (fiori, foglie, elementi di contorno). Il lavoro di Rosetta Zingale al film La Rosa di Bagdad consisteva, con molta probabilità, in tutto questo, ma dato che il suo nome figura nei titoli - mentre non è così per altri "aiuto-animatori" o "scompositori"- è probabile che il suo ruolo non fosse puramente meccanico, ma che la sua abilità pittorica le consentisse anche un lavoro in parte creativo.» Mario Lepore, pittore e noto critico d'arte, così scriveva il 2/3 Febbraio 1960 sul «Corriere d'Informazione» (dal 1945 al 1981 ha sostituito testata e denominazione del «Corriere della Sera»): «Rosetta Zingale, siciliana di Milano (ha studiato con Carpi a Brera) è una pittrice di temperamento autentico. Ha una tavolozza un poco cupa, ma con dei bei toni caldi, una succosa pennellata, una robusta e semplice maniera di costruire. Il suo mondo ha un che di drammatico e di romantico espresso con forti accenti.» E 8 anni dopo, il 21/22 Febbraio 1968, sullo stesso quotidiano, in occasione di una mostra d'arte in una Galleria milanese, lo stesso Lepore non si smentiva: «La pittrice, ben conosciuta e apprezzata dal pubblico e dalla critica, espone una serie di dipinti di vario tema e dei ritratti. Solida nella forma, equilibrata nella composizione, la Zingale ha un bel colore tonale, che predilige le note calde e vibranti, tuttavia non alte, cui efficacemente contrappone dei "freddi". La materia è densa ma limpida, la pittrice ha senso della struttura, dello spazio dell'aria e interpreta i suoi temi con casta ma intensa emozione, schiva da facili effetti.»
Ancora pochi anni dopo così scriveva nel 1971: «Ripresentandosi al pubblico e alla critica milanesi a due anni di distanza dall’ultima personale, questa artista fa constatare ulteriori e notevoli progressi, sia nell’approfondimento della immagine, sia nel linguaggio espressivo. Conferma cosi le ricche doti del temperamento e l’impegno in lei sempre notati. Il suo naturale fondo romantico, contenuto e grave, privo di abbandoni estenuati, incline a una contemplatività venata di malinconia, e secondato nella espressione dai doviziosi mezzi pittorici e da una sicura coscienza stilistica. Scartando ogni seduzione del pittoresco e dell’effetto, che pure le sarebbero facili, Rosetta Zingale perviene a una pittura robusta larga, meditata nell’impianto compositivo. La sua tavolozza predilige le note basse ma calde e vibranti; e nel gusto di alcuni accordi ha delle affinità con il primo Mafai taluni seicentisti e, ancor più, con Fiume. L’artista, negli impasti succosi e talora preziosi, come nella sinteticità e vigoria della pennellata e nella consistenza del tessuto pittorico e materico, sa fondere sensualità e spiritualità. Nell’insieme, quella della Zingale, e l’arte d’una pittrice di spiccata individualità, capace di intensa emozione, espressa con profondità e ben misurata forza di accenti.»
In questo riquadro, altri tre quadri di Rosetta Zingale (di proprietà privata): a sinistra "Fiori" (olio su tela, cm 79x37); a destra "Paesaggio con casa e alberi" (olio, cm 60x80, collocazione a Palazzo Contarini detto “Palazzo d'Oro”, collezione della Fondazione Friuli) e "Fanciulla". |
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