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Chiese di Bronte

Santa Maria della Catena

Visitiamo, insieme, Bronte

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Santa Maria della Catena

La chiesa di Santa Maria della Catena fu fondata ed iniziata a costruire nel 1569, per la generosità di Don Antonino Lombardo, barone della Rivolia.

La chiesa non era ancora finita nel 1574, durante la visita pastorale che il vescovo di Monreale, Mons. Torres, fece a Bronte.
Nel suo Liber visitationes scriveva infatti che la costruzione della chiesa non era ancora terminata (adhuc non finitam) ma che l'aveva trovata decenter ornatam e congratulandosi per la perfezione delle opere (laudavit confratres et monuit ad perfectionem operis).

Lo stesso vescovo si premurava anche di ordi­nare "che si dirupi il dammuso della cappella fatta per li imagini della Madonna et si copra con legname"). Mons. Torres scrive anche che al tempo della sua visita pastorale, vi erano due altari dedicati uno a S. Caterina, l’altro a S. Gregorio.

Nei riveli la chiesa è menzionata nel 1584 (le case attorno ad essa costituivano il quartiere di S. Maria della Catena), nei registri matrimoniali della Matrice dal 15 settembre 1589.
Fu comunque portata a compimento nel 1601, come leggesi in una lapide della cantoria, succes­sivamente restaurata e deco­rata nel 1891, con l'aggiunta delle tre bifore poste tra lo spartito superiore del portale ed il timpano triangolare.

La chiesa («'a Maronna 'a Catina») è ubicata sul corso Umberto, su un terreno in forte pendio, in posizione molto sopraelevata e raccordata al piano stradale da una alta scalinata in pietra lavica, dovuta anche all'allargamento e raddriz­zamento del Corso Umberto effettuati nel 1870.

L'edificio è dedicato alla Madonna della Catena o Santa Maria della Neve (ad nives), alla quale i brontesi sono molto devoti e  alla quale, nel corso dei secoli, tante volte i contadini hanno rivolto preghiere e chiesto protezione contro la siccità che minacciava i loro raccolti.

Nella chiesa, ci ricorda padre Gesualdo de Luca,  «è anche cospicuo il culto a Maria SS. della Mercé, alle cinque piaghe del Redentore e a S. Anna genitrice della Vergine Santissima».


Il frontone

Il frontone della chiesa con un bel portale con timpano curvilineo è di pietra lavica sostenuto da colonne corinzie.

Sopra il portale tre semplici bifore (aggiunte come detto nel 1891) interrompono lo spartito superiore coronato dal grande timpano triangolare.

Sul lato destro della facciata emerge imponente  la tozza torre del campanile sormontata dalla cella campanaria con eleganti bifore in pietra lavica arricchite da leggiadre colonnine corinzie che richiamano per stile e fattura quelle del portale.

«La campana più grande  - scriveva lo storico brontese B. Radice nei primi del '900 - ha la data del 1777, la piccola è dedicata a Sant'Anna; ha la data del 1729.
Il frontone della chiesa è di pietra di lava, sostenuto da colonnine corinzie; dello stesso ordine corinzio sono le colonnine delle finestre del campanile.
Diverse pitture abbellivano un tempo la facciata, ora stinte; sotto la finestra del campanile vi era affrescata una aquila, stemma forse della famiglia Lombardo.»

Il coronamento merlato del campanile è quello tipico di tutte le torri brontesi. Piccole mensole laviche sorreggono i quattro archetti pensili di ogni lato decorati con elementi lapidei calcarei ("rosette") scolpiti a bassorilievo e laterizi smaltati policromi.


L’interno

L'interno ha tipologia, ricorrente a Bronte, ad aula unica con abside semicir­colare e cantoria che ha l'ingresso dalla torre campanaria (n.6).

La navata, dalla forma rettangolare semplice e ben propor­zionata, è sormontata da una travatura di notevoli dimensioni con puntoni e tavolato e con un’orditura portante sorretta da mensole lignee scolpite a forme antropomorfe.

Una piccola cappella, a sinistra entrando, di cui si vedono ancora modana­ture e cornici, fu ristrutturata e modificata per costruirvi sopra la cantoria che incombe nella zona d'ingresso della navata.

L’abside ha volta a botte con testata a calotta sferica, decorata con dorature ed affreschi.

La decorazione è del pittore Nicolò Dinaro (figlio del pittore brontese Giuseppe) con vistosi motivi geometrici, floreali e grotteschi.

L'interno della chiesa ed il soffitto sono stati recentemente restaurati (1988).


Gli altari ed i quadri

La chiesa ha cinque altari: il primo, a destra entrando , è la cappella della Madonna della Mercede (n. 1 sulla mappa), a seguire trovasi l'altare di San Filippo Neri (n. 2); sulla sinistra la cappella delle Cinque Piaghe (3) e l'altare di Santo Stefano (4); in fondo nel presbiterio l'altare maggiore in marmi policromi scolpiti.

Le decorazioni del soffitto ligneo della chiesa, recente­mente restaurato, è opera del pittore Nicolò Dinaro (Biancavilla 1836 - Bronte 1908).

Nelle travi e negli scomparti risalta l'effetto insistito e vistoso dei motivi geometrici, floreali e grotteschi mediato da cadenze tipiche della decorazione popolare.

Nel presbiterio, in una nicchia dell’altare maggiore (n. 5), fra colonne doriche binate e soprastante timpano, è posta la statua in marmo scolpito e dipinto della Madonna della Catena o Santa Maria della Neve.

Per B. Radice «la Madonna fu chiamata della Catena, per una catena che sorgeva presso il porto di Palermo, la quale chiudeva l'entrata alle nemiche incursioni.»

Altri però sostengono che il culto trae origine dalla devozione alla Madonna come pro­tet­trice degli schiavi e dei prigionieri. Nasce quando le incursioni barbariche ridussero in schiavitù molti cittadini dell'Italia Meridionale, e la Congregazione dei padri mercedari si adoperò per il loro riscatto. La denominazione si apparenta quindi a quella di Madonna della Mercede, la cui statua fa bella mostra nella chiesa brontese nel primo altare entrando a destra.

Madonna della Catena (Bronte, chiesa di Santa Maria della Catena)La statua presumibilmente è della fine del 1600. «E’ forse della scuola del Gagini, - continua - ma molto lontana dallo stile del maestro, che ha tanti pregevoli lavori d’arte. Fu fatta fare dal sac. Giuseppe Spedalieri, come si legge in un vecchio manoscritto, che si conserva dal preposito.»

«Sotto la statua è uno stemma marmoreo partito, sormontato da un cappello abaziale. E’ colorato in campo azzurro: a destra è una spada alata capovolta, con stelle in giro; a sinistra in alto, vedesi una colombina col biblico ramoscello d’ulivo e cielo stellato, più giù un uccello che morde un serpente.»

Fra le altre opere presenti nella chiesa da notare due bei quadri che adornano le navate laterali: rappresen­tano San Filippo Neri (quello di destra, n. 2) e Santo Stefano (a sinistra, n. 4).
Furono eseguiti nel 1876 dal pittore brontese Agostino Attinà da due originali più grandi.

San Filippo Neri, al quale era dedicato l'antico Oratorio adiacente alla chiesa fondato nei primi anni del '600 dai padri Filippini, intercede a favore della Città di Bronte, raffigurata in basso a destra con le sue chiese e con l'Etna che incombe minacciosa sullo sfondo e che S. Filippo indica alla Madonna con il gesto delle mani.

Sull'altare dedicato a Santo Stefano (il secondo a sinistra) trovasi un grande quadro di scuola classica raffigurante la lapidazione del Santo (misura m. 4,25 x 3,50).

Benedetto Radice scrive che «bellissima veramente è la testa e l'atteggiamento di S. Stefano e dei suoi lapidatori» e che trattasi di una copia eseguita nel 1876 da Agostino Attinà da un originale di D. Giuseppe Tommasio del 1646.

L'originale fino al 1876 era esposto sullo stesso altare ma in seguito fu sostituito dalla copia e mal conservato nell'attiguo oratorio di San Filippo Neri ed oggi se ne è persa traccia.

Dello stesso pittore G. Tommasio possiamo, invece, ancora ammirare a Bronte altre due opere originali: la Madonna degli Angeli del 1650 conservato nella Chiesa dell'Annun­ziata e San Benedetto del 1663 conservato nella chiesa di S. Silvestro.

Sullo stesso altare dedicato a Santo Stefano è posto ai piedi del quadro un piccolo leggiadro gruppo marmoreo della Vergine col Bambino a cui Sant'Anna offre un grappolo d'uva.

L'opera, in marmo bianco scolpito e dipinto di circa 60 cm. di altezza, è della seconda metà del XVII secolo.

Nella chiesa sono custoditi anche numerosi e pregevoli oggetti sacri e devozionali (fra i quali preziose pianete, piviali e stole ricamati in oro e argento, corone di statue e un reliquario a braccio, in legno scolpito e dipinto della seconda metà del 1800).

Scrive ancora lo storico brontese Benedetto Radice (nelle sue "Memorie storiche di Bronte") che il 5 agosto, giorno della festa della Madonna della Catena, i brontesi ancora «ricordano con dolore gli orrendi eccidi e incendi del 1860; e ricordano pure con orgoglio che sulla gradinata della chiesa, nel 16 settembre del 1820, il popolo raggiunse ed uccise il barone Palermo, … venuto ad assalire il paese, con più di due mila soldati, per essersi Bronte unito a Palermo contro i Borboni.»

 

Il prospetto della Chiesa come si pre­senta oggi con le tre bifore poste nel 1891 tra lo spartito superiore del portale ed il timpano triangolare e (nel disegno a sinistra) com'era nell'Ot­tocento.

L'interno della chiesa a forma rettan­golare è semplice e proporzionato. A destra, un par­ticolare del soffitto ligneo decorato da Nicolò Dinaro. Di questo pittore sono da vedere anche gli affre­schi raffiguranti scene del Matrimonio della Vergine, dell’Annun­ciazione e della Nascita di Gesù, dipinti nel 1896 nella piccola chiesa della Madonna delle Grazie.

L'altare e la statua in marmo della Madon­na con Bambino.
A Bronte è tradizionalmente intesa come la Madonna della Catena. Per B. Radice la statua  in marmo è della scuola del Gagini.

Martirio di S. Stefano (Agostino Attinà, 1876)
S. Filippo Neri (Agostino Attinà, 1876)

Sulla parete di sinistra è appe­so un bel­lis­simo quadro raf­figu­rante il Martirio di Santo Stefano (4). La tela, dipinta ad olio da Ago­stino Attinà nel 1876, misura 387 cm. per 195 di lar­ghezza ed è una copia del­l'ori­ginale dipinto da G. Tom­masi. Ai piedi del quadro, sul­l'altare, è posto un pre­zio­so gruppo scultoreo. Sulla pare­te di destra è il qua­dro di San Filippo Neri con la visione della Ma­donna con Gesù Bambino. Il Santo inter­cede a favo­re della città di Bronte, che indica con il gesto delle mani, minacciata dall'eruzione dell'Etna, disegnata in bas­so a destra. Anche questa tela (di grandi di­men­sioni: cm. 387 x 195) è stata dipinta nel 1876 da Agostino Attinà).

Gesù scaccia i mercanti dal tempio

Il quadro (olio su tela) posto sulla parete destra (punto 6 della mappa) rappre­sen­ta Gesù che scaccia i mercanti dal tem­pio. E' della fine del XIX secolo e di circa due metri di larghezza.

La porta della chiesa è opera dello scul­tore bron­tese Mimmo Girbino. Lo stile ricalca quello delle altre sue due porte del Santuario dell'Annunziata e della chiesa del Rosario. Sotto, la tomba di Padre Salanitri, educatore e rettore per 50 anni della chiesa.

Chiesa della Catgena, tomba di p. Salanitri


Qualche piccola curiosità

Padre Salanitri

In una nicchia al centro della parete sinistra della chiesa c'è la tomba di Padre Salanitri, fondatore del Piccolo Seminario, morto il 30 Luglio 1953. Riposa nella chiesa della Catena, da lui retta ininterrottamente per 50 anni e dove le sue spoglie sono state traslate nel 1960.


La forca

Fino al 1582 davanti la chiesa era posta la FORCA, emblema del Mero misto impero (il diritto alla giurisdi­zione civile e criminale, dal latino merum et mistum). Fu fatta togliere (fu trasferita allo "Scialandro") da p. Antonino Castronovo, visitatore generale dell'arcivescovo di Monreale, nella sua venuta a Bronte del "12 di febraro 1582" quando ordinava che «non si dia tortura dinanzi S. Maria la Catena, nè di quel loco si facci forca, ma che vi stia la croce come è stata posta adesso et se alcun capitano d'arme haverà ardimento farla levar per dar tortura se gli facci ingiunzione sotto pena di scomunica.»

«L’ultima esecuzione – ci ricorda p. Gesualdo de Luca - fu fatta alla Primaria. Ivi era a fior di terra una piccola fonte di acqua, che or giace ivi coperta di terra. Il carnefice dopo aver tagliato la testa e le mani al giustiziato si lavò le mani in quella fonte. Indi fu chiamata la fonte del boia, e tutti abborrivano dal bevervi».


Il Barone Palermo

Lo storico B. Radice ci narra un tragico fatto accaduto davanti alla Chiesa della Catena durante i Moti del 1820: «... i Brontesi ricordano con orgoglio che sulla gradinata della chiesa, nel 16 settembre del 1820, il popolo raggiunse e uccise il BARONE PALERMO, capitano d’armi, venuto col capitano Zuccaro, sotto il comando del Principe della Catena, ad assalire il paese, con più di due mila soldati, per essersi Bronte unito a Palermo contro i Borboni.»

Il povero barone, approfittando del fatto che era imparentato con alcune famiglie Brontesi, era sceso in paese e «solo girava per le vie per esplorarlo. Sorpreso da alcuni popolani, vicino la piazza del Rosario, di dove si scorge il monte S. Marco (dove erano accampati i soldati), fu visto con un fazzo­letto bianco fare segno alla truppa, e, non prestandoglisi fede di esser venuto per pace, come a spia gli fu fatto fuoco. L'infelice si diede alla fuga per la discesa della Matrice, ma sulla gradinata della chiesa della Catena fu raggiunto e morto.»

P. Gesualdo De Luca nella sua Storia della Città di Bronte, vi aggiunge un particolare macabro e disumano: dopo essere stato pugnalato nella grande scalinata già distrutta della chiesa, il barone Palermo fu sepolto. «L’indomani udito vivo, quando già l’assalto era stato dato, pochi feroci lo trassero dal sepolcro, gli mozzarono il capo, e lo ripiombarono nella tomba, portando il teschio sulla piazza».

Per questo episodio - scrive il Radice - fu successivamente arrestato Vincenzo Galvagno Cucco, pastore, bel giovane e aitante nella persona. In quei giorni di rivolta contro i borboni e l'esercito governativo si era autoproclamato generale conducendo i brontesi, “rusticani guerrieri”, all’assalto su per le scoscese alture della Colla, “gagliardamente piombando sui nemici” e costringendoli alla fuga. Successivamente, per avere reciso la testa al capitano barone Palermo, fu arrestato ma dopo 6 mesi di carcere tornò in libertà per merito della sorella Serafina che andò a Napoli a implorare la grazia dal Sovrano.


'A Maronna Miccera

Madonna della Mercede (Bronte, Chiesa della Catena)Da citare è anche la devozione (ormai quasi scomparsa e desueta), le processioni e le preghiere che nel corso dei secoli i contadini brontesi hanno rivolto a Maria SS. della Mercede.

La statua della «Maronna Miccera» è posta in un altare a Lei dedicato; di 140 cm. di altezza, in cartapesta modellata e dipinta, è del XIX secolo. In genere è venerata e invocata con tanta devozione per la liberazione dalla schiavitù ma a Bronte è diventata per antica tradizione la Madonna della pioggia.

Fino a qualche decennio fa era, infatti, portata in processione in tutti i casi di siccità che minacciava il raccolto. Preghiere, suppliche ed invocazioni in cambio della pioggia. E il miracolo (a volte) avveniva. Quando non avveniva e la carestia si abbatteva sui brontesi, la statua, racconta qualcuno, veniva tolta dal suo altare e messa (quasi in castigo) in un angolo della chiesa circondata da sacchi di frumento.

Ecco cosa scriveva ancora negli anni '50 il quindicinale locale "Il Ciclope":

«Viva la Madonna della Mercede»

«Finalmente la tanto desiderata pioggia è venuta! Il cielo nuvoloso da tanti giorni, chiuso nel suo grigiore melanconico mai era stato interrogato come ora, con ansia trepidante, da agricoltori, borghesi intellettuali ed operai. Grande era l'angoscia che attanagliava i cuori per la carestia che ci minacciava, per il pane che ci veniva a mancare, altro grande flagello in epoca così infausta.

Dovunque nel Continente la pioggia era caduta abbondante, causando anche dei gravi danni; mentre nella terra benedetta da Dio la siccità tremenda aveva avvilito tutti.
Però il cuore dei Siciliani è saldo e forte è la sua fede. Ovunque i "voti più solenni erano stati fatti a Dio, alla Vergine e ai Santi.

A Bronte centinaia e centinaia sono stati i fedeli che sono andati ad implorare il miracolo alla Madonna della Mercede, alla Vergine che, stretto al seno il suo Divin Figliolo in un amplesso d'amore e di protezione, ha sentito gli accorati lamenti di tante altre madri in pena pei loro figli amati e, commossa, ha esaudito i loro voti.

L'acqua è venuta!

Viva la Madonna della Mercede! han gridato uomini e donne quasi piangenti per la grande gioia - Benedetta tu sia, soave Madre nostra! - Viva la tua misericordia! La pioggia bagna qualche viso rugoso di vecchio contadino, rivolto al cielo, e si confonde con le sue lagrime sgorganti dal cuore aperto ormai alla gioia più grande.»

(Il Ciclope, anno II, n. 7 (19) del 13.4.1947)


La cintura della Madonna

Raccontano i nostri nonni che nei tempi antichi, quando durante un parto si verificavano complicanze, esisteva l’usanza di recarsi presso la chiesa per prendere in prestito la cintura della statua della Madonna della Catena per farla indossare alla partoriente in difficoltà in modo tale che il parto avesse un buon esito.


La prima scuola brontese di leggere e scrivere

Il Piccolo seminario

padre Giuseppe SalanitriAttiguo alla Chiesa della Catena (sulla destra) c'è oggi il Piccolo Seminario, benemerita Istituzione fondata nel 1922 da Padre Giuseppe Salanitri (nella foto a sinistra) e l'antico Oratorio di San Carlo Borromeo (con discreti quadri del 1700) sede della omonima confraternita di San Carlo fondata nel XVI secolo.

Il Piccolo Seminario una volta era la sede dell'antico Oratorio di San Filippo Neri. L'Oratorio sorse, accanto alla chiesa, nei primi anni del '600 con i padri Filippini che svolsero per secoli attività di istruzione elementare ("Piccola Scuola di Grammatica") a favore delle classi disagiate.

Impartivano i primi rudimenti del sapere, insegnando a leggere a scrivere e "a far di conto". Quì iniziarono i primi studi anche Nicola Spedalieri e il Ven. Ignazio Capizzi che per poter continuare gli studi dovettero spostarsi in altre sedi molto distanti (ad esempio Monreale).

Parte dell'antico oratorio filippino fu in seguito ricostruito e, in un grande camerone, venivano accolti i poveri e vecchi mendicanti.

Nel 1922 il sac. Giuseppe Salanitri, con l'appoggio del card. Nava e le rendite derivanti da un pistacchieto di proprietà della chiesa ("ù locu 'a Catina"), trasformò l'Oratorio dei Filippini nella sede del Piccolo Seminario e tale e rimasto fino ad oggi.

Padre Salanitri, seguì le orme di altri due illustri suoi predecessori, Ignazio Capizzi e Pietro Graziano Calanna: In un epoca in cui lo studio era un diritto riservato a pochi, continuò l'opera dei padri Filippini, contribuendo notevolmente sia a dare un'istruzione scolastica ai bambini e ai giovani brontesi come ed a formare numerosi nuovi sacerdoti.

L'ORATORIO DI S. CARLO
 


 

       

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