L'opera più importante
Nell’opera
più importante "De'
Diritti dell’Uomo" (Assisi,
1791), lo Spedalieri, avverso ad ogni forma di dispotismo illuminato,
volle avvicinare la Chiesa alle idee democratiche. Muovendo dalla tesi
del contratto come origine della società, sostenne che la religione
cristiana è "la più sicura custode de’ diritti dell’uomo"
banditi dalla rivoluzione francese, garanzia contro gli abusi
del dispotismo e giustificò la ribellione all’autorità, quando questa
non rispetti "i diritti naturali". L’uomo per lo Spedalieri tende
essenzialmente alla felicità, alla perfezione, all’unione con gli altri
uomini, e non può vivere felice e perfezionarsi che nella società
civile. Il governo che non tutela ma viola questi diritti, diventa
illegale e può essere rovesciato dal popolo sovrano. La custode più
sicura di questo “contratto sociale”, dei diritti del cittadino e quindi
della libertà, è la religione cristiana perché non può assolutamente
spogliare il cittadino dei suoi diritti naturali: infatti l’amore del
prossimo, la fratellanza, l’eguaglianza, il rispetto, la carità che
sono i principî della società civile, sono nello stesso tempo i cardini
della religione cristiana.
Queste sue idee anticipatrici (contro
l’assolutismo, sulla sovranità e sul diritto del popolo ad
abbattere la tirannia), che mettevano in discussione gli assetti di
potere dell'epoca, in un momento di transizione e di grandi tensioni
ideologiche, seminarono lo sgomento nelle corti assolutistiche e negli
ambienti curiali. Il pontefice Pio VI
permise la pubblicazione del libro a Roma, sebbene con la falsa
indicazione di Assisi e con il frontespizio privo delle rituali
approvazioni ecclesiastiche, sostituite dalla più sbrigativa formula "con
licenza dei superiori". L’opera ebbe uno straordinario successo
librario: in poco tempo, non bastando i primi numerosi esemplari alle
richieste che pervenivano da teologi, giuristi, politici, uomini di
cultura dell’Italia e dell’Europa, fu ristampata ben quattro volte
e in diverse città: edizione prima di Assisi 1791, ristampa di Venezia
1797, ristampa di Milano 1848 (biblioteca scelta del Silvestri) e
ristampa di Roma (1884, biblioteca Nova del Perino).
Non mancarono anche le edizioni contraffatte, una delle quali,
unitamente alle quattro originali, è conservata a Bronte nella
biblioteca del Real Collegio Capizzi.
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 Un altro
piccolo dipinto
su tavola, oltre all'autoritratto e alla spinetta, è attribuito a Nicola Spedalieri. La tavoletta (trattasi dello sportello di un tabernacolo) misura 15 cm. per 30 ed è conservata a Bronte nella chiesa della SS. Trinità (la Matrice).
A destra, una sua lettera autografa scritta da Roma al fratello Erasmo il 23 Luglio 1793. Si conserva nel Real Collegio Capizzi fra
le cosidette "reliquie spedalierane".
Tra l'altro nella missiva lo Spedalieri, oltre a smentire di essere
stato ammalato ("anzi ho goduto e godo perfettissima
salute") scrive che invierà a Bronte «due cassettine, l'una piena di reliquie di Martiri senza nomi, in numero di più di 100, e l'altra contenente il corpo intiero di una Martire di età da 14 ai 15 anni, pe quello che apparisce dalla sepoltura, che si è trovata negli ultimi scavi colla sua ampolla di sangue e col nome proprio di Caritosa inciso in una lapide, che sarà pure mandata colle sue cassettine. Penso di farne un regalo a cotesto Seminario ...».
La
firma autografa del Filosofo. L'abbiamo ricavata dalle
Prediche quaresimali, scritte durante gli
anni dell’insegnamento a Monreale, nel periodo che va
dal 1765 al 1773, prima della partenza per Roma nel
1774. Tutte portano in calce all’ultimo foglio
l’esplicita e leggibile firma di Niccolò Spitaleri,
«lectio originale del nome e cognome -
scrive V. Pappalardo - che il futuro
apologeta cattolico, trasferitosi a Roma ed entrato in
contatto con ambienti arcadici, ingentilirà nel più
classicheggiante ed eufonico Nicola Spedalieri». |
Odi e critiche
«Lungi dal temere, - scriveva lo Spedalieri ne "De' diritti dell'Uomo", provo nel terminar di questa Opera il piacere, che accompagna una buona azione. E che deggio temere? Gli effetti della Intolleranza, e della Persecuzione, Ateistica, Massonica e Giansenista?» I timori del filosofo non erano affatto infondati: "De' diritti dell'uomo" suscitò subito anche tanti odi e feroci critiche ed una crociata di libri e d’opuscoli cercò, anche con vituperi e strali velenosi, di confutare e demolire le tesi anticipatrici del filosofo. Lo Spedalieri ebbe ancora una volta contro sia i benpensanti laici che i religiosi ed anche i progressisti (Rosmini, Taparelli-D’Azeglio, Cantù). Fra i molti detrattori, anche un suo compaesano, il frate cappuccino Gesualdo De Luca, conservatore e filo borbonico, che, senza alcuna remora, scriveva che lo Spedalieri era "un miserabilissimo copista delle più empie teorie che quei forsennati ("Rousseau e simili deliranti") avevano scritto intorno all’origine e qualità de’ diritti e doveri naturali degli uomini…" e loro "ombra nefasta" "…si avvolse in tante contraddizioni che produssero la sventura di vederlo bersaglio delle più amare derisioni e censure di scrittori cattolici Magni nominis…". La dottrina "Dei diritti dell’uomo", che propugnava la sovranità popolare ed il riconoscimento dei diritti fondamentali della persona, il mettere "al centro" l'uomo, l'individuo, fu ritenuta pericolosa e sovversiva; suscitò il panico negli ambienti diplomatici e curiali e nelle corti assolutistiche tanto che la Casa Sabauda nel 1792 proibì la divulgazione del libro in Italia. L'opera fu anche proibita fino al 1860 in tutti i Regni e le Corti europee dell’epoca perchè - scrisse la Civiltà Cattolica - ritenuto «empio, rivoluzionario, provocatore di disordini e contrario alla pubblica quiete». Ecco cosa leggevasi negli "Avvisi" di Genova del 17 marzo 1792: «Scrivono da Roma esser giunta colà notizia che sia stato proibito in vari Regni il libro de' Diritti dell'uomo dello Spedalieri, dove, fra le altre cose, si va portando in trionfo il Contratto sociale. S. M. il Re di Napoli ha fatto ingiungere a tutti i vescovi di non permetterne l'introduzione in quel Regno. Se ne arreca per ragione che è questo un libro incendiario...». «All'abate Spedalieri - scrive Salvatore Rossi - toccò, nelle vicende della filosofia italiana, il singolare destino di un uomo che seppe suscitare qualche entusiasmo, ma per lo più una profonda ripulsa, tra i contemporanei, godette di una rinata attenzione nell'ultimo decennio dell'Ottocento e nei primi due del Novecento, per poi risprofondare in un oblio pressochè totale». Tre anni dopo la pubblicazione dei "Diritti dell' uomo" nel 1794, lo stesso Spedalieri ad un suo discepolo, al Guardi, scriveva: «L'opera dei Diritti dell' uomo, necessaria alla religione, utile all'umanità, amica del giusto principato e nemica della tirannia, per tutti questi motivi insieme, come già m'aspettava, s'è dovuto attirare l'odio di molti. Finora l'han confutata venticinque autori, di cui non ve ne ha uno che valga uno zero. Onde una turba cosi vile, lungi dal farmi onore, mortifica il mio amor proprio; e ben lontano dal rispondere mi sono rivolto a scrivere la Storia delle paludi pontine.» Quest'ultimo suo libro, "Storia delle paludi pontine", la storia delle bonifiche volute da Pio VI, scritto in latino su incarico dello stesso Papa, fu tradotto in italiano e pubblicato a cura di monsignor Nicolai nel 1800, dopo la morte del grande filosofo. La morte
Nicola Spedalieri morì d’improvviso a Roma il 26 Novembre 1795, facendo nascere, già all’indomani della sua morte, la leggenda di essere stato avvelenato da uno dei suoi tanti avversari. La sua morte, infatti, colse tutti di sorpresa ma già da alcuni anni circolavano notizie su sue malattie. «Le cause della morte dello Spedalieri sono sconosciute.» Così scrive uno studioso che al filosofo brontese ha dedicato diversi libri, Attilio Pisanò, in "Aspetti del pensiero giusfilosofico di Nicola Spedalieri", pag. 18. «Le uniche cose certe - continua - sono che egli morì sostanzialmente giovane, colpito da una malattia fulminante e non vi è notizia alcuna nei giornali dell'epoca della sua prematura scomparsa. La sua vita, le sue opere sempre originali e sempre causa di attriti e incomprensioni, il suo impegno teorico in favore di un ancoraggio della problematica dei diritti dell'uomo alla cristianità ed al suo orizzonte assiologico, l'essersi esposto in prima persona sostenendo la necessità di riconoscere dei diritti all'uomo in un'epoca in cui poco lontano (in Francia) proprio in nome della libertà, dei diritti dell'uomo, della sovranità popolare si statalizzava la Chiesa espropriandola dei propri beni, insomma tutti questi elementi, considerati in modo unitario, hanno fatto pensare che il prete siciliano potesse essere stato avvelenato. Non vi è prova alcuna dell'assassinio dello Spedalieri. Vi è solo una "leggenda" che circolava in Roma già immediatamente dopo la morte dell'abate siciliano e tante supposizioni. Spedalieri, infatti, sembra conscio del pericolo che pubblicando i Diritti umani egli corre. Lo dice espressamente nella parte finale dell'opera ...». Ed in una nota continua scrivendo che «...il Cimbali ritiene verosimile che Spedalieri, pur ben voluto da Pio VI il quale, come detto, gli aveva affidato la composizione della Storia delle paludi pontine, venisse considerato da più reazionari e retrogradi ambienti ecclesiastici come il "giacobino de' giacobini". L'unico documento che può lasciare trasparire un qualche mistero relativo alla morte dello Spedalieri ci è dato dal fatto che dai registri della Basilica vaticana risulta che Spedalieri morì afflitto da una malattia di lunga durata (morbo diuturno consumptus), mentre il suo fedele e potente amico Monsignor Nicolai sostenne, qualche anno dopo, che la causa della morte fu una improvisa ac gravis valetudo.» Anche lo stesso Spedalieri, in una lettera del 23 luglio 1793, conservata nel fondo antico del R. Collegio Capizzi (foto nel riquadro
sopra), così scriveva al fratello Erasmo preoccupato dalle notizie sullo suo stato di salute: «Ricevo con quest'Ordinario una vostra de' 5 luglio, che certamente mi sarà giunta per miracolo, dalla quale ricavo l'ansietà arrecatavi dal Seminarista di Monreale che certissimamente ha riferito il falso, poichè non sono stato altrimenti ammalato, anzi ho goduto e godo perfettissima salute (...)». Sei giorni prima di morire nella casa di via Borgo Vecchio 16, in Trastevere, dove già gravemente ammalato abitava, aveva dettato
il suo testamento. Come egli stesso aveva disposto nel testamento ebbe sepoltura, ed un modesto monumento nell’Oratorio dei santi Michele e Magno (ancor oggi esiste la lapide che lo ricorda) appartenente al Capitolo Vaticano. In ovale sovrastante la lapide un mosaico ci ricorda lo Spedalieri «con molta esattezza e somigliantissimo all'originale» come scrisse Il Diario di Roma, nel 1808. Nel 1809 lo Stato pontificio coniò in suo onore una medaglia e fece erigere un mosaico davanti al suo sepolcro nella chiesa dei Santi Michele e Magno adiacente al Vaticano. L'epigrafe sottostante al detto mosaico riporta "Memoriae Nicolai Spedalieri presbiteri natione siculi domo Bronte...". Nei suoi ventuno anni di permanenza a Roma stabilì rapporti di amicizia con i più illustri prelati, letterati ed artisti dell’epoca (si ricordano il cardinale Borromeo, Vincenzo Monti, Winckelmam, Milizia, Canova, Mengs).
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Il Testamento dell'abate Spedalieri «È il giorno 20 novembre del 1795. Siamo in una casa di Via Borgovecchio in Trastevere, a terzo piano(1). Quivi Spedalieri, gravemente ammalato, trovasi in fin di vita. Circondato da un gran numero di testimoni ed assistito dal notajo, egli fa testamento. Notajo rogante è il signor G. Antoniano ed ecco quello che costui scrisse quel giorno:
"Die vigesimo Novembris 1795 Personalmente costituito l'illustrissimo signor abate Nicola Spedalieri, figlio della buon'anima di Vincenzo da Bronte, diocesi di Monreale, beneficiato della santa Basilica vaticana a me cognito, sano di mente, senso, vista, udito, benchè infermo di corpo, ha stabilito di prevenire il futuro caso di sua morte con testamentaria disposizione come sopra e spontaneamente ha testato e disposto come segue. Ha raccomandato l'anima al signor Iddio ed a tutta la Corte celeste. Ed il corpo divenuto sarà cadavere ha ordinato che sia portato, esposto e sepolto alla sua chiesa parrocchiale di S. Michele e Magno in Borgo con il suffragio di messe nella somma di scudi dieci da farsi celebrare in detta chiesa tumulante nel giorno del suo funerale in suffragio dell'anima sua, ed in quanto alla pompa funebre si è riportato e si riporta all'arbitrio dell'infrascritto suo esecutore testamentario. Per ragion di legato ha lasciato al Reverendo Don Erasmo Spedalieri suo fratello, l'orologio di ripetizione e la piccola cornice con la madonna. "Item, per ragion di legato come sopra, ha lasciato a Monsignor Martorelli l'orologio da tavolino, che tiene sopra il comodino con tutti i suoi piccoli libri legati della libreria. "Item, per ragioni di legato, ha lasciato a Maria Carolina Castellucci, povera ragazza nel conservatorio delle pericolanti scudi cento moneta per una sol volta, un matarazzo, una coperta e banchi con tavole da letto. In tutti poi e singoli suoi beni tanto stabili, che mobili per suo erede universale ha istituito e nominato Camillo Passeri, suo servitore, a cui ha lasciato la sua eredità. Esecutore finalmente di questa sua ultima volontà ha nominato l'Ill.mo signor Abate Nicola Maria Nicolai, con amplissime facoltà necessarie ed opportune. E questo ha dichiarato essere il suo ultimo testamento, cassando ed annullando qualunque altro testamento. Actum Romae, domi solitae abitationis D. D. Testatoris, positae in Burgo veteri.” (…) Sei giorni dopo di aver fatto testamento, a soli cinquantacinque anni, Spedalieri moriva, (…)» (1) Nello Stato delle anime del 1795 esistente nell'Archivio della Basilica vaticana, quanto all'abitazione di Spedalieri, si legge: «Borgo Vecchio, Casa appresso (sesta). R° Sig. D. Nicola Spedalieri da Sicilia di anni 52, Famiglia 100. Terzo piano. Beneficiato in S. Pietro. Camillo Passeri romano, Cameriere, di anni 24.» Da ciò risulta, che Spedalieri abitava in quella casa di Via Borgo Vecchio, il cui portone è ora segnato col numero 16. (Giuseppe Cimbali, “Nicola Spedalieri, Pubblicista del secolo XVIII”, Città di Castello, Tipografia dello Stab. S. Lapi, 1888) |
L'abate Spedalieri anche poeta di Francesco Longhitano
Dopo quanto scrissero gli Antispedalieri, i Filospedalieri e principalmente, fra questi, il nostro concittadino Giuseppe Cimbali, che al grande filosofo fece erigere un monumento in Roma, opera del celebre Mario Rutelli, palermitano, non è da aggiungere altro, come giustamente scrisse lo stesso Giacomo Leopardi nelle sue postille inedite a’ “Diritti dell'uomo”: “Questo libro parla molto bene; ma disgraziatamente per gli uomini tutti o non si intende affatto o si intende molto male”. Comunque Egli è conosciuto, da chi arriva a comprenderlo, come grande filosofo, e noi lo conosciamo pure come bravo pittore attraverso il suo pregevole autoritratto degnamente collocato nella pinacoteca adiacente alla Direzione del Real Collegio Capizzi, … e il Gesù dipinto sullo sportello di un tabernacolo della Chiesa Madre in Bronte. Che seppe di musica ne fa fede la sua spinetta, oggi di inestimabile valore religiosamente custodita nell'Aula Magna dello stesso Collegio e le sue composizioni di musica presso la Biblioteca vaticana. Ma della sua poesia non ne avevamo alcuna notizia, se pur Egli, anche in questo genere, abbia dato come vedremo, prova del suo talento e della sua vasta conoscenza umanistica. Per caso abbiamo trovato nella grande Biblioteca del Collegio, “I Componimenti recitati nell'Accademia di Monreale per le augustissime nozze di Ferdinando Re delle Due Sicilie con Maria Carolina arciduchessa d’Austria” editi in Monreale nel 1768 presso D. Caetano Maria Bentivegna, impressore Camerale, dedicati a Sua Eccellenza il Sig. Marchese Giovanni Fogliani di Aragona, Vice Re di Sicilia, con dedica di Francesco Testa Arcivescovo di Monreale, santo e dotte presule ad un tempo. La raccolta delle rime, canti, sonetti, elegie, canzoni, anacreontiche, capitula, idillii, egloghe, madrigali è preceduta dall’”Oratio habita a Stephano Oneto Migliaccio ex Sperlingae Dicibus, Collegii Nobilium Convictore.” Seguono poi le poetiche ispirazioni di principi, conti, marchesi, baroni e duchi convittori del Collegio dei Nobili in Monreale e poi quelle degli Arcadi, degli Accademici e degli Emeriti Lettori degli Atenei Siculi e fra questi ultimi “Elegia Francisci Muranae clerici regularis, Scholarum Piarum, Collegia Nobilium Rectoris, inter arcades Ergasti Phaestei." Ed ancora, che ci piace principalmente ricordare: “Idillio” di Niccolò Spitaleri, professore di Logica e Metafisica e Accademico del Buon Gusto. L'Idillio, scritto in elegante stile poetico ed in perfetta lingua italiana,che precorse i contemporanei ed i postumi cercano di imitare, è composta di 416 versi sciolti. Vasta, in essi, è la sua profonda conoscenza storica e mitologica che lo porta ad una sublime immaginazione. Venere che rappresenta la bellezza e Minerva la saggezza, in un primo tempo non sono d'accordo circa la futura sposa da scegliere per il loro protetto Re Ferdinando. La prima vuole che la ragazza sia bella; mentre la seconda vuole che sia saggia. Entrambe vanno in cerca della giovane di loro divisamento. La scelta, a loro insaputa, cade sulla stessa giovinetta. E la lotta continua fino a quando la Concordia non rivela l'insaputa e loro stessa convergenza sulla bella e saggia Carolina Principessa d'Austria che … | 129 Assisa scorge sull'erboso màrgine Fra cento fide ancelle altera vèrgine, Che ghirlanda di fiori al crine intreccia …. | ed in fine (414) …tosto al Ciel tornarono Le Dive amiche, e al sommo Giove esposero, Quanto del Fato nei tesori appresero. | poi (252) …alma Donzella e tenera Involta scorge in puro velo e candido; Nella fronte serena a cui traspirano Quelle virtù, che nel bel cor s'annidano. Là, dove pendon le famose immagini De’ suoi grand'Avi illustri, ella si specchia, In se medesma tutto il ben ne copia, E, dov'essi finiro, ella comincia. Da un lato assisa a lei sta la Modestia, La Saggezza dall'altro, oppresso il Vizio Geme sotto il sue piè, e mentre a morderla Si ripiega, e si snoda, a lei la Gloria, La Vergogna, e lo scorno a se raddoppia. Lieta ammira la Dea l'alto spettacolo Inosservata, e questa sola sembrale Degna, che al suo nobile Alunno uniscasi. …
| Il pregevole volume, rilegato in pergamena, pagine 80 in 8°, si conserva con questo autografo: “Bibliothecae Collegii Venerabilis Servi Dei Sac. Ignatii Capizzi, Ex dono Sac. Josephi Di Bella et Pace. Anno Domini 1891. Alla fine dell'opera troviamo incisa una corona reale stringente due rami di ulivo, dai quali si partono una coppia di colombi che si posano sulla corona, in atto di accarezzarsi. Sopra la summenzionata Accademia tenuta nel 1768 per le fauste nozze, D. Gaetano Millunzi, autore della Storia del Seminario Arcivescovile di Monreale, dà questo giudizio: “La prosa latina di introduzione ed in componimenti poetici italiani, latini e greci allora recitati, e dopo raccolti insieme, lumeggiandosi a vicenda fanno la più bella testimonianza di maestri e discepoli, che sarebbero bastati ad illustrare un epoca letteraria.” |
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Le Reliquie Spedaleriane Nicola Spedalieri si interessò anche di musica (era valentissimo suonatore d’arpa) e di pittura che amava e studiava fin dai primi anni trascorsi a Monreale: l'archivio della Cappella Giulia in Roma conserva gli originali di alcune sue opere musicali (trattasi di 31 composizioni); un suo autoritratto (eseguito all’età di trentatré anni, nel 1773, donato dai fratelli Arcangelo, Giuseppe e Antonino Spedalieri) è conservato nel Real Collegio Capizzi mentre un altro piccolo dipinto su tavola a lui attribuito è custodito a Bronte nella chiesa della SS. Trinità. Nei locali del Collegio Capizzi sono conservati, unitamente ad altri suoi manoscritti ed oggetti vari (le cosiddette Reliquie Spedalieriane), l'autoritratto, un suo clavicembalo (del 1679, attribuibile a Petrus Todinus, decorato dallo stesso Spedalieri con marine e scene campestri) recentemente restaurato ed ancora funzionante, tutte le opere e le edizioni che si son fatte di esse, gran parte dei libri pubblicati contro e a favore, 184 fogli in quarto fittamente stesi dalla mano del filosofo con calligrafia minuta (le prediche quaresimali), alcune lettere autografe (tre datate da Monreale, donate dal Rev. Di Bella, ed una da Roma scritta nel 1793 (due anni prima di morire) al fratello Erasmo, donata dagli eredi del Cardinale De Luca) e il testamento a stampa (vedi anche l'inventario redatto nel 1886 ).
Libri ed altri oggetti relativi allo Spedalieri conservati nel Real Collegio Capizzi Inventario
delle "Reliquie" redatto nel 1886 da da Agostino Attinà e Giuseppe Cimbali
1) Ritratto autografo dello Spedalieri donato da’ fratelli dr Arcangelo, Giuseppe ed Antonino Spedalieri. 2) Quattro lettere autografe, tre datate da Monreale, una da Roma. Le prime furono donate dal Rev. Vicario Di Bella e l'altra dagli eredi del Cardinale De Luca. 3) De’ Diritti dell'Uomo - Edizione prima di Assisi 1791; ristampa di Venezia 1797; ristampa di Milano 1848 (biblioteca scelta del Silvestri); ristampa 1884 di Roma (biblioteca Nova del Perino). 4) Analisi dell’Esame critico del signor Nicola Frèret sulle prove del Cristianesimo - edizione originale di Roma del 1778; seconda edizione di Assisi 1791; ristampa di Palermo 1831. 5) Confutazione del Gibon - Edizione originale di Roma del 1784; ristampa di Roma del 1827. 6) Ragionamento sull'influenza del cristianesimo nella società civile, edizione originale di Roma del 1779. 7) L'Arte di governare - Edizione eseguita sull'originale del 1779, Città di Castello, Lapi editore 1886. 8) Una lettera a Bodoni stampata in Roma nel 1885 da Giuseppe Cimbali per le per le nozze Drago – Vretto. 9) Tesi teologiche e Ragionamento recitato in Arcadia nel 1794 sulla vita campestre (copie manoscritte di Giuseppe Cimbali). 10) Lettera dell'Adriatico di Antonio Bianchi sopra l'opera De’ Diritti dell'Uomo, Roma 1792; 11) Il sistema del patto sociale sostenuto dall’Ab. Spedalieri, confutato dall’Ab. A. C. Idropolita - Assisi 1793; 12) Il Contratto Sociale discusso a mente de Sacri Canoni - Catania, 1852; 13)
il testamento di Nicola Spedalieri (a stampa). Bronte, 11 giugno 1886 Agostino Attinà, Giuseppe Cimbali
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Due immagini di Spedalieri A
sinistra l'Autoritratto di Nicola Spedalieri, conservato a
Bronte fra le Reliquie Spedalieriane nel Real Collegio
Capizzi. Il dipinto fu eseguito all'età di 33 anni. E' stato
donato al Collegio nel 1886 dagli eredi del filosofo, i fratelli
Arcangelo, Giuseppe e Antonino Spedalieri.
Nella scritta in
basso si legge che: «Nicolaus Spitaleri aetat suae XXXIII - Hanc sui
suàmet manu pinxit effigiem». Spitaleri, infatti, era il nome
originario del filosofo, cambiato successivamente dallo stesso in
Spedalieri nella sua permanenza a Roma. A destra, una immagine
inconsueta (diremmo moderna) e poco nota dell'abate Nicola
Spedalieri tratta dalla lapide che ricopre la sua modesta tomba
a Roma.
Come aveva stabilito lo stesso filosofo nel
suo testamento, alla sua morte fu seppellito in un modesto
monumento eretto nell'oratorio attiguo all'antica chiesa dei Santi
Michele e Magno. Il mosaico con la sua immagine fu fatto
realizzare nel 1808 da un suo "amico incomparabile e
desideratissimo", mons. Nicolai. La
lapide oggi è murata in una parete della chiesa dei Santi
Michele e Magno, vicino piazza San Pietro, a pochi passi dal
Vaticano. «Nicola Spedalieri fu, eroicamente, tutto per la libertà
e contro il legittimismo, contro l'assolutismo e contro la
tirannide; fu per la modernità e contro il medio evo, per la
sovranità del popolo e contro il potere per diritto divino.
Questa era la vera, la grande, l'immortale riforma, che i nuovi
tempi imponevano; e il filosofo nostro non solo la concepì e la
proclamò, ma anche la suggellò, sfidando tutti i pericoli e
andando incontro al sacrificio della propria vita.»
(G. Cimbali, Spedalieri e le riforme ecclesiastico-civili, Tip.
Giannotta, Catania, 1905) |
Capizzi e Spedalieri Negli anni in cui Nicola Spedalieri studiava ed insegnava a Monreale, nella vicina Palermo viveva un altro illustre brontese, il ven, Ignazio Capizzi. Altro temperamento, altro carattere ed anche altri ambienti frequentati: il giovane teologo ed intellettuale (nel 1769 Spedalieri aveva 29 anni) viveva, rinchiuso giovanissimo nel seminario diocesano di Monreale, impegnato nei suoi studi di eloquenza, scienze sacre, filosofia, pittura e musica e nell'attività di professore nel medesimo seminario; l'umile sessantunenne sacerdote Ignazio Capizzi alloggiava all'Olivella in mezzo ai poveri ed ai derelitti. Ci piace oggi immaginare che i due si siano potuti anche incontrare e parlare della lontana Bronte che tutti e due avevano dovuto abbandonare per proseguire gli studi. Ed in effetti, almeno in un'occasione si sono incontrati ma non hanno parlato di Bronte e delle comuni origini. Ne fa un accenno Giuseppe Cimbali nel Cap. III del suo libro Nicola Spedalieri-Pubblicista del secolo XVIII. Scrive Cimbali che lo Spedalieri, dando a Monreale «un piccolo saggio di teologia, di un tratto, nel calore della disputa, rivolto al Venerabile Capizzi, che era venuto ad udirlo: - Ne capite nulla? - dissegli.
Il venerando vecchio, benchè mortificato da quel dire indiscreto, si levò in piedi e parlò sulla materia per una mezz'ora con gran meraviglia degli astanti.» Episodio emblematico del carattere dei due: l'uno altero, egocentrico e superbo, l'altro umile, pratico ed al servizio dei più deboli. |
Leggi N. Spedalieri su Google
Alcune edizioni di libri di Nicola Spedalieri conservati nel Fondo Antico della Biblioteca del Real Collegio Capizzi, sono stati digitalizzati ed è possibile scaricarli e leggerli anche su Google Books (in formato Pdf o Epub):
«Analisi dell'Esame critico del signor Nicola Freret
sulle prove del Cristianesimo, Opera di Nicola Spedalieri, siciliano, dottore e già professore di Teologia», Terza edizione, vol. I, Monza, Dalla Tipografia di Luca Corbetta, 1821;
«Confutazione dell'Esame del cristianesimo fatto dal Signore Eduardo Gibbon nella sua Storia della decadenza dello Impero romano» - Opera di Nicola Spedalieri, siciliano - Stampata a spese della Società dell'Amicizia Cattolica per distribuirsi gratis - Parte I Tomo I - Roma 1827, Presso Vincenzo Poggioli, Via in Arcione n° 101;
«Ragionamento sopra l’arte di governare - recitato da Nicola Spedalieri Siciliano / nella Accademia de' Quirini / in Roma MDCCLXXIX / Per il Casaletti / Col permesso de' Superiori»
«De' Diritti dell'Uomo»
- Libri VI. - Ne' quali si dimostra, che la più sicura Custode de' medesimi nella Società civile è la Religione Cristiana - E che però l'unico Progetto utile alle presenti circostanze è di far rifiorire essa Religione - Opera di Nicola Spedalieri, siciliano Dottore e già Professore di Teologia. Tomo I - Genova 1805 - Stamperia Delle-Piane, Strada Giulia n. 522. Nel nostro sito ti offriamo l'edizione integrale del Libro I De' Diritti dell'Uomo (il volume, 108 pagine, in formato PDF, 3.996 Kb, comprende i 20 capitoli del Libro I e l'Appendice "La dottrina di S. Tommaso sulla Sovranità", scarica il file). Ti offriamo anche, in formato Pdf, la traduzione inglese completa del libro “De’ i Diritti dell’Uomo” (On the Rights of Man) fatta da Bruno Spedalieri nel 1995.
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