Per primo parlò in Italia dei diritti naturali dell'uomo mettendo in discussione gli assetti di potere del suo tempo
Nicola Spedalieri Antologia da "De' diritti dell'uomo" - ... Anche poeta e pittore - La diplomazia contro il filosofo - Il Quaresimale - Il testamento - La tomba a Roma - Il monumento eretto a Roma, Inaugurato di notte, Il bronzo controverso | Nicola Spedalieri è nato a Bronte il 6 Dicembre 1740 da Vincenzo e dalla sua seconda moglie, Agostina Dinaro. Sommo filosofo, fu autore dell’opera "De’ diritti dell’Uomo" con la quale per primo in Italia parlò dei diritti naturali dell’uomo e proclamava da Roma la sacralità dei principi quali eguaglianza e libertà. Nicola Illuminato Giacomo Vincenzo Erasmo (questi i cinque nomi imposti al fonte battesimale, ma allo Spedalieri restò, come d'uso solo il primo) iniziò i primi studi a Bronte, nell'Oratorio di S. Filippo Neri annesso alla chiesa della Catena. Li proseguì dall’età di undici anni nel seminario diocesano di Monreale distinguendosi negli studi di eloquenza, scienze sacre, filosofia, pittura e musica. Notizie del tempo lo presentano come un giovane vivacissimo, inquieto, poco sofferente di disciplina; un diarista fissa le "imperfezioni,, di questo seminarista fuori regola, le quali si riducevano poi al desiderio vivissimo di coltivare pittura e musica e al piacere di pranzare da solo e fuori orario. Dopo tredici anni, nel 1764, conseguiti brillantemente, come oggi si direbbe, i titoli di "maestro nelle arti liberali" e di" dottore in sacra teologia", fu consacrato sacerdote. Professore (già a 25 anni) di filosofia e geometria nel medesimo seminario, fu poeta, musicista, oratore, storico, matematico e, prevalentemente, apologeta e pubblicista. Sono di questa epoca i 184 fogli manoscritti, conservati nel Real Collegio Capizzi, fittamente stesi con calligrafia minuta, nei quali elaborava un ciclo di sermoni quaresimali, undici orazioni con temi che diventeranno peculiari della sua riflessione matura. Rappresentano il suo primo impegno letterario e apologetico. Genio prodigioso ma anche teologo ed intellettuale di spirito indipendente scriveva senza veli né sopportava le rigide ipocrisie dei suoi tempi ed il fanatismo teologico. I ragionamenti sostenuti nelle prime sue tesi si scontrarono subito con i teologi palermitani; fu accusato di empietà, di temerarietà e addirittura di eresia. A Palermo non gli fu concesso la stampare di un "tesario teologico" (serviva ad addestrare e stimolare gli alunni): non solo non furono approvate dai censori ecclesiastici, ma furono rigettate, come sospette di eresia. Fece allora esaminare i suoi scritti a Roma e «col debito permesso del maestro del sacro Palazzo p. Ricchini» (al cui esame furono sottoposte d’ordine del Papa) stampò l’anno stesso a Roma il suo "Propositionum theologicarum specimen ..." (Roma, Tipografia Palladis, 1772). Tornò quindi a Palermo a presentare il libro in pubblico. I contrasti avuti in Sicilia, i nemici implacabili e gli odi preteschi che i trionfi schiaccianti del suo ingegno gli avevano procurato lo spinsero ad abbandonare per sempre l’Isola e trasferirsi nel 1773 a Roma, dove visse per oltre un ventennio. Fece il viaggio con i soldi (12 onze) avuti in prestito da un sacerdote brontese dimorante a Palermo e a Roma visse alcuni mesi di disagi, sconforto e di grande miseria. Narra una leggenda, che nei primi giorni, travestito da contadino calabrese, con scarpe di cuoio, giacca di velluto, corpetto di pelle e cappello ad imbuto, si procurasse da vivere suonando l’arpa nelle piazze e davanti alle trattorie e nei cortili dei palazzi principeschi. Di quel periodo, lo stesso Spedalieri, scriverà più tardi che per andare avanti aveva dovuto servirsi «più de’ remi, che delle vele» e che «la maggior gloria di un uomo è quella di dover tutto a sé stesso quel poco che egli è». Preceduto dal fragore prodotto in Monreale dalle famose tesi teologiche, a Roma trovò finalmente il campo adatto alla sua vocazione di filosofo e pubblicista. Si fece in pochi mesi riconoscere nel mondo culturale di allora e già nell’ottobre del 1774 veniva ammesso all’accademia letteraria dell’Arcadia con diploma d’ammissione gratuito (in segno di grande rispetto) assumendo il nome di battaglia Melanzio Alcioneo. Da questo momento, indipendentemente dal suo ingresso in questa Accademia che stava ormai a rappresentare quel vecchio mondo contro cui combatterà, per certi aspetti, lo stesso Spedalieri, comincia la sua intensa attività di pubblicista. Conosciuto e subito apprezzato dalla Corte Romana fu caro specialmente al Papa Pio VI che fece su di lui grande affidamento. Dal Papa ebbe l’incarico di scrivere la Storia del prosciugamento delle paludi pontine (disposto da Pio VI) e la sua famosa opera sui diritti dell’uomo, voluta per porre un argine all’imperversare delle teorie rivoluzionarie che si diffondevano dalla Francia. Zelante difensore del Cristianesimo e propugnatore della sovranità popolare, combatté in vari scritti polemici ed apologetici le tesi degli enciclopedisti, difendendo la veridicità e l’autenticità della Scrittura. La sua prima importante opera filosofica è del 1778 (dopo quattro anni di permanenza a Roma): 472 pagine, in 8° grande, in difesa della Religione aventi per titolo Analisi dell’Esame critico del signor Nicola Frèret sulle prove del cristianesimo (Roma, Michelangelo Barbiellini, 1778). Il libro ebbe un notevole successo ed il nome dello Spedalieri diventò ben presto popolarissimo in Roma e in tutta la cristianità. Nel 1779, in occasione di solenni festeggiamenti celebrati per la guarigione del Governatore di Roma Spinelli e di Pio VI, recitò due famosi discorsi sopra l’Arte di governare e sull’Influenza della religione cristiana nella società civile nei quali già anticipava i temi della sua opera più importante. Nel 1784 scrisse un’altra poderosa Apologia del cristianesimo, la Confutazione dell'esame del Cristianesimo fatta dal signor Eduardo Gibbon, (Roma Salvioni stampator vaticano, 1784) che nella sua Storia aveva attribuito la decadenza dell’Impero romano al cristianesimo. L'opera più importante
Nell’opera più importante "De' Diritti dell’Uomo" (Assisi, 1791), lo Spedalieri, avverso ad ogni forma di dispotismo illuminato, volle avvicinare la Chiesa alle idee democratiche. Muovendo dalla tesi del contratto come origine della società, sostenne che la religione cristiana è "la più sicura custode de’ diritti dell’uomo" banditi dalla rivoluzione francese, garanzia contro gli abusi del dispotismo e giustificò la ribellione all’autorità, quando questa non rispetti "i diritti naturali". L’uomo per lo Spedalieri tende essenzialmente alla felicità, alla perfezione, all’unione con gli altri uomini, e non può vivere felice e perfezionarsi che nella società civile. Il governo che non tutela ma viola questi diritti, diventa illegale e può essere rovesciato dal popolo sovrano. La custode più sicura di questo “contratto sociale”, dei diritti del cittadino e quindi della libertà, è la religione cristiana perché non può assolutamente spogliare il cittadino dei suoi diritti naturali: infatti l’amore del prossimo, la fratellanza, l’eguaglianza, il rispetto, la carità che sono i principî della società civile, sono nello stesso tempo i cardini della religione cristiana. Queste sue idee anticipatrici (contro l’assolutismo, sulla sovranità e sul diritto del popolo ad abbattere la tirannia), che mettevano in discussione gli assetti di potere dell'epoca, in un momento di transizione e di grandi tensioni ideologiche, seminarono lo sgomento nelle corti assolutistiche e negli ambienti curiali. Il pontefice Pio VI permise la pubblicazione del libro a Roma, sebbene con la falsa indicazione di Assisi e con il frontespizio privo delle rituali approvazioni ecclesiastiche, sostituite dalla più sbrigativa formula "con licenza dei superiori". L’opera ebbe uno straordinario successo librario: in poco tempo, non bastando i primi numerosi esemplari alle richieste che pervenivano da teologi, giuristi, politici, uomini di cultura dell’Italia e dell’Europa, fu ristampata ben quattro volte e in diverse città: edizione prima di Assisi 1791, ristampa di Venezia 1797, ristampa di Milano 1848 (biblioteca scelta del Silvestri) e ristampa di Roma (1884, biblioteca Nova del Perino). Non mancarono anche le edizioni contraffatte, una delle quali, unitamente alle quattro originali, è conservata a Bronte nella biblioteca del Real Collegio Capizzi. Odi e critiche
«Lungi dal temere, - scriveva lo Spedalieri ne "De' diritti dell'Uomo", provo nel terminar di questa Opera il piacere, che accompagna una buona azione. E che deggio temere? Gli effetti della Intolleranza, e della Persecuzione, Ateistica, Massonica e Giansenista?» I timori del filosofo non erano affatto infondati: "De' diritti dell'uomo" suscitò subito anche tanti odi e feroci critiche ed una crociata di libri e d’opuscoli cercò, anche con vituperi e strali velenosi, di confutare e demolire le tesi anticipatrici del filosofo. Lo Spedalieri ebbe ancora una volta contro sia i benpensanti laici che i religiosi ed anche i progressisti (Rosmini, Taparelli-D’Azeglio, Cantù). Fra i molti detrattori, anche un suo compaesano, il frate cappuccino Gesualdo De Luca, conservatore e filo borbonico, che, senza alcuna remora, scriveva che lo Spedalieri era "un miserabilissimo copista delle più empie teorie che quei forsennati ("Rousseau e simili deliranti") avevano scritto intorno all’origine e qualità de’ diritti e doveri naturali degli uomini…" e loro "ombra nefasta" "…si avvolse in tante contraddizioni che produssero la sventura di vederlo bersaglio delle più amare derisioni e censure di scrittori cattolici Magni nominis…". |
| Nicola Spedalieri in un dipinto fatto a Roma dal pittore trapanese Giuseppe Errante (1760-1821). Il dipinto è conservato nella pinacoteca del Collegio Capizzi (olio su tela di cm 73 x 51, in basso la scritta Nicolaus Spedali[eri] / [---] es rapuit me [---]). Nella foto sotto a destra, il filosofo brontese nel quadro di Agostino Attinà "Uomini illustri di Bronte" è ritratto con gli "strumenti" del suo sapere: fu infatti poeta, musicista, oratore, storico, matematico e, prevalentemente, apologeta e pubblicista. Pio VI riconobbe ed apprezzò i meriti dell'apologista brontese, fece in lui grande affidamento e lo volle vicino per avere un valido aiuto nei lavori che intendeva affidargli. Con lo scopo di trattenerlo a Roma e distoglierlo dalla cattedra universitaria di Pavia che gli era stata proposta, volle aiutarlo con un modesto compenso (poche decine di scudi al mese) dandogli il titolo di beneficiato della basilica vaticana e ciò in opposizione ad una norma di Leone X, che vietava che cittadini non romani occupassero un tale posto. Gli affidò anche l'incarico di scrivere una Storia delle paludi pontine (pubblicato postumo nel 1800 da mons. Nicolai col titolo "De' Bonificamenti delle terre pontine"). |
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| | Un busto del filosofo è visibile nei locali della Direzione del Real Collegio Capizzi e, in copia, nel "Circolo di Cultura E. Cimbali". La scultura in bronzo, del 1886, è opera dello scultore abbruzzese Biagio Salvatore. | | | | | Il clavicembalo del filosofo. Da poco restaurato, è conservato nel Real Collegio Capizzi. Attribuibile a Petrus Todinus fu acquistato da Nicola Spedalieri da un amatore nel 1773. Reca la scritta “Sac. Nicolaus Spedalieri P.” (questa abbreviazione va completata in Pinxit), ma è da precisare che sembrerebbe apposta da altra mano ed in epoca chiaramente successiva. Vito Librando scrive che «i vari dipinti che la adornano vanno collocati in data anteriore all’autoritratto per la minore sicurezza tecnica avvertibile nella composizione che è fittamente segnata da una decorazione rococò intor-no a marine e scene campestri, svolte in chiave arcadica ma con cadenze provinciali.»
- Nicola Spedalieri, pittore - |
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| | Un altro piccolo dipinto
su tavola attribuito a Nicola Spedalieri. La tavoletta (trattasi dello sportello di un tabernacolo) misura 15 cm. per 30 ed è conservata a Bronte nella chiesa della SS. Trinità (la Matrice). A destra, una lettera autografa di Nicola Spedalieri scritta da Roma al fratello Erasmo il 23 Luglio 1793. Si conserva nel Real Collegio Capizzi fra le "reliquie spedalierane". Tra l'altro scrive che invierà a Bronte «due cassettine, l'una piena di reliquie di Martiri senza nomi, in numero di più di 100, e l'altra contenente il corpo intiero di una Martire di età da 14 ai 15 anni, pe quello che apparisce dalla sepoltura, che si è trovata negli ultimi scavi colla sua ampolla di sangue e col nome proprio di Caritosa inciso in una lapide, che sarà pure mandata colle sue cassettine. Penso di farne un regalo a cotesto Seminario ...». |
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| La dottrina "Dei diritti dell’uomo", che propugnava la sovranità popolare ed il riconoscimento dei diritti fondamentali della persona, il mettere "al centro" l'uomo, l'individuo, fu ritenuta pericolosa e sovversiva; suscitò il panico negli ambienti diplomatici e curiali e nelle corti assolutistiche tanto che la Casa Sabauda nel 1792 proibì la divulgazione del libro in Italia. L'opera fu anche proibita fino al 1860 in tutti i Regni e le Corti europee dell’epoca perchè - scrisse la Civiltà Cattolica - ritenuto «empio, rivoluzionario, provocatore di disordini e contrario alla pubblica quiete». Ecco cosa leggevasi negli "Avvisi" di Genova del 17 marzo 1792: «Scrivono da Roma esser giunta colà notizia che sia stato proibito in vari Regni il libro de' Diritti dell'uomo dello Spedalieri, dove, fra le altre cose, si va portando in trionfo il Contratto sociale. S. M. il Re di Napoli ha fatto ingiungere a tutti i vescovi di non permetterne l'introduzione in quel Regno. Se ne arreca per ragione che è questo un libro incendiario...». «All'abate Spedalieri - scrive Salvatore Rossi - toccò, nelle vicende della filosofia italiana, il singolare destino di un uomo che seppe suscitare qualche entusiasmo, ma per lo più una profonda ripulsa, tra i contemporanei, godette di una rinata attenzione nell'ultimo decennio dell'Ottocento e nei primi due del Novecento, per poi risprofondare in un oblio pressochè totale». Tre anni dopo la pubblicazione dei "Diritti dell' uomo" nel 1794, lo stesso Spedalieri ad un suo discepolo, al Guardi, scriveva: «L'opera dei Diritti dell' uomo, necessaria alla religione, utile all'umanità, amica del giusto principato e nemica della tirannia, per tutti questi motivi insieme, come già m'aspettava, s'è dovuto attirare l'odio di molti. Finora l'han confutata venticinque autori, di cui non ve ne ha uno che valga uno zero. Onde una turba cosi vile, lungi dal farmi onore, mortifica il mio amor proprio; e ben lontano dal rispondere mi sono rivolto a scrivere la Storia delle paludi pontine.» Quest'ultimo suo libro, "Storia delle paludi pontine", la storia delle bonifiche volute da Pio VI, scritto in latino su incarico dello stesso Papa, fu tradotto in italiano e pubblicato a cura di monsignor Nicolai nel 1800, dopo la morte del grande filosofo. La morte
Nicola Spedalieri morì d’improvviso a Roma il 26 Novembre 1795, facendo nascere, già all’indomani della sua morte, la leggenda di essere stato avvelenato da uno dei suoi tanti avversari. La sua morte, infatti, colse tutti di sorpresa ma già da alcuni anni circolavano notizie su sue malattie. «Le cause della morte dello Spedalieri sono sconosciute.» Così scrive uno studioso che al filosofo brontese ha dedicato diversi libri, Attilio Pisanò, in "Aspetti del pensiero giusfilosofico di Nicola Spedalieri", pag. 18. «Le uniche cose certe - continua - sono che egli morì sostanzialmente giovane, colpito da una malattia fulminante e non vi è notizia alcuna nei giornali dell'epoca della sua prematura scomparsa. La sua vita, le sue opere sempre originali e sempre causa di attriti e incomprensioni, il suo impegno teorico in favore di un ancoraggio della problematica dei diritti dell'uomo alla cristianità ed al suo orizzonte assiologico, l'essersi esposto in prima persona sostenendo la necessità di riconoscere dei diritti all'uomo in un'epoca in cui poco lontano (in Francia) proprio in nome della libertà, dei diritti dell'uomo, della sovranità popolare si statalizzava la Chiesa espropriandola dei propri beni, insomma tutti questi elementi, considerati in modo unitario, hanno fatto pensare che il prete siciliano potesse essere stato avvelenato. Non vi è prova alcuna dell'assassinio dello Spedalieri. Vi è solo una "leggenda" che circolava in Roma già immediatamente dopo la morte dell'abate siciliano e tante supposizioni. Spedalieri, infatti, sembra conscio del pericolo che pubblicando i Diritti umani egli corre. Lo dice espressamente nella parte finale dell'opera ...». Ed in una nota continua scrivendo che «...il Cimbali ritiene verosimile che Spedalieri, pur ben voluto da Pio VI il quale, come detto, gli aveva affidato la composizione della Storia delle paludi pontine, venisse considerato da più reazionari e retrogradi ambienti ecclesiastici come il "giacobino de' giacobini". L'unico documento che può lasciare trasparire un qualche mistero relativo alla morte dello Spedalieri ci è dato dal fatto che dai registri della Basilica vaticana risulta che Spedalieri morì afflitto da una malattia di lunga durata (morbo diuturno consumptus), mentre il suo fedele e potente amico Monsignor Nicolai sostenne, qualche anno dopo, che la causa della morte fu una improvisa ac gravis valetudo.» Anche lo stesso Spedalieri, in una lettera del 23 luglio 1793, conservata nel fondo antico del R. Collegio Capizzi (foto nel riquadro a destra), così scriveva al fratello Erasmo preoccupato dalle notizie sullo suo stato di salute: «Ricevo con quest'Ordinario una vostra de' 5 luglio, che certamente mi sarà giunta per miracolo, dalla quale ricavo l'ansietà arrecatavi dal Seminarista di Monreale che certissimamente ha riferito il falso, poichè non sono stato altrimenti ammalato, anzi ho goduto e godo perfettissima salute (...)». Sei giorni prima di morire nella casa di via Borgo Vecchio 16, in Trastevere, dove già gravemente ammalato abitava, aveva dettato il suo testamento. Come egli stesso aveva disposto nel testamento ebbe sepoltura, ed un modesto monumento nell’Oratorio dei santi Michele e Magno (ancor oggi esiste la lapide che lo ricorda) appartenente al Capitolo Vaticano. In ovale sovrastante la lapide un mosaico ci ricorda lo Spedalieri «con molta esattezza e somigliantissimo all'originale» come scrisse Il Diario di Roma, nel 1808. Nel 1809 lo Stato pontificio coniò in suo onore una medaglia e fece erigere un mosaico davanti al suo sepolcro nella chiesa dei Santi Michele e Magno adiacente al Vaticano. L'epigrafe sottostante al detto mosaico riporta "Memoriae Nicolai Spedalieri presbiteri natione siculi domo Bronte...". Nei suoi ventuno anni di permanenza a Roma stabilì rapporti di amicizia con i più illustri prelati, letterati ed artisti dell’epoca (si ricordano il cardinale Borromeo, Vincenzo Monti, Winckelmam, Milizia, Canova, Mengs). Le Reliquie Spedalieriane
Nicola Spedalieri si interessò anche di musica (era valentissimo suonatore d’arpa) e di pittura che amava e studiava fin dai primi anni trascorsi a Monreale: l'archivio della Cappella Giulia in Roma conserva gli originali di alcune sue opere musicali (trattasi di 31 composizioni); un suo autoritratto (eseguito all’età di trentatré anni, nel 1773, donato dai fratelli Arcangelo, Giuseppe e Antonino Spedalieri) è conservato nel Real Collegio Capizzi mentre un altro piccolo dipinto su tavola a lui attribuito è custodito a Bronte nella chiesa della SS. Trinità. Nei locali del Collegio Capizzi sono conservati, unitamente ad altri suoi manoscritti ed oggetti vari (le cosiddette Reliquie Spedalieriane), l'autoritratto, un suo clavicembalo (del 1679, attribuibile a Petrus Todinus, decorato dallo stesso Spedalieri con marine e scene campestri) recentemente restaurato ed ancora funzionante, tutte le opere e le edizioni che si son fatte di esse, gran parte dei libri pubblicati contro e a favore, 184 fogli in quarto fittamente stesi dalla mano del filosofo con calligrafia minuta (le prediche quaresimali), alcune lettere autografe (tre datate da Monreale, donate dal Rev. Di Bella, ed una da Roma scritta nel 1793 (due anni prima di morire) al fratello Erasmo, donata dagli eredi del Cardinale De Luca) e il testamento a stampa (vedi anche l'inventario redatto nel 1886 da Agostino Attinà e Giuseppe Cimbali). | L'abate Spedalieri anche poeta di Francesco Longhitano Dopo quanto scrissero gli Antispedalieri, i Filospedalieri e principalmente, fra questi, il nostro concittadino Giuseppe Cimbali, che al grande filosofo fece erigere un monumento in Roma, opera del celebre Mario Rutelli, palermitano, non è da aggiungere altro, come giustamente scrisse lo stesso Giacomo Leopardi nelle sue postille inedite a’ “Diritti dell'uomo”: “Questo libro parla molto bene; ma disgraziatamente per gli uomini tutti o non si intende affatto o si intende molto male”. Comunque Egli è conosciuto, da chi arriva a comprenderlo, come grande filosofo, e noi lo conosciamo pure come bravo pittore attraverso il suo pregevole autoritratto degnamente collocato nella pinacoteca adiacente alla Direzione del Real Collegio Capizzi, … e il Gesù dipinto sullo sportello di un tabernacolo della Chiesa Madre in Bronte. Che seppe di musica ne fa fede la sua spinetta, oggi di inestimabile valore religiosamente custodita nell'Aula Magna dello stesso Collegio e le sue composizioni di musica presso la Biblioteca vaticana. Ma della sua poesia non ne avevamo alcuna notizia, se pur Egli, anche in questo genere, abbia dato come vedremo, prova del suo talento e della sua vasta conoscenza umanistica. Per caso abbiamo trovato nella grande Biblioteca del Collegio, “I Componimenti recitati nell'Accademia di Monreale per le augustissime nozze di Ferdinando Re delle Due Sicilie con Maria Carolina arciduchessa d’Austria” editi in Monreale nel 1768 presso D. Caetano Maria Bentivegna, impressore Camerale, dedicati a Sua Eccellenza il Sig. Marchese Giovanni Fogliani di Aragona, Vice Re di Sicilia, con dedica di Francesco Testa Arcivescovo di Monreale, santo e dotte presule ad un tempo. La raccolta delle rime, canti, sonetti, elegie, canzoni, anacreontiche, capitula, idillii, egloghe, madrigali è preceduta dall’”Oratio habita a Stephano Oneto Migliaccio ex Sperlingae Dicibus, Collegii Nobilium Convictore.” Seguono poi le poetiche ispirazioni di principi, conti, marchesi, baroni e duchi convittori del Collegio dei Nobili in Monreale e poi quelle degli Arcadi, degli Accademici e degli Emeriti Lettori degli Atenei Siculi e fra questi ultimi “Elegia Francisci Muranae clerici regularis, Scholarum Piarum, Collegia Nobilium Rectoris, inter arcades Ergasti Phaestei." Ed ancora, che ci piace principalmente ricordare: “Idillio” di Niccolò Spitaleri, professore di Logica e Metafisica e Accademico del Buon Gusto. L'Idillio, scritto in elegante stile poetico ed in perfetta lingua italiana,che precorse i contemporanei ed i postumi cercano di imitare, è composta di 416 versi sciolti. Vasta, in essi, è la sua profonda conoscenza storica e mitologica che lo porta ad una sublime immaginazione. Venere che rappresenta la bellezza e Minerva la saggezza, in un primo tempo non sono d'accordo circa la futura sposa da scegliere per il loro protetto Re Ferdinando. La prima vuole che la ragazza sia bella; mentre la seconda vuole che sia saggia. Entrambe vanno in cerca della giovane di loro divisamento. La scelta, a loro insaputa, cade sulla stessa giovinetta. E la lotta continua fino a quando la Concordia non rivela l'insaputa e loro stessa convergenza sulla bella e saggia Carolina Principessa d'Austria che … | 129 Assisa scorge sull'erboso màrgine Fra cento fide ancelle altera vèrgine, Che ghirlanda di fiori al crine intreccia …. | ed in fine (414) …tosto al Ciel tornarono Le Dive amiche, e al sommo Giove esposero, Quanto del Fato nei tesori appresero. | poi (252) …alma Donzella e tenera Involta scorge in puro velo e candido; Nella fronte serena a cui traspirano Quelle virtù, che nel bel cor s'annidano. Là, dove pendon le famose immagini De’ suoi grand'Avi illustri, ella si specchia, In se medesma tutto il ben ne copia, E, dov'essi finiro, ella comincia. Da un lato assisa a lei sta la Modestia, La Saggezza dall'altro, oppresso il Vizio Geme sotto il sue piè, e mentre a morderla Si ripiega, e si snoda, a lei la Gloria, La Vergogna, e lo scorno a se raddoppia. Lieta ammira la Dea l'alto spettacolo Inosservata, e questa sola sembrale Degna, che al suo nobile Alunno uniscasi. … | Il pregevole volume, rilegato in pergamena, pagine 80 in 8°, si conserva con questo autografo: “Bibliothecae Collegii Venerabilis Servi Dei Sac. Ignatii Capizzi, Ex dono Sac. Josephi Di Bella et Pace. Anno Domini 1891. Alla fine dell'opera troviamo incisa una corona reale stringente due rami di ulivo, dai quali si partono una coppia di colombi che si posano sulla corona, in atto di accarezzarsi. Sopra la summenzionata Accademia tenuta nel 1768 per le fauste nozze, D. Gaetano Millunzi, autore della Storia del Seminario Arcivescovile di Monreale, dà questo giudizio: “La prosa latina di introduzione ed in componimenti poetici italiani, latini e greci allora recitati, e dopo raccolti insieme, lumeggiandosi a vicenda fanno la più bella testimonianza di maestri e discepoli, che sarebbero bastati ad illustrare un epoca letteraria.” |
| Due immagini di Spedalieri A sinistra l'Autoritratto di Nicola Spedalieri, conservato a Bronte fra le reliquie Spedalieriane nel Real Collegio Capizzi. Il dipinto fu eseguito all'età di 33 anni. E' stato donato al Collegio nel 1886 dagli eredi del filosofo, i fratelli Arcangelo, Giuseppe e Antonino Spedalieri. Nella scritta in basso si legge che: «Nicolaus Spitaleri aetat suae XXXIII - Hanc sui suàmet manu pinxit effigiem». Spitaleri, infatti, era il nome originario del filosofo, cambiato successivamente dallo stesso in Spedalieri nella sua permanenza a Roma. A destra, una immagine inconsueta (diremmo moderna) e poco nota dell'abate Nicola Spedalieri tratta dalla lapide che ricopre la sua modesta tomba a Roma. Come aveva stabilito lo stesso filosofo nel suo testamento, alla sua morte fu seppellito in un modesto monumento eretto nell'oratorio attiguo all'antica chiesa dei Santi Michele e Magno. Il mosaico con la sua immagine fu fatto realizzare nel 1808 da un suo "amico incomparabile e desideratissimo", mons. Nicolai. La lapide oggi è murata in una parete della chiesa dei Santi Michele e Magno, vicino piazza San Pietro, a pochi passi dal Vaticano. «Nicola Spedalieri fu, eroicamente, tutto per la libertà e contro il legittimismo, contro l'assolutismo e contro la tirannide; fu per la modernità e contro il medio evo, per la sovranità del popolo e contro il potere per diritto divino. Questa era la vera, la grande, l'immortale riforma, che i nuovi tempi imponevano; e il filosofo nostro non solo la concepì e la proclamò, ma anche la suggellò, sfidando tutti i pericoli e andando incontro al sacrificio della propria vita.» (G. Cimbali, Spedalieri e le riforme ecclesiastico-civili, Tip. Giannotta, Catania, 1905) | Capizzi e Spedalieri Negli anni in cui Nicola Spedalieri studiava ed insegnava a Monreale, nella vicina Palermo viveva un altro illustre brontese, il ven, Ignazio Capizzi. Altro temperamento, altro carattere ed anche altri ambienti frequentati: il giovane teologo ed intellettuale (nel 1769 Spedalieri aveva 29 anni) viveva, rinchiuso giovanissimo nel seminario diocesano di Monreale, impegnato nei suoi studi di eloquenza, scienze sacre, filosofia, pittura e musica e nell'attività di professore nel medesimo seminario; l'umile sessantunenne sacerdote Ignazio Capizzi alloggiava all'Olivella in mezzo ai poveri ed ai derelitti. Ci piace oggi immaginare che i due si siano potuti anche incontrare e parlare della lontana Bronte che tutti e due avevano dovuto abbandonare per proseguire gli studi. Ed in effetti, almeno in un'occasione si sono incontrati ma non hanno parlato di Bronte e delle comuni origini. Ne fa un accenno Giuseppe Cimbali nel Cap. III del suo libro Nicola Spedalieri-Pubblicista del secolo XVIII. Scrive Cimbali che lo Spedalieri, dando a Monreale «un piccolo saggio di teologia, di un tratto, nel calore della disputa, rivolto al Venerabile Capizzi, che era venuto ad udirlo: - Ne capite nulla? - dissegli. Il venerando vecchio, benchè mortificato da quel dire indiscreto, si levò in piedi e parlò sulla materia per una mezz'ora con gran meraviglia degli astanti.» Episodio emblematico del carattere dei due: l'uno altero, egocentrico e superbo, l'altro umile, pratico ed al servizio dei più deboli. | Leggi N. Spedalieri su Google Alcune edizioni di libri di Nicola Spedalieri conservati nel Fondo Antico della Biblioteca del Real Collegio Capizzi, sono stati digitalizzati ed è possibile scaricarli e leggerli anche su Google Books (in formato Pdf o Epub): «Analisi dell'Esame critico del signor Nicola Freret sulle prove del Cristianesimo, Opera di Nicola Spedalieri, siciliano, dottore e già professore di Teologia», Terza edizione, vol. I, Monza, Dalla Tipografia di Luca Corbetta, 1821;
«Confutazione dell'Esame del cristianesimo fatto dal Signore Eduardo Gibbon nella sua Storia della decadenza dello Impero romano» - Opera di Nicola Spedalieri, siciliano - Stampata a spese della Società dell'Amicizia Cattolica per distribuirsi gratis - Parte I Tomo I - Roma 1827, Presso Vincenzo Poggioli, Via in Arcione n° 101;
«Ragionamento sopra l’arte di governare - recitato da Nicola Spedalieri Siciliano / nella Accademia de' Quirini / in Roma MDCCLXXIX / Per il Casaletti / Col permesso de' Superiori»
«De' Diritti dell'Uomo» - Libri VI. - Ne' quali si dimostra, che la più sicura Custode de' medesimi nella Società civile è la Religione Cristiana - E che però l'unico Progetto utile alle presenti circostanze è di far rifiorire essa Religione - Opera di Nicola Spedalieri, siciliano Dottore e già Professore di Teologia. Tomo I - Genova 1805 - Stamperia Delle-Piane, Strada Giulia n. 522.
Nel nostro sito ti offriamo l'edizione integrale del Libro I De' Diritti dell'Uomo (il volume, 108 pagine, in formato PDF, 3.996 Kb, comprende i 20 capitoli del Libro I e l'Appendice "La dottrina di S. Tommaso sulla Sovranità", scarica il file). Ti offriamo anche, in formato Pdf, la traduzione inglese completa del libro “De’ i Diritti dell’Uomo” (On the Rights of Man) fatta da Bruno Spedalieri nel 1995.
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