La Biblioteca delle "Reggie Pubbliche Scuole di Bronte", un pò di storia
Cenni storici della Biblioteca di Bronte ieri, oggi e … (di Franco Cimbali) Tra le vecchie, ingiallite carte d’archivio dell’Ente morale-laicale del Real Collegio Capizzi, si conserva l’amanuense libro avente titolo “Reggie Pubbliche Scuole di Bronte” naturalmente scritto in bella grafia, cioè in forma elegante e regolare.
La datazione di quanto sopra è il 6 Ottobre 1811; però il contenuto risale al 1778, anno in cui vennero erette, dal Popolo della Città di Bronte e dalla munificenza dell’Augusto Sovrano Ferdinando Primo delle Due Sicilie (D. G.) le menzionate scuole, dotate di once 200 all’anno. A titolo di curiosità: once 10 all’anno vennero destinate per compra e riforma di libri per la Pubblica Libreria in detto Collegio; once 4 all’anno al Bibliotecario, che “faticherà”, ed avrà cura della detta P. L.. Per capire meglio gli avvenimenti storici che permisero detta fondazione, con annessa biblioteca, bisogna però fare, ancora una volta, un passo indietro e partire più o meno dal 1759 al 1767, quest’ultimo, anno cruciale, della soppressione dell’Ordine ignaziano meglio conosciuto col nome di Compagnia di Gesù o più semplicemente come Gesuiti. Esecutore del provvedimento di espulsione, fra Bernardo Tanucci (1698-1783), uomo politico europeo tra i più rappresentativi del giurisdizionalismo settecentesco e sostenitore della ragione dello Stato a deprimento delle ragioni della Chiesa. Tutti i Collegi e le Case gesuitiche a fine Novembre 1767, due ore dopo mezzanotte, vennero circondate dalle truppe regie borboniche le quali, nel giro di 24 ore, fecero incamminare i gesuiti verso i centri di raccolta da dove subito dopo avrebbero raggiunto i luoghi loro destinati. Così, confiscati i loro beni mobili e immobili: case, collegi e proprietà terriere, oltre 50.000 ha., il Governo borbonico passò alla vendita di essi ottenendo col ricavato un duplice scopo: l’istituzione delle Scuole pubbliche di Stato e la sostituzione del vecchio corpo docente religioso con un nuovo personale laico, insegnante (cosa che di fatto non avvenne). Bronte, domenica 15 Ottobre 1778, festività di Santa Teresa d’Avila. Lo scampanio a distesa di tutte le chiese richiama il popolo dei fedeli, mentre un caldo sole autunnale illumina il paese festante. Una gran folla scende verso il piano della Matrice, altri restano in attesa lungo lo stradone principale (“a chiazza”) e attorno la Cappelletta di San Rocco. La processione, dalla Chiesa maggiore, da poco avviatasi, è preceduta dal quadro di Maria del Fervore. Procede lungo la salita del “passu poccu” (il Radice ci dice che la via prese tale nome perché ivi venne rinvenuto un maiale errante la cui vendita permise al Comune la pavimentazione del tratto di strada). Segue, poco distante, l’Arciprete parroco col SS. Sacramento e accanto il rimanente clero, Vicario Foraneo, il Rettore del Monastero di Santa Scolastica e, per l’occasione, tra i primate, l’umile sac. Ignazio Capizzi. Seguono le numerose pie corporazioni, con i tipici costumi, recanti ognuna il vessillo del proprio santo fondatore, i reverendi padri regolari e i novelli convittori, per ultimo il popolo. Il sacro corteo, tra canti e preci, percorre il breve tratto di strada lasciandosi alle spalle la Chiesetta di San Giovanni Evangelista sulla destra e la Chiesa di Santa Maria dell’Abstinentia o Resistenza sulla sinistra. Dalle balconate e finestre, lungo la via, penzolano bianchi lini, coltri di lana e lenzuola di tela mentre petali di fiori piovono al passare della processione. Molti s’inginocchiano e si segnano di croce. Il corteo percorre ancora qualche centinaio di metri e si ferma dinnanzi la di già menzionata quattrocentesca Cappelletta, poco distante dalla novella fabbrica. Indi segue la benedizione di rito, il discorso di circostanza, lo sparo di mortaretti. Il sogno da tempo vagheggiato è realtà visibile agli occhi dei presenti. Una lapide i marmo, di fresco applicata alla parete a futura memoria, per i più distratti, recita: «A Domino factum est istud et est mirabile in oculis nostris». I primi volumi che entrarono nella di già istituita biblioteca furono 715 libri confiscati ai Gesuiti di Palermo ed ivi pervenuti tramite il fondatore Sac. Capizzi che nella “felix Palermo” vi esercitava, da anni, l’ecclesiastico ministero sacerdotale.6 Agosto 1778, venne rogato in Palermo presso il notaio Tamaio.
Il fondo iniziale, nel corso di oltre due secoli, è aumentato a seguito acquisti, lasciti, donazioni di privati cittadini. Allora l’accesso al prestito era riservato solo a convittori e a pochi privilegiati. Sulle copertine dei libri, per ovvi motivi, vennero stampate, in tempio diversi, le seguenti frasi: ”Biblioteca del Ginnasio Pareggiato Bronte” e “Biblioteca Real Collegio Capizzi Bronte”. E in terza pagina, a cura della Federazione Italiana delle Biblioteche Popolari, quanto segue: «Lettore, io vengo a te come un amico, per consolarti e per istruirti. Tienimi bene, leggimi sollecitamente e non trattenermi presso di te quando ti ho servito, perché il mio destino è di portare luce e gioia a molte anime. Rispettami, non deturparmi con segni, non piegare le mie pagine. Io sono cosa (un bene) di tutti». Per il suo contenuto moraleggiante, credo che l’intera frase non farebbe una grinza se riportata, anche i nostri giorni, sui libri. Durante il periodo bellico il Real Collegio Capizzi venne convertito in Ospedale militare di riserva n. 2, quindi i libri, tolti dagli scaffali, furono prudenzialmente impilati nei sottostanti magazzini. In questa maniera, i volumi, scamparono ai bombardamenti aerei del Luglio-Agosto 1943 però divennero preda di topi, umidità e muffe. A partire dal 1983, cominciando a venir meno il numero dei Collegiali, il Consiglio di Amministrazione propose il regolare servizio di biblioteca aprendola all’utenza esterna come pure alle scuole di ogni ordine e grado.
Venne quindi creato il fondo corrente finalizzato al prestito e consultazione destinando, in bilancio, una somma annua per acquisti, scaffalature e restauri. Nel contempo si aprì il “Fondo antico”, vero e proprio itinerario culturale, a scolaresche, comitive di bibliofili, però solamente per la consultazione “in loco”. Al presente la biblioteca possiede un fondo corrente di 13.497 volumi (al 31 dicembre 2005), tutti regolarmente inventariati e catalogati. E’ aperta al pubblico da Lunedì a Sabato ed è punto di riferimento per ricerche, tesi di laurea, come pure per presentazione di libri e/o conferenze. Possiede libri monotematici, argomenti vari che spaziano dal romanzo alla narrativa; dalla saggistica all’antropologia e storia; dalle religioni a confronto, all’economia e politica; dal giallo al poliziesco e di recente di un settore universitario di indirizzo giuridico. Naturalmente sono presenti i classici italiani dalle origini a tutto il Novecento, gli scrittori latini e greci, la letteratura straniera, il pensiero filosofico classico e contemporaneo, la psicologia e pedagogia, il teatro etc.. Un settore particolare, infine, è costituito da testi di scrittori brontesi. Franco Cimbali 5 Maggio 2006 Nelle tre foto: uno scorcio del Fondo Antico della biblioteca del Real Collegio Capizzi; alcune annate de "La Tribuna Illustrata" di inizio 1900 e la parte "moderna" della biblioteca
infelicemente alloggiata in un lungo corridoio in attesa che si adibisca come sede della biblioteca la Cappella interna del Collegio. Sotto il busto
in marmo del Ven. Ignazio Capizzi, posto nell'atrio del Collegio, opera dello scultore acese Michele La Spina realizzato a Roma nel 1883 in occasione del I° centenario della morte del Venerabile.
| La nostra Biblioteca di Salvo Stella (1928) (…) Il R. Collegio Capizzi possiede, e non da oggi, accanto a una bibliotechina di amena lettura, una biblioteca di severi libri di studio, che forse più di un istituto simile potrebbe invidiargli: in essa i giovani possono trovare preziosi sussidi per i loro studi, ed impulsi a studi nuovi: trattati scientifici e testi classici, libri di storia ed opere di filosofia, dizionarii di lingue antiche e moderne, non meno che enciclopedie... Ma, se il lettore di queste righe non ha in odio la «dotta polve», non gli sarà forse dìscaro accompagnarsi con noi in una visita che cercheremo di fare il più rapidamente possibile attraverso la nostra biblioteca. La sala é ampia e luminosa, e, nelle ore migliori, immersa in un’atmosfera di silenzio conventuale, cui non vale a rompere a volte lo stridio della carrucola di una cisterna dei vicini cortili. I libri si adergono da ogni parte: tappezzano, di sui tarlati scaffali, tutte le pareti; ingombrano il tavolo che sta nel mezzo della sala; si ammonticchiano nei vani sotto le finestre. Son libri di paesi diversi, di molteplici scienze, di svariate letterature, di disparate età: vi trovi così l’Iliade come il trattato di astronomia popolare, le opere del Goethe e il dizionario della Crusca, il libro di medicina accanto al manuale di fisica, le edizioni aldine e quelle del Le Monnier. La bella edizione, in cinque grossi volumi, delle opere di Aristotele pubblicata dal Didot, non disprezza la vicinanza di un dizionario del Calepino uscito circa tre secoli e mezzo addietro dalla tipografia gloriosa dei Manuzio. Non lungi da un atlante geografico del 1692 sta un trattato di astronomia del 1877; presso la Patrologia del Bardenhewer (Roma, 1903), trovi un Aristotele del 1561. Ma vale la pena di fermarsi un istante ad esaminare un po’ meno in fretta qualcuno di questi volumi più preziosi per antichità e rarità. Ho ricordato il Calepino aldino: giova precisare che esso si orna delle cure e di una prefazione di Paolo Manuzio, e reca la data del 1571. Nè é questa l’unica edizione aldina della biblioteca brontese: il volumetto intitolato Sancii Joannis Damasceni adversus sanctarum imaginum oppugnatores orationes tres si gloria anch’esso dell’illustre insegna dell’ancora col delfino e il nome Aldus (1534). Veneziana, ma non aldina, è un’edizione del poema dantesco, stampata nel 1336 («in Vineggia per M. Bernardino Stagnino»), sul cui frontespizio si legge: Cantica del divino poeta Danthe (sic) Alighieri fiorentino. Sarebbe interessante esaminarla minutamente; ma, poiché hic non est locus, ci limiteremo a rilevarne le incisioni, sovente di una ingenuità deliziosa, e a notare che il commento che l’accompagna è quello di Cristoforo Landino, l’insigne umanista, maestro di Angelo Poliziano. Ma il maggior numero di edizioni rare lo troviamo fra i classici greci e latini. Senofonte lo abbiamo nella 2.a edizione curatane da Enrico Stefano, pubblicata nel 1581. L’Aristotele del 1561, cui accennavo dianzi, è in traduzione latina (Aristotelis Stagiritae opera ... Lugduni, apud Antonium Vincentium). Al 1548 risale un’edizione in-4 dei Dodici Cesari di Svetonio (Lugduni, apud Joannem Frellonium), ricca di note e stampata con eleganza di caratteri. Nelle prime pagine di essa, ci imbattiamo nei due grandi nomi di Angelo Poliziano e di Erasmo da Rotterdam, chè si ristampa dell’uno una praefatio in Caium Suetonium, dell’altro un’epistola ad duces Saxoniae. L’opera superstite di Sesto Empirico, con l’interpretazione di Enrico Stefano delle Ipotiposi pirroniane, la troviamo in un’edizione ginevrina del 1621 («typis ac sumptibus Petri et Jacobi Chouet»). Solo di qualche anno anteriore ad essa, e precisamente del 1608, è un’edizione parigina delle opere di Tacito e di Velleio Patercolo, anche questo un bel volume in-4, con note. Ma con Plutarco e con Valerio Massimo ritorniamo al sec. XVI, chè il primo lo possediamo in una traduzione latina, nelle ultime pagine della quale si legge: Victor a Ratanis et socii Venetiis excudebant MDXXXVIII; e del secondo i Moralium Exemplorurn libri, che escon parimenti da una tipografia veneziana, recano la data del 1557. Naturalmente, non mancano le edizioni «in usum serenissimi Delphini»: ricorderò una Storia naturale di Plinio in 2 tomi e 3 volumi (in-4), la quale « interpretatione et notis illustravit Joannes Harduinus e Societate Jesu» e la compagnia di Gesù pubblicò a sue spese in Parigi nel 1741. Più recenti, ma forse non meno rare, sono le eleganti edizioni in - 4 che, con grande lusso di caratteri e di carta, il tipografo Luigi Mussi stampava in ristretto numero di esemplari, per pochi e ricchi - se non eletti – studiosi, prima da Parma e poi da Milano, sul principio del secolo scorso; e che accompagnava sovente con lettere dedicatorie in lingua latina «Eugenio Napoleoni Italiae proregi principi Venetiarum supremo Galliarum imperio cancellario ». Tali, il poema di Lucrezio in un’edizione di soli 70 esemplari, con data del 1807; tutte le opere di Ovidio, in sei volumi (1806-1809); le opere di Sallustio, in un’edizione di 50 esemplari (1813). Per altro rispetto notevole è un’edizione fiorentina dell’Iliade del 1837, in 2 voll. (typis V. Batelli et filiorum): perchè raccoglie insieme, accanto al testo greco, ben sette traduzioni del poema omerico, due delle quali in latino (l’una in versi, di R. Cunich ; l’altra, di C. G. Heyne, in prosa), e le altre, in italiano, tedesco, francese, inglese, spagnolo. Un altro libro italiano del principio del secolo scorso merita qui infine di essere ricordato: è la prima edizione romana delle lettere di M. Cornelio Frontone e dell’imperatore Marco Aurelio, la quale contiene anche gli avanzi delle lettere di L. Vero, di Antonino Pio, di Appiano (Romae, MDCCCXXIII). Sul frontespizio, il nome glorioso del Cardinale Angelo Mai. (…) Salvo Stella (Nova Juventus, bollettino del Real Collegio Capizzi – Bronte, Anno VIII, N. 3, Febbraio 1928) | Nella Biblioteca si trovano in custodia molte interessanti raccolte documentarie. Sono conservate raccolte ordinate di giornali e di riviste di eccezionale valore, provenienti dall'archivio del Card. Antonino De Luca. Intere annate di quotidiani e periodici di fine ottocento/inizi novecento, finemente rilegati e in perfetto stato di conservazione. Viene conservata una preziosa raccolta di carte della Vicaria Foranea di Bronte e di una Corte Spirituale operante in città nel corso del secolo XVIII; esistono poi raccolte minori di eruditi locali e preziosi manoscritti del filosofo Nicola Spedalieri fra i quali 184 fogli in quarto, fittamente stesi dalla mano del filosofo con calligrafia minuta, con un ciclo di sermoni quaresimali, recentemente pubblicati da Vincenzo Pappalardo. Di particolare rilievo il lascito del cosiddetto "Fondo De Luca", con le carte e i libri appartenenti al colto e facoltoso cardinale Antonino-Saverio, nunzio apostolico a Vienna durante l’epoca di Pio IX, ed il “fondo Cimbali”, ricchissimo di carte manoscritte appartenute, tra gli altri, allo stesso Giuseppe Cimbali. I registri che seguivano l’attività amministrativa e scolastica dell’omonimo convitto (una raccolta preziosissima di diplomi e vari documenti scolastici) sono stati, inspiegabilmente, parzialmente ceduti a privati o distrutti alcuni anni addietro. (aL) la Biblioteca Borbonica nell'anagrafe delle biblioteche italiane | Una domanda I “Diritti” a Dell’Utri Marcello dell'Utri ha graziosamente ricevuto in dono dagli amministratori del Collegio Capizzi una rarissima edizione de ''I diritti dell'uomo”di N. Spedalieri, curata da G. Cimbali. Quest'opera, definitivamente sottratta agli studiosi locali, servirà forse a suggerire al suddetto l'elenco completo dei diritti da calpestare? Riempirà un angolino della sua libreria? O non l'avrà egli semplicemente gettata nella mondezza? E in virtù di quale sacrale auctoritas il consiglio d'amministrazione del collegio continua a disfarsi con tanta leggerezza di edizioni più uniche che rare? Domande. (Lo Specchio e il Piacere, Anno II n. 15, Ottobre Novembre 1995, pag. 21) |
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