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I FRATELLI CIMBALI

I personaggi illustri di Bronte, insieme

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Giuseppe Cimbali

Infaticabile agitatore d'idee

GIUSEPPE CIMBALIGiuseppe Cimbali, (1858 - 1924), giurista, filosofo, è stato un poliedrico e prolifico scrittore.
Fu il secondo di quattro fratelli che raggiunsero alti livelli culturali in campi diversi: il primo Enrico, il terzo Francesco e l'ultimo Eduardo.

Iniziò gli studi a Bronte nel Real Collegio Capizzi per proseguirli dal 1873 al 1976 al Liceo Spedalieri di Catania e quindi alla Regia Università di Napoli, dove frequentò il corso di studi in Legge.

Si laureò nel 1880 a Roma, che scelse come Patria adottiva e dove visse per oltre 40 anni dove morì nel 1924.

Un anno dopo, sempre a Roma nel 1881, iniziò la vasta produzione letteraria col libro Confessioni di un disilluso (Fratelli Bocca Editori, Roma 1882), seguito da Giorni solitari (Tipografia Paolini, Roma 1884), La mia stanza al Ministero (Tipografia Centenari, 1886, edizione di soli 150 esemplari con copertina illustrata), Terra di fuoco, leggende siciliane (Euseo Molino editore, Roma 1887), Dormiveglia (L. Battei, 1889), Alba (il suo primo romanzo, E. Gargano editore, Cesena 1890), Venere Capitolina (1890), L'agonia del secolo (1899), Ragione e libertà (Athenaeum, Roma, 1906), Città Terrena (1906), L'anti-Cristo (1912), etc...

A proposito del libro "La Città Terrena", pubblicato nel 1906 dalla Casa Editrice Nazionale Roux e Viarengo, nel sottolinearne l'accoglienza ricevuta in Italia, vogliamo qui eviden­ziare la notorietà raggiunta dal Cimbali nell'ambiente socio-culturale italiano.

Prima di essere pubblicato "La Tribuna di Roma" (anno XIII, n. 356 del 23.12.1905) così lo presentava ai suoi lettori: «Essa, come il titolo stesso annunzia, dovrebbe essere l’antitesi della Città di Dio di S. Agostino; e , come questa sintetizzò lo spirito medioevale, - così quella dovrebbe es­sere la massima espressione dello spirito moderno.
Inoltre, tenderebbe ad essere il contrapposto di tutte le utopie antiche e moderne, dal­la Città del Sole, di Campanella, all’Utopia Moderna del Wells
».

Ampi stralci del libro furono pubblicati dai principali giornali italiani con i seguenti titoli: “L’utopia religiosa” (La Patria, Roma 10.2.1906, n. 41); “La dannazione de’ potenti ed il conforto degli umili” (in Dibattimenti – polemiche della vita odierna, Roma 18.2.1906 n. 7); “Il mondo sta bene come sta” (su La Gazzetta di Venezia del 25.2.1906); “Del fare il male legalmente…” (L’Idea Liberale, rivista settimanale milanese di politica, sociologia ed arte, n. 8 del 18.2.1906); “L’estetica delle irregolarità” (Il Ventesimo, Genova 18.3.1906, anno V, N. 10). L’Ora di Palermo (anno VII n. 43 del 12.2.1906) presentò il libro con il titolo “La necessità delle guerre”.

Giuseppe Cimbali insegnò Filosofia del diritto alla Regia università "La Sapienza" di Roma.

Nei primi di dicembre del 1914, quando già la guerra imperversava nei Balcani, teneva la sua prolusione al corso di filosofia del diritto dal titolo "Gli insegnamenti della guerra per la fede nella democrazia internazionale".
Inneggiando ai diritti degli uomini e dei popoli propugnava la nascita di "un nuovo Diritto internazionale"; affermava che " ...a nulla valgono i diritti degli uomini senza il ricono­scimento dei diritti de' popoli; a nulla vale la giustizia interna finchè può essere facile preda del brigantaggio internazionale; a nulla vale la democrazia fra gli individui senza che sia istituita la democrazia fra i popoli".

Giornalista pubblicista, pubblicò moltissimi articoli su numerose riviste dell’epoca e soprattutto molti saggi di filosofia morale e giuridica:
- La volontà umana in rapporto all'organismo naturale, sociale e giuridico (seconda edizione, F.lli Bocca, Torino, 1898),

- Il diritto del più forte (1898, terza edizione nel 1902),

- La morale e il diritto (1898), Saggi di filosofia sociale e giuridica (1903), Ragione e Libertà (1912), Concetto moderno del diritto naturale, Rivoluzioni politiche e rivolu­zioni sociali, Il compito della Filosofia del Diritto nell'organizzazione de' rapporti internazionali, etc..

Alcuni libri furono tradotti e pubblicati anche all'estero.

Fu anche un alto funzionario del Ministero dei Lavori Pubblici, dando prova delle sue capacità amministrative con un saggio critico (Tecnicismo ed amministrazione, del 1902) e propugnando l’istituzione di un Ministero che si occupasse delle Ferrovie o dei Trasporti (Per l’istituzione del Ministero delle Ferrovie o dei trasporti, Torino Unione Tipografica Editrice, 1912).

Tentò anche la carriera politica. Tre volte tentò di entrare al Parlamento e - scrive B. Radice – “tre volte l'oracolo non diede responso favorevole.»
«Non è da farne meraviglia. La scienza è aristocratica e non giunge al popolo. Il popolo vuole essere ingannato. Il Parlamento italiano ha avuto in ogni tempo la rara fortuna di vedere deputati bidelli, deputati carrettieri nullità inquartate, quattrinai, arruffa popoli, avvocati da conio, volteggiatori senza fede e senza patria, gingillini da trivio, affaristi per soprassello stipendiati col danaro della Nazione, nullità intellettuali buoni a far numero e scaldare gli scagni, come certi scolari le panche delle scuole, credendo di salire in fama salendo gli scalini di Montecitorio, e in mezzo a tutto questo arruffio pochi uomini rappresentativi del genio italico».

«Giuseppe Cimbali subì anche la sorte di molti uomini superiori che spesso si rendono impopolari per il sentimento di grandezza che li inorgoglisce e li allontana dalle moltitudini. Rispettiamo il voto del popolo sovrano. (…) Le elezioni sono elezioni, come gli affari sono affari, e Giuseppe Cimbali uomo e sacerdote del Diritto, non potendo essere uomo d'affari, fu battuto.» «L'invidia dei fratelli Ciclopi - scrisse poi il Radice nelle sue memorie - gli preferì uno sconosciuto barone a cui lo sfacciato e prepotente favoritismo del Governo e il dio quattrino diedero la vittoria.»

Giuseppe Cimbali fu un tenace assertore e seguace della dottrina rivoluzionaria di Nicola Spedalieri, tenendo corsi universitari sul filosofo e soprattutto, con approfonditi studi e ricerche minuziose, ne rivalutò l’Opera.
Da bambino, ricordava con gioia quando suo padre Antonino di buon mattino era partito per Catania perché facente parte della Commissione chiamata a rappresentare, nella solennità dei festeggiamenti, la Patria dell'Uomo che veniva cosi altamente onorato (inaugurazione del Liceo "N. Spedalieri" anno 1865).
Rammentava ancora le parole del padre il quale gli diceva: «Lo Spedalieri fu partigiano della democrazia e propugnatore dei diritti del popolo. Fu a questa scuola che io mi formai fin dalla mia lontana giovinezza ai principi della difesa dei deboli.»

Gli sovveniva alla mente il culto per lo Spedalieri allora vivo all'Università di Napoli, il cui pensiero era condiviso dal Bovio, dal Miraglia e dal Lilla. Il Pepere, altro professore di quella Università, alla fine del suo corso di Storia del Diritto, consacrava ogni anno una lezione al grande filosofo intitolata "La dichiarazione de' diritti dell'uomo e Spedalieri".

Cosi era nata in Giuseppe Cimbali l'idea di far apporre una lapide, a Bronte, nella casa dove lo Spedalieri era nato (1740). Con pubblica sottoscrizione la lapide venne eseguita e domenica 13 ottobre 1878 inau­gurata. Naturalmente era stato scelto lui a tesserne l'elogio commemorativo. Tutto questo però lo giudicava incompleto, riduttivo.

Bisognava risalire all'Opera, che, al suo primo apparire (Assisi 1791), era stata messa all'indice in tutti gli Stati e con gli anni se ne era persa anche la memoria. Lo scrittore cercò il prezioso volume a Napoli, a Roma, inutilmente. Da topo di biblio­teca (era questo uno dei due pseudonimi da lui usati, l'altro era Monte Barca), consultò biblioteche, archivi pubblici e privati, diari, carte ingiallite che parlassero dello Spedalieri, invano.

Dopo anni di ricerche trovò il prezioso volume "Dei diritti dell’uomo" a Recanati (dove nel periodo estivo trovavasi in vacanza), in casa del Leopardi (il libro, fra l'altro, recava scritta questa frase del poeta: "questo libro parla molto bene; ma disgraziatamente per gli uomini tutti, o non s'intende affatto, o s'intende molto male").
Il Cimbali approfondì gli studi sul filosofo e pubblicò dieci anni dopo "Nicola Spedalieri pubblicista del secolo XVIII" (in due volumi, Città di Castello, 1886) e "L’Antispedalieri, ossia despoti e clericali contro la dottrina rivoluzionaria di N. Spedalieri", (Torino, Unione Tipografica Editrice,1909) e, con lo pseudonimo di Topo di biblioteca, "Attorno a Speda­lieri, i vituperi di un secolo" (Roma, 1899).

Oltre alla cospicua produzione letteraria che va dalle novelle ai romanzi, ai saggi di filosofia sociale e giuridica, Giuseppe Cimbali diresse anche due riviste trimestrali: "Lo Spedalieri" (1891-92) e, in piena guerra mondiale, "I diritti dei popoli" (1917-19). Propose anche di immortalare lo Spedalieri con un monumento a Roma e con l'aiuto del Re, del governo, di molti scrittori, filosofi giuristi e uomini politici e di numerosi comuni siciliani riuscì a realizzarlo nel 1903.

Morì a Roma a sessantasei anni, nel 1924, e le sue spoglie mortali furono trasferite a Bronte e tumulate nel locale cimitero. A rendergli onore una folla di studenti, operai, e amici e i gonfaloni di molti comuni della Provincia (da Catania a Linguaglossa).

Un suo libro (Terra di fuoco, leggende siciliane) è stato recentemente ristampato a cura e con introduzione di Giorgio Pannunzio.

  Gli scritti di Giuseppe Cimbali

 

Una BREVE NOTA BIOGRAFICA scritta dallo stesso Cimbali in "Ricordi d'infanzia e giovinezza":

Giuseppe Cimbali (1893)«Nacqui, in Bronte, alle falde occidentali dell'Etna, da Antonino Cimbali, medico e chirurgo, e da Marianna Leanza.

Lo stato civile attribuisce l'avveni­mento al giorno 13 mar­zo 1858. Mia madre mi diceva che deve, invece, attri­buirsi al giorno precedente e che venni al mondo (gli astro­logi ne tirino fuori l'oro­scopo) men­tre si scatenava, sul paese, un furioso, mai vi­sto tem­porale, con relativo accom­pa­gnamento di fol­gori e tuoni.
De' quattro figli (tutti maschi) io giunsi, in famiglia, il se­condo. Il primo fu Enrico, il terzo Francesco, l'ultimo Eduardo.

Giuseppe Cimbali (1880)Al contrario del fratello Enrico - che fu un prodigio di pre­cocità e che questa pagò assai cara morendo a 31 anno e mezzo, ma non senza avere prima legato, indissolubil­mente, il suo nome alla riforma del Diritto privato - io fui, ne' primissimi anni, oggetto di pietosa curiosità, di dolo­rosa preoccupazione.

Nulla avevo (ripeto impressione al­trui) della vivacità, dell'irrequie­tezza, dell'alle­gria pro­prie dell'infanzia. Non ridevo, nè sorridevo, nè cercavo compagnia di coe­tanei. Sembravo votato alla solitudine, al silen­zio, all'iner­zia. Ero capace di stare mezze giornate intere in contem­pla­zione non si sa di che, in casa sopra una sedia in campa­gna sopra un sasso.

Mi distinguevo solo mostrando, in tut­te le ore del giorno, un grande appetito. [...] Ad un certo punto, feci, in casa, le funzioni di primo­ge­nito. Enrico, per la sua incorregibilità, era stato collocato nel patrio Seminario (al Collegio Capizzi); non vi stette, però, più di un anno. lo non solo studiavo molto; ma pre­tendevo anche che molto studiassero i due fratelli, che erano di me più piccoli.

Mi faceva rammaricare, assai, il terzo, Francesco. Ben­chè molto svegliato, amava poco i libri e, volentieri, pre­feriva la campagna.

Mio padre, spi­rito positivo, faceva sentire che, se egli non avesse voluto studiare, non avrebbe trovato diffi­coltà alcuna a destinar lo definiti­va­mente alla cam­pagna. Più che un propo­sito, a me sembrava questo una minaccia, un pericolo e ci piange­vo a calde lacrime ...» [Giuseppe Cimbali, da “Ricordi d'infan­zia e di giovinez­za", Roma, Tipo­grafia Editrice “Roma”, 1913].


GIUSEPPE CIMBALILe foto ci sono state gentilmente fornite dal pronipote Franco. Quella sopra a sinistra è stata scattata a Napoli nel 1880, le altre sono del 1893, quando il Cimbali lavorava e viveva a Roma.

Nell'ovale a sinistra, una preziosa e ra­ra fotografia di Giu­sep­pe Cimbali, scat­tata dall'amico scrittore Luigi Capua­na. La foto porta sul retro la dedica auto­grafa del Capuana («Rag­giante di pallore... Il fotografo L. Capua­na»).

Benedetto Radice definì Giuseppe Cimbali "infatica­bile agitatore d'idee" e "lottatore in­stan­cabile per il trionfo del diritto dei popo­li". Propugnatore della giustizia internazionale e della organizzazione giu­ridica  della vita dei popoli.

Cimbali dimostrò doti e operosità di filosofo, di artista, di burocrate: ma dove trovava il tempo di occuparsi di tante e sì disparate cose, diceva l'onorevole Orlando, suo estimatore. Il Cimbali rispose con due parole: Non perdendone. E - aggiunge il Radice - «ecco la frase che scolpisce e nobilita questo lavoratore del pensiero. E come il buon vecchio lavoratore egli cadde lavorando in mezzo il solco.»
Giuseppe Cimbali, negli ultimi anni, scrisse il libro  "Dal­l'anar­chia interna­zionale alla Dichia­razione dei diritti dei popoli come fonda­mento della Società delle Nazioni" (Bempo­rad, Firenze, 1920)
 

Uno sguardo sul Cimbali narratore

Terra di fuoco e altre fiamme

«Accingersi a studiare un volume come Terra di fuoco è, per lo studioso, un piacere che va oltre il pur grati­fican­te elemento della pubblicazione. Le leggende nar­rate da Giuseppe Cimbali trovano la loro originalità sia nel pro­fondo “humus” siciliano in cui sono immerse, sia nel­l’uti­lizzo di stilemi di tipo combinatorio che collo­ca­no il no­stro autore all’interno di un retroterra lettera­rio as­sai ben cono­sciuto, quello della Roma bizantina e de­ca­dente ove operavano il D’An­nunzio e i suoi affezio­nati “sodales”.

Ed è sembrato quindi logico, met­tendo riparo ad una la­cuna quasi inspiegabile, esaminare quello che può es­se­re considerato il testo più significativo del Cimbali nar­ra­tore (da un lato), cercando anche, con­tem­po­ra­nea­mente, di porre in evidenza quali siano i legami del volu­me del Cimbali con la cultura del tempo.
Oltre a ciò, si è voluta pure operare una prima distin­zio­ne critica sul Cimbali come scrittore di romanzi e no­vel­le, attraverso un’analisi di molti tra i suoi testi che appa­riva finora mancante o per lo meno assai lacu­nosa.» [Giorgio Pannunzio, Noterelle di letteratura siciliana]

In questo suo lavoro, Pannunzio analizza tre delle opere del Cimbali anche in riferimento alla giovanile colloca­zione al­l’interno del panora­ma letterario romano “fin de sié­cle”: i romanzi Alba e Venere Capitolina e, in modo più appro­fondito, la raccol­ta di novelle Terra di fuoco.


Leggi anche: "Per Giuseppe Cimbali", di B. Radice (da Il Radice sconosciuto, nostra ediz. digitale (), pag. 152).

Uomini illustri di Bronte

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