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I parlamentari brontesi

I personaggi illustri di Bronte, insieme

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Giacomo Meli, Giuseppe Castiglione, Placido De Luca, FRANCESCO CIMBALI, Vincenzo Saitta, Luigi Castiglione, Antonino Isola, Biagio Pecorino, Vito Bonsignore, Pino Firrarello, Salvatore Leanza, Nunzio CalannaFranco Catania, Giuseppe Castiglione


Fu Sindaco e Deputato, sostenne sempre i Diritti e gli Interessi di Bronte

Francesco Cimbali

Lasciò la medicina per dedicarsi alla politica

Francesco Cimbali, ufficiale medico nel 1887Francesco Cimbali (Bronte 1860 – 1930), medico, fu sindaco di Bronte nel 1895, nel 1903 e nel 1914, consigliere provinciale e secondo deputato brontese a Montecitorio (eletto nel Collegio di Bronte nel 1893). Fu il terzo di quattro fratelli che raggiunsero alti livelli culturali in campi diversi: Enrico, (Bronte 1855 - 1887, avvocato e giurista), Giuseppe (1858-1924, giurista, filosofo, e scrittore) e Eduardo (1862-1934, pubblicista, professore di Diritto Internazionale).

Iniziò gli studi a Bronte nel Collegio Capizzi, li proseguì nel Liceo Spedalieri di Catania, per laurearsi in Medicina a Napoli nel 1880. Ben presto cominciò a farsi conoscere nell'ambiente medico-universitario pubblicando in varie riviste articoli scientifici ed opuscoli vari di patologia e clinica medica.

Fu anche medico a Firenze e a Roma (all'Ospedale Militare e al Santo Spirito).

Nel 1889, alla vigilia di ottenere la libera docenza all'Università di Roma, torna a Bronte per curare il padre Antonino (sindaco di Bronte nel 1862) colpito da apoplessia. Decide di rimanere nella città natale e si dedica alla politica militando nel Partito democratico.

Nelle elezioni nazionali del 1890, appoggiato anche dall'altro deputato catanese Marchese Di Sangiuliano, ottiene nel secondo collegio di Cata­nia circa l’80% dei suffragi (3.316 voti) ma la sua elezione non fu convalidata per cavilli giuridici.
In quel periodo Bronte contava poco più di 630 iscritti nelle liste elettorali per la politica (per l'amministrativa erano oltre 750).

Francesco Cimbali venne nuovamente eletto deputato della XVIII legislatura nei "comizi generali" del 1892 con 2.366 voti contro i 1.341 dell'altro candidato del Collegio di Bronte, Salvatore Pace.

«Quell'elezione fu allora annullata - scriveva Francesco Cimbali - perchè i miei amici di Bronte non mirarono solo a vincere, ma a stravincere: e perchè, ciò facendo, commisero tali illegalità che portarono all'annulla­mento».

Ma non furono solo "gli amici di Bronte" a far annullare l'elezione. La storica irlandese Lucy Rial scrive che anche i Duchi Nelson fecero la loro parte.
«All'inizio degli anni Novanta, - scrive la Rial - la Ducea sostenne un politico conservatore di Randazzo, il barone Vagliasindi, come proprio rappre­sen­tante al Parlamento italiano, e avversò la candidatura di un giovane radi­cale brontese di nome Francesco Cimbali.
Nella primavera del 1892, mentre a Bronte si minacciava la rivolta, l'ele­zione di Cimbali venne dichiarata nulla, a quanto pare in conseguenza di pressioni operate direttamente dalla Ducea.» (La rivolta. Bronte 1860, pag. 229)

«Annullatasi l'elezione, si presentò candidato contro di me non il Pace ma l'onorevole Vagliasindi. Ed anche questa volta il mio nome uscì trion­fante dall'urna, riportando io n. 2.862 voti contro n. 2.533 avuti dal Vagliasindi».

Cimbali restò in carica fino al 23 maggio 1895.

Francesco Cimbali nel 1930Francesco Cimbali, pochi anni prima di morire, e (a destra) la moglie Maria Leanza, nata a Bronte il 1 Feb­braio 1858 da don Nicola e donna Elisabetta Grisley.
Si erano sposati nella chiesa della Matrice il 26 Novembre 1891.

Nel 1892 così scriveva sul "deputato bronte­se" Francesco Cimbali "La Tri­buna Illu­stra­ta" :
«Francesco Cimbali, nato nel febbraio
Francesco Cimbali (da "La Tribuna Illustrata" del 27 novembre 1892)del 1860, ha ora poco più di trentadue anni.
Fatti gli studi secondari in Bronte prima, e in Ca­tania poi, andò a compiere quelli universitari in Napoli, dove stu­diò medicina.ppena lau­reatosi, fece il medico militare, non per vocazione ma per obbligo di leva. Durante il colera dell'84, mentre tutti sfug­givano le città in­fette, il dottor Cimbali chie­se al ministero della guerra di essere mandato a Napoli, dove dare prove luminose del suo coraggio.
Appena potè, lasciò le spalline per esercitare libera­mente la professione per coltivare la scienza; e, come i suoi fratelli, anzi insieme coi suoi fratelli, piantò le sue tende in Roma.»

(da La Tribuna Illustrata, anno III n. 48, Roma 27 novembre 1892)

Nelle successive elezioni nazionali del 1895 ebbe ancora una volta con­tro il deputato randazzese barone Paolo Vagliasindi (foto a destra) e pur avendo da de­putato "so­stenuto a tutt'uomo e con tanti sacrifizii i diritti e gli inte­res­si di Bronte" ancora una volta la lotta fu durissima, condotta con qual­siasi mezzo e senza esclusione di colpi ("male arti, sleali mezzucci e basse manovre", scriveva la Gazzetta di Catania).

Il randazzese era appoggiato e sostenuto dalla Ducea e dal partito dei "ducali" ed alla fine la spunto Vagliasindi.
«Mi per­metta - scriveva il barone al futuro V Duca, il Duchino Alexander Nelson Hood, il 1° giu­gno 1895 - di ripeterle l'espressione della mia viva riconoscenza per l'alta adesione, ch'Ella volle concedere alla mia candidatura politica; io gliene professo grati­tudine per la vita» (Archivio Nelson, vol. 590-C1, p. 251). La lotta infatti era stata durissima ed incerta fino all'ultimo ma l'aiuto della Ducea era stato determinante.

Fu scomodato anche …Nicola Spedalieri. Una finta lettera indirizzata dal no­stro filosofo agli elettori di Bronte fu pubblicata il 31 marzo 1895, po­chi giorni prima delle elezioni, dal “Sancio Panza” (un giornale catanese, vicino al Vaglia­sindi, che si definiva "politico, umoristico, letterario, teatrale"). Ve la riproponiamo:
 

1895, «Epistola agli elettori di Bronte

Riceviamo copia di una lettera circolare che pubblichiamo con piacere, nell'intento di far cosa grata all'autore, nostro... amico d'infanzia.

Paradiso (data del... timbro postale).

Ottimi concittadini,

Dal giorno della mia partenza per queste amene e salubri contrade, or è quasi un secolo, non vi ho dato più mie notizie. Approfitto, però, della partenza d'un corriere che il Padre eterno manda al mio amico personale Leone XIII, per indiriz­zarvi questa mia. Anzitutto, debbo informarvi che godo ottima salute, e continuerei a trovarmi ancora meglio, se, da circa un decennio, non avessi un'assai grave preoccupazione.
I fratelli Cimbali (Iddio li abbia sempre in gloria!) non fanno altro che stampare volumi e opuscoli di studi, critiche e ricerche sulla mia vita e sulle mie opere. Mi hanno, anzi, innalzato monumenti di marmo e di... carta, rendendo, per tal modo, celebri me e se stessi. Potete facilmente immaginarvi quanto io sia loro grato per tanta gloria sparsa sulle mie ceneri, e non vi nascondo che mi trovo anche imbaraz­zato, non sapendo come disobbligarmi.
Avrei voluto mandar loro alcuni confetti, manipolati qui da talune mona­chelle, delle quali io tengo in cura le anime; ma i Cimbali son troppo grandi, per gra­dirli. Ho pensato rendere pariglia, stampando, in … quattrocento volumi in folio, la loro vita; ma chi li… leggerebbe?

Adesso però, a trarmi da tanta confusione, è arrivata quassù una buona no­vella. Qualcuno dei tanti miei laudatores, in omaggio alle idee da me propu­gnate nei…«Diritti dell’uomo», vuol tornare ad esser deputato. Qual fortuna per me! E’ giunto il momento di rendergli quel tale servizio…
Deh, miei cari cittadini brontesi, rimandatelo dunque al Parlamento accor­dategli il vostro appoggio, ed io ve ne sarò riconoscente per tutta la vita futura. Amici, io sono sicuro che alla vostra gloria paesana non negherete questo favore. E. come anticipato ringraziamento, vi mando, dall’alto dei cieli, una speciale… benedizione – stavo per dire maledizione! - concessami dal Padre eterno apposta per voi.
Credetemi sempre, quantunque… morto e sepolto, vostro

Niccolò Spedalieri
Visto - Il Segretario Generale San Pancrazio»

«Quantunque la lettera rimessaci dalla buon’anima di Spedalieri - con­tinua il Sancio Panza - sia veramente nobile, noi temiamo che, questa volta, i Bron­tesi, i quali sono tutti... protestanti, finiranno col preferire don Paolo Vaglia­sindi al bravo dott. Cimbali.
Ciò sarebbe, perchè nasconderlo?, una vera e propria disgrazia; e, le funeste conseguenze di essa, potrebbero provocare una rivoluzione in Paradiso, co­stringendo, così, quel rigoroso... Ministro degli affari interni che è sua eccel­lenza San Pietro a proclamare lo stato d'assedio. Brrr!...» (“Sancio Panza”, politico umoristico, letterario teatrale, anno I, n. 2, Catania 31.3.1895)


Un altro un quotidiano di Catania (Il Corriere di Catania, anno XVII n. 116 di martedì 30 Aprile 1895), che appoggiava apertamente la candidatura del randazzese Vaglia­sindi, così scriveva nel 1895, in piena campagna elettorale:

1895, «Cronaca elettorale - Collegio di Bronte

Bronte 29, ore 15, 20 - Iersera pochi non elettori, colla banda municipale, ten­tarono una dimostrazione completamente abortita in favore del candi­da­to Cimbali. Giunto invece stamane l'on. Vagliasindi ha ricevuto cordiali e sim­pa­tiche accoglienze da numerosissime elettori.
Sono presenti tutti gli amici del Vagliasindi; i Saitta, i Deluca, i Leanza, i Rizzo, Venia, Pace, Baratta, Ciraldo, Dibella; i Zappalà, i Sofia, Pettinato, ed altri in gran numero. Il paragone riesce disastroso e schiacciante pel Cimbali.»
In quell'anno gli elettori brontesi iscritti alle liste elettorali "nazionali" erano 417 ed il Collegio di Bronte oltre a Bronte comprendeva i comuni di Randazzo (392), Maletto (61), Adernò (343) e Biancavilla (248) per un totale di 1.461 elettori.

«Il telegramma del nostro corrispondente da Bronte - continua il Corriere di Catania - non ci sorprende, ed anzi conferma le nostre precedenti notizie, e le informazioni esatte che avevamo ricevuto sulla posizione elettorale del Comune di Bronte. Ed ora vengano ancora i sostenitori della candidatura Cimbali a parlare di gran maggioranza a Bronte in favore del loro protetto…».

In quelle elezioni del 26 maggio 1895, Bronte (come anche oggi si suole fare!) voltò le spalle al brontese Francesco Cimbali, candidato locale, che non fu riele­to. Con i voti determinanti dei brontesi (172 a favore di  Paolo Va­gliasindi, 14 per Francesco Cimbali) la spuntò il barone randazzese. Randazzo invece votò compatto a favore del proprio cittadino (342 voti con­tro i 4 di Cimbali) mentre Maletto si dive esattamente a metà (26 voti per Cimbali, 27 per Vagliasindi).

«Avrei potuto allora  - scrisse in seguito Francesco Cimbali - denunziare alla Giunta per le elezioni i brogli e le violenze che lo fecero diventare de­putato; ma preferii lasciarlo libero e non dargli le noie che egli aveva dato a me, per­chè io, se sono disposto ad accettare le funzioni pubbliche che mi si offrono, non amo sollecitarle».

Francesco Cimbali fu un convinto sostenitore di Giolitti; lo definiva "forza nuova" e "uomo destinato ad interpretare rettamente i bisogni dell'Ita­lia". Nei tre anni di permanenza a Montecitorio onorò il mandato conferi­togli fa­cendo sentire la sua voce sui gravi problemi della vita nazionale (pro­nunziò discorsi sul servizio sanitario militare, sul regime dei concorsi sulle cattedre universitarie, sulla riforma degli studi e sulla libertà di inse­gna­mento).

Tutelò anche anche gli interessi del piccolo Comune di Bronte: contro il servilismo del Prefetto e del Ministero dell'Interno nei confronti della Ducea presentò interrogazioni "sulla dannosa lentezza della autorità tutoria ad ordinare gli urgenti provvedimenti di giustizia reclamata dalla amministrazione comunale".

Con un'altra interrogazione chiedeva i motivi che avevano determinato il decreto su «il disarmo generale severamente rigoroso in tutte le Provin­cie della Sicilia che, mentre privava della legittima difesa i cittadini, one­sti ed amanti dell'ordine, non garantiva dal pericolo dei mali intenzio­nati.»

Svolse anche attività di scrittore e di giornalista (scrisse anche articoli di fondo sul Giornale di Sicilia). Per strappare i bisognosi agli artigli degli usurai, nel 1910 fondò la Cassa popolare "Enrico Cimbali" di cui fu per molti anni anche Presidente. Nel 1914 venne rieletto sindaco di Bronte (lo era stato già nel 1895 e dal 1903 al 1905) e Consigliere provinciale. Pubblicò il libro "Ambiente politico e riforme".

Francesco Cimbali è morto a Bronte il 26 febbraio del 1930.

(nL)

   

1892 - La festa per l'Elezione a deputato di F. Cimbali

1892: A destra, una antica rarissima foto della sfilata dei cittadini brontesi nella "Strada nazionale da Bronte a Randazzo" (oggi corso Umberto) in occasione della venuta a Bronte della Commissione per l'elezione a Deputato di Montecitorio di Francesco Cimbali.

Ed ecco cosa in merito scrivevano due giornali, Il Corriere di Catania e La Tribuna di Roma:


«Cronaca dalla Provincia

« …reduce da Bronte, per assistere alla proclamazione del depu­tato di questo collegio, porto meco una impressione mai inde­lebile del­l'en­tusiasmo di quella cittadinanza. Si diceva che Bronte come un solo uomo propugnasse la candi­datura Cim­bali, io scettico per abi­tudine, non credevo ai si dici, e volli de visu costatarlo.
E di fatti, introdottomi in mezzo ad una commissione di qui, che por­tavasi a felicitare il Cimbali, pel suo splendido risultato, non ap­pena posto piè nel capo collegio, fui spettatore di una imponente e colossale dimostrazione.
Tutti i balconi gremiti di signore e signorine gettavano fiori e ghir­lande sui dimostranti e presidenti delle varie sezioni, ivi con­venuti, che percorrendo la Strada principale si portavano al municipio per procedere alla proclamazione. In tutte le strade e piazze di Bronte il popolino dandosi alla più schietta e spon­tanea allegria, intrecciava dei balli locali gridando; E la vittoria è nostra, non sinni parrà cchiù.
Deggio dire in onore del vero, che in mezzo a tanta agglo­merazione, nessun disordine successe e nessuna manifesta­zione ostile si fece ai fautori della candidatura Pace.
Fatta la proclamazione, l'on. Cimbali, affacciatosi al balcone, ringra­ziò il popolo festante, pronunciando elevate ed acconcie parole. I tripudii e le feste popolari continuarono sino a sera. [Mallio]» (Il Corriere di Catania, anno XIV n. 315, di Sabato 12 novembre 1892)


«Dopo la battaglia

Biancavilla, 12 - (G. R. C.) Si diceva dai partigiani del caduto Pace, che in Bronte i fautori del Cimbali a furia di violenze e vie di fatto, avessero alterato il risultato dell'urne.
Io invece posso assicurarsi che trovandomi con i presidenti di qui, ivi, per procedersi alla pro­clamazione, ho trovato una popolazione, tranquilla ed entusiasta, la quale non gridando abbasso a nessuno, acclamava freneticamente la vittoria dell'on. Cimbali. Volli assumere informazione se violenze fossero avvenute durante la votazione, e varie persone degne di fede mi assicurarono che il mas­simo ordine e la calma avevano imperato lungo tutto il giorno, meno che nella nona sezione ove gli amici di Pace, visto che il ter­reno non era propizio al loro candidato fecero di tutto a che la votazione ivi non avvenisse.
Il trionfo di Cimbali si deve allo spontaneo sentimento del corpo elet­torale di questo collegio, il quale meno a Randazzo ha dato la splendida vittoria all'eletto.» (La Tribuna, anno X, n. 316, Roma Lunedì 14 Novembre 1892)

 

 

Cronaca elettorale del 1892

(articoli tratti da giornali dell'epoca conservati nella biblioteca del R. C. C.)


11 Settembre 1892

La candidatura Cimbali

Francesco Cimbali, deputato nel 1895«La candidatura dell'egregio dott. Francesco Cimbali e stata accolta in questo collegio con grandissimo favore, e direi quasi con entu­siasmo. Non occorre dire che qui in Bronte che è il comune più importante del colle­gio, come quello che ha presso a quattro mila elettori, il Cimbali raccoglierà l'unanimità dei voti, perchè, a tacere dei meriti grandi di questo giovane che ha saputo meritare la pubblica stima, i brontesi hanno sempre aspirato all'onore di mandare un loro concitta­dino al Parlamento Nazio­nale, ed ora son lieti di veder prossimo a compiersi questo loro desiderio.
In Adernò ed in Biancavilla con felice accordo si sono riuniti tutti i partiti, e da tutti si propugna la candidatura di questo giovane egregio, che fin dal principio della sua carriera politica ha saputo ispirare tanta fiducia da ottenere che mili­tino nel suo campo uomini dalle idee più disparate, convinti che egli con la sua onestà, la sua intelligenza e la lealtà, di cui ha dato non dubbie prove, sa­rà tutto dedito agl'interessi della nazione in generale e del collegio in particola­re e che, pur reputan­dosi fortunato di poter comporre i dissensi che travaglia­no i nostri comuni, si terrà alieno dalle gare municipali, rispettando tutti e cer­cando di tutelare gli interessi di tutti; ond'è che è facile argomentare che tanto in Adernò quanto in Bian­cavilla il Cimbali ha buona ragione di sperare l'unani­mità dei suffragi.
Tale unanimità la otterrà pure in Maletto, dove si è costituito un numeroso Co­mitato composto dalle persone più chiare per onestà e per censo, le quali af­fermano che il Cimbali otterrà tanti voti per quanti sono gli elettori del comune. Solo in Randazzo si propugna la rielezione dello on. Vaglia­sindi, il quale, se non ha altri moccoli da accendere, può fin d'ora rassegnarsi a rimanere al buio. (Victor)» (Il Mattino, anno I, n. 182 del 13-14 Settembre 1892)

E lo stesso Victor in una corrispondenza da Bronte del 5 ottobre 1892, così scriveva:

«L'altra sera, nella grande aula di questo Casino dei Civili, sotto la presiden­za del dott. Arcangelo Spedalieri, si tenne una prima. adunanza elettorale, che riuscì oltre ogni dire imponente e solenne, sia pel numero straordinario del­le persone che v'intervennero, sia per il contegno dignitoso con cui tutti dal principio alla fine si comportarono.
Esposte in breve da persona colta ed intelligente le presenti condizioni di que­sto collegio e le ragioni che danno al nostro candidato la certezza del­la riu­scita nell'imminente lotta elettorale politica, si deliberò all'­unanimità di espri­mere per telegramma a S. Ecc. il marchese di San Giuliano i più sentiti rin­graziamenti pel favore da lui dimostrato verso la candidatura del nostro egre­gio concittadino; di ringraziare tutti i sodalizii di Adernò, Bian­cavilla e Maletto, che hanno aderito al program­ma del dottor Cimbali e ne propugnano l'elezio­ne a deputato al Parlamento; di costituire un comitato elettorale centrale che prenda gli opportuni accordi coi comitati delle altre sezioni del collegio e si metta fin da ora all'opera per procurare che l'ele­zione del Cimbali sia coronata qui in Bronte da un vero plebiscito.
E' cosa in vero difficile descrivere l'entusiasmo con cui furono accolte ed ap­pro­vate tali proposte. Si leggeva nel volto di tutti l'affetto che questa cittadi­nanza nutre per la famiglia Cimbali: affetto che, misto all'amor di patria che al­berga nel cuore di questo popolo trionferà di tutte le sleali manovre a cui i nemi­ci di Bronte tentano ricorrere per riuscire nei loro fini.
Del resto il giorno dell'elezione non è lontano e si vedrà allora quello che saprà fare questo popolo generoso.» (Il Mattino, anno I, n. 208 del 9-10 Ottobre 1892)

«La situazione di questo collegio ha subito, di questi giorni, un notevole can­giamento. L’onorevole Vagliasindi ha pubblicato per la stampa che non inten­de ripresentare la sua candidatura nei prossimi comizi generali, e, riti­randosi, ha designato l’egregio signor Salvatore Pace ai suoi amici elettori di Randaz­zo e degli altri paesi del Collegio. … In questo Collegio avremo, quindi, lotta strenua fra due candidati brontesi, Pa­ce e Cimbali….» (Gazzetta di Catania, n. 299 del 27 Ottobre 1892)


«Candidatura Pace a Bronte

«La candidatura del signor Pace in questo Collegio va acquistando sempre più maggiori simpatie. Essa s'impone da sè per virtù di contrasto e trion­ferà. Il suo programma, puramente democratico, è un raggio luminoso di rigenerazio­ne morale e politica, che incarnerà nella sua immutabile vita pubblica.
In tutte le manifestazioni della sua attività egli vuol lasciare il proprio stampo, la propria caratteristica, la propria originalità. È tutto d'un pezzo, non si piega e non si spezza. È, e sarà sempre, quello che s'è mantenuto finora, con gli stessi amori, con le stesse idee con la stessa fede incrollabile. Il Pace; ne siamo sicuri, uscirà dall'urna con una vera e propria dimo­strazione di tutte le classi della cittadinanza del collegio di Bronte. E sarà onore meritato.» (Il Fulmine, giornale del Popolo, Catania 31 Ottobre 1892)


I Comizi generali del 1892

«(nostro telegramma) Bronte, 31 ore 8 ant.

La candidatura Pace a Bronte
(Baratta) ieri sera un'immensa folla di popolo percorse le prin­cipali vie della città, acclamando entusiasticamente la candi­datura di Salvatore Pace. Giudicasi sicurissima la riuscita.» (Gazzetta di Catania, giornale politico quotidiano, 1 Novembre 1892)

Per la cronaca, Salvatore Pace — che, scrivevano i giornali dell'epoca, «ol­tre ad essere il vero tipo perfetto di gentiluomo e d'onesta specchiata" era anche "abbastanza ricco di censi, questione molto seria e di sommaria impor­tanza" ed anche dal "carat­tere franco e leale, principii schietta­men­te demo­cratici, attitudine speciale e studii particolari per il migliora­mento delle condi­zioni economiche delle classi agricole ed operaie del Col­legio»  — nelle elezioni politiche del 6 Novembre 1892 fu sonoramen­te trom­bato. I 4.744 elettori votanti (su 8.846 iscritti) dei Comuni di Bronte, Randazzo, Adernò, Biancavilla e Maletto preferirono Francesco Cim­bali con 3.315 voti (i voti dati a Pace furono 1.382).

Elezioni politiche del 1892-95

Le «strane» liste elettorali del Comune di Bronte

L'articolo che segue parla delle irregolarità nella composizione delle liste elettorali del Comune di Bronte. E' apparso sul giornale napoletano "Il Paese" (anno VI, N. 147) di Domenica 27 Maggio 1894. C'è da dire che il quotidiano campano orbitava nell'area governativa del Presidente del Consiglio dell'epoca (era Sonnino) ed osteg­giava aper­tamente il gruppo politico d’opposizione dell’on. Giolitti (in cui militava anche l’on. Francesco Cimbali).

C'è da dire, anche però, che lo stesso articolo veniva pubblicato dal Corriere della Sera del 29-30 Maggio 1894 (Anno XIX n. 146) con il titolo Bricconate elettorali. Il Corriere scrive di averlo tratto da un altro quotidiano Il Secolo XIX.

«Si sta discutendo alla Camera, nelle ore antimeridiane, un progetto di legge per sopprimere le frodi che si commettono nella compilazione delle liste elettorali. Sarà bene a questo proposito riportare, riassumendola, una lettera romana del Secolo XIX.
L'abbiamo già detto: purificare la nostra vita politica è il bisogno supremo del paese. E' dunque utile dare pubblicità a quei fatti che dimostrano questo bisogno, richiamando continuamente sovra esso l'attenzione del pubblico.
Il commissario prefettizio, mandato nel comune di Bronte in Sicilia per la revisione delle liste elettorali, ha scoperto tante irregolarità in quelle liste, che su 2847 elettori ne ha trovato solamente 525 che abbiano titoli validi per essere tali, e ne ha cancellato nientemeno che 2322, i quali tutti non avevano il diritto elettorale.
Le indagini fatte sulle liste di quel comune hanno dato risultati meravigliosi. Tra gli elettori iscritti si sono trovati 150 morti, 1500 analfabeti, e fra i morti alcuni che erano passate all'altra vita da un ventennio. Il più doloroso è che questi morti, questi analfabeti non solo rimanevano iscritti nelle liste, ma figuravano come votanti in tutte le elezioni politiche.»


Gravi fatti

La revisione delle liste

Roma, 26, (maggio 1894)
V. Riccio)
Il commissario prefettizio, mandato nel comune di Bronte in Sicilia per la revisione delle liste elettorali ha scoverto tante irregolarità in quelle liste, che su 2847 elettori, ne ha trovato solamente 525 che ab­bia­no titoli validi per essere eletti, e ne ha cancellati nientemeno 2322, i quali tutti non avevano il diritto elettorale.

Le indagini fatte sulle liste di quel comune hanno dato risultati meravi­gliosi. Fra gli elettori iscritti si sono trovati 150 morti, 1500 analfabeti, e fra i morti alcuni che erano passati all'altra vita da un ventennio. Il più doloroso è che questi morti, questi analfabeti non solo rimanevano iscritti nelle liste, ma figuravano come votanti in tutte le elezioni politiche.

La diagnosi dei perturbamenti elettorali italiani non è ancor fatta. Se vi fosse chi avesse il tempo ed il coraggio di rivelare le numerose colpe, le incredibili brutture da cui è macchiata la nostra vita pubblica egli farebbe opera patriot­tica, e nobilissima, ma richiamerebbe sul suo capo l'ira di mol­tissimi, perchè dovrebbe scrivere non guardando ad interessi, a partiti, a persone.

Io torno al caso significativo di Bronte. E' deputato di quel collegio il dott. Cimbali, giolittiano venuto alla Camera al seguito del marchese di San Giuliano. E' lo stesso Cimbali che ieri combattè a Montecitorio l'autorizzazione a proce­dere contro il deputato Aprile, dicendo che in fondo questi non ave­va fatto gran cosa: era entrato in una stazione, e poichè un impiegato non aveva voluto lasciarlo passare aveva detto qualche parola vivace, forse aveva dato degli schiaffi all'impiegato. Non erano questi a parere dell'on. Cimbali elementi sufficienti per un processo contro un deputato!

Ecco quali sono le idee del dott. Cimbali intorno all'uguaglianza dei cit­tadini innanzi alla legge, ed intorno alle prerogative parlamentari. Ma non è del dott. Cimbali che io voglio occuparmi. E' del caso di Bronte che ac­quista importan­za per la discussione che si sta facendo alla Camera.

Nelle elezioni generali del 1892 il dott. Cimbali superò il suo avversario per ben 1980 voti, ma la Giunta ad unanimità ne annullò l'elezione, per la irregolarità delle liste elettorali. Il diligente relatore della Giunta, on. Cambrai-Digny, scoprì fatti gravissimi. Trovò che a Bronte il numero delle persone iscritte nella lista rappresen­tava il 21% della popolazione, ossia, circa il quarto di tutti gli abitanti del paese, comprese le donne, compresi i fanciulli.
A Randazzo, altro comune di quel collegio, gli iscritti costituivano il 27% della popolazione. In quella memorabile giornata dell’elezioni generali, nella quale tanti brogli e tante violenze si commisero in tutta Italia, in sette sezioni elet­torali del comune di Bronte si segnò nei verbali un numero di votanti, costi­tuente il 96% degli iscritti, ossia oltre il quinto della popo­lazione.

Naturalmente per fare quel quinto erano portati come votanti gli assenti, i morti, i minorenni. La relazione della Giunta dice che oltre duemila voti ven­nero attribuiti al Cimbali, che questi non aveva avuti. E' incredibile l'impressione che fecero questi fatti quando furono narrati alla Camera. La discussione fu appassionata, vivace. Proposte severe si succe­devano l'una all'altra. Vi fu chi consigliò di mandare le liste al procu­ratore del Re per un processo; altri propose che la Camera senz'altro de­liberasse di eccitare il Procuratore Generale ad esercitare l'azione giudi­ziaria per la revisione delle liste.

Si conchiuse coll’annullare l'elezione di Cimbali, rinviando gli atti dell’ele­zione all'autorità giudiziaria, con l'assicurazione data dal ministro Bonacci che la discussione avvenuta nella Camera sarebbe servita come monito al Procura­tore Generale per la revisione delle liste.

Ma si! Il Cimbali era caro al governo di Giolitti ed al marchesino di S. Giu­liano. Il procuratore generale divennè sordo. La nuova elezione si fece il 16 aprile 1893 con le stesse liste di prima, anzi con un piccolo aumento nel numero degli elettori iscritti. Mentre il 6 novembre nel comune di Bronte vi erano 3525 iscritti, la nuova elezione fu fatta con una lista che portava 3529 elettori.

La Camera aveva rico­nosciuto che erano state iscritte nelle liste duemila per­sone che non ne avevano diritto; ebbene il comune di Bronte quasi a sfi­da, non solo non fece le cancellazioni, ma iscrisse quattro nuovi elet­tori. Quel piccolo aumento, quasi servì a mostrare il nessun conto in cui erano tenute a Bronte tutte le chiacchiere che erano state fatte a Montecitorio.

Il Cimbali naturalmente fu novellamente proclamato deputato ed è rima­sto a Montecitorio. Superò il suo avversario la seconda volta, ma solo per 329 voti. Ebbe nel comune di Bronte la bagatella di 2303 voti, e siccome ora si è rico­nosciuto che in quel comune solo 525 cittadini hanno diritto elettorale, ne segue che nel solo comune di Bronte vennero dati al dott. Cimbali 1738 voti che non gli spettavano.

Ed ecco un uomo che è alla Camera senza che ve lo abbia mandato il corpo elettorale del collegio, che egli apparentemente rappresenta. Ecco un uomo che parla, che vota, che presenta dei progetti di legge, che usa largamente dei diritti, degli onori, dei privilegi annessi alla qualità di legi­slatore, ma che non ha avuto il suffragio del corpo elettorale.»

Il Paese, anno VI, N. 147, Domenica 27 Maggio 1894

Elezioni politiche del 1895, Pro e Contro Cimbali

PRO

«Il movimento elettorale

Bronte, 20 (Aprile 1895).

La posizione elettorale si è oramai nettamente de­lineata: L'on. deputato Cimbali, con program­ma decisamente ministeriale, sala rieletto a grande maggioranza. Bronte, capo collegio o pa­tria del­l'on. Cimbali, vote­rà per lui, e si noti che Bronte, tra tutti i Comuni del collegio, ha la lista più forte. Nei Comuni di Maletto, Adornò e Bian­cavilla avrà certo la maggioranza.

All'altro candidato signor Vagliasindi di opposi­zione e sostenuto da moderati e radicali, non resteranno che i voti di Randazzo, sua patria, e la minoranza degli altri due paesi.
Quanto prima l'on. Cimbali sarà invitato a fare un discorso politico, non si sa ancora se in Adernò o in Biancavilla.»ss="w3r">(La Tribuna, Anno XIII, n. 114, Roma 24 Aprile 1895)

CONTRO

«Collegio di Bronte

19 marzo (Ciclopo). Non ho creduto di informarvi del movimento elettorale del nostro collegio, prima d'oggi, perchè da noi non esiste lotta alcuna: fra Vaglia­sindi e Cim­bali non può esservi lotta. Bronte che era la cittadella del conter­raneo Cimbali, che era la sua forza, oggi è la sua debolezza. Molti sono stati gli errori commessi dal Cimbali nella sua breve legi­slatura e molti malumori circolano e si sono resi giganti, visto la sua qualità negativa.
L'opposizione che da molto tempo ha elevato la voce contro le nullità vesti­te di arroganza e gonfio di vento come gli areostati, si trova rinvigo­rita e sorretta dagli stessi errori commessi dal Cimbali il quale anche nel paese natio non dorme su letto di rose.

Da tal uni si crede ch'egli, si ritirerà cedendo il campo al Vagliasindi, al quale da tutto il collegio proven­gono attestati di simpatia e di stima.
Adernò, Bianca­villa sono pel Vagliasindi; Randazzo, poi, lo porterà in trionfo. Domani vi darò notizie più dice che il Vagliasindi sia in giro per il Collegio.»

(Corriere di Catania, anno XVII, n. 106, Catania 2 Aprile 1895)



Due scritti di Francesco Cimbali


Un articolo pubblicato su "L'Evangelista", periodico religioso settimanale, stampato a Roma il 20 Settembre 1907 (anno XIX, n. 38, pag. 305) da un'idea del pensiero di Francesco Cimbali in materia di rapporti fra

Stato e Chiesa in Italia

«Se lo Stato continuerà a tollerare che i clericali spadroneggino, e se ancora permetterà che i suoi funzionari li aiutino nelle lotte che ingaggiano contro la libertà e contro il progresso, fra pochi anni conquisteranno il Governo: e chi sa se allora non metteranno di nuovo sul tappeto e non risolvano in senso favorevole al papa la quistione di Roma! Il Governo da una parte ed i buoni cittadini dall'altra dovranno cooperare perchè questa calamità sia risparmiata alla patria nostra, e perchè l'Italia, ch'è sempre stata la culla dei liberi pensatori - nemici implacabili dell'intransigenza e dell’intolleranza clericale - continui a mantenersi all'avanguardia del progresso e della civiltà. Non si deve permettere che in Italia la Chiesa faccia guerra allo Stato, e che sotto la parvenza d'essergli sottomessa e di vivere dentro la cerchia delle leggi, cospiri e lotti per imporsi allo Stato e per dare al Governo un indirizzo che sia negazione d'ogni progresso, d'ogni civiltà e d'ogni libertà.

Nè d'altra parte bisogna confondere la Religione, il sentimento religioso e la fede, colle lotte che in nome e per conto di tale nobile e rispettabile principio, i preti ingaggiano. Ai preti conviene far credere che tutti i mezzi di difesa che Governo e Parlamento adoperano per impedire che il clericalismo s'imponga, siano diretti contro la Religione: quindi predicano e declamano contro il Governo e contro tutti coloro che in questa lotta cooperano col Governo. Nè il Governo e né la grandissima maggioranza dei cittadini che lo sostengono intendono lottare contro il sentimento religioso radicato nelle masse. (…) Gridino pure costoro contro l'intervento doveroso dello Stato, s'atteggino pure a vittime di persecuzione: quando lo Stato non mira ad altro che a contenere i preti nei limiti dei soli doveri religiosi, e quando non ostacola in nessuna maniera l'esercizio di tali doveri, può essere indifferente, insensibile alla voce loro.

L’intervento e l'azione dello Stato deve limitarsi ad impedire che i preti facciano politica, o per meglio dire che si servano del sacro ministero di cui sono investiti allo scopo d'ingannare la buona fede del popolo per indurlo a sostenere le loro mire e vedute politiche che nulla hanno da fare colla Religione. Non è lecito ammettere l'esistenza d'uno Stato nello Stato: non bisogna assolutamente sostenere di fronte allo Stato laico, uno Stato cattolico: coloro che si dicono cattolici debbono comprendere che vivono nello Stato, debbono rispettare le sue leggi ed uniformarvisi, e non debbono pretendere un regime speciale fatto a base di privilegi, di tolleranza e di concessioni contrarie all'esistenza stessa dello Stato.

Tollerare oggi tali pretensioni; permettere anche che si faccia propaganda attiva per imporle, significa non aver coscienza dei diritti e dei doveri dello Stato. I ministri della Religione tutto questo dovrebbero intenderlo: e se non lo intendono lo Stato ha i mezzi per tarlo intendere.» [Francesco Cimbali]


Ambiente politico e riforme

Il libro di Francesco Cimbali in una recensione del 1907

(Roma, Ermanno Loescher, 1907)

«Si tratta di un libro scritto con cognizione di causa, perchè l'A., cui altra volta toccò in sorte di sedere fra i rappresentanti legislativi di Montecitorio, è pratico dell'ambiente politico italiano, e sa dove si annidi il marcio, che fa del nostro paese una «nazione profondamente e gravemente ammalata» che esige per guarirsi cure pronte ed energiche. Il male sta principalmente in alto, nei Governi che invece di mirare a procurare e mantenere il benessere e la tranquillità dei cittadini, ed a favorirne il progresso, sono preoccupati di una cosa sola: di conquistare il potere con ogni mezzo; di tenerlo in mano quanto più è possibile, e di tornarlo a conquistare dopo averlo perduto. Questo il pensiero centrale del I° capitolo, intitolato «Costumi politici e riforme» […]

Conseguenza di cotesto sistema di governo è stata la sparizione dei partiti politici materiati di programmi e d'idee. Ormai, come l'A. dimostra nel 2° capitolo «I partiti politici in Italia» l'affarismo ha creato due nuovi partiti: quello ministeriale e quello d'opposizione, rispondenti all'ambizione del potere, che costituisce l'unica vera preoccupazione di chi perviene al governo della cosa pubblica. (…)

Stante la completa anarchia oggi regnante nel nostro ambiente politico, non è possibile la esistenza di partiti politici ben delineati, che possono formarsi soltanto dove si trovano uomini che hanno programmi ed idee da far valere nel governo dello Stato.

Due grandi ingiustizie l'A. denunzia come indice della cecità dei nostri uomini politici passati e presenti: le incompatibilità parlamentari, il mandato gratuito dei deputati. La prima crea odiosi privilegi nella categoria degli impiegati dello Stato, sempre a danno di quelli di medio e d'infimo grado, la seconda rende praticamente impossibile a chi non ha beni di fortu­na di poter usufruire del diritto di farsi eleggere Deputato. Così il mandato legislativo suol'essere affidato ai ricchi, per lo più meno capaci, ed agli affaristi ed intriganti, sempre disonesti.

L'A. suggerisce l'indennità ai deputati e l'obbligo per qualsiasi impiegato o funzionario dello Stato eletto Deputato, di scegliere, entro 15 giorni, tra la deputazione e l'impiego, sempre in facoltà di riavere il proprio posto col grado e l'anzianità che aveva in caso di una mancata rielezione o di rinunzia del mandato legislativo. Tale la materia del 30 capitolo.

Negli altri tre capitoli seguenti si ragiona della riforma degli studi in Italia, dello Stato e la Chiesa in Italia, e della questione del divorzio in Italia.

Con speciale competenza l'A. tratta della riforma degli studi in Italia, dichiarandosi per la «libertà d'insegnamento». Le scuole schiave dello Stato implicano la schiavitù degl'insegnanti e degli studenti ai programmi dettagliati e complicati, che uccidono l'iniziativa personale in chi inse­gna e le inclinazioni individuali in chi deve istruirsi. Da ciò una vita scolastica automatica ed artificiale, per niente rispondente alle esigen­ze della vita moderna. Libertà d'insegnare, dunque, e libertà d'apprendere. Lo Stato deve pretendere serie garanzie da parte di chi vuol dedi­carsi all'insegnamento, deve dare le grandi linee d'un sistema di studi, deve esercitare una rigorosa vigilanza su insegnanti e scuole, deve sottoporre ad esami molto seri tutti coloro che, dopo finiti gli studi, vogliono esercitare professioni o insegnare, ma non deve volere per sè il monopolio dell'istruzione. […]

Tratteggiando i rapporti fra Stato e Chiesa in Italia, l'A. riassume il nuovo orientamento che hanno preso da che il Vaticano, uscendo dalla politica di astensionismo, ha organizzate le sue forze per scendere in campo, alla dipendenza dei vescovi, nelle elezioni ammini­stra­tive e politiche, non senza dichiarazioni ufficiali della persistenza della Chiesa nei suoi sistemi rancidi e nelle sue folli pretese.

Di fronte a questo stato di cose il Governo deve smetterla con la sua politica di equivoci col Vaticano, attendendo alla educazione delle masse ed alla applicazione di quanto le leggi prescrivono contro l'invadenza clericale, senza mai offendere il sentimento religioso. Come esempio dell'acquiescenza del Governo alle imposizioni clericali l'A. ricorda le peripezie toccate alla questione del divorzio. In un paese dove ogni valore è negato al matrimonio religioso e solo è riconosciuto quello regolato dal Codice Civile, si cede al pregiudizio della sacra­mentalità del suo vincolo, e non si osa proclamare che la condanna all'ergastolo di uno dei coniugi, la pazzia incurabile, l'adulterio, l'assoluta incompatibilità di carattere, sono cause che rendono inevitabile la rottura del vincolo matrimoniale.

Nel momento attuale chi vorrebbe riparlare di divorzio, di precedenza del matrimonio civile al religioso e di altri simili problemi sociali e civili? «Ci troviamo, dunque, di fronte ad un arresto nel progresso della nostra legislazione, cagionata dall'intesa tra governo e Vaticano». Proprio cosi, onorevole Cimbali!

(L’Evangelista, periodico religioso settimanale, anno XIX, n. 36, Roma 5 Settembre 1907)
  

I fratelli Cimbali: Enrico, Giuseppe, Francesco, Eduardo

Uomini illustri di Bronte

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