Fu uno dei 443 deputati che nel 1861 approvarono la nascita della Nazione
Placido De Luca Placido De Luca, nato a Bronte il 5 Ottobre 1803 da Vincenzo e Francesca Saitta e morto a Parigi il 1° novembre del 1861, è stato il primo deputato della Città di Bronte. Nel sito storico della Camera figura con il nome di Pasquale Placido De Luca accompagnato da una foto che lo ritrae con una lunga barba (vedi a destra; l'analogo disegno a sinistra è di Aristide Calani, Il Parlamento del Regno d'Italia, 1861). Persona di grande cultura, fu - come scriviamo in altra pagina del nostro sito - un insigne economista ed un giurista di fama internazionale, fratello del Card. Antonino Saverio (Nunzio apostolico di papa Gregorio XVI e di Pio IX presso la Corte di Baviera e di Vienna). Autore d'importanti libri di scienza economica e di statistica propugnò sempre, da convinto difensore, il principio della libertà del lavoro e dell'industria. Il De Luca fu uno dei 443 deputati che il 14 Marzo del 1861, nell'aula semicircolare di Palazzo Carignano a Torino, ad unanimità di voti, proclamarono Vittorio Emanuele Re d'Italia, approvando la legge istitutiva del Regno d'Italia e la nascita della Nazione. Risultò infatti eletto al primo Parlamento Italiano nel Collegio di Regalbuto (di cui faceva parte anche Bronte), con 334 voti su 455 elettori. Scrive il Radice nelle sue memorie (Uomini e cose del mio tempo) che «per suggellare la verità del detto biblico - nemo propheta in patria - nelle elezioni politiche, Bronte ha sempre votato contro i proprii concittadini; solo il dente dell'invidia non morse il Prof. Placido De Luca che nel 1861 fu il primo deputato al parlamento subalpino.» I pochi elettori del Collegio si spiegano col fatto che in quel periodo (e fino al 1912) la legge elettorale prevedeva il diritto di voto solo ai maschi di almeno 25 anni di età che sapevano leggere e scrivere e su base censuaria (dovevano almeno pagare 40 lire di imposta all'anno). E' ovvio che questa legge elettorale favoriva le classi abbienti del Nord del Paese, emarginando di conseguenza la rappresentanza delle popolazioni del Sud Italia, appena liberato dai Borboni. Le elezioni si svolsero il 27 gennaio e il 3 febbraio 1861 e su 22 milioni di italiani ne furono ammessi al voto solo 418.696. Ma per via anche dell'astensione dei cattolici, invitati dal Papa a disertare le urne, i 443 deputati, alla fine, furono eletti da 239.583 votanti, l'1,1 per cento del totale. Gran parte degli eletti apparteneva alla nobiltà (conti, baroni, etc.), agli ordini cavallereschi e, come appunto il De Luca, alla borghesia delle professioni (avvocati, medici, ingegneri, ...). Nel riquadro sotto vi presentiamo una lettera scritta il 21 febbraio 1861 dal neo deputato Placido De Luca all'amico Antonino Cimbali, una delle personalità più influenti a Bronte in quell'epoca, nella quale fa un analitico resoconto dei nove giorni impiegati nel lungo e faticoso viaggio per andare da Bronte a Torino. Vi si recava, insieme ad altri Deputati della Sicilia e della Sardegna, per partecipare, il 18 Febbraio 1861, alla prima seduta del Parlamento del Regno d'Italia che, nell'aula semicircolare di Palazzo Carignano a Torino, approvò la legge istitutiva del Regno d'Italia. La lettera, semplice e discorsiva, è un piccolo documento storico a testimonianza dei tanti episodi del Risorgimento nazionale ed è, a nostro avviso, davvero prezioso ed importante. Disgraziatamente, all'illustre economista brontese, deputato del Collegio di Regalbuto, non fu consentito dalla sorte di prendere larga e duratura parte alla prima legislatura del Regno d'Italia (1861-1865), che avrebbe avuto in lui, economista e giurista di fama internazionale, una delle più figure più importanti. «La morte - scrive B. Radice - troncò la sua attività scientifica e politica in favore della rinnovata vita italiana, e alla Patria mancò un futuro sagace ministro delle Finanze.» Esaurito dal male che lo tormentava da tempo, egli, nel novembre di quello stesso anno 1861, morì in Parigi dove fu sepolto. La sua morte fu annunziata alla Camera nella tornata del 5 dicembre. Di Placido De Luca non abbiamo trovato alcun discorso parlamentare: aveva presentato bensì, da solo, un Progetto di legge sull'ordinamento della Commissione statistica del Regno d'Italia (in dieci articoli, presentato il 17 aprile 1861) e, insieme con altri deputati siciliani, un Progetto di legge intorno al riordinamento giudiziario in Sicilia. Durante la sua permanenza da parlamentare a Torino - scrive Aristide Calani (Il Parlamento del Regno d'Italia, 1960) - il professore De Luca, «oltre all’adempiere con solerzia ed accuratezza i propri doveri negli ufficî e nell’aula dell’Assemblea nazionale, si è prestato anche a dare nell’università di Torino un corso di lezioni d’economia pubblica, che è molto seguito». «Certo - continua lo storico Benedetto Radice (Il Radice sconosciuto, pag. 134) - è che non fu un deputato decorativo, un Rabagas, uno di quei tanti rappresentanti del popolo, che, per via di quattrini, di chiacchiere, di combriccole, scroccano il facile voto di turbe incoscienti, ignari dei bisogni della vita nazionale e che seggono nell'alto consesso per far numeri, servi nati per votare con questo o quel ministro, Girella emeriti! Il De Luca, forte di severi studi economici, cosciente del mandato legislativo diede tutto l'ardore del suo ingegno al bene della novella Italia.» (nL, Settembre 2008)
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Il lungo viaggio di De Luca da Bronte a Torino Torino, 21 febbraio 1861 Mio carissimo Cimbali, La prima lettera, che dirigo in Bronte è questa, e valga per tutti, amici e parenti per saper di me, della mia salute e del mio benestare. Come sai e parmi di averti scritto, da Catania partimmo la sera del nove, e l'indomani fummo in Messina; e, imbarcatici a ventidue ore, da Messina giungemmo a Palermo il dì undici. La sera del tredici a mezzanotte partimmo da Palermo alla volta di Sardegna, ove giungemmo la mattina del quindici nel porto di Cagliari per prendere quei Deputati e Senatori. Lì sapemmo la notizia della resa di Gaeta (la roccaforte borbonica in cui si era rifugiato Francesco II caduta il 13 febbraio, dopo 102 giorni di assedio, NDR), che festeggiammo la sera al pranzo, vuotando due bottiglie di sciarnpagna, regalateci dal Capitano. Partiti da Cagliari verso mezzogiorno, navigammo pel dì sedici costeggiando la Corsica; e poscia uscendo dal Capo Corso ed entrando nel Golfo di Genova il mare facea sentirsi un poco. Ma la mattina sul far del giorno diciasette già vedevamo la bellissima Città disposta ad anfiteatro su quelle colline che la dominano e, poco dopo, verso le otto antimeridiane, entrammo in quel vasto porto pieno zeppo di navigli. Era già la vigilia dell'apertura del Parlamento, e quindi non ci era tempo da perdere. Subito c'inviammo alla strada ferrata, che puntò un viaggio straordinario per le tre e mezzo pomeridiane per noi deputati di Napoli e di Sicilia, raccolti a Genova. Alle otto della sera eravamo già in Torino, dopo di avere attraversato gli Appennini carichi di neve, ma leggiera: il cielo era sereno, e non tirava vento. Fatto sta che tutto quel rigore di clima che ci si dicea, io non ho trovato qui; perché, a dirti la verità, sentivo più freddo costì a Bronte venti giorni sono, che qui in Torino. Trovai il mio alloggio ben preparato per l'amicizia del signor Antonio Currò stanziato a Genova: oltre alla sala ed anticamera comuni col padrone di casa, ho due belle stanze, benissimo addobbate, una per ricevere e l'altra per dormire, Dora, Grossa, n. 45, secondo piano. In questi giorni era difficilissimo il trovare alloggio; e molti di quei che vennero con me la stessa sera fur malissimo alloggiati, finché poi passata la festa e sfollata la città sonosi alla meglio collocati; mentre io giunsi come a casa mia; e vi sto benissimo. Avrete letto ne' giornali quale sia stato il Discorso del Re, quale l'entusiasmo che svegliò nell'adunanza. La solennità è riuscita che meglio non si poteva; e questo avvenimento sarà uno de' fasti primari della nostra storia. La Camera divisa in Uffici si sta occupando dell'esame dell'elezioni; ma di quelle di Sicilia n'eran venute poche sino jeri, tra le quali non ci era la mia. Io non ho da temere altro fuorché il sorteggio, giacchè de' professori d'Università non possono essere Deputati che un ottavo del quinto, ossia una quarantesima parte. Or questo numero sarà ecceduto è quindi andremo in sorteggio per chi deve restare. La mia salute va bene; spero che sia altrettanto di tutti voi altri e dei parenti miei che mi saluterai nella persona di Sebastiano, il quale assumerà di far le mie parti con tutti gli altri. Ed abbracciandoti affettuosamente e baciando la mano del Padre Rizzo mi dico |
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