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Lasciatasi alle spalle Bronte, città dei Ciclopi, intorno al 1888 si trasferisce a Roma sua prima tappa e, successivamente, a Firenze, Sondrio, Fiesole ed a Empoli, dove insegnò a lungo. La vitalità del suo ingegno, la vivacità del carattere, l'arguzie con cui abbelliva la conversazione, gli procurarono ben presto simpatie ed amicizie e gli facilitarono contatti e occupazioni retribuite, dandogli - in pari tempo - modo di erudirsi. Roma lo sedusse tanto ed impiegava le ore libere nello studio dell'archeologia romana e cristiana procurandosi da vivere facendo da cicerone a comitive di turisti. Conoscendo bene il francese e biascicando pure l’idioma inglese era lieto quando poteva mescolarsi ai gruppi di turisti per fare sfoggio della sua cultura e spiegar loro con garbo e disinteresse, il significato d'un rudere, il valore di un monumento, la bellezza di un'opera d'arte. Furono questi contatti con gli stranieri che fecero nascere in lui il desiderio di approfondire la conoscenza delle loro lingue e visitare i loro paesi. Superato il concorso è abilitato all’insegnamento della lingua francese e dal 1889 lo ritroviamo a Ceccano (provincia di Frosinone) insegnare presso il Collegio Berardi. Non ritornando più a Bronte nel periodo delle vacanze estive, Benedetto Radice, viaggiò moltissimo, a cominciare dalla Francia, per acquistare la perfetta conoscenza della lingua di cui era divenuto insegnante, fino all'Inghilterra, al Belgio, all'Olanda e perfino alla Danimarca. «Viaggiare, viaggiare, oh! la bella cosa il viaggiare! La vita non è stata rassomigliata a un viaggio? e allora, invece di stare tappati in un caffeuccio, tra l'odore acre del fumo e il vano pettegolezzo, non è meglio gironzolare?» Così don Benedetto scriveva in una recensione al libro di T. Catani “Al paese verde”, pubblicata l'11 Giugno 1899 da “Il Pensiero di Sanremo”. (Vedi "Il Radice sconosciuto", pag. 86) E, continua in "Ricordando" (pag. 127), «... fui sbalzato al confine, a Sondrio; e di là ad un altro confine, a Ventimiglia. Poi presi l'aire e corsi mezzo mondo: a Parigi, a Berlino, a Londra, a Vienna, nella Svizzera, nel Belgio fino a Copenaghen, fino a Cristiania; Nansen II, con una matta voglia di essere sempre in moto, aspettando ogni anno a gloria le vacanze per andare a scoprire un terzo polo...». Lasciata Roma, nel 1892, il Radice si trasferisce in Toscana, culla della lingua italiana, molto probabilmente prima a Fiesole presso la Scuola-Convento degli Scolopi e, dopo ad Empoli, dove pubblica la traduzione in italiano de "Le favole di La Fontaine" che dedica ai vecchi genitori "sor Nunzio e sora Marianna" che non vede da più anni e ormai divenuti nonni. Ha modo anche di conoscere colui che doveva divenire il suo grande amico: Renato Fucini, all'epoca regio ispettore scolastico e scrittore, che fu suo consigliere e protettore. Benefattore ma anche amico e di un'amicizia duratura che la distanza e gli anni, più che affievolire, rafforzeranno, estrinsecandosi in una fitta corrispondenza ed in doni reciproci e nell'imposizione del nome (Renato) al suo unico figliolo. Ad Empoli, dove continuò l'insegnamento, Benedetto Radice fondò anche una cooperativa contadina e pubblicò studi su "L'Italia e il Papato" e " Gli Inglesi nel risorgimento italiano. Nel 1893 insegna a Sondrio e, due anni dopo, a Varese dove, nei ritagli di tempo libero trova modo di scrivere numerose monografie a tema storico, collabora a numerose riviste (Journal de Bordighera, La Squilla, Galleria letteraria illustrata, Cordelia, Il pensiero di Sanremo, L'Esare, ecc.), e durante le vacanze estive gira l’Europa arrivando fino a Capo Nord.
Nel 1903, ottenuto il trasferimento, torna in Sicilia, a Palermo, dove insegna per sette anni al "Meli" e successivamente al Regio Liceo Ginnasio Umberto I (lingua francese, corso "A"), ivi rimanendo sicuramente fino al 1924. A Palermo continuò la sua intensa attività di pubblicista (scrisse anche per il giornale "L'Ora") ed ebbe rapporti personali con la grande cultura siciliana del primo ‘900 (Verga, Gentile, Pirandello, Capuana, Giuseppe Lombardo Radice, al quale era legato anche da vincoli di parentela). Già maturo di anni e stanco di viaggiare, cominciò ad indagare ed a spulciare e rovistare biblioteche ed archivi cercando riscontri e notizie sulla storia di Bronte e del territorio vicino. Un solo archivio gli fu vietato di consultare, quello della Ducea Nelson dove si conservavano antiche pergamene, Diplomi reali, bandi e documenti "gentilmente" donati ai Nelson dal Re Borbone nel 1803 e 1857. Ed è lo stesso Radice a lamentarsene con il Duca in una lettera del 1901. L’intenso lavoro di ricerca e di studio si protrasse per oltre un ventennio. Il risultato furono le "Memorie storiche di Bronte", raccolta sistematica di 16 monografie scritte in epoche diverse che sarà pubblicato rispettivamente nel 1928 e, postumo, nel 1936. A Bronte, nel gennaio del 1908, Benedetto sposa in seconde nozze la cognata Giuseppina Spitaleri, vedova di suo fratello Antonino deceduto anni prima, e nel maggio del 1910 ebbe il tanto desiderato figlio maschio al quale, in onore del caro amico Fucini, verranno imposti i nomi di: Renato, Nunzio, Francesco e Antonino. Nel 1923 pubblica "La Sagra degli Umili Eroi" a ricordo e memoria dei numerosi caduti brontesi della I° Guerra Mondiale (e furono veramente tanti, una strage). Il Radice "per far loro respirare l'immortalità con tutti gli eroi d'Italia", elenca tutti i decorati al valore militare (28), i 132 caduti, i 45 dispersi, i 68 "rejetti" ("condannati alla seconda morte dal sindaco Pace e dallo scultore Condorelli" e non elencati nelle targhe del Monumento) ed i 141 mutilati ed invalidi. Sua l'idea dell'erezione del Monumento posto un tempo in Piazza Spedalieri, sorto grazie al contributo spontaneo del popolo e dei brontesi residenti in America ed inaugurato solennemente il 20 Settembre del 1922. Sua l'epigrafe commemorativa, posta alla base dello stesso, che recita: "Bronte orgogliosa e benedicente ricorda i suoi figli morti combattendo per la Patria 1915-1918". Altro suo desiderio che però rimarrà inappagato, era la creazione di un “Parco delle Rimembranze" nei cui viali, «alla stessa maniera degli antichi greci, fossero piantate alberi, vivi monumenti perenni, uno per ogni caduto e riportanti targhe con il nome degli Eroi morti per la Patria». (Vedi “Il Radice sconosciuto”, pag. 187). Rientrato definitivamente nel suo paese natale, nel 1924, dopo un’assenza protrattasi per quasi trentasette anni, sebbene incurvato dal peso degli anni, sorreggendo la stanca persona col bastone, non smise mai di “tirar sassi alle piante” spinto sempre da connaturati principii e da integrità morale. E, come ebbe a dire lui stesso: “tiro avanti la carretta, malgrado le peculiari condizioni di mia malferma salute”. «Vissuto 40 anni fuori di Bronte
- scriveva nel 1930, ultimo anno della sua vita, in
Uomini e cose del mio tempo - peregrinando nei ginnasi e licei d’Italia non presi mai parte attiva alle lotte cittadine. Tornato in Patria son vissuto e vivo in solitudine lungi dagli affari e dai partiti.» Benedetto Radice dedicò al suo paese natale molti saggi storici che oggi, nel campo della storia patria, costituiscono una base di notizie fondamentale e assolutamente indispensabile. Fiero della città d’origine, da grande studioso, si accinse (come lui stesso scrisse) «con ardore a frugare archivi e documenti, a percorrere le campagne, rovistare, indagare, interrogare rovine, tombe, monete» per oltre quindici anni. Un solo archivio restò per lui inspiegabilmente sempre chiuso ed inaccessibile: quello dei Nelson. Diverse volte chiese di poterlo consultare ma Alexander Nelson Hood, il IV Duca di Bronte ed il di lui erede, il Duchino Alessandro Nelson Hood, futuro V duca non vollero incontrarlo e gli vietarono qualsiasi consultazione di carte e documenti. Il Radice, scrive V. Pappalardo, «raccoglie testimonianze, fruga ogni archivio, da quelli che non si aprono nel castello dei Nelson, a quelli di Catania che gli spalancano la tragedia umana che si rappresentò nel processo del ‘63. Uno sforzo di ricerca e documentazione enorme, lontanissimo dalle farneticanti ricostruzioni del frate Gesualdo e dalle lenti deformanti con cui la passione e le preclusioni del cappuccino avevano storpiato la storia di Bronte». Ebbe peraltro difficoltà di accesso anche alla biblioteca del Real Collegio Capizzi, e gli rimasero sconosciute molte interessanti carte là conservate, tra l'altro anche la documentazione della Vicaria Foranea di Bronte e dell’annessa Corte Spirituale. Benedetto Radice volle sapere tutto della storia del suo paese e, sopratutto, farla conoscere agli altri. Scrisse monografie, descrivendo le vicende più salienti, che vanno dalle origini di Bronte, con le nove eruzioni dell'Etna, alle notizie sui casali e feudi che unificati costituirono l'antica città, sulle chiese e conventi e gli edifici pubblici. La documentazione più importante è quella che verte sull'ammiraglio Nelson e la Ducea, sul Collegio Capizzi, sui moti rivoluzionari del 1820, sulle agitazioni del '48 e '49 e, sopratutto, sul l'insurrezione del 1860 e la dura repressione fatta da Nino Bixio. A proposito di quest'ultima monografia, Franco Antonicelli, critico, saggista, poeta e parlamentare di sinistra nel recensire una ristampa di Nino Bixio a Bronte curata da Leonardo Sciascia, definì il Radice come «uno di quegli studiosi di storia locale ricchi di amor patrio e di pazienza erudita: ... un cittadino di Bronte di molto acume, che sapeva ricercare e vagliare documenti a stampa e testimonianze orali, avendo a cuore un convincimento, questo che la famosa repressione operata nel suo paese da Nino Bixio, nell’agosto del 1860, era stata una necessità feroce oltre il giusto, fuori del legale e cieca di vera comprensione sociale e umana.» Il frutto di questo suo infaticabile lavoro durato decenni furono le "Memorie storiche di Bronte" (una raccolta sistematica di 16 monografie pubblicate per articoli e raccolte in due volumi editi rispettivamente nel 1928 e nel 1936). Un'opera indispensabile per chi vuol conoscere la storia di Bronte, «il capolavoro dell’autocoscienza storica della città», la definita V. Pappalardo. In quest'opera Benedetto Radice mise in luce ed analizzò i momenti nodali del nostro passato ripercorrendo per primo tutta la storia moderna e contemporanea del paese attraverso serie ed accurate ricerche di archivio. La proprietà letteraria fu donata dallo stesso Radice a beneficio del locale Ospedale Civico, in quell'epoca ancora in fase di ultimazione. Non solo. Sulle tracce di Giuseppe Cimbali (che, nel primo dei due volumi su Nicola Spedalieri, aveva scritto sommariamente su alcuni cittadini brontesi) volle scrivere delle compiute biografie, sui fratelli Placido e Saverio De Luca, Arcangelo Spedalieri, Monsignor Saitta, Biagio Caruso. Non ebbe il tempo di scrivere le biografie su Enrico e Giuseppe Cimbali. Sconfinando poi dal campo storico, fece qualche capatina anche in quello letterario. Fra gli altri tantissimi libri da lui scritti, si ricordano in particolare "Nino Bixio a Bronte", "Bronte nella rivoluzione del 1820" (Palermo, 1906), "Il Casale e l’Abbazia di Santa Maria di Maniace" (Palermo, 1909), "Biografia di Arcangelo Spedalieri" (Palermo, 1914), "L’Etna: eruzioni miti e leggende" (Roma, 1925), "Due glorie siciliane – I fratelli De Luca" (Bronte, 1926). Pubblicò anche una traduzione delle favole di La Fontaine e studi su "L’unità d'Italia e il papato" (Ventimiglia, 1895) e "Gli inglesi nel Risorgimento Italiano" (Livorno, 1901). «Le Favole - scrive Daniela Giusto - diventano lo strumento ideale per diffondere l’idioma gentile tra i banchi di scuola e il libro, arricchito da note linguistiche, chiose e commenti non tradisce le proprie intenzioni profondamente didattiche. Inversamente, qualche anno più tardi, Radice tradurrà una novella di Renato Fucini, L’eredità di Vermutte, dall’italiano in francese, o meglio dalla toscana alla gallica lingua, operazione se possibile ancor più ardua della prima, data la disparità di risorse tra il vernacolo toscano e il francese standard.» Benedetto Radice morì a Bronte la notte del 15 Maggio 1931 all'età di 77 anni mentre lavorava ancora ai suoi scritti già pubblicati e in fase di pubblicazione. Le "Memorie storiche di Bronte", ed altri scritti del Radice, indispensabili a chi vuol conoscere la nostra storia, che oggi noi vi offriamo in formato digitale, erano state ristampate nel 1984 a cura della Banca Mutua Popolare di Bronte (l'antica Cassa Agraria di Mutuo, oggi scomparsa) con una lusinghiera prefazione di Leonardo Sciascia che, fra l'altro, così scriveva di lui: «La vita di Benedetto Radice è stata quella di un uomo colto, di studi severi e di indipendente giudizio […] per stabilire sul piano della storia una verità - su cui menzogne e retorica si erano accumulate a nasconderla - già appresa, indubbiamente, negli anni dell’infanzia, sul piano dei sentimenti, dei rapporti umani, dei ricordi delle persone a lui vicine. La verità su quelli che furono detti “i fatti di Bronte “, gli atroci fatti corsi nell’estate del 1860 nel povero paese etneo che gli aveva dato i natali. Altri scritti di Benedetto Radice (racconti, novelle, commemorazioni, epigrafi,...), alcuni da lui pubblicati su molti giornali e riviste dell'epoca, altri inediti, sono stati recuperati e raccolti dalla nostra Associazione in un libro al quale abbiamo voluto dare il titolo "Il Radice sconosciuto" (Collana Editori in proprio, settembre 2008, ISBN 978-88-902110-5-8). N. Liuzzo / F. Cimbali | ||||||||||||
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