LE CARTE, LE PERSONE,  LA MEMORIA...

Lo storico Benedetto Radice

I personaggi illustri di Bronte, insieme

Ti trovi in:  Home-> Personaggi-> Benedetto Radice-> Memorie storiche di Bronte


Benedetto Radice

Volle sapere tutto della storia del suo paese e, scrivendola, farla conoscere agli altri

Benedetto Radice


Le edizioni delle Memorie storiche di Bronte

Benedetto RadiceLe varie monografie scritte da Benedetto Radice furono singolarmente pubblicate in diversi periodi di tempo. Ad esempio la monografia Bronte nella rivoluzione del 1820 fu pubblicata a Palermo nel 1906 (Tipografia Boccone del Povero); la prima edizione di Nino Bixio a Bronte a Catania nel 1910 (Edizione Giannotta, estratto Archivio Storico Sicilia Orientale, anno VII, fascicolo III); Il Collegio Capizzi di Bronte, nel 1919 (Stabilimento Tipografico Sociale, Bronte), Chiese, conventi, edifici pubblici di Bronte nel 1923 (Stabilimento Tipografico Sociale, Bronte), L'Etna: eruzioni miti e leggende a Roma nel 1925 (Nuova Antologia).

La raccolta sistematica delle varie monografie in un primo tempo fu dal Radice divisa in due volumi: il primo conteneva le prime 10 e fu stampato nel settembre del 1927 e pubblicato nel 1928 (Memorie storiche di Bronte, vol. 1°, Stabilimento Tipografico Sociale, Bronte 1928); il secondo volume, contenente le ultime 6 monografie, fu stampato nello stesso anno 1927 ma pubblicato postumo, nel 1936, dopo la morte del Radice (avvenuta all'età di 77 anni, il 15 Maggio 1931).

«Dopo cinque anni dalla morte di mio Padre, vede la luce questo secondo volume delle Memorie storiche, che Egli aveva lasciato in corso di stampa (…). Solo quest’anno mi è stato possibile far completare l’Opera. Ho curato io la stampa di quanto restava e cioè delle due ultime monografie, senza però nulla alterare: solo ho aggiunto qua e là delle note».
Continuava scrivendo che doveva far parte del secondo volume anche una memoria “Uomini e cose del mio tempo” ma che aveva preferito non pubblicarla «per motivi che può intendere chi conosceva l’integrità e la rigidità morale di suo Padre, e sopratutto il suo profondo disprezzo per le beghe che hanno sempre tormentato Bronte, disprezzo che lo portava a giudizi molto duri su uomini e cose che sono ancora del nostro tempo».

Nel 1984 i due volumi delle Memorie Storiche di Bronte, sono stati ristampati e racchiusi in un unico volume dalla storica e rimpianta Banca Mutua Popolare di Bronte (Adrano, Tipografia Santangelo & Costa, 1984) includendovi anche un saggio di Leonardo Sciascia, che precede la monografia “Nino Bixio a Bronte”, tratto dall’omonimo volume edito nel 1963 dalle Edizioni Salvatore Sciascia (Caltanissetta-Roma).

«Ma - scrive N. Lupo - se la forma bene impressiona a prima vista, quando si passa alla lettura si nota, dalle prime pagine, la mancanza della professionalità dell’Editore. Il quale avrebbe curato, servendosi di un buon proto, di evitare i refusi tipografici che in questo volume sono frequenti, numerosi e anche gravi.»

Ciononostante, quest’ultima edizione, un grosso volume di 636 pagine, rilegato in tela verde con scritte in oro, con copertina in carta patinata e con 7 pregevoli acquerelli di Mario Schilirò, purtroppo ormai è introvabile come naturalmente lo sono anche le due precedenti edizioni stampate negli anni 1927/28 dallo Stabilimento Tipografico Sociale di Bronte, fondato dal sac. prof. Vincenzo Schilirò.

Benedetto Radice dedicò al suo paese natale molti saggi storici che, nel campo della storia patria, costituiscono una base di notizie fondamentale e assolutamente indispensabile.
Fiero della città d’origine, da grande studioso, per oltre quindici anni si accinse (come lui stesso scrisse) «non più giovane, con ardore a frugare archivi e biblioteche, ansioso di scoprire nuovi fatti e documenti, a percorrere le campagne, rovistare, indagare, interrogare rovine, tombe, monete che sono testimonianza alla storia di tanti secoli per iscrivere questa di Bronte». Con un impegno ed una dedizione quasi totale che sanno tanto di amore per il proprio paese volle sapere tutto della sua storia e, scrivendola, farla conoscere agli altri.

Spesso nell'ansia e nella foga delle ricerche era assalito da dubbi. «Ripetevo tra me – ci rivela - lo sconfortante emistichio di Persio: Quis leget haec? (Chi leggerà ciò?) Allora sfiduciato piantavo lì ogni cosa: poscia pentito riprendevo il lavoro con maggior lena finchè, tra dubbi e sconforti, non lo ebbi condotto a compimento.»

E’ anche per questo che, anche se con mezzi e modi modesti, l’Associazione Bronte Insieme Onlus ha voluto dare ai giovani brontesi la possibilità di continuare a leggere e conoscere le opere del nostro insigne storico, prima raccogliendo in un volume (Il Radice sconosciuto, a cura di N. Lupo e F. Cimbali, Collana Editori in proprio, Tip. F.lli Chiesa, Nicolosi, Agosto 2008) altri suoi scritti (racconti, novelle, commemorazioni, epigrafi pubblicati dal Nostro dal 1881 al 1924 su vari giornali italiani e non nel suo lungo peregrinare per l'Italia) ed ora con questa edizione digitale dei due volumi delle Memorie storiche di Bronte che ben volentieri offriamo ai giovani brontesi ed ai nostri visitatori.

Ci è sembrato anche doveroso nei riguardi di un uomo che ha dedicato la sua vita alla storia ed alla conoscenza del suo paese.

Gennaio 2009

HOME PAGEAssociazione Bronte Insieme Onlus


 

RENATO RADICE

L'avv. Renato Radice, figlio dello storico Bene­detto, è nato a Bronte il 10 maggio 1910; ha compiuto tutti i suoi stu­di presso il Col­legio Capiz­zi e si è lau­reato in Giuri­spru­denza pres­so l’Università degli studi di Roma.

Ha curato la pubblicazione del secondo volume delle Memorie storiche di Bronte, contenente le ultime 6 mono­grafie; stampato nel 1927 fu pub­blicato da Renato Radice nel 1936, dopo la morte del padre (avvenuta il 15 Maggio 1931).
Partecipò alla II guerra mon­diale e negli anni ’50 si occupò di politica e fu eletto consigliere comu­nale (nel MSI).

Invitato a trasferirsi a Roma per avviare una car­riera politica di più ampio respiro, rifiutò per non sentirsi costretto a rinunziare ad una sua totale autonomia di pensiero. Sposò una De Luca dal­la quale ha avuto due figli, Benedetto e Giuseppina.

Esercitò con grande passione e compe­tenza la professione di avvocato interve­nendo nella vita sociale del paese con gran­de disponi­bilità uma­na e professionale e proponendo lungimiranti ini­zia­tive, guar­date con sospetto dai suoi concit­tadini diffi­denti come tutti i concit­tadini.

Un progetto che con grande fatica e superando innumerevoli ostacoli riuscì a por­tare a compi­mento negli anni ‘70/’80 riguarda la creazione di una Cooperativa dei produt­tori di pistacchio, la risorsa eco­no­mica più importante di Bronte, per potere rilanciare il prodotto in un mercato più re­munerativo. E' morto in Bronte nel 1995.

Nella foto a destra del 1973,  l'avv. Renato Ra­di­ce (al centro) con lo scultore Mimmo Girbino (a sinistra) ed il figlio Benedetto (a destra). 


  

L'edizione completa delle Memorie storiche di Bronte in formato

La raccolta sistematica delle Memorie storiche di Bronte è ormai intro­vabile. L'Associazione Bronte Insieme Onlus ve la offre in una edizione integrale, corredata da numeroso fotografie (529 pagine in formato PDF, 9.158 Kb). Liberamente scaricabile dal nostro sito, raccoglie le 10 monografie del I° volume e le 6 del II° così come pubblicate da Bene­detto Radice nel 1928 e dal figlio Renato nel 1936.

B. Radice, Memorie storiche di Bronte scarica il libro informato

La foto di Benedetto Radice (sopra a destra, accanto al titolo) è tratta dal primo volume delle Memorie storiche di Bronte (Stabilimento Tipografico Sociale, Bronte 1928).

E-BOOK PER VOI

Libri ed altro su Bronte Insieme

I nostri libri in formato





Di seguito vi presentiamo la recensione che Franco Antonicelli, critico, saggista, poeta e parlamentare di sinistra (Voghera 15 novembre 1902 - Torino 6 novembre 1974) fece su La Stampa di Torino (numero 156 - Pagina 3 del 3 Luglio 1963) della monografia di Benedetto Radice "Nino Bixio a Bronte", ristampata nello stesso anno 1963 dalle Edizioni Salvatore Sciascia ("Con introduzione di Leonardo Sciascia")
 

«La rivolta dei contadini siciliani

Nino Bixio a Bronte

di Franco Antonicelli

La Stampa (3 Luglio 1963, numero 156 - pagina 3)Lo scrittore Leonardo Sciascia ha riesumato una monografìa di cinquant’anni fa (Nino Bixio a Bronte), pubblicata nell’«Archivio storico per la Sicilia Orientale» da Benedetto Radice, uno di quegli studiosi di storia locale ricchi di amor patrio e di pazienza erudita: nel nostro caso, un cittadino di Bronte di molto acume, che sapeva ricercare e vagliare documenti a stampa e testimonianze orali, avendo a cuore un convincimento, questo che la famosa repressione operata nel suo paese da Nino Bixio, nell’agosto del 1860, era stata una necessità feroce oltre il giusto, fuori del legale e cieca di vera comprensione sociale e umana.

Oltre il giusto, perché le vittime erano accusate di borbonismo, il che era falso e provocato da inimicizia politica; fuori del legale, perché il brevissimo processo fu di una formalità irriguardosa delle possibilità di difesa degli imputati; cieca di comprensione umana, perché fu giustiziato anche un povero scemo, riconosciuto scemo da tutti, e di comprensione umana e sociale a un tempo, perché la bestialità certamente efferata dei popolani rivoltosi era sostanzialmente lo sfogo vendicativo di oppressioni e delusioni antichissime e recenti, che tutte insieme costituivano un prepotente caso di ingiustizia.

Anche il governatore di Catania dove ammettere che i fatti di Bronte erano l’effetto di essersi negata al popolo la divisione delle terre del demanio comunale.

Lo stesso Nino Bixio, ricordandosi di quei fatti in un discorso al Parlamento nel ‘62, e anche più tardi in privato, dimostrò di sentirne rimorso; ma per la spietatezza cui pensava in coscienza di essere stato costretto, forse anche per i suoi errori di credulità, non già, a quel che pare, perché riconoscesse qualche giustificazione alle vere cause degli eccessi altrui, di cui non aveva manifestato di avere li per li nemmeno il sospetto. E’ vero che subito dopo la repressione egli avvisò la provincia di Catania che avrebbe fatta «studiare la quistione della ripartizione dei beni comunali», ma, sul momento, non vide che ribelli e iene, e agì di conseguenza.

Le cose sono note, anzi famose. Garibaldi passando vittorioso per la Sicilia, amato e raffigurato come un arcangelo non solo di libertà, ma anche di giustizia, aveva deciso molti provvedimenti sotto ogni riguardo opportuni: fra i suoi decreti, vi fu quello del 2 giugno che disponeva per l’appunto la spartizione delle terre dei demani comunali con privilegio per coloro che si fossero battuti per la patria.

Era un’antica sete dei contadini, e una giustizia elementare; in ogni caso, era un atto di ovvia accortezza politica quello di associare interessi personali e sentimenti di patria, libertà civili e riscatto economico.

Ognuno ama quel che spera, e viceversa: paesi di tutta la Sicilia si erano sollevati, e non solamente nel ‘60, mossi dall’una e dall’altra speranza confuse insieme. Ma in tutti quei paesi era successo quel che succede nelle rivoluzioni che sono appena dei falò, che si afflosciano e svuotano perché immature.

Il caso di Bronte è, fra i tanti analoghi, un caso che ha del particolare. Da tre secoli il comune si era battuto invano contro i taglieggiamenti, che l’avevano ridotto in miseria nera. E a Bronte c’era in più (c’è, e ne abbiamo sentito parlare anche ai nostri giorni) la Ducea Nelson, cioè un feudo generosamente donato al famoso ammiraglio da Ferdinando IV di Napoli: la duchessa erede in quel 1860 stava in Inghilterra e gli affari suoi erano fatti da occhiuti amministratori coi metodi molte volte documentati in tutte le storie, le cronache, i romanzi, gli studi sociali che trattano della «questione meridionale».

La Ducea era un enorme beneficio, un privilegio da non toccare, tanto più che apparteneva a una famiglia inglese, e l’Inghilterra si mostrava amica dei garibaldini, e Garibaldi pensava alla guerra e non poteva tollerare focolai di rivolta alle sue spalle, qualunque ne fosse il motivo non bellico.

Si erano rivoltati più di venti paesi del circondario etneo, e un po’ dappertutto in Sicilia, e sempre per quelle ragioni di giustizia sperata, promessa e insoddisfatta,- anzi delusa dai «galantuomini» che erano al potere con la fiducia dei nuovi potenti, col beneplacito della stessa rivoluzione. Si mescolavano a queste passioni altre di altra natura, anche bassissime, tutte da attizzare un fuoco solo.

«La libertà irruppe come una vendetta», così scrive con potenza epigrafìca, il nostro Radice. Irruppe in quel modo perché, come aveva protestato frate Carmelo con l’Abba, la libertà non era pane. A Bronte la rivolta dei «berretti» (i contadini) contro i «cappelli» (i civili) fu di una atrocità belluina. Ma Bixio arrivò di furia che le cose erano già un po’ calmate per la venuta del più umano colonnello Poulet, un catanese; voleva dare un esempio, e lo si può accettare per doveroso, ma condannò d’impeto e senza prove.

La letteratura garibaldina non fece che colorire violentemente le colpe dei brontesi e additare in quelle le ragioni dello sdegno eccitato del generale, del «secondo dei Mille». Ma è proprio vero che la storia è giustiziera: lo è perché, indagata, dice la verità.

Ci si mise, come suo interprete, Benedetto Radice, imparzialissimo, tanto più se si tenga conto della circostanza che suo padre e lui stesso bambino e i suoi fratelli ancora più piccoli corsero il pericolo di essere trucidati come altri della «classe civile» giudicati «sfruttatori ed oppositori ai diritti della plebe consacrati dalla rivoluzione».

Così sappiamo, da una cronaca di terribile efficacia per la sua crudezza, la sua severità irreprensibile, degli errori commessi dal Bixio: primo fra tutti quello di credere indiscriminatamente e più del vero colpevoli di «lesa umanità» i cittadini di Bronte; secondo, quello di aver fatto fucilare senza lasciargli agio alla difesa, l’avvocato Nicolò Lombardo, capo sì degli insorti per giusta insofferenza degli abusi, ma tutt’altro che reo di stragi e nemmeno istigatore. Della cui morte il Radice fa una descrizione moralmente pietosa e solenne, che sembra quella di un cronista del Trecento.

La conclusione del Radice è questa, naturalissima di equità, «che qualunque diritto alla vita sociale si acquista solo per mezzo di una costante e lunga preparazione; che la violenza raramente lo assicura, e che le rivolte, anche mosse da giusta causa, tornano quasi sempre a danno di chi le fa».

C’è, in quel «rivolte, anche mosse da giusta causa» che tornano a danno di chi le fa, una chiara nota di amarez­za. La stessa che ispirò, come è noto, una tragica novella «rusticana» del Verga, La libertà. Ma anche nel Verga è palese un ritegno a cercar troppo addentro nelle illusioni deluse dei contadini: non dimenticava di essere anche lui un «galantuomo». [Franco Antonicelli]


L'Associazione Bronte Insieme vi fa omaggio di Nino Bixio a Bronte (la monografia di Benedetto Radice, tratta dal II° volu­me delle Memorie storiche di Bronte) da noi realizzata in formato . Scarica il file (100 pagine, 803 Kb, Pdf)


Benedetto Radice

           

HOME PAGEPowered by Associazione Bronte Insieme - Riproduzione riservata anche parziale. Ultimo aggior. marzo 2024