«Il domani, 6 agosto, - scrive il Benedetto Radice - fu per pubblico bando ordinato il disarmo.
La venuta dei soldati sbigottì i più sediziosi; i quali, sbolliti i fumi del vino e del furore, e raffreddati gli animi, pensando al proprio pericolo e vedendo già davanti la pena che li aspettava, stimarono bene mettersi al sicuro, dandosi alla campagna.»
Charlotte Nelson, «la signora duchessa stava in Inghilterra: e a Bronte, ad amministrare il gran feudo che graziosamente Ferdinando (III di Sicilia, IV di Napoli, I delle Due Sicilie) aveva donato all'ammiraglio Nelson, stavano, come già il loro padre, Guglielmo e Franco Thovez, inglesi ma ormai così bene ambientati da poter essere considerati notabili del paese.
Ed è a loro che si deve il particolare rigore che Garibaldi raccomandò a Bixio per la repressione della rivolta di Bronte e che Bixio ferocemente applicò: alle sollecitazioni del console inglese John Goodwin, a sua volta dai fratelli Thovez sollecitato.» (Leonardo Sciascia, "Nino Bixio a Bronte")
Le sollecitazioni del console inglese erano continue, pressanti e, addirittura, in un dispaccio molto precise nell'indicare gli istigatori della rivolta («i fratelli D. Carmelo e Don Silvestro Minissale e D. Nicola Lombardo») da «far ricercare ed arrestare» «onde essere giudicati dall’autorità competente e condannati a mente delle leggi».
Ed è lo stesso Generale Garibaldi che già il 30 giugno, da Palermo, rassicura il Console Inglese, John Goodwin, facendo scrivere dal Segretario di Stato per l'Interno, Gaetano Daita che «a nome del Dittatore si dà l'onore di far conoscere al Sig. G. Goodwin, console di S. M. Britannica in Sicilia, che si son date oggi stesso energiche disposizioni perchè non avvenga il menomo inconveniente, abuso o pregiudizio del diritto e delle proprietà di Lady Nelson, Duchessa di Bronte, e coglie questa occasione per esprimere i sensi della più distinta considerazione.» (Archivio di Stato di Palermo, Segreteria di Stato presso il luogotenente Generale Interno, anno 1860, vol. 1594, n. 217).
Accampato nella fiumara di S. Filippo, nella vicina periferia sud di Messina, senza minimamente appurare i motivi e le cause che avevano portato all'aggravarsi della situazione a Bronte, più per tutelare gli interessi dei possedimenti inglesi che per ragioni di ordine pubblico, il Dittatore dà ordine al suo fidato luogotenente Nino Bixio, di stanza a Giardini, di recarsi immediatamente a Bronte e di reprimere la rivolta.
Contro i diritti primari dei brontesi scelse quelli impropri dei cittadini inglesi e, cosa abbastanza strana, una rivolta, sollecitata e tesa all'attuazione della rivoluzione garibaldina, fu soffocata dagli stessi capi garibaldini.
Gli inglesi avevano aiutato Garibaldi: alle navi della flotta inglese, ormeggiate nel porto di Marsala, era stato impartito l'ordine di favorire lo sbarco dei garibaldini, che così si effettuò in modo tranquillo ed incruento. Come pensare che avrebbero sopportato in silenzio il minimo pericolo o l’occupazione popolare della Ducea (come era avvenuto nel 1848) senza richiedere un vigoroso intervento delle truppe garibaldine?
D’altra parte, il nuovo governo italiano, da cui si sarebbe aspettato piuttosto l’annullamento della donazione del 1799, la rinnovò a sua volta e s’assunse pure l’onere di pagare all’Ospedale di Palermo i proventi della rendita che il re Borbone aveva assegnato nel 1799 all’ammiraglio.
«Bixio, - scrive Antonino Radice in Risorgimento perduto - anche se controvoglia, per l’impazienza da cui era posseduto e pochissimo lusingato dalla missione affidatagli, da soldato ligio agli ordini ricevuti dal proprio Capo, si mosse immediatamente verso Bronte deciso però ad ogni costo da parte sua a dare una lezione fin troppo severa ai responsabili dell’avvenuta sommossa.» «La teoria che egli fece sua senza esitazione fu quella di dover intervenire colla massima decisione e dentro un piccolissimo arco di tempo, allo scopo di dare un esempio di rigore e di intransigenza alla cittadina che era stata teatro dei tristi avvenimenti per poter poi, chiuso il caso, ritornare colla massima velocità all’anelato posto di combattimento, accanto a Garibaldi.»
«Da Giardini - scrive uno dei garibaldini, G. C. Abba ne La vita di Nino Bixio - pigliò con sé due dei suoi battaglioni; gli altri l’avrebbero seguito. E su a piedi, a cavallo, in carrozza, su carri, giungesse chi vi giungesse, marciò due giorni, coprendo la via dei suoi, ma alla fine fu Bronte.»
Vi giunse il 6 Agosto, lunedì, verso le ore 10. Entrò nel paese quasi deserto accolto dal colonnello Poulet e dal Rettore del Collegio Capizzi, monsignor Palermo, che gli mise a disposizione il proprio appartamento.
La sommossa aveva ormai esaurito la sua carica violenta ed i veri autori dei misfatti si erano già eclissati nelle vicine campagne. Era lo stesso Bixio ad ammetterlo in una sua lettera del giorno dopo, 7 Agosto,al maggiore Dezza che lo seguiva a distanza di qualche chilometro: "…Gli insorti sono naturalmente fuggiti".
«In realtà, - continua A. Radice - il paese etneo, seppur faticosamente, era ormai rientrato dentro i confini d’una calma relativa e per tutti piena di speranze. Oltre che la naturale stanchezza dei rivoltosi era intervenuta anche a gettare acqua sul fuoco il comportamento equilibrato ed accorto del Col. Poulet giunto dal capoluogo ancora il giorno prima».
Prima ancora che Bixio facesse il suo ingresso nella cittadina etnea i focolai della rivolta erano ormai stati soffocati da oltre 24 ore. Il generale garibaldino arrivava dunque a fuochi ormai spenti.
«E proprio di tale ritorno alla ragione e del ripristino d’un salutare clima di tranquillità il Poulet stesso, saputo dell’imminente arrivo del generale garibaldino, aveva sentito il dovere di informare quest’ultimo ancora nella mattinata del 6 agosto, facendogli recapitare mentre era ancora in viaggio a pochi chilometri da Bronte, un messaggio col quale lo avvertiva, per suo buon uso, che già da un giorno e più la rivolta era definitivamente cessata.
L’indicazione era utile e obiettivamente importante perché l’azione punitiva che Bixio si proponeva di compiere poteva essere ora diversamente regolata, partendo da queste premesse di relativo ritorno alla calma. Il messaggio però, per quanto tempestivo e ispirato a corretta informazione, non venne tenuto in alcuna considerazione dal ricevente e non fu sufficiente per indurlo ad una maggiore cautela ed a una certa discrezionalità nel portare avanti la sua azione di intervento.»
Il luogotenente di Garibaldi prese alloggio nel Collegio Capizzi per restarvi solo tre giorni. Ordinò al colonnello Poulet di riportare a Catania il reparto militare di 400 uomini la cui presenza s’era rivelata il giorno precedente provvidenziale per la immediata cessazione dei tumulti.
Senza tante cerimonie bollò l’intera cittadina dell’accusa di “lesa umanità” (vedi accanto il proclama emanato il 6 agosto), dichiarò lo stato d’assedio e ordinò l’immediata consegna delle armi di qualsiasi tipo e specie, operazione per la verità già iniziata il giorno precedente dal colonnello catanese giunto prima di lui.
Sciolse immediatamente il municipio e le compagnie della guardia nazionale, che per vero triste prova avevano dato nei giorni della rivolta e si erano limitate o per paura o per cattiva organizzazione a starsene alla larga senza alcuna volontà di intervenire.
Predispose un immediato cambiamento delle cariche pubbliche al posto di quelle assegnate nei tre giorni della sommossa, riconfermando però in massima parte gli inetti amministratori precedenti, proprio quelli che si erano opposti fin dal primo momento alle innovazioni da molti invocate.
Impose anche all'intero paese una tassa di guerra di ragguardevole entità (10 onze) che la popolazione senza distinzione di sorta fu costretta a depositare sul suo tavolo allo scadere di ogni ora.
Per dare anche un esempio di rigore, quale deterrente per altre simili situazioni che stavano verificandosi in altri comuni, attuò una rappresaglia senza precedenti contro l’inerme popolazione contadina trasformando, improvvisato giustiziere, in vittime innocenti i primi che caddero nella rete.
Ancora lo storico brontese Antonino Radice scrive che «al suo arrivo nella cittadina, risulta che il generale garibaldino in preda ad una incontenibile collera iniziò i suoi colloqui con molti cittadini del comune di Bronte e con appartenenti alla vecchia ufficialità della locale amministrazione, personaggi in quel momento impauriti e tremanti, usciti appena dai nascondigli dentro cui s’eran fin allora tenuti allo scopo di salvare la propria vita. Esortati a dare la loro versione sui fatti costoro risposero all’invito come era da prevedere, deformando l’accaduto e fornendo delle vicende ricostruzioni imprecise, dettate per lo più dall’emozione che ancora in quel momento li possedeva. (...)»
«Il Bixio nella esaltazione punitrice da cui era posseduto in quei momenti, andava solo in cerca di individui da dichiarare colpevoli in pubblico e da destinare ad una immediata punizione. Per tale motivo egli prese subito per buono, nel corso dei suoi personali interrogatori e senza l’aggiunta d’una minima riflessione, quanto gli veniva raccontato, poco curandosi, come la ragione avrebbe suggerito, di verificare o far verificare da altri la credibilità delle deposizioni che gli venivano via via offerte. Eppure un confronto era necessario fra le differenti versioni per stabilire una verità che alla fine fosse tale per tutti. Una simile opportunità non attraversò per un solo istante la sua mente. (...) Ma per Bixio preso dalla fretta di chiudere la partita e di ripartire colla massima velocità verso la gloria che egli anelava procurarsi in campo aperto, tutto questo contava poco e la prosecuzione di ulteriori colloqui di chiarimento significava per lui solo una inutile perdita di tempo. Qualche vita umana in più o in meno non significava a quel punto proprio nulla per il frettoloso militare. In quel momento vinsero nel personaggio solo la fretta e l’ansia di ricongiungersi ai suoi compagni fermi ancora per poco sulla riva siciliana dello Stretto.»
Un altro testimone oculare, il frate cappuccino, il filoborbonico amico del Poulet, Gesualdo De Luca, che tanto si attivò in quei tre giorni di tumulti per riportare la pace e far cessare la rivolta, racconta che «l’indomani, ai suoi soldati giunti dopo lui, Bixio diede ordine di arrestare gli individui, dei quali avea ricevuto nota.
Fu avvertito D. Nicola Lombardo di salvarsi colla fuga, nol volle fare. Ben presto fu in prigione nel Collegio Capizzi custodito rigorosissimamente. Furono agli arresti e tradotti nel pubblico carcere D. Luigi Saitta, D. Carmelo Minissale e moltissimi plebei ed artisti.»
«...A nulla valse la schiettezza del Lombardo- scrive Maria Serena Mavica -, la limpida consapevolezza di avere la coscienza pulita e di essersi adoperato per arginare il fenomeno di violenza collettiva, di nessun rilievo venne considerato l’essersi recato personalmente a conferire con Bixio, anzi proprio questo gli costò l’arresto e la vita, malgrado gli avvertimenti accorati dei suoi amici gli intimavano di fuggire.
Certo è che l’opinione del Bixio doveva essere già stata opportunamente influenzata dallo zelo degli avversari politici del Lombardo, tant’è che questi, in virtù dei preconcetti già instillatigli nei confronti di alcuni dei presunti caporioni della rivolta, lo fece immediatamente arrestare.»
Per Fernando Mainenti (Agorà, periodico di cultura siciliana, n. 13-15, Apr.-Dic. 2003) «i nemici politici dell’avvocato Nicolò Lombardo colsero dunque l’occasione di macchinare la rovina del loro onesto e leale avversario, indicandolo a Bixio quale caporione della rivolta: la reazione di Bixio fu inconsulta e immediata.
Il sicario di Garibaldi non si preoccupò minimamente di accertare o meno la colpevolezza dell’accusato, ma sotto l’effetto dell’ira più violenta ordinò al Poulet di arrestare il Lombardo ed i principali colpevoli della tragica sommossa.
Alcuni amici ed un ufficiale della compagnia del colonnello Poulet avvertirono il Lombardo del pericolo e gli consigliarono la fuga per sottrarsi alla rappresaglia di Bixio.
Ma il Lombardo, forte della sua coscienza pulita, consapevole di avere tentato con tutti i mezzi di placare gli animi esagitati, si recò al Collegio Capizzi e chiese di conferire con Bixio. Monsignor Palermo, non appena lo scorse, lo implorò di fuggire, avendo già intuito che il Lombardo andava incontro ad una morte certa. Ma nemmeno questo consiglio rimosse don Nicolò dal suo proposito di presentarsi al generale.
Bixio lo accolse con occhi di fuoco, bollente d’ira e lo apostrofò con violenza: Ah! Siete voi il presidente della canaglia! Non gli diede il tempo di scolparsi, di manifestare le sue buone ragioni; gli impedì ogni, seppur vana, difesa! Con un ruggito che nulla aveva più di umano, ordinò l’arresto immediato dell’avvocato e lo fece rinchiudere nella stanza di disciplina del Collegio, sorvegliata a vista da un picchetto armato di garibaldini.»
L'iracondo generale fece immediatamente intervenire a Bronte, da Adrano dove era in sosta, la "Commissione mista eccezionale di guerra" (“mista” perchè ne facevano parte sia militari che civili), per celebrare un rapido e sbrigativo processo contro coloro che gli erano stati rapportati come capi della rivolta.
Le pressanti richieste del Console inglese
Tre dispacci di John Goodwin
Molte le proteste e le pressanti richieste del Console inglese John Goodwin al Generale Garibaldi ed al Ministro dell'interno Francesco Crispi per la repressione dell’insurrezione e la tutela dei beni dei Nelson a Bronte. Un esempio queste tre lettere (tratte da Risorgimento perduto di A. Radice). In una addirittura il Console di S. M. britannica addita le persone da condannare "a mente delle leggi" indicandoli in Don Carmelo e Don Silvestro Minissale e Don Nicola Lombardo, ordine puntualmente eseguito da Bixio:
Al signor Generale Garibaldi Dittatore Palermo Palermo, 28 Giugno 1860 Il sig. Guglielmo Thovez inglese, amministratore di Lady Nelson, Duchessa di Bronte, la quale possiede delle vaste proprietà in quel Comune e suo distretto, ha esposto al sottoscritto, di esservi colà dei forti timori di disordini, che possono aver luogo ad opera di alcuni mali intenzionati, e che se ciò avvenisse, la di cui costituente potrebbe soffrirne, e ha chiesto al sottoscritto d’interessare il Sig. Gen. Garibaldi onde fare avvertire energicamente il Comitato di Bronte di rispettare e far rispettare la proprietà della detta Signora Nelson Bridport.
Il Sottoscritto nel darsi l’onore di riferire l’anzidetto al Signor Generale lo prega di dare quelle disposizioni che crederà opportune per la sicurezza della proprietà di cui sopra è parola e approfitta della presente occasione per manifestarle i sensi della più distinta considerazione. Il Console di S. M. Britannica, Giovanni Goldwin
(Archivio di Stato di Palermo, Segreteria di Stato presso il Luogotenente Generale, Interno, 1860, Vol. 1954)
Pronta la risposta di Garibaldi:
Segreteria di Stato dell'Interno, Carico N. 217 Palermo 30 Giugno 1860 Il Sottoscritto a nome del Generale Dittatore Garibaldi si dà l'onore di far conoscere al Signor Giovanni Goodwin, Console di S. M. Britannica in Sicilia, che si sono date oggi stesso analoghe disposizioni perchè non avvenga il menomo inconveniente o abuso a pregiudizio della proprietà di Lady Nelson Duchessa di Bronte. Il Segretario di Stato, Gaetano Daita
Al Ministro dell’Interno, Palermo, Agosto 1860 D. Rosario Leotta di Bronte al servizio della Duchessa di Bronte nella qualità di contabile fu crudelmente assassinato nel giorno 3 corrente in detto comune da persona o persone ignote e, per quanto si crede, ad istigazione dei fratelli D. Carmelo e Don Silvestro Minissale e D. Nicola Lombardo, tutti di Bronte. Il Sottoscritto prega il Sig. Ministro dell’Interno e Sicurezza Pubblica di far ricercare ed arrestare l’autore di tale assassinio onde essere giudicato dall’autorità competente e condannato a mente delle leggi. John Gooldwin
(Il Console inglese indica già prima del processo le persone da arrestare e condannare e Bixio eseguirà fedelmente gli ordini. Conservato in Pubblic Record Office, London, Foreign Office, 652/8 - 125889)
Al Ministro dell’Interno, Palermo, 8 Agosto 1860 Il sottoscritto ha l’onore di rassegnare al Sig. Ministro dell’Interno che nella notte del 2 corrente una insurrezione scoppiò a Bronte, a sopprimere la quale 80 individui della Guardia municipale furono colà mandati da Catania e quel vice console inglese si diresse telegraficamente al Gen. Garibaldi in Messina onde spedirsi una colonna militare sul luogo dell’avvenimento. Siccome il risultato di questa dimostranza è tuttora ignoto e si crede che le guardie municipali non saranno sufficienti per rimettere l’ordine, il Sottoscritto è nella necessità di rivolgersi a codesto Governo onde disporre quanto crederà opportuno per sopprimere l’insurrezione nella più sollecita ed effettiva maniera. John Goodwin
(Conservato in Pubblic Record Office, London, Foreign Office, 652/8 - 12889)
6 Agosto - Il buon Generale Poulet
«...Mentre eseguivasi il disarmo, sopraggiunse in carrozza con altri due il terribile Bixio; cui avea Poulet spedito due uomini a cavallo, per certificarlo del suo pacifico ingresso; e Bixio giunto diede ordine a Poulet di partire da Bronte con la sua brigata. Il buon Generale riceve con dispiacere questa intima, ed ubbidendo indirizzò a Bixio un suo biglietto, di cui diede copia al Sacerdote suo amico per farlo noto ai Preti ed ai civili.
Il contenuto del biglietto era questo: - Signor Generale. Quando io arrivai nelle vicinanze di Bronte, trovai postato il popolo in tal terribile sito e strategico modo, che potea trucidarci tutti, senza che noi avessimo potuto ferirli. Ma al risapere, che noi eravamo forza pubblica del Governo, abbassarono le armi, e ci accolsero come in festa. Io raccomando all’Eccellenza Vostra un popolo sìdocile e sì buono. - Poulet se ne andò. (...)»
Il Generale Nino Bixio, appena arrivato a Bronte, col bando del 6 Agosto dichiara il paese colpevole di lesa umanità (i proclami originali sono conservati negli archivi del Real Collegio Capizzi)
AVVISO
Affinchè tutti conoscano come l'ordine pubblico intenda dal Governo ristabilirsi ne' Comuni ove si oserà turbarlo, il Governatore della Provincia di Catania deduce a pubblica conoscenza il seguente Decreto: Il Generale G. N. BIXIO in virtù delle facoltà ricevute dal dittatore
DECRETA
il Paese di Bronte colpevole di lesa umanità è dichiarato in istato d'assedio. Nel termine di tre ore da cominciare alle 13 e mezza gli abitanti consegneranno le armi da fuoco e da taglio, pena di fucilazione pei retentori. Il Municipio è sciolto per organizzarsi ai termini di legge. La guardia Nazionale è sciolta per organizzarsi pure a termine di legge. Gli autori de' delitti commessi saranno consegnati all'autorità militare per essere giudicati dalla commissione speciale. E' imposta al paese una tassa di guerra di onze dieci l'ora da cominciare alle ore 22 del 4 corrente giorno, ora della mobilizzazione della forza militare in Postavina e da avere termine al momento della regolare organizzazione del paese. Il presente Decreto sarà affisso e bandizzato dal pubblico Banditore. Bronte 6 Agosto 1860.
IL MAGGIORE GENERALE G. N. BIXIO
8 agosto - Bixio parlava già di fucilazione...
«Io sarò a Bronte per la fucilazione e poi ci vedremo a Randazzo», scriveva Bixio al comandante Dezza: era l’8 di agosto del 1860.
Il 6 era entrato in Bronte; l’8 parlava già di fucilazione, ancor prima che avesse inizio il processo; il 9, all’alba, raccomandava ai giudici celerità e severità e partiva per Regalbuto, a reprimervi la rivolta; nel primo pomeriggio dello stesso giorno tornava a Bronte «per la fucilazione», che venne stabilita, con un proclama affisso alle cantonate, per l’indomani alle 8 al piano di San Vito.
Dal film di Florestano Vancini «Bronte, cronaca di un massacro che i libri di storia non hanno raccontato»
Parla il liberale avv. Nicolò Lombardo. Non gli fu dato il tempo di scolparsi, di manifestare le sue buone ragioni; gli fu impedita ogni, seppur vana, difesa!
«Agli occhi dei contadini di Bronte la conquista garibaldina non poteva avere che un senso: il possesso delle terre, la libertà dal feudalismo; e in nome di Garibaldi si misero a trucidare i signori. Erano più avanti dei tempi.» (Carlo Levi, Le parole sono pietre, 1955)
Il processo
Bixio - scrive Benedetto Radice - «temeva di non essere chiamato dal Dittatore a passare lo Stretto per trovarsi al posto dell’onore; onde, secondo lui, quella lentezza del processo, ma più, lo stimolo della partenza lo rendeva febbricitante, più impetuoso, più nervosamente agitato. A lui, in quei momenti, tre giorni parevano tre lunghi anni, e un frullo la vita di quattro o cinque uomini che potevano essere fucilati, magari innocenti, quando era in pericolo l’unità della patria.»
L'8 Agosto in una lettera al Consiglio comunale di Cesarò, Bixio ne preannunciava già, prima ancora che fosse iniziato, l'esito: "La commissione mista di guerra - scriveva - sta istruendo sommariamente i processi, i capi saranno fucilati e i complici condotti a Messina innanzi al Consiglio di Guerra».
«Segrete denunzie, - continua Benedetto Radice - accuse manifeste dei più accaniti nemici, accusarono il Lombardo, il Saitta, i fratelli Minissale, come Borboniani, reazionarii: li dissero aizzatori ai saccheggi alle uccisioni; ma più che contro gli altri, le ire e le vendette si avventarono contro il Lombardo, temuto capo del partito avverso. Si giunse perfino ad infamarlo che in casa sua furono portati libri ed oggetti provenienti dal saccheggio, che promise compensi ai ladri i quali deponessero presso di lui la roba rubata (...)»
La fase preliminare del processo si tenne in parte nei locali del Nosocomio, l'antico Ospedale dei poveri sito nelle adiacenze del Casino de' Civili (l'attuale Circolo di Cultura E. Cimbali, dato a fuoco dei rivoltosi) e in parte nel salone della casa agnatizia del fu Don Giuseppe Fiorini strada dell'Abbadia (di fronte alla Chiesa del Rosario) destinata per la pubblica discussione.
Il Lombardo scelse a difensore il suo acerrimo nemico e rivale l’avvocato Cesare
(vedi
il documento originale, pag. 11). Parlò breve il Lombardo, protestò la sua innocenza, tacciò di menzogna i testimoni, disse di essersi con tutti i mezzi adoperato al trionfo della rivoluzione ed a sedare i tumulti, che, a tempo, aveva scritto al comandante della Guardia Nazionale del Distretto ed al Governatore per segnalare il pericolo di un peggioramento dell’ordine pubblico, e ne presentò alla Corte le risposte ricevute, indicando oltre dieci testimoni a sua difesa (13 persone delle quali sette erano stimati preti brontesi).
La faccenda fu sommariamente liquidata nel giro di soli tre giorni: con gravissime violazioni delle procedure giuridiche e processuali, la causa fu conclusa, la sera del 9 Agosto in appena quattro ore.
La Commissione nominata da Bixio era composta dal maggiore Francesco De Felice, presidente, Biaggio Cormagi, Alfio Castro e Ignazio Cragnotti, giudici, Nicolò Boscarini, segretario cancelliere, Michelangelo Guarnaccia, avvocato fìscale e Giuseppe Boscarini Previtera, segretario cancelliere sostituto. Fin dal primo giorno il processo fu istruito in modo sbrigativo, veloce, sommario ed anche superficiale. Si pensi che il primo giorno (il 7 agosto) la Commissione verbalizzò ben 24 interrogatori (di parti lese e di numerosi testimoni d'accusa), si recò a perquisire la casa di Don Nicolò Lombardo, nel quartiere Annunziata, e, alle ore 22, la casa di Nunzio Spitaleri Nunno nel quartiere San Vito; ascoltò e verbalizzò tre perizie giurate sulle armi rinvenute e sequestrate e procedette a tre repertamenti di armi con sigilli e verbali.
Il giorno dopo, l'8 agosto, correndo a perdifiato di qua e di là effettuò ben 17 sopralluoghi nelle case devastate od incendiate. Alla fine, sfinita, non potè dedicare nemmeno un minuto per ascoltare anche un solo testimone a difesa dei sette imputati.
L'ultimo giorno, il 9 agosto, alle 12.00, agli imputati (alcuni dei quali analfabeti) fu data un’ora di tempo «a presentare - scriveva loro Michelangelo Guarnaccia, avvocato fiscale della Commissione di guerra (nell'immagine a destra la sua firma) - le loro eccezioni e difese, ad eleggersi difensori, a potersi informare del processo depositato presso questo nostro Segretario Cancelliere dimorante nella casa del Sig. Fiorini e da questo momento in poi poter conferire gli imputati coi loro difensori».
Anziché un’ora, l'avvocato di quattro imputati, i più istruiti, quelli che tentarono una pur minima difesa, impiegò due ore. La consegna poté avvenire dalle 14.00 alle 14.30 (vedi sotto le posizioni a discolpa presentate dall'avv. Cesare, difensore di Lombardo).
Questo fu sufficiente perché il tribunale rigettasse con durezza tutto perché, scriveva la Commissione di guerra nell'Ordinanza di rigetto che «viste le posizioni a discolpa presentate in Giustizia da parte degli accusati D. Nicolò Lombardo, D. Luigi Saitta e D. Carmelo Minissale alle ore 14 di questo giorno, visto il verbale di pari data col quale si prescriveva l’improrogabile termine a produrre le loro discolpe alle ore 13, inteso l'avv. fiscale, dichiara inammissibili le posizioni perchè prodotte fuori termine.» (Processo di Bronte, Vol. I foglio 71, vedi documento originale)
«In un’ora - sono le parole pronunciate dall'avv. Sebastiano Aleo nel Processo a Bixio del 1985 - il difensore doveva recarsi nella cancelleria che era presso la casa del dott. Fiorini e prendere conoscenza degli atti (perché se non avesse letto quali erano gli elementi di accusa, quali erano le indicazioni probatorie, quali erano i testimoni che stavano a carico di tutti e 7 gli imputati - gli imputati erano 7 - naturalmente non avrebbero potuto concepire una sorta di piano difensivo), andare al carcere e colloquiare con ciascuno degli imputati e informarli delle colpe che a ciascuno di essi venivano attribuite. Predisporre le note difensive e le discolpe con le indicazioni dei testimoni.
Ebbene, quel povero cristo di difensore, il quale pare che fosse un avvocato valente (era l'avv. Cesare, Ndr), probabilmente anche lui ha, come dire, subìto l’effetto di un’intimidazione generale, certo che di una parola di protesta da parte di questo difensore nel processo verbale di dibattimento non se ne ha cenno. Ma non gliene possiamo fare una colpa, non possiamo sapere come siano andate le cose (forse non venne verbalizzato, può succedere anche questo), e se poi consideriamo il clima di quel momento probabilmente il presidente lo zitti per non perdere tempo.»
Il dibattimento iniziò alle 16, due ore dopo la presentazione delle posizioni a discolpa, per concludersi esattamente alle ore 20 dello stesso giorno e senza che la Commissione ammettesse all'udienza i testimoni a discolpa come chiesero, ancora una volta, durante il dibattimento gli imputati (l'accusa ne presentò 23,
vedi
il
verbale originale nelle pagg. pagg. 15-29 di questo file).
Inutili ed infruttuose furono i tentativi e le contestazioni dell’accusato principale (l’avv. Nicolò Lombardo) che con tutte le sue forze cercò di convincere i giudici della debolezza e della falsità delle accuse raccolte contro di lui.
«Finito l'esame dei testimoni a carico - è scritto nel verbale del dibattimento - gli accusati Lombardo, Saitta, e Minissale han chiesto di sentirsi i testimoni dei medesimi additati in loro discolpa. L'Avvocato fiscale ha chiesto di rigettarsi le dimande degli accusati e di proseguire il dibattimento. La Commissione ritiratasi nella camera delle deliberazioni uniformemente alle orali conclusioni dell'Avvocato fiscale ad unanimità di voti ha rigettato le dimande degli accusati ed ha ordinato proseguirsi il dibattimento.»
Si aveva una gran fretta di chiudere, anche se sommariamente come raccomandava Bixio, il processo.
«Questo processo sommario - puntualizza Maria Serena Mavica -, esempio di celerità e pressapocaggine istruttoria, è un momento di aberrazione giuridica senza pari, da ricordare a testimonianza di un episodio che si spera non debba mai più ripetersi nella storia del nostro Paese; rimane come marchio di infamia a testimonianza della dabbenaggine morale di una politica senza scrupoli.
La sentenza di condanna non lasciò scampo ai 5 condannati alla fucilazione, malgrado l’assoluta assenza di prove certe a loro carico. Essa, rimane altresì come raccapricciante abuso giuridico, in violazione del diritto internazionale: emessa, infatti, in nome di Vittorio Emanuele II Re d’Italia quando ancora l’Italia non esisteva e i condannati erano ancora sudditi del Regno delle Due Sicilie.»
La sentenza
Alle ore 20 di giovedì 9 Agosto la Commissione mista eccezionale di guerra emise la sentenza (a destra le firme dei componenti,
nelle pagg.
pagg. 30-41 di questo file il documento originale): cinque persone, fra cui l’Avv. Nicolò Lombardo, vecchio patriota di educazione liberale conosciuto in tutta la Sicilia, che si era spontaneamente presentato a Bixio, colpevoli secondo il suo giudizio e quello dell’improvvisata ed impaurita Commissione, "in nome di Vittorio Emanuele II, Re d'Italia" furono condannate alla fucilazione.
Per gli altri due imputati, Luigi Saitta e Carmelo Minissale, sempre parimenti imputati come caporioni della rivolta alla stessa stregua dell'avv. Nicolò Lombardo fu disposto un supplemento di indagini e si salvarono sia dalla fucilazione che dal carcere: insieme a Placido Lombardo, il fratello di Nicolò, pochi mesi dopo, a dicembre, furono scagionati del tutto dai giudici catanesi.
«Del resto - scrive Maria Serena Mavica - i primi due erano personaggi scomodi al pari del Lombardo e se da un lato non può estremizzarsi l’idea che il Bixio avesse voluto eliminare i personaggi che potessero nuocere alla Ducea, sicuramente non può escludersi che egli prese invece gli imputati a caso, poiché a fronte dell’iniziale mandato di deposito per numero 32 individui, abbiamo solo 7 imputati dei quali due fortunati, rinviati alla Corte d’Assise per una integrazione di indagine.»
La Commissione proseguì le indagini fino al suo scioglimento (22 Agosto) mandando in carcere in tre successive ordinanze 69 persone. Le carte e le indagini passarono nella competenza del Giudice Istruttore del Circondario di Catania.
L'avv. Armando Radice, che sostenne l'accusa nel Processo a Bixio del 1985, affermò che «il processo fu una vera e propria esecuzione sommaria, camuffata da un paravento giuridico»; che il Lombardo e gli altri furono fucilati «ai sensi dell’art. 129 del codice borbonico, per aver eccitato la guerra civile tra sudditi del Regno, proprio per quella eccitazione, alla quale il popolo siciliano era stato chiamato dal proclama di Salemi».
Contestò anche come non valida, illegale ed irregolare la formazione della Commissione, illegale il giudizio "con procedura subitanea", ma sopratutto che i componenti della Commissione «non avevano investitura, diretta o indiretta, per emanare una sentenza in nome di Vittorio Emanuele II, Re d’Italia, in nome cioè di un rappresentante di una istituzione, al momento inesistente».
«Il processo, la procedura e la sentenza - dichiarò allora lo storico Salvatore Candido - si svolsero secondo tempi e modalità che possono giustificarsi in tempi di emergenza e di guerra.
Il vero processo, cui si riferiscono il Gaudioso, il Tenerelli Contessa, lo stesso Radice, il Sipala, si svolse dopo, a Catania e in un tribunale ordinario (la Corte di Assise del Circolo di Catania) e in tempi lunghi che si protrassero fino al 12 agosto 1863, e con giudici togati, e con le garanzie più complete per gli imputati e per il collegio di difesa.
Detto tribunale condannò all’ergastolo ben venticinque imputati e altri dodici a pene più lievi.
Ma il dott. Luigi Saitta e il “civile” Carmelo Minissale furono assolti, come leggiamo nell’opera del Radice (p. 140), già nel dicembre 1860, dalla R. Procura di Catania. Chi sa che questa non avrebbe assolto, anche, gli altri cinque imputati che erano andati dinanzi al plotone di esecuzione il 10 agosto dello stesso anno!»
E la Corte del Processo a Bixio (Giuseppe Alessi, presidente; Antonio La Pergola, Ettore Gallo, Vittorio Frosini e Martino Nicosia, giudici) definì nelle conclusioni finali questa sentenza «fondamentalmente viziata sul piano processuale e gravemente erronea sul piano valutativo: in conclusione, assolutamente ingiusta».
«E che farsa di processo! - aggiunge lo storico Gino Longhitano - Chi non ha letto attentamente i verbali non può farsene un'idea adeguata. Un assassinio legale mal concepito e mal eseguito. Una liquidazione fisica ideata come preciso strumento d'una definitiva liquidazione politica.»
L'avv. Nicolò Lombardo accolse la condanna con rassegnazione e un commento che testimoniava la continuità del suo impegno politico: “I miei nemici hanno alfine trionfato. Dieci anni prima o dopo è lo stesso. Era questo il mio destino”.
Per Salvatore Scalia l’avvocato era stato «vittima della realpolitik, di quegli equilibri ottenuti con scambi di favori, di quei compromessi e sacrifici di ideali che accompagnano ogni avvenimento storico così come ogni momento della vita quotidiana.» I suoi sodali, indicati dal Console inglese a Garibaldi come gli istigatori della rivolta da «far ricercare ed arrestare» «onde essere giudicati dall’autorità competente e condannati a mente delle leggi» («i fratelli D. Carmelo e Don Silvestro Minissale e D. Nicola Lombardo», il fratello Placido e il medico chirurgo D. Luigi Saitta Scallipuszo), furono rinchiusi in carcere ma dopo alcuni mesi completamente scagionati e liberati dalla Corte di Assise di Catania («inopportunamente annotati come imputati»).
«Data la sentenza, - scrive Benedetto Radice - l’arciprete Politi andò al collegio a comunicare al Lombardo la ferale notizia... (segue)
Una condanna "per voce pubblica" o per "sentito dire"
Dagli atti del processo risulta che «l’Anno Mille Otto Cento Sessanta il giorno Nove Agosto alle ore dodici d’Italia in Bronte» Michelangelo Guarnaccia, «Avvocato fiscale della Commissione mista eccezionale di guerra all’uopo eretta, assistito dal Cancelliere Sostituto Don Giuseppe Boscarini Previtera» fece notificare agli imputati dallo «usciere al Circondario Bronte» Giuseppe Torcetta la seguente disposizione:
«Attesocché la causa è sul punto di diver essere trattata deffinitivamente. Accordiamo agli imputati sudetti il termine di un’ora a presentare le loro eccezioni e difese, ad eleggersi difensori a potersi informare del processo deposito presso questo nostro Segretario Cancelliere dimorante nella casa del Signor Fiorini e da questo momento in poi poter conferire gl’Imputati coi loro difensori. Il termine comincia a decorrere dal momento della notificazione della presente.»
Bixio aveva una dannata fretta di far concludere velocemente il processo e la Commissione, dovendo rispettare almeno la forma, concedeva agli imputati solo un'ora per eleggere il proprio difensore, conferire con lui, studiare le carte del processo, approntare le proprie difese.
Insomma una pura formalità tanto che le "posizioni a discolpa", consegnate dalle 14 alle 14 e 30, cioè un'ora dopo la scadenza del termine, furono dichiarate inammissibili e quindi nessun testimone (9 ne aveva presentato il solo Lombardo e 4 erano preti) fu ammesso a favore degli imputati. Dagli atti risulta che l'accusa portò invece a testimoniare contro Lombardo e gli altri 6 imputati «nel salone della casa di Don Giuseppe Fiorini destinata per la pubblica discussione a porte aperte» 16 testimoni più 7 parti offese.
E, leggendo gli atti del processo, saltano subito agli occhi una sequela di frasi che i testimoni dell'accusa e le stesse parti offese ripetono quasi all'unisono: «per sentito dire..., per voce di popolo so che..., correva voce che..., per voce pubblica intesi..., so poi per voce pubblica…, sono a conoscenza per voce pubblica..., ...ciò lo intese per voce pubblica, per voce pubblica poi intesi..., per bocca di un certo … mi fu rapportato che…, Nulla so, ho inteso però dire per voce pubblica, che Don Nicolò Lombardo sia stato Capo della congiura e Capo della compagnia degli assassini».
Gli interrogati asserivano quasi concordemente di non aver mai visto in verità coi propri occhi gli autori dei crimini avvenuti e di aver saputo della loro partecipazione ai fatti solo dalla bocca di persone che a loro volta avevano appreso ciò dal racconto di altri ancora.
Insomma una condanna "per voce pubblica" con scene e frasi che in un'aula di giustizia avrebbero dovuto far riflettere un pò.
Cosa che fece un’altra Commissione mista eccezionale di guerra istituita a Maletto per giudicare un certo Giuseppe Petrina accusato di omicidio. La Commissione, come scrive uno dei suoi componenti, l’ufficiale Francesco Sempreamore, ebbe il fondato sospetto che alcuni testimoni «non solamente non dicevano il vero, ma dovevano essere manovrati e suggeriti da qualche persona intelligente e malefica»; non sottopose a giudizio nè condannò ed immediatamente fece fucilare l'imputato ma trasferì il processo ad Acireale per essere lì “serenamente” giudicato.
E dalla nuova istruttoria risultò ai giudici chiarissima la manovra per far condannare un innocente e la falsità dei testimoni.
Ma, a differenza di Maletto, a Bronte non c'era tempo, Bixio aveva fretta di ritornare con Garibaldi e si doveva correre e fucilare per ordini superiori. Dei borghesi, ingiustamente calunniati e additati a Bixio e subito arrestati, si salvarono solo alcuni imputati: il medico D. Luigi Saitta, i fratelli Carmelo e Silvestro Minissale e il fratello dell'avv. Lombardo, Placido. Per loro fu disposto il carcere ma, fortunatamente, anche un supplemento di indagini e pochi mesi dopo a dicembre, furono scagionati del tutto dai giudici catanesi della Corte di Assise.
All’epoca - scrive lo storico B. Radice - «in due fazioni era diviso il paese: “comunisti” da una parte, “ducali” dall’altra. Erano a capo dei comunisti: i fratelli Lombardo dott. Placido e avv. Nicolò, i fratelli Carmelo e Silvestro Minissale, il dott. Luigi Saitta. Avevano i fratelli Lombardo e Minissale sostenuto liti costosissime contro la Ducea, donde il loro odio per essa». E l’odio era abbondantemente ricambiato da Guglielmo Thovez, amministratore di Carlotta Nelson e dai “ducali” e fu Bixio a dover raccogliere la loro sete di vendetta.
Don Luigi Saitta, medico chirurgo, era stato invece per lunghi periodi sindaco di Bronte (nel 1840/42, 1847 e nel 1850/51) e per la sua onestà ed intransigenza nel difendere la popolazione e il Comune contro la Ducea, era diventato un ostacolo insormontabile per gli interessi dei Nelson. Alla fine i “ducali” con le forti pressioni di Thovez e dell'Ambasciata inglese erano riusciti a farlo destituire dalla carica, per presunti "abusi di potere".
Con lo scopo di difendere l’immenso feudo ed approfittando della situazione, nel 1860, la Ducea aizzò contro coloro che erano ritenuti capi dei “comunisti” addirittura il Console di S. M. britannica per le Sicilie, John Goodwin, che in una lettera inoltrata a Garibaldi gli consigliava le persone da arrestare e condannare "a mente delle leggi" facendo i nomi di D. Carmelo e D. Silvestro Minissale e D. Nicola Lombardo. Allo scopo di non compromettere i rapporti con il Governo inglese l'ordine fu puntualmente eseguito da Bixio che fece condannare e fucilare il Lombardo dalla Commissione Mista Eccezionale di Guerra e incarcerare e rinviare a giudizio anche i due fratelli Minissale e Luigi Saitta quali “autori, fautori, complici di tutti gli eccidi avvenuti in Bronte nei giorni 2, 3 e 4 agosto” (Processo di Bronte, Vol. 05 foglio n. 327).
Fra l’altro è da notare che il Saitta era lo zio di uno dei sedici uccisi, la casa del fratello Vincenzo era stata data alle fiamme e durante i Fatti era stato minacciato di morte (Processo, vol. 1, foglio 73).
I due fratelli Minissale, erano già stati nel mirino dei Nelson: durante la repressione seguita dopo i moti brontesi del 1848, erano stati oggetto di aperte manovre dell’amministratore del Duca, con denunce e calunnie per farli arrestare. Il tentativo però non era andato a buon fine (cfr. Archivio Nelson, vol. 615-B).
Come nel caso di Maletto anche questa volta alcuni mesi dopo una istruttoria meno frettolosa ed equa dei giudici della Corte di Assise di Catania scarcerò a novembre 1860 i quattro imputati per dopo assolverli e scagionarli completamente (“inopportunamente annotati come imputati", scrivevano i giudici).
«Finito l’esame dei testimoni a carico - si legge negli atti processuali - gli accusati Lombardo, Saitta e Minissale han chiesto di sentirsi i testimoni dai medesimi additati in loro discolpa. L’Avvocato fiscale ha chiesto di rigettarsi le dimande degli accusati e di proseguire il dibattimento. La Commissione ritiratasi nella camera delle deliberazioni uniformemente alle orali conclusioni dell’Avvocato fiscale ad unanimità di voti ha rigettato le dimande degli accusati ed ha ordinato proseguirsi il dibbattimento.» (Vedi il documento originale della Commissione che dichiara inammissibili le posizioni a discolpa).
Il destino del liberale avv. Nicolò Lombardo, del matto Frajunco e degli altri tre imputati era stato già deciso ancor prima dell'arrivo di Bixio a Bronte.
Tutto si concluse in fretta poche ore dopo, alle 20 di quel 9 agosto, con la condanna alla fucilazione e l'esultanza dei nemici politici di Nicolò Lombardo e dei funzionari della Ducea.
La Commissione nella sentenza non ebbe vergogna di scrivere «... intesi nelle forme di rito tanto i testimoni a carico, che a discarico» ma non era assolutamente vero e gli atti del processo sono lì a dimostrarlo. (nL)
9 Agosto 1860: Elezione del difensore da parte di Nicolò Lombardo
«L'Anno Mille Otto Cento Sessanta il giorno Nove Agosto in Bronte (...) volendo interrogare gli imputati presenti in carcere sulle prime ci siamo trasferiti in queste prigioni ove abbiamo fatto uscire il primo, ch'essendo libero e sciolto d'ogni legame diretto gli abbiamo le seguenti interrogazioni:
D. Qual'è il Vostro nome, cognome, e tutt'altri connotati? R. Mi chiamò Don Nicolò Lombardo del fu Don Francesco di anni 48 Civile da Bronte.
D. Sapete dirci quale persone scegliete per la vostro difesa, e per quella degli altri sei imputati? R. Signore. Eleggo per mio difensore, e per la mia difesa ancora degli altri sei imputati il Signor Don Nunzio Cesare di questa Comune.
Datagli lettura l'ha confermato e si è firmato con Noi e col Cancelliere Sostituto.»
9 agosto - Posizioni a discolpa di Don Nicolò Lombardo
«I° - Sac. Don Gaetano Rizzo per contestare, che pria dei successi disordini, il Lombardo s’impegnava al mantenimento dell’ordine e che nel giorno primo nelle ore pomeridiane ritiene il testimonio si portava in casa del giudicabile per sortire in piazza onde conoscere quel che dagli insorti si pretendeva dagli insorti, a sedarsi. Ciò non poté verificare giacché nella ora stessa si udì il suono delle campane a martello, gli insorti irrompevano nella piazza ed il Lombardo restò in casa.
II° - Sac. Don Gaetano Palermo a contestare che pria dei successi disordini, il Lombardo si cooperava pel mantenimento dell’ordine pubblico.
III° - Mastro Carmelo Petralia e Sac. Don Mariano Meli per contestare, che nel giorno ultimo di luglio or spento il Lombardo nella pubblica piazza dinnanzi al caffè di Mastro Vincenzo Isola ai contadini che tumultavano per la divisione delle terre comunali il Lombardo arringava l’ordine, esortandoli a darsi pace, promettendo loro la divisione legale e pacifica delle stesse.
IV° - Che nella sera in cui successoro i diversi incendi il Lombardo si stava ritirando in casa; può essere tanto contestato da 1) Agata Imbrosciano, 2) Mastro Nunzio Costa, ferraro, 3) Donna Vittoria Castiglione.
V° - Nel giorno susseguente del camminante questo delegato d’unita a moltissime persone venne a rilevare il Lombardo dalla propria casa invitandolo a sortire e questi temendo qualche sinistro dubitava fortemente ad uscire. Può contestarsi questo vero dal delegato.
VI° - Che il Lombardo diede tutta l’opera sua a poter frenare il tumulto nei giorni susseguenti nei quali durava il disordine, può contestarsi dai 1) Delegato Don Nicolò Spedalieri, 2) Don Giuseppe Radice, 3) Don Giuseppe di Bella Sac., 4) Sac. Don Vincenzo Leanza.
VII° - Che il giudicabile non può dirsi detentore di armi vietate del perché egli fu arrestato la mattina stessa della insurrezione dal decreto del disarmo, e quindi non poté conferirsi in casa per consegnare le armi; per altro la sera di quel giorno sei del camminante il Lombardo consegnava la chiave della sua camera, ove erano le armi al Segretario del Generale Bixio, per mandare a rilevare dalla stanza anzidetta le armi, che dichiarava consistere in un fucile, in un bastone animato, in una pistola piccola, in uno stilo, ed in alquanta munizione
(nelle
pagg. 8-10 di questo file il verbale di
perquisizione originale). Ciò può contestarsi dai 1) Sac. Don Luigi Radice, 2) Sac. Don Antonino Zappia.
Bronte lì 9 Agosto 1860. Nunzio Cesare, Difensore
Le sopracitate posizioni a discolpa sono state presentate alle ore quattordici del giorno 9 Agosto 1860 in Bronte. Il Segretario Cancelliere, Nicolò Boscarini».
La Commissione mista eccezionale di Guerra pubblica la sentenza del 9 Agosto, che il Governatore fa affiggere in tutti i comuni della Sicilia
IL GOVERNATORE DELLA PROVINCIA DI CATANIA
Rende di ragion pubblica la Decisione emessa in Bronte, dalla Commissione mista eccezionale di Guerra, pei reati ivi avvenuti, cosi concepita: La Commissione mista eccezionale di guerra all’uopo eretta, residente in Bronte, composta dai Signori Francesco De Felice Maggiore Presidente, Biagio Cormagi, Alfio Castro, Ignazio Cagnotti Giudici, coll’intervento dell’Avvocato Fiscale Michelangelo Guarnaccia, assistita dal Segretario Cancelliere Niccolò Boscarini nella seduta d’oggi stesso ha emesso la seguente decisione. Nella causa a carico di D. Niccolò Lombardo, D. Luigi Saitta, D. Carmelo Minissale, Nunzio Longhitano, Nunzio Spitaleri Nunno, Nunzio Samperi Spirione, e Nunzio Ciraldo Fraiunco da Bronte, imputati di guerra civile, devastazione, saccheggi, incendi con seguiti omicidii, e di detenzione d’arme vietate pei solo Lombardo, Longhitano, e Spitaleri, avvenuti in Bronte dal 1 Agosto e seguenti del 1860 in danno di Rosario Leotta e compagni, e dell’ordine pubblico.
ha dichiarato
1. Non constare abbastanza che Luigi Saitta e Carmelo Minissale siino colpevoli dei reati loro addebitati, difformemente alle conclusioni dell’avvocato fiscale.
2. Constare che D. Nicolò Lombardo, Nunzio Samperi Spirione, Nunzio Spitaleri Nunno, Nunzio Ciraldo Fraìunco, e Nunzio Longhitano Longi siino colpevoli dei reati loro addebitati, giusta l’atto d’accusa, ed uniformemente alle orali conclusioni dell’avvocato fiscale.
ordina
Prendersi una più ampia istruzione sul conto dei sudetti Saitta e Minissale, rimanendo sotto lo stesso modo di custodia. Condanna D. Nicolò Lombardo, Nunzio Samperi Spirione, Nunzio Ciraldo Fraiunco, Nunzio Spitaleri Nunno, e Nunzio Longhitano Longi alla pena di morte da eseguirsi colla fucilazione, e col secondo grado di pubblico esempio nel giorno di oggi alle ore 22 d’Italia, li condanna altresì alle spese del giudizio in solido in favore della cassa delle finanze da liquidarsi come per legge. Ordina infine che della presente decisione se ne affissino tante copie in istampa per quanto sono i comuni dell’Isola per la debita pubblicità. Fatto, deciso, e pubblicato in Bronte lì 9 Agosto 1860 alle ore 20.
Per estratto conforme Niccolò Boscarini
PER IL GOVERNATORE Il Segretario Generale Carlo De Geronimo
PROPOSTE DI LETTURA
-- Nino Bixio a Bronte, l'integrale monografia di Benedetto Radice, tratta dal II° volume delle Memorie storiche di Bronte, in formato : (scarica il file, 100 pag., 803 Kb).
-- Gli Atti del processo istruito nel 1860 dalla Commissione Mista Eccezionale di Guerra
--
Il Processo di Bronte (1860-1865), le carte giudiziarie dell'Archivio storico di
Catania (Relazione)