(Archivio di Stato di Palermo, Segreteria di Stato presso il luogotenente Generale Interno, anno 1860, vol. 1594, n. 217).Accampato nella fiumara di S. Filippo, nella vicina periferia sud di Messina, senza minimamente appurare i motivi e le cause che avevano portato all'aggravarsi della situazione a Bronte, più per tutelare gli interessi dei possedimenti inglesi che per ragioni di ordine pubblico, il Dittatore dà ordine al suo fidato luogotenente Nino Bixio, di stanza a Giardini, di recarsi immediatamente a Bronte e di reprimere la rivolta.
Contro i diritti primari dei brontesi scelse quelli impropri dei cittadini inglesi e, cosa abbastanza strana, una rivolta, sollecitata e tesa all'attuazione della rivoluzione garibaldina, fu soffocata dagli stessi capi garibaldini.
Gli inglesi avevano aiutato Garibaldi: alle navi della flotta inglese, ormeggiate nel porto di Marsala, era stato impartito l'ordine di favorire lo sbarco dei garibaldini, che così si effettuò in modo tranquillo ed incruento. Come pensare che avrebbero sopportato in silenzio il minimo pericolo o l’occupazione popolare della Ducea (come era avvenuto nel 1848) senza richiedere un vigoroso intervento delle truppe garibaldine?
D’altra parte, il nuovo governo italiano, da cui si sarebbe aspettato piuttosto l’annullamento della donazione del 1799, la rinnovò a sua volta e s’assunse pure l’onere di pagare all’Ospedale di Palermo i proventi della rendita che il re Borbone aveva assegnato nel 1799 all’ammiraglio.
«Bixio, - scrive Antonino Radice in Risorgimento perduto - anche se controvoglia, per l’impazienza da cui era posseduto e pochissimo lusingato dalla missione affidatagli, da soldato ligio agli ordini ricevuti dal proprio Capo, si mosse immediatamente verso Bronte deciso però ad ogni costo da parte sua a dare una lezione fin troppo severa ai responsabili dell’avvenuta sommossa.»
«La teoria che egli fece sua senza esitazione fu quella di dover intervenire colla massima decisione e dentro un piccolissimo arco di tempo, allo scopo di dare un esempio di rigore e di intransigenza alla cittadina che era stata teatro dei tristi avvenimenti per poter poi, chiuso il caso, ritornare colla massima velocità all’anelato posto di combattimento, accanto a Garibaldi.»
«Da Giardini - scrive uno dei garibaldini, G. C. Abba ne La vita di Nino Bixio - pigliò con sé due dei suoi battaglioni; gli altri l’avrebbero seguito. E su a piedi, a cavallo, in carrozza, su carri, giungesse chi vi giungesse, marciò due giorni, coprendo la via dei suoi, ma alla fine fu Bronte.»
Vi giunse il 6 Agosto, lunedì, verso le ore 10. Entrò nel paese quasi deserto accolto dal colonnello Poulet e dal Rettore del Collegio Capizzi, monsignor Palermo, che gli mise a disposizione il proprio appartamento.
La sommossa aveva ormai esaurito la sua carica violenta ed i veri autori dei misfatti si erano già eclissati nelle vicine campagne. Era lo stesso Bixio ad ammetterlo in una sua lettera del giorno dopo, 7 Agosto, al maggiore Dezza che lo seguiva a distanza di qualche chilometro: "…Gli insorti sono naturalmente fuggiti".
«In realtà, - continua A. Radice - il paese etneo, seppur faticosamente, era ormai rientrato dentro i confini d’una calma relativa e per tutti piena di speranze. Oltre che la naturale stanchezza dei rivoltosi era intervenuta anche a gettare acqua sul fuoco il comportamento equilibrato ed accorto del Col. Poulet giunto dal capoluogo ancora il giorno prima».
Prima ancora che Bixio facesse il suo ingresso nella cittadina etnea (nelle foto
a destra tre vedute di Bronte di fine '800) i focolai della rivolta erano ormai stati soffocati da oltre 24 ore. Il generale garibaldino arrivava dunque a fuochi ormai spenti.
«E proprio di tale ritorno alla ragione e del ripristino d’un salutare clima di tranquillità il Poulet stesso, saputo dell’imminente arrivo del generale garibaldino, aveva sentito il dovere di informare quest’ultimo ancora nella mattinata del 6 agosto, facendogli recapitare mentre era ancora in viaggio a pochi chilometri da Bronte, un messaggio col quale lo avvertiva, per suo buon uso, che già da un giorno e più la rivolta era definitivamente cessata.
L’indicazione era utile e obiettivamente importante perché l’azione punitiva che Bixio si proponeva di compiere poteva essere ora diversamente regolata, partendo da queste premesse di relativo ritorno alla calma.
Il messaggio però, per quanto tempestivo e ispirato a corretta informazione, non venne tenuto in alcuna considerazione dal ricevente e non fu sufficiente per indurlo ad una maggiore cautela ed a una certa discrezionalità nel portare avanti la sua azione di intervento.»
Il luogotenente di Garibaldi prese alloggio nel Collegio Capizzi per restarvi solo tre giorni. Ordinò al colonnello Poulet di riportare a Catania il reparto militare di 400 uomini la cui presenza s’era rivelata il giorno precedente provvidenziale per la immediata cessazione dei tumulti.
Senza tante cerimonie bollò l’intera cittadina dell’accusa di “lesa umanità” (vedi accanto il proclama emanato il 6 agosto), dichiarò lo stato d’assedio e ordinò l’immediata consegna delle armi di qualsiasi tipo e specie, operazione per la verità già iniziata il giorno precedente dal colonnello catanese giunto prima di lui.
Sciolse immediatamente il municipio e le compagnie della guardia nazionale, che per vero triste prova avevano dato nei giorni della rivolta e si erano limitate o per paura o per cattiva organizzazione a starsene alla larga senza alcuna volontà di intervenire.
Predispose un immediato cambiamento delle cariche pubbliche al posto di quelle assegnate nei tre giorni della sommossa, riconfermando però in massima parte gli inetti amministratori precedenti, proprio quelli che si erano opposti fin dal primo momento alle innovazioni da molti invocate.
Impose anche all'intero paese una tassa di guerra di ragguardevole entità (10 onze) che la popolazione senza distinzione di sorta fu costretta a depositare sul suo tavolo allo scadere di ogni ora.
Per dare anche un esempio di rigore, quale deterrente per altre simili situazioni che stavano verificandosi in altri comuni, attuò una rappresaglia senza precedenti contro l’inerme popolazione contadina trasformando, improvvisato giustiziere, in vittime innocenti i primi che caddero nella rete.
Ancora lo storico brontese Antonino Radice scrive che «al suo arrivo nella cittadina, risulta che il generale garibaldino in preda ad una incontenibile collera iniziò i suoi colloqui con molti cittadini del comune di Bronte e con appartenenti alla vecchia ufficialità della locale amministrazione, personaggi in quel momento impauriti e tremanti, usciti appena dai nascondigli dentro cui s’eran fin allora tenuti allo scopo di salvare la propria vita.
Esortati a dare la loro versione sui fatti costoro risposero all’invito come era da prevedere, deformando l’accaduto e fornendo delle vicende ricostruzioni imprecise, dettate per lo più dall’emozione che ancora in quel momento li possedeva. (...)»
«Il Bixio nella esaltazione punitrice da cui era posseduto in quei momenti, andava solo in cerca di individui da dichiarare colpevoli in pubblico e da destinare ad una immediata punizione.
Per tale motivo egli prese subito per buono, nel corso dei suoi personali interrogatori e senza l’aggiunta d’una minima riflessione, quanto gli veniva raccontato, poco curandosi, come la ragione avrebbe suggerito, di verificare o far verificare da altri la credibilità delle deposizioni che gli venivano via via offerte.
Eppure un confronto era necessario fra le differenti versioni per stabilire una verità che alla fine fosse tale per tutti. Una simile opportunità non attraversò per un solo istante la sua mente. (...)
Ma per Bixio preso dalla fretta di chiudere la partita e di ripartire colla massima velocità verso la gloria che egli anelava procurarsi in campo aperto, tutto questo contava poco e la prosecuzione di ulteriori colloqui di chiarimento significava per lui solo una inutile perdita di tempo.
Qualche vita umana in più o in meno non significava a quel punto proprio nulla per il frettoloso militare. In quel momento vinsero nel personaggio solo la fretta e l’ansia di ricongiungersi ai suoi compagni fermi ancora per poco sulla riva siciliana dello Stretto.»
Un altro testimone oculare, il frate cappuccino, il filoborbonico amico del Poulet, Gesualdo De Luca, che tanto si attivò in quei tre giorni di tumulti per riportare la pace e far cessare la rivolta, racconta che «l’indomani, ai suoi soldati giunti dopo lui, Bixio diede ordine di arrestare gli individui, dei quali avea ricevuto nota.
Fu avvertito D. Nicola Lombardo di salvarsi colla fuga, nol volle fare. Ben presto fu in prigione nel Collegio Capizzi custodito rigorosissimamente. Furono agli arresti e tradotti nel pubblico carcere D. Luigi Saitta, D. Carmelo Minissale e moltissimi plebei ed artisti.»
«...A nulla valse la schiettezza del Lombardo- scrive Maria Serena Mavica -, la limpida consapevolezza di avere la coscienza pulita e di essersi adoperato per arginare il fenomeno di violenza collettiva, di nessun rilievo venne considerato l’essersi recato personalmente a conferire con Bixio, anzi proprio questo gli costò l’arresto e la vita, malgrado gli avvertimenti accorati dei suoi amici gli intimavano di fuggire.
Certo è che l’opinione del Bixio doveva essere già stata opportunamente influenzata dallo zelo degli avversari politici del Lombardo, tant’è che questi, in virtù dei preconcetti già instillatigli nei confronti di alcuni dei presunti caporioni della rivolta, lo fece immediatamente arrestare.»
Per Fernando Mainenti (Agorà, periodico di cultura siciliana, n. 13-15, Apr.-Dic. 2003) «i nemici politici dell’avvocato Nicolò Lombardo colsero dunque l’occasione di macchinare la rovina del loro onesto e leale avversario, indicandolo a Bixio quale caporione della rivolta: la reazione di Bixio fu inconsulta e immediata.
Il sicario di Garibaldi non si preoccupò minimamente di accertare o meno la colpevolezza dell’accusato, ma sotto l’effetto dell’ira più violenta ordinò al Poulet di arrestare il Lombardo ed i principali colpevoli della tragica sommossa.
Alcuni amici ed un ufficiale della compagnia del colonnello Poulet avvertirono il Lombardo del pericolo e gli consigliarono la fuga per sottrarsi alla rappresaglia di Bixio.
Ma il Lombardo, forte della sua coscienza pulita, consapevole di avere tentato con tutti i mezzi di placare gli animi esagitati, si recò al Collegio Capizzi e chiese di conferire con Bixio. Monsignor Palermo, non appena lo scorse, lo implorò di fuggire, avendo già intuito che il Lombardo andava incontro ad una morte certa. Ma nemmeno questo consiglio rimosse don Nicolò dal suo proposito di presentarsi al generale.
Bixio lo accolse con occhi di fuoco, bollente d’ira e lo apostrofò con violenza: Ah! Siete voi il presidente della canaglia! Non gli diede il tempo di scolparsi, di manifestare le sue buone ragioni; gli impedì ogni, seppur vana, difesa! Con un ruggito che nulla aveva più di umano, ordinò l’arresto immediato dell’avvocato e lo fece rinchiudere nella stanza di disciplina del Collegio, sorvegliata a vista da un picchetto armato di garibaldini.»
L'iracondo generale fece immediatamente intervenire a Bronte, da Adrano dove era in sosta, la "Commissione mista eccezionale di guerra" (“mista” perchè ne facevano parte sia militari che civili), per celebrare un rapido e sbrigativo processo contro coloro che gli erano stati rapportati come capi della rivolta.