“Senza alcun indugio, giacchè il pensare e l’agire era tutt’uno per lui, pungendolo vieppiù la fretta del ritorno, fatte venire a sé le autorità del paese, l’arciprete Politi e il Delegato Nicolò Spedalieri, i presidenti del consiglio e del municipio, ingiunse loro con minacce di confessare i nomi dei principali colpevoli. I nemici del Lombardo, del Saitta, del Minissale, quanti patirono negli averi e nella persona dei loro cari, colta l’occasione, macchinarono la loro perdita, dicendoli aizzatori allo scompiglio, alla strage e Borboniani. Non bisognò più avanti per accendere nell’anima vulcanica del Bixio le furie. Alla vista del paese arso e saccheggiato, al racconto dei fatti atroci, egli soldato della libertà, a cui aveva consacrato tutta la sua vita, ringhiò, urlò come fiera, bollò di vigliaccheria le autorità, i galantuomini; li insultò, li vilipese con le parole più roventi, quali solevano uscire dalla sua bocca negl’impetuosi e subitanei furori, onde divenne tremendo il suo nome. Ordinò subito al Poulet di occupare tutti gli sbocchi del paese e di arrestare i principali colpevoli. Questi […] non avevano pensato a fuggire […]. Il Lombardo, confidando nei suoi sentimenti, nella sua coscienza di non avere consigliato il male, essendosi anzi adoperato e prima della venuta del Poulet e dopo a sedare il tumulto, non credeva di dover temere le ire del Bixio stimando viltà e colpa la fuga, non ascoltati i consigli degli amici, volle presentarsi da sé stesso; e recatosi al collegio la mattina stessa chiese del Generale. Il rettore Palermo, appena lo vide lo scongiurò di fuggire all’istante, avvertendolo che andava incontro a certa morte; ma neppure questo scongiuro rimosse dal suo proposito il Lombardo che si fece tosto annunziare al Generale. Come il Bixio, con quel suo carattere impetuoso e coll’animo piagato e bollente abbia accolto il Lombardo, è da immaginarselo. Si narra che appena sentì essere quegli il Lombardo, fattosi in viso spaventevole e con voce che sembrò ruggito, proruppe: - Ah! Siete voi il Presidente della canaglia! Ignorasi che cosa abbia potuto rispondere il Lombardo, e se il Bixio gli abbia dato tempo a scolparsi; certo è che subito arrestato, fu messo nella stanza di disciplina del collegio e rigorosamente custodito da sentinelle. Bixio scrive subito al Presidente della Commissione per venire in Bronte; al governatore di telegrafare al Dittatore che rispondeva egli della tranquillità del paese; […] all’ufficiale di guardia la consegna di avvisarlo al menomo rumore; proibisce agli abitanti di andare in giro; fa pattugliare il paese con ordine di arrestare chiunque si trovi per le vie e di fucilare sul luogo chi resista, scioglie quell’ ombra di Municipio e di Guardia Nazionale; mette la Terra in stato di assedio, le impone una taglia di L. 127 l’ora ed emana il decreto. “Tutti questi ordini, scrive il Guerzoni, furono eseguiti colla rapidità fulminea dell’uomo che li bandiva. […] “Non dava tregua a nessuno. Era un inviare e ricevere corrieri. […] Ordinò subito al Poulet e agli ottanta della guardia di Catania di lasciare Bronte. Ne provò il Colonnello rincrescimento, e, prima di partire, gli mandò questo biglietto, del quale diede copia a padre Gesualdo De Luca perché lo facesse noto al paese: “Sig. Generale, quando io arrivai nelle vicinanze di Bronte trovai postato il popolo in tal terribile sito e strategico modo che poteva trucidarci tutti senza che noi avessimo potuto ferirli. Ma al risapere che noi eravamo forza pubblica del governo, abbassarono le armi e ci accolsero come in festa. Io raccomando all’Eccellenza Vostra un popolo sì docile e buono.”(1) “Certo il Poulet, pur essendo di animo mite, non voleva sottrarre alla giustizia punitrice i colpevoli di tanto esterminio; ma si spinse a scrivere per debito di gratitudine verso la generosità rusticana e cavalleresca dei ribelli che, potendo, non vollero massacrare lui e i suoi […]. “La mattina del 7 giunse da Adernò la commissione mista di guerra, reduce da Nicosia. Era presieduta dal maggiore Francesco Defelice e composta da 3 giudici, un avvocato fiscale, un segretario e un cancelliere sostituto. Furono in quel giorno arrestati il Dr. Luigi Saitta, Giuseppe Meli Mauro, nipote del Lombardo, D. Silvestro Minissale a Messina, e suo fratello Carmelo a Catania. “Il Bixio intanto scrive subito al maggior Dezza, rammaricandosi della fuga degli insorti; gli dà novelle istruzioni ed ordini, e gli raccomanda caldamente di avvisarlo, se avesse sentore di operazioni a Messina, per poterlo raggiungere. Questo per lui era l’importante. Scrive al Comandante la Guardia Nazionale di Maletto, essere quel paese il focolare degli assassini; trasmette un rapporto del colonnello Poulet al Presidente della commissione straordinaria di guerra, e al Generale Garibaldi invia una relazione su quanto aveva visto, fatto e ordinato. “In questo nuovi moti accennavano seguire a Randazzo, a Cesarò, a Regalbuto, a Centuripe. Un’irrequietezza prende l’animo di Bixio; egli si moltiplica meravigliosamente; sembra avere il dono dell’ubiquità. Nelle ore pomeridiane del 7 è già a Randazzo, scrive al maggiore Dezza di venire a prendere il comando della brigata, invita il governatore di Catania a venir lì per affari urgenti. La mattina del giorno 8 invia lettera al maggiore Boldrini per la sollecitazione del processo; verso mezzogiorno è già di ritorno a Bronte. Sembrandogli lento il procedere dei commissari di guerra, li taccia di poltroni, li minaccia. In tutti mette una febbrile attività. Messi vanno e vengono a Catania, Adernò, Regalbuto, Randazzo, Centuripe, Cesarò, Francavilla, Maletto, Linguaglossa. Con decreto dello stesso giorno crea un municipio provvisorio, eleggendo a presidente Sebastiano De Luca, e ad assessori D. Pietro Paolo Colavecchia e il Dr. Antonino Cimbali(2). Fa tosto ordinare la consegna delle cose provenienti dal saccheggio ad una deputazione, di cui è capo lo stesso De Luca. Poveri affamati, potendo più in loro la paura e la minaccia, accorrono premurosamente a consegnare utensili, masserizie, denaro, olio, grano, quanto avevano involato alle fiamme. “Intanto all’agitazione tempestosa dei giorni del terrore era succeduta una paurosa calma, foriera di sciagure a quanti avean preso parte al tumulto e alle stragi. Vicendevoli sospetti agitano gli animi di parenti, di amici, e più ancora di nemici, porgendosi per privati odi, facile l’occasione di accusare. A molti fu imputato a delitto aver solamente veduto. Le vie, affollate prima dalla malvagia ciurmaglia e ancora insanguinata, ora corsa da soldati e prigionieri, che dimessi, trascolorati, a centinaia, vanno alle carceri, al giudizio. Le case risuonanti prima di grida di vendetta e di morte, ora piene di desolazione di pianti. Un sordo sussurro di reazione serpeggia per le campagne, ove fuggendo avean trovato asilo i ribelli, ma la presenza di Bixio li scoraggia. Più di 350 fucili ed armi d’ogni genere sono presentati in quei giorni. “Alla vista di tanta anarchia e desolazione, pieno l’animo di rammarichi, lampeggiando d’ira, col pensiero rivolto alla patria, scrive ai battaglioni […] un ordine del giorno col quale, dopo avere assicurato il pagamento del soldo e il rancio dall’amministrazione del collegio, li informa che Garibaldi li chiamerà in tempo per passare in Calabria. “Ed era un ben triste dovere per lui […] onde quella lentezza del processo, ma più, lo stimolo della partenza lo rendeva febbricitante, più impetuoso, più nervosamente agitato. A lui, in quei momenti, tre giorni parevano tre lunghi anni, e un frullo la vita di quattro o cinque uomini che potevano essere fucilati, magari innocenti, quando era in pericolo l’unità della patria.” Poiché c’erano tumulti a Cesarò e a Regalbuto, manda il Dezza a Cesarò e lui, scritto un proclama ai Comuni vicini, vola a Regalbuto “all’alba del 9, raccomandata alla commissione celerità e giustizia severa. Dalla lettera al Dezza sembra che la sorte di cinque fra i colpevoli fosse stata già bella e decisa prima della sua andata a Regalbuto, essendo il giudizio finito alle ore 20 dello stesso giorno, e Bixio gliene annunziava la condanna fin dalla sera del giorno 8, o dalla mattina del 9. Nelle ore pomeridiane dello stesso giorno dopo la sentenza, Bixio riappare in Bronte.(3) La commissione di guerra intanto aveva rizzato tribunale in casa Fiorini. “Segrete denunzie, accuse manifeste dei più accaniti nemici, accusarono il Lombardo, il Saitta, i fratelli Minissale, come Borboniani, reazionarii: li dissero aizzatori ai saccheggi alle uccisioni; ma più che contro gli altri, le ire e le vendette si avventarono contro il Lombardo, temuto capo del partito avverso. Si giunse anche perfino ad infamarlo che in casa sua furono portati libri ed oggetti provenienti dal saccheggio, che promise compensi ai ladri i quali deponessero presso di lui la roba rubata. La causa fu spedita in quattro ore. Alle 12 fu notificato agli accusati di presentare le loro discolpe infra l’improrogabile termine di un’ora, alle 13; ma presentate un’ora dopo, vennero rigettate dalla Commissione. Il Lombardo scelse a difensore il suo acerrimo nemico e rivale l’avvocato Cesare. Parlò breve il Lombardo, protestò la sua innocenza, tacciò di menzogneri i testimoni, disse essersi adoperato al trionfo della rivoluzione ed a sedare i tumulti, che a tempo aveva scritto al comandante della Guardia Nazionale del Distretto e al Governatore, accennando al vacillamento dell’ ordine pubblico, e ne presentò le risposte, indicò testimoni a sua difesa.(4) “Nessuna voce si levò in suo favore. Uno degli accusati D. Carmelo Minissale aggravò vieppiù la condizione di lui, dicendo a sua difesa, essergli nociuta l’ amicizia del Lombardo. Sulle accuse dei nemici, sulle querele degli offesi e dei testimoni a carico, senza udire i testimoni a discolpa, nella sala gremita, in un silenzio pieno di aspettazione, alle ore 20, fu dalla commissione di guerra profferita la sentenza, che condannava cinque dei colpevoli alla fucilazione: D. Nicolò Lombardo, Nunzio Ciraldo Fraiunco il matto, Spitaleri Nunzio Nunno, Samperi Nunzio fu Spiridione e Longhitano Nunzio Longi; gli altri rinviava al consiglio di guerra a Messina. L’ esecuzione doveva aver luogo alle ore 22 dello stesso giorno, ma fu differita al domani, e un avviso di Bixio indicò il piano di S. Vito per la fucilazione. La notizia corse in un baleno il paese suscitando terrore in tutti. “Il Lombardo intanto nell’ansiosa attesa della sua sorte, pur non avendo speranza alcuna, domandava che cosa dicesse la monachella del suo destino. Era questa una sorella maggiore dell’ordine di S. Benedetto, Suor Serafina, da lui tenuta per santa, e alle cui parole egli aveva una superstiziosa credenza. Domandava spesso della vecchia madre, che pietosamente ingannata lo credeva salvo a Catania. “Io non m’indugio a notare le contraddizioni della sentenza, […] dico però che, trattandosi di vita o di morte, non bisognava restringere nel breve spazio di un’ora, non ostante la fretta del Bixio, il diritto a difendersi, sebbene si trattasse di colpevoli grandissimi; dico che la commissione non doveva mandare a morte il Lombardo, ma inviarlo cogli altri, sui quali gravavano le medesime accuse, al tribunale di guerra(5). Ma il Lombardo era già votato a morte, e le corti marziali, si sa bene, non guardano tanto pel sottile. “Data la sentenza, l’arciprete Politi andò al collegio a comunicare al Lombardo la ferale notizia; altri corsero al carcere a darne la novella al Saitta e ai fratelli Minissale. Ascoltò tranquillo il Lombardo e disse: - I miei nemici hanno alfine trionfato. Dieci anni prima o dopo è lo stesso. Era questo il mio destino.- “Fu tra i pianti e le strilla di una sua donna celebrato “in articolo mortis“ il matrimonio ecclesiastico; e, avuti gli estremi conforti della religione, stoicamente si preparò al gran passo. “I parenti del Lombardo si presentarono al Bixio per implorare da lui di poter dare l’ultimo abbraccio al condannato, ma egli fieramente li respinse; e il povero garzone, andato a portagli delle uova, fu rimandato con dure parole: - Non ha bisogno di uova, domani avrà due palle in fronte! “Il domani venerdì, verso le 8, i condannati furono condotti al luogo del supplizio. Una folla immensa di popolo, nei cui occhi leggevasi lo spavento e la compassione, seguiva in ferale silenzio il corteo. L’arciprete Politi e il sac. Radice li andavano confortando. Il Lombardo, aitante nella persona, con lo sguardo mesto, con un cappello a cencio, procedeva a passi lenti, fumando un sigaro, lisciando la sua nera e folta barba[…] invitando i compagni a rispondere alle preci degli agonizzanti. […] Arrivati sulla piazza di S. Vito i cinque condannati furono posti a sedere in fila. Protestò di nuovo il Lombardo la sua innocenza, chiese in grazia di essere il primo fucilato […] Letta da un ufficiale la sentenza fu ordinato il fuoco. Caddero riversi un dopo l’altro tutti e cinque. […] Stava Bixio con gli occhi fissi, vitrei, a cavallo, come l’angelo della vendetta. […] In quel solenne e funebre momento certo il suo cuore dovette sentire uno schianto. […] Sappiamo[…] che più tardi, nei lontani mari asiatici, ove sconsolata morte lo colse, ragionando egli a volte col suo medico di bordo dottor Mariano Salluzzo dei delittuosi fatti di Bronte e della fucilazione del Lombardo, saputo che questi non era stato l’arrabbiato borboniano e l’aizzatore alle stragi, come gli era stato dipinto, sentiva come un incubo sull’animo e troncava il discorso.(6) “Tale fine ebbe Nicolò Lombardo. Egli andò a morte per i sobillamenti dei suoi nemici, e per soddisfazione della nazione britannica. […] di lui, scriveva a me il senatore Carnazza Amari, figlio di quel Sebastiano Carnazza, che per la libertà patì torture, carceri ed esilio: - Ricordo benissimo che Nicolò Lombardo era molto amico di mio padre, che da lui e dai contemporanei era ritenuto come il capo del partito liberale di Bronte […] fu fucilato […] perché […] ritenuto eccessivamente rivoluzionario […] e per un fatale errore del Bixio; […](7) Tutt’ora però vi ha chi appone a lui la preparata strage e gli ascrive a gran colpa le sue relazioni coi facinorosi(8); altri pensano che voleva disfarsi di tre o quattro nemici […] altri che egli, a studio, in pubblico parlava di pace ai contadini che poi segretamente aizzava. Altri invece lo scolpa dicendolo buono e amante del popolo. In tanta contrarietà di pareri, di sentimenti e di giudizi, essendo la vita di ogni agitatore avvolta un po’ nel mistero, né agevole quindi penetrarne i disegni, io osservo che se egli avesse voluto disfarsi dei suoi nemici, certo ne avrebbe avuto l’occasione ed il mezzo, ma nessuno di essi fu ucciso; e il Saitta Vincenzo era fratello a Luigi suo amico e compagno,[…]. Molti cittadini e preti e frati convengono ch’egli non volle mai la strage; ma che la plebe briaca andò di là dalle sue intenzioni; che veri aizzatori […] furono i malfattori usciti dalle carceri, e specialmente quei venuti da Adernò, Biancavilla, Alcara li Fusi. Egli prese partito pericoloso, perocchè è facile muovere la plebe, ma difficile il frenarla; […] Il Lombardo, accortosi delle scelleratezze della plebe, avrebbe dovuto col sacrificio di se stesso affrontare l’ira, ed avrebbe evitata a sé morte inonorata; ma gli mancò l’animo: la viltà, la paura della morte lo vinse. “Giunto a questo punto, conviene che, io da narratore e da giudicatore imparziale, deplori come scrittori borbonici e liberali abbiano in parte alterata la verità dei fatti; quelli esagerando, questi attenuando e giustificando la violenza bixiana: gli uni e gli altri, per ignoranza, accrescendo di delitti maggiori e non commessi le colpe del popolo brontese, confondendo le notizie e attribuendo perciò a Bronte fatti più atroci di quelli da lui commessi in realtà, e consumati invece da altri nei paesi sollevati; […].” Il Radice contesta due scrittori borbonici, il Buttà e il Desivo che hanno scritto cose esagerate o inesistenti sul conto del Bixio e continua: “Lascio sulla loro coscienza borbonica tutte coteste menzogne […]. Del resto sulla memoria del Bixio, il cui nome è gloriosamente legato con la storia del nostro Risorgimento, gravano non pochi di simili atti di violenza; ed è vano che i suoi biografi si studino di dissimularli. Quello era l’uomo, che la natura, la quasi nessuna educazione di famiglia, come dice il Guezzoni, […] avevano formato. La rivoluzione gli fu propizia per salvarlo forse da una vita ignobile, e ne fece un bronzeo tipo di eroe […] Egli era lampo e fulmine, dovunque capitava apparizione terribile. La qualità dominante in lui era l’ impeto, che lo faceva mirabile ed eroico nelle battaglie; ma spesso per eccessivo amore di disciplina, giustiziere irremovibile e tremendo.[…] tutto per la patria ei si credeva lecito di fare: Salus reipubblicae suprema lex! “Egli stesso conoscendo il suo carattere così impetuoso, accennando alla missione di Bronte, scriveva alla moglie nel 17 agosto, dalla spiaggia di Giardini, […] - missione maledetta, dove l’ uomo della mia natura non dovrebbe mai essere destinato.- “E in una seduta alla Camera del 3 luglio ’62, “incidentalmente dichiarava come a sua giustificazione: - Potrei citare fatti dolorosi in cui mi sono trovato nella necessità di far fucilare. Nel fatto di Bronte potrei provare che ho minacciato quelli che volevano la fucilazione, ho impedito i miei soldati col revolver alla mano di toccar la popolazione civile, ed ho minacciato i municipii e la guardia nazionale se versavano il sangue, quindi gli accusati sono stati giudicati dai tribunali del paese, a porte aperte, senza alcun militare, all’infuori della sentinella alla porta e dei soldati necessari a mantenere l’ordine, e solo quando il tribunale ebbe pronunziato, dico, furono dolorosamente fatti fucilare da me. “Ma comunque, tutti questi suoi atti, figli dell’ indole sua fiera e dovuti a circostanze eccezionali di tempi e di cose, non diminuiscono punto la sua mirabile figura di patriota e di soldato, del prode dei prodi, come lo chiamò il Carducci; e l’Italia, che egli molto amò, a cui diede la sua giovinezza, l’avvenire suo e dei suoi, l’ha già meritatamente glorificato. “Dei sei scrittori liberali che sono a mia conoscenza: Giovanni La Cecilia, Busetto Girolamo, Carlo Pecorini Manzoni, Cimbro Lazzarini, Giuseppe Cesare Abba e Giuseppe Guerzoni; questi due ultimi, anzicchè narrare, favoleggiarono; e più letti e più creduti perché primi scrissero, misero in mala voce la città di Bronte. Il Guerzoni(9) fantastica di reazione fratesca e borbonica, di stupri di donne, di orribili ma storici squarciamenti di bambini! E l’Abba(10) di chierici trucidati […], di monache violate […], di seni recisi[…], mentre Bixio prorompeva in piazza e caricava alla baionetta quei dementi. Di tutti questi orribili delitti nessuno è vero, nessuno fu visto dal Bixio, né potè essere narrato per la semplicissima ragione che nessuno di essi fu commesso.(11) Che carica alla baionetta! Bixio arrivò il giorno dopo, finita la rivolta, quando già la calma cominciava a rientrare negli animi per la venuta provvidenziale del colonnello Poulet, di cui finora tutti hanno taciuto. Perché? Forse per dare a Bixio solo la gloria della repressione? Ed è ingeneroso studiarsi di mostrare più reo che non sia un popolo ignorante, trascinato al delitto per cause e colpe non sue e per il fatale andare di umani avvenimenti, compiacendosi di narrare i fatti dietro fantastici racconti di testimoni non oculari, […] Avrebbero i parenti delle donne, dei vecchi, dei bambini trucidati, sopportata tranquillamente tanta infamia? Se non che i volumi del processo sono lì a smentire ogni cosa. Il La Cecilia(12), da storico spassionato, narra in generale le stragi, ed anzicchè dirle effetto di reazione borbonica, afferma che furono una legittima conseguenza del precedente governo, il quale, iniquo in sé stesso, aveva corrotta ogni classe di cittadini e preparato i motivi dell’ eccidio. Il Lazzarini(13) ripete le cose dette dal Guerzoni e dall’Abba. Ci duole che nessuno dei tanti studenti, medici, avvocati, ingegneri, artisti, garibaldini che furono a Bronte abbiano(14) lasciato un ricordo delle loro impressioni, le quali avrebbero di certo sfatate le esagerate fantasie e le menzogne.” “Ripiglio la narrazione. - I corpi dei giustiziati immersi nel loro sangue furono lasciati fino a sera esposti al pubblico, spettacolo miserando e ammonitore. Questa esecuzione assai la plebe sbigottì, solo agli offesi soddisfece, quella per timore di peggio, questi per vedersi vendicati del danno e delle ingiurie patite. “Bixio scrisse subito al Governatore di Catania una lettera(15) piena di santi sdegni, bollando a ragione, di vigliaccheria civili e autorità. “Nominato nello stesso giorno 10 il capitano Bernardo Zappalà quale commissario straordinario e Delegato del Governo per sopraintendere a tutte le operazioni governative e amministrative e affidato il comando della Guardia Nazionale agli avvocati Cesare Nunzio e Nicolò Leanza ed al sig. Giacomo Meli,(16) Bixio il giorno 11 partì da Bronte per la via di Randazzo conducendo seco fra lo stupore e la paura del popolo un centinaio di prigionieri e lasciando nel paese una compagnia a preghiera dei civili e dei preti paurosi di una reazione. Da Randazzo il giorno 12, come ricordo e solenne monito, pubblicava un […] proclama “Agli abitanti della provincia di Catania”. “Comprese Bixio che causa prima e vera della sommossa non era stata la reazione borbonica, sognata a fin di vendetta dai consiglieri del Comune, ma la mancata divisione dei beni; onde con altra lettera, prima di imbarcarsi alla fatale conquista del Regno di Napoli, […] scriveva al Governatore di Catania, fra l’altro, il Dittatore approva completamente il fatto da noi; ma vuole che le autorità tutte comprendano che anche loro hanno dei doveri da compiere, ed intende che siano responsabili della mancanza di energia mostrata. Farà studiare la questione della ripartizione dei beni comunali, accoglierà le domande che siano inoltrate nei modi voluti, reprimerà energicamente chi si avvisi spingere alla violenza, in una parola non s’intende essere il Dittatore di un paese popolato da uomini metà feroci e metà codardi. […] I prigionieri li conduco meco, le commissioni che hanno fatto qualche cosa si renderanno in Messina per riferire all’Auditorato di guerra. Queste commissioni sono gran parte formate di poltroni, non giunsero in tempo e non ne compresero il valore.(17) […]
|