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Benedetto Radice

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Benedetto Radice, "Memorie storiche di Bronte"

Florilegio di Nicola Lupo

Florilegio delle Memorie storiche di Bronte - Indice

14. Nino Bixio a Bronte

Episodio della rivoluzione siciliana del 1860 con diario e documenti inediti

[la vendetta] l'eccidio [la repressione] [Saggio di L. Sciascia]

II - L'eccidio

“Era tempo di trebbiatura. I contadini attendevano al raccolto. Fu deciso di cingere il paese per impedire l’uscita e far popolo. C’è chi afferma che l’ordine sia stato dato dal Lombardo; altri lo nega.
Tutto fu macchinato senza sua saputa. Però non pare credibile ch’egli, capo, ignorasse e l’anticipato moto e la presa dei passi. Il fatto è che il piano fu concertato nella casa di un insorto, Signorino Spezzacatene.

“La mattina del 1° agosto, mercoledì, continuarono le dimostrazioni e le grida. La sera, profittando che la compagnia del Lombardo era di guardia e che le altre riposavano, (né si sa comprendere in tanto pericolo la spensieratezza e dappocaggine degli altri capitani), furono occupati i posti di Salice, S. Antonino, Zottofondo, Catena, Colla, Camposanto, dietro S. Vito, Sciarone, Lo Vecchio.

“Verso le ore 5 della notte(17) si sentirono tocchi di campane dal campanile di S. Antonino e della Madonna del Riparo, qualche fucilata e fischi: voci di allarme si rispondevano da un posto all’altro: Sentinella all’erta! All’erta sto!

“Durante la notte era per le vie un va e vieni affaccendato, un picchiare alle case, un chia­mare sommesso i compagni, ignari della novità, un sussurrìo che a mano a mano diveni­va un rumore di fiume che ingrossa nella sua corsa, e in mezzo a tutto questo un lieto suono di cornamusa.(18)

I FATTI DI BRONTE

L'eccidio di Bronte, di Orfeo Tamburi (1988)

NINO BIXIO A BRONTE
l'integrale monografia di Benedetto Radice (tratta dal II° volume delle Memorie storiche di Bronte)

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Alcuni civili, atterriti da quei segni, travestiti, ebbero a ventura di trovare scampo nella fuga, facilitata dal denaro o dalla pietà di amici contadini.

“La mattina del 2 agosto, giovedì, il paese si trovò militarmente assediato da ogni parte. Chi voleva uscire era fatto tornare indietro colle buone o colle cattive: - Dobbiamo dividerci i beni del Comune, gridavasi: questi signori ci hanno succhiato il sangue nostro, ce lo devono restituire.

In paese era grande agitazione e scompiglio; un correre qua e là popolarmente, tumultuariamente chiamando e invitando alla sommossa.- Chi non è con noi è contro di noi - Guai a chi è contro il popolo - E molti di buone famiglie borghesi, volenti o nolenti, ingrossavano lo stuolo dei faziosi.

Il sacerdote Giuseppe Minissale con altri preti e il presidente del Municipio Sebastiano De Luca, si recarono a Salice e allo Scialandro, scongiu­rando i rivoltosi a lasciar libero il passo, promettendo immediata la divisione del Demanio. Furono minacciati, costretti a tornare indietro: vi andarono alcuni giovani civili, ma accolti da salve di fucilate, fuggirono.

Bronte, di Florestano Vancini“Verso mezzogiorno la piazza vicino al Casino dei civili, era un vero bollimento. Un’onda di popolo incalzava e contrastavasi mugolando e urlando: Vogliamo la divisione delle terre.

Andavano intanto adunandosi al Casino alcuni civili; vi apparve pure il notaio Cannata armato di doppiet­ta. Quella comparsa suscitò nella folla mormorio e sdegno. A calmare i clamori fu fatto venire il presi­dente del Comitato Barone Meli, che sofferente di podagra fu là portato sopra una sedia, come se il vano titolo di barone e non la virtù dell’animo bastasse ad infrenare un popolo in furore. Fu solennemente promessa la divisione […] ma quel partito […] parve ai tristi, bramosi di rapina e di sangue, una canzonatura […].

“Una prima vittima intanto del furore plebeo, la guardia municipale Carmelo Luca Cucchiarella era già caduta la mattina trucidata vicino al Carcere bovi, perché andava prendendo nota dei preposti alla custodia dei passi. Il dottor Antonino Cimbali, vista l’imminenza del pericolo e l’inabilità del barone Meli, voltosi ai civili radunati, disse:
- che fare di questo pupattolo? Pensiamo ai fatti nostri. -

Molti giovani animosi convennero di radunarsi al Collegio per preparare la resistenza. Ci andarono pochi. E i capitani del nobile corpo della G.N., cui incombeva il dovere della pubblica tranquillità? Disertarono il loro posto; e le guar­die? Si sciolsero per paura o per connivenza. Ognuno si credeva innocente e pensava a salvare sè, dimenti­cando che nei tumulti di popolo anche i buoni non trovano sicurtà alcuna. Il dottor Cimbali, vista l’ incoscienza e la paura dei minacciati, mandò a dire le parole di salvezza:
- Si salvi chi può.

Fatale egoismo e dissensione che travolse la maggior parte nella universale ruina!

“Il dado era tratto. Grande lo scompiglio, grandissima la paura. Il vecchio sac. Gaetano Rizzo, incontrandosi col dott. Saitta, uno dei capi del partito comunista, lo pregò di unirsi a lui e andare dal Lombardo e procurare di mettere la pace. Il Lombardo, sentendosi in colpa di avere spinto troppo il popolo e consapevole della propria responsabilità, quale capitano della G. N., accolse volentieri l’invito.

“Erano le ore 23 e alla chiesa dell’Annunziata si suonava la benedizione, quando nello stesso tempo si sentì una campana a martello. Era troppo tardi, l’ora della vendetta scoccava; l’ira accumulata di tante generazioni prorom­peva. Dal piano di S. Vito, pochi insorti, armati di scuri e fucili […] scesero guardinghi e sospettosié […] nella via principale, preceduti da un branco di monelli, che lieti, gridando:
- Viva l’Italia! Morte ai sorci! (19)

Libertà, di Pietro Annigoni, 1988andavano gittando sassi alle porte e alle finestre. Torma più numerosa scendeva per la via dei Santi, dalla parte opposta, e un’altra veniva di giù dal paese guidata da carbonai. All’avanzarsi di quelle turbe minacciose, come all’appressarsi di un temporale, è un correre qua e là, un chiamarsi a vicenda spaventati, uno sbatacchiare frettoloso di usci e finestre, un serrare e sbarrare porte; un rumoroso scorrere di catenacci e chiavistelli.(20)

Per un falso allarme ebbero gli insorti vicino alla casa Lupo, un momento di panico; ma ben presto rassicurati e vistisi padroni indisturbati del campo, si diedero con selvaggia gioia a mettere a ferro e fuoco le case dei creduti Borboniani. L’assalto e il saccheggio procedono quasi militarmente. E come nelle sommosse:

… un Marcel diventa
ogni villan che parteggiando viene
(21)

così fra quella turba alcuni plebei, creatisi da se stessi generali, […] guidano le squadre devastatrici alle case designate. Fra lo squillare incessante delle trombe e il rullo del tamburo, al grido di - Viva l’ Italia! Viva Garibaldi! - i carbonai con scuri e con pali abbattono gli usci. Una moltitudine ignobile invade a furore la casa, cerca i nascondigli più riposti, scassina, fruga, spoglia, invola.

Fra quei rapinatori sono anche donne, che, scarmigliati i capelli, scendono e salgono in mezzo ad un frastuono d’ inferno, sgocciolanti di sudore sotto il peso del bottino. Altri vanno con asini e muli per più ricca preda, e caricano vino, olio, grano.
I più arrabbiati, invasi più dal demone della distruzione che dall’ ingordigia del bottino, sgangherate le finestre, cominciano a buttar fuori i mobili che vengono giù con gran fracasso […]

In un baleno il fumo e le fiamme investono ogni cosa […] E’ una ridda, una danza macabra, resa più truce dai bagliori sinistri degl’ incendi. […] Stanchi irrompono nelle cantine, aperte dai proprietari per evitare il sacco alle loro case. Mangiano, bevono rinfrescano le arse gole, ed ebbri alla fine di vino e di furore, al comando degl’ improvvisati generali […] corrono qua e là a nuovi saccheggi, a nuovi incendi.

“Si brucia il teatro, l’ archivio del Comune e il Casino dei civili […]. Molte famiglie, scappate dalle case, nascoste dalla pietà degli amici, ango­scio­samente vegliano atterrite. […] Orrenda notte fu quella! […]

“Il sole del venerdì, tre agosto, illuminò la città ancora ardente, e qua e là fumante fra le macerie, scene abominevoli di applausi di orde insensate, svergognanti l’ intera Isola, che nobilmente s’ era sollevata in nome della Libertà.”

“A giorno alto una folla di popolo, con armi e bandiere, conducendo seco il Delegato D. Nicolò Spedalieri, s’avviò alla casa del Lombardo e con frenetiche evviva lo acclamò Presidente del Municipio. Egli, fortemente turbato, accolse gli applausi della plebe sfrenata che, presolo e portatolo con sé, andava per le vie, gridando il suo nome. Indi la folla si diresse a casa del Dottor Saitta […] e condotto da essa innanzi al collegio, ove lo attendevano civili e sacerdoti, con voto plebiscitario fu acclamato Presidente del Consiglio.

Il Lombardo e il Saitta speravano colla propria autorità poter raffrenare gl’impeti della folla. Rattristati da quelle scene vandaliche e temendo peggio, corsero qua e là consigliando, pregando; ma non essendo facile ridurre a obbedienza moltitudine sfrenata, nulla poterono i loro consigli e le loro preghiere. La folla non sentìa altra voce che quella della vendetta, né riconobbe più i capi da lei stessa eletti; onde ebbra di dissolvi­mento e di strage, parte corse a dare il sacco ad altre case, parte andò di luogo in luogo con istinto di segugi, snidando i sorci,i realisti.

“Verso le tre dopo mezzogiorno fu ucciso prima il notaio Cannata […] legatolo per i piedi e oscenamente eviratolo, […] lo trascinarono sangui­nante per le vie […]. Giunti sotto la casa del figlio Antonino, la quale ancora ardeva, preparatogli un rogo, semivivo lo gettarono ad arrostire sopra due cavalletti di ferro, facendo attorno a lui una ridda infernale […]Il paese è in preda al terrore.

Il Lombardo, il Saitta, sacerdoti e comunisti van gridando pace per le vie; pace gridano anche i malvagi, che vedendo le vittime sfuggire al proprio furore, accompagnandosi coi buoni si recano colle bandiere di casa in casa a cercare i nascosti civili.

“Gl’infelici credono a quelle pacifiche voci […] escono […] si cercano fra loro, si rallegrano tra amici e parenti […] Molti faziosi armati, uniti a probi cittadini, vanno allo Scialandro, incontro alla truppa che si aspettava; altri, coi preti si recano alla chiesa dell’ Annunziata a cantare un Tedeum alla Vergine, lieti dello scampato pericolo […] gridando: Viva la pace! Viva l’Italia! Viva Garibaldi!

“Scendeva intanto dal piano della Badia un nuovo branco d’insorti, che conduceva nel mezzo Nunzio Radice Spedalieri, mio padre, bianco, tremante dalla paura con un cencio di bandiera in mano, un crocifisso al petto e un lungo berretto di contadino in testa. Era da due giorni nascosto nella cloaca della casa paterna. […] Il sac. Luigi Radice […] arringò quel branco e a sua istanza calorosa venne fuori dalla sua casa con bandiera Antonino Cannata, figlio del trucidato notaio. […]

Bronte, di Florestano VanciniGli insorti [… ] udirono da un altro aggruppamento levarsi una voce: largo, largo, morte ai sorci! In mezzo a quello scompiglio, mio padre con suo cugino Cannata, rifugiaronsi nella bottega di una fruttivendola […] e, udendo gridare il suo nome, si fece primo sulla soglia della bottega: - Eccomi, se ho fatto male, uccidetemi, disse.

Il Cannata ginocchioni, chiedeva grazia. […] balenarono due schioppettate, e in odio al padre, cadeva vittima innocente l’ infelice figlio(22). Cadde pure mio padre, come corpo morto, ma né ucciso, né ferito.

Amici popolani e il di lui fratello Giuseppe, col figlio Vincenzo, strappatolo alla folla, sano e salvo lo portarono a casa. Il cadavere intanto dell’infelice vittima fu portato ad ardere sullo stesso rogo nel quale era stato arso vivo il padre. Erano circa le cinque pomeridiane.

Al Casino dei civili un arrabbiato ribaldo arringava(23) un branco di altri ribaldi […] in questo mentre giungeva al Casino l’altro gruppo di civili che veniva dalla chiesa dell’Annunziata con molti buoni popolani. Il trombettiere gridò:
Attenti gatti! Vengono i sorci, e diè nella tromba. […]

Allibirono a quel suono, a quella vista i miseri civili, che dubitarono d’insidia, con la morte in cuore, procedevano guardinghi, gridando: Viva l’Italia! E circondati dalla calca degli armati, arrivarono fino al collegio; quando al ritorno […] fu un fuggi, fuggi, uno sbandarsi, un rincorrere, un grandinare schioppettate alla cieca.

Nello scompiglio stramazzarono colpiti da colpi di scuri e di moschetto i due cugini Mariano Zappìa e Mariano Mauro […]

“Il dottor Saitta e il Lombardo, terrorizzati da quelle scene e ormai impotenti a impedirle, abbandonarono quel teatro di sangue. Andava il Lombardo agitando il cappello disperatamente. […] alcuni malvagi […] gli dissero: No, sig. D. Nicola. Lei deve restare con noi […] Al bieco aspetto, alle fiere parole intimorì il Lombardo, che, tutto pallido e smarrito, andò a sedersi al caffè Isola. Confortavalo suo fratello Placido, con parole che accennavano a esterminio ancor maggiore.

“- Ti sei perduto d’animo? Non te lo dicevo io che il popolo era preparato a tutto? Domenica vedrai la festa, quando giungeranno i pastori.- Ed egli a piangere, e come vil femminuccia darsi dei pugni alla testa.
“L’anarchia infierisce sfrenandosi in voluttà omicide. La moltitudine bramosa di novello sangue, scorazza, corre qua e là sulla pesta dei fuggitivi.
Snidato dalla cappa del camino del Collegio Capizzi, da un suo amico e compare, viene in un orto vicino ucciso Nunzio Lupo, falegname, alla cui uccisione lieti i manigoldi gridano:
- Abbiamo ucciso il primo lupo -

Rincorso fin dietro la chiesa dell’ Annunziata, a Pietra Pizzuta, spiato e indicato da un ragazzo, è raggiunto e ucciso Nunzio Battaglia; il di lui fratello Giacomo, colpito da una palla di moschetto precipitava da un mandorlo, nell’orto dello Spitaleri, vicino ai Cappuccini, su cui per celia l’avevano fatto salire i ribaldi a cogliere delle mandorle, mentre altri raccattava fascine e legna per il rogo. Vicino la casa Artale Boxia, nel quartiere S. Vito, cadeva vittima il cassiere comunale Aidala Francesco; e, raggiunto alle Sciarotte, veniva trucidato il giovane Vito Margaglio.

Sul far della sera, è crudelmente freddato a colpi di martello, Vincenzo Lo Turco, impiegato del Catasto, e, legato ai piedi, vien trascinato per le vie e alla fine gittato su una catasta che ardeva presso il Collegio.

“La maggior parte dei civili ebbero a ventura di fuggire allo sterminio […] Chi può contare il numero di quei feroci, che accecati in una furia bel­luina gridavano morte, uccidevano e incendiavano? Quante stelle sono in cielo, diceva un testimone […] Così incerto, così confuso fu il movi­mento e il tumulto! Ognuno era impegnato ad una propria azione e non badava a quella degli altri. […] chi percorse, chi uccise, chi incendiò, chi rubò, senza che altri potesse registrare nella mente il volto e le azioni di chicchessia.

“Mirava inorridito dal suo balcone il dott. Cimbali ardere sotto un cumulo di paglia, i due infelici uccisi, Mauro e Zappìa, quando una fiumana di popolo scendeva verso la sua casa, e pensando egli che venissero per lui:
- Se cercate di me, disse, son pronto, ma vi prego, ammazzatemi presto, non potendo più vivere in tanta angoscia -.

- No, no - gridò ad una voce la moltitudine, che aveva in rispetto il Cimbali, ed a custodia della sua casa mise anzi essa delle guardie.
A notte fitta, favorito dal caporione Gorgone Francesco, egli coi fratelli Felice e Francesco, coi cognati Antonino Longhitano e Lorenzo De Luca, con l’avvocato Nicolò Leanza, con D. Filippo Palermo e con Antonino Isola, uscì dal paese,e, attraversate le sciarotte, per cammino disagevole si ridusse in Adernò e di lì a Catania.(24)

"Libertà", di Saro Mirabella, 1988Torme intanto di giovani villani e donne armate di spiedi e di ronche, correvano il paese esplorando, aizzando con voci ed atti da furie.

Qua e là avvenivano scene di pietà e di orrore, e miste talora a scene di comicità. […] A nessuno degli insorti venne in mente di dare il sacco al palazzo ducale; nessuna voce s’udì minacciosa contro di quello, sebbene da più di mezzo secolo gli covasse contro tanto odio di popolo.

La bandiera inglese sventolante al palazzo e al castello di Maniace, il non lontano e sgradito ricordo della vana sommossa del ’48 - e più che altro il sapere che il popolo inglese aveva aiutato la rivoluzione distolse la plebaglia dal tentarlo.(25) […] Questi ex feudi, nota la cassazione romana, sono un’ onta sopravvivente al patriottismo del mezzogiorno d’ Italia! - […]

“La mattina del 4, sabato, al sorgere del sole giungevano finalmente i tanto reclamati e promessi aiuti: il Questore Gaetano De Angelis con una compagnia di ottanta militi della Guardia Nazionale di Catania. Andaron ad incontrarlo a Fiteni, 3 chilometri circa da Bronte, molti buoni popolani, l’arciprete Politi, l’avv. Nicolò Lombardo, il dott. Saitta Luigi. Atterrito dai racconti il Questore volle prima esplorare la situazione della città; indi ritornò colla compagnia, più che compagnia, accozzaglia di gente di ogni risma, della quale, alcuni vogliosi di pescare nel torbido, all’ entrare in paese,gridavano coi rivoltosi:
- Viva l’ Italia! Viva Bronte! Morte ai sorci!(26)

“Presero i militi quartiere in collegio. Il Lombardo sperava di ridurre a obbedienza col loro aiuto i ribelli. Il Questore mostrando intenzioni paci­fiche, fece uscire senz’armi i soldati, andò con l’arciprete Politi ai posti, procurando di persuadere i contadini che stavano a guardia di rientrare in paese; ma né consigli, né persuasioni poterono distogliere quelli dai loro propositi.

Vi accorse il Lombardo, arringò i sediziosi, biasimò gli eccessi compiuti, li consigliò per il bene proprio e per quello del paese a tornare ciascuno alla sua casa e a lasciare ai soldati il pensiero dei nemici; essi li avrebbero tutti arrestati e condotti prigioni al collegio.

Ma non valsero né consigli né preghiere; la folla tumultuando si unì ai soldati, e a gruppi, si sparse per le strade, spiando ogni casa. Furono primi arrestati: Leotta Rosario, segretario della Ducea, seguito volontariamente dal figlio Guglielmo, fanciullo decenne; Giuseppe Martinez, usciere; il vecchio Illuminato Lo Turco, D. Giovanni Spedalieri […] Il Sac. Antonino Zappìa sperando maggior sicurezza e protezione, vi condusse i suoi fratelli Nunzio, Luigi e Giuseppe. Furono tutti rinchiusi nel camerone di S. Filippo Neri a pianterreno. Quattro sentinelle, due soldati e due insorti stavano a guardia dei prigioni.

“[…] La folla davanti il Collegio, agitata da opposti sentimenti, rumoreggiava […] Chi gridava grazia, chi morte. Eranvi fra i malvagi parecchie donne che […] concitavano vieppiù colle loro grida gli animi già troppo accesi. Volevano i malvagi in loro balìa lo Spedalieri […] che come impie­gato del catasto, erroneamente dicevasi, aveva aggravato di maggior tributo le terre di alcuni contadini.

“Il Questore non volle acconsentire all’insana e feroce richiesta di quelle jene. Allora […] si udì la voce di Arcangelo Attinà, uno dei caporioni,
- Popolo di Bronte, tu dovrai essere giudice […] e la plebaglia giudice ad un tempo e carnefice […] condannò a morte il Leotta, il Martinez, lo Spedalieri, e, in odio al padre, il giovane Vincenzo Saitta […]

Le preghiere del Lombardo, di Sebastiano De Luca, le lacrime del Sac. Antonino Zappìa, salvarono da morte i tre fratelli Nunzio, Luigi e Giuseppe Zappìa, il dodicenne Giuseppe Saitta ed il vecchio Illuminato Lo Turco, gli avanzi del cui figliuolo ardevano ancora sul rogo davanti al Collegio.

“Intanto nel camerone seguivano scene strazianti. Ci furono diversi tentativi per salvare il Leotta e lo Spedalieri, ma alla fine Questore e soldati abbassarono le armi e abbandonarono le vittime alla furia popolare, amando meglio, anzi che far fronte ai ribelli, disonorare la bandiera della giovane Italia. Allora un’onda di malfattori invase il camerone, dove i miseri condannati ansiosi aspettavano il loro destino.

Legati furono condotti allo Scialandro, antico luogo di supplizio sotto il mero e misto impero.

“[…] Il terrore e lo strazio era indescrivibile. […] un intrepido beccaio, Nunzio Capizzi, soprannominato “occhio d’ovo", […] strappato dal seno del Leotta il piccolo Guglielmo […] fuggendo lo portò in salvo. Il Padre Gesualdo De Luca, che disordinatamente scrisse di questi avvenimenti, tacque il nome del generoso salvatore, io sono lieto di poterlo rivelare onorandolo, come esempio ammirabile di bontà e di coraggio. I buoni plau­dirono. Il corteo, come nulla fosse, continuò la sua marcia. […] i condannati arrivarono allo Scialandro, ove furono crudelmente trucidati.[…]

“Ritorna intanto in paese l’ insana folla […] fu preso D. Luigi Spedalieri […] e legato per i piedi fu strascinato per le strade; ma accorso a tempo Sebastiano De Luca, ebbe salva la vita. […]

“Sopra il popolo atterrito sopraggiunse paurosa la notte. […] Parte dei ribelli, verso l’ alba del giorno 5, che fu di domenica, doveva trovarsi sul monte S. Marco a osservare la via provinciale che mena ad Adernò, colla consegna di tirare tre fucilate l’ una dopo l’ altra, appena si scorgessero soldati.

Libertà, di Domenico Spinosa, 1988Altri, guardando dall’alto dei campanili, al segnale convenuto dovevano suonare a stormo le campane, per chiamare a difesa il popolo; altri dovevano assaltare di fronte il nemico, lungo la via provinciale, mentre alcuni di quelli che erano a vedetta sul monte, scendendo inosservati attraverso i campi, l’ avrebbero preso alle spalle, per chiudergli qualunque scampo alla fuga. Il piano, diciamo, di battaglia, non poteva essere meglio architettato.

Era capitano dei ribelli il muratore Rosario Aidala; che da giovane s’ era trovato al fatto d’ armi del 1820.
“Da parte dei buoni cittadini ormai gravemente impensieriti, non si dormiva neppure […] onde alcuni massai, troppo tardi invero, convennero di affrontare i ribaldi. […] Il comune pericolo dava animo ai più paurosi.
Alcuni degli stessi ribelli, scemato il primo bollore, pensarono d’ inviare a Catania una commissione a narrare gli avvenimenti, a spiegare le cause, chiedendo amnistia. […] Il vecchio sac. Gaetano Rizzo dal Casino dei civili predicò al popolo sentimenti di giustizia, di pace, di mansuetudine. Arringarono pure il Lombardo e il Dr. Saitta. Il clero era tutto inteso a calmare gli accesi animi e col popolo buono in sacra processione, […] andò ai posti di assedio, invitando le guardie a lasciare libero il passo. […]

Era la processione giunta a S. Vito, a prendere con sé i minori osservanti, quando ad un tratto, da S. Marco si sentirono tre colpi di fucile e nello stesso tempo stormeggiare tutte le campane delle chiese. Era il segnale convenuto. Da tutte le strade sbucarono insorti, gridando:
- Tradimento! Vengono i soldati!

E tradimento sospettarono pure i buoni […] La processione si scompiglia […] Un branco d’ insorti, intenti a dare la scalata al monastero di S. Scolastica, per cercarvi l’ ex sindaco Leanza, […] a quel suono abbandonano la sacrilega impresa e volano a raggiungere i compagni. Giusta il piano convenuto. Il tumulto, la confusione è indescrivibile.
Padre Gesualdo De Luca, cappuccino, coraggiosamente si fa avanti ad alcuni insorti, parla loro, li abbraccia, li rassicura che i soldati venivano per la pace(27). Alle parole del frate quietaronsi un poco gli animi, e la processione, ricompostasi, continuò scendendo la via della Catena per andare incontro alla truppa. […]

Così si giunse allo Scialandro. Dagli insorti, rinascendo negli animi loro il sospetto e la paura, si contrastava l’ andare; ma le rassicuranti parole del Lombardo, del Cesare, di Sebastiano De Luca, e più quelle non sospette del padre Gesualdo, piegarono e indussero quelli a non impedire oltre l’ andata, sicchè la processione potè continuare il suo cammino.

“Aveva il governatore di Catania, alle vive istanze del Dr. Cimbali, del console inglese e degli altri fuggitivi, inviato una compagnia di soldati, comandati dal Colonnello Giuseppe Poulet e dal tenente Girolamo Castelli di Napoli. Eransi i soldati fermati vicino al camposanto, dirimpetto al monte S. Marco, formicolante di migliaia di armati. Avevan questi innanzi a sé preparati mucchi di sassi per assaltare la truppa sicuri di schiac­ciarla, dovendo la polvere, dicevano, servire ad altri usi. […]

La prudenza del Poulet evitò la strage dei suoi. Mentre soldati ed insorti si guardavano incerti, giunse il clero, seguito da immensa folla, con bandiera bianca ed il crocifisso portato dall’ arciprete Politi. Il Padre Gesualdo con alcuni sacerdoti fattosi innanzi al Poulet, lo invitò in nome del clero e del Popolo a entrare in Paese.”

Dopo il tentativo di uno dei più faziosi, certo Calogero Ciraldo Gasparozzo, carbonaio, di respingere i soldati, e l’ intervento dell’ avvocato Lombardo per dissuaderlo, il padre Gesualdo con altri prelati riuscì in tempo a fermare “gl’insorti inferociti, e il loro capitano Aidala Rosario […] imparentato al padre Gesualdo, rassicurato da lui sulle pacifiche intenzioni della truppa, disse alla turba:
- Picciotti, mio cugino ed i sacerdoti non ci ingannano. I soldati sono venuti per la pace, ritorniamo al paese -,
ed al cenno di lui, tutti, come una fiumana, scesero presto dal monte. Era quasi mezzogiorno. […] Nuovi sospetti e nuovi tafferugli nacquero nel momento in cui i soldati presero la via che conduce al convento di S. Vito soprastante al paese. Accorse sul luogo il Padre Gesualdo e alle sue preghiere il Poulet ordinò ai soldati di prendere alloggio al convento dei Cappuccini.[…]
“[…] il Poulet entrò come in trionfo e […] affidò al Lombardo ed al Saitta la sicurezza della città […].

Vegliarono quelli tutta notte, né alcuno incidente turbò la quiete del paese. Solo al Margiogrande, veniva assassinato da una orda feroce di Malettesi il povero Antonino Lupo, fratello di Nunzio.[…]

“Il domani, 6 agosto, fu per pubblico bando ordinato il disarmo […] e i più sediziosi […] stimarono bene mettersi al sicuro, dandosi alla campagna. […] Il popolo, rinfrancandosi dal terrore, tornava all’ usato lavoro.(28)
“Ma rimanevano invendicati gli uccisi!“ che furono 15 + 1.




Note:

(17) Ibidem cit. pag. 449 - Cioè verso mezzanotte.

(18) Questo brano ricorda il periodare del Manzoni nell’VIII cap. dei Promessi Sposi.

(19) Ibidem pag. 451 - Nella nota (44) il Radice chiarisce: “Giacinto Desivo dice che espulsi i Gesuiti da Garibaldi furono chiamati sorci i loro partigiani, che quasi topi si nascondevano all’ire dei rivoltosi. […] Il Cav. Giuseppe Lodi invece afferma di ricordare che sorci nel ’48 si dissero i birri e i borbonici e che il popolo sollevato appena scorgeva un birro gridava: u surgi! u surgi!

(20) Ibidem c. s. - Ricorda ancora Manzoni.

(21) Dante, Purgatorio,canto VI, vv. 125/ 126. Sordello e invettiva contro la corrotta Italia.

(22) Ibidem cit. pag. 454 - Io ho avuto compagno di classe, dalle elementari al Liceo, e come amico, Antonino Cannata di Ignazio, quindi pronipote del suddetto notaio e nipote del di lui figlio, e spero che egli non abbia mai letto questa macabra descrizione della morte del bisnonno e del nonno.

(23) Ibidem cit. pag. 455 - Ho sottolineato queste tre parole perché sembrano uno sciogli lingua.

(24) Ibidem cit. pag. 457 - A. Cimbali, Ricordi cit. pag. 77: Ecco come la racconta l’interessato: “Non vi era più tempo da perdere; e, fattomi quel maggior coraggio che alla gravità della posizione si conveniva, mi affacciai al balcone e con la massima fiducia e franchezza a quello sterminato affollamento di popolo inferocito dichiarai: - Quella ressa pertinace, quel brulichio interminabile attorno alla mia casa essere segno non equivoco che si ricercava della mia persona; prevenendo l’ intenzione di quel popolo, che avevo sempre amato e beneficato, essermi fatto sollecito, fiducioso a presentarmigli perché disponesse di me e della mia famiglia a miglior suo piacimento; ove esso l’ avesse voluto, riuscirmi davvero soddisfacente morire purchè la mia morte fosse stata olocausto sufficiente per salvare il paese, il cui benessere era stato sempre, per me, principale aspirazione. Le mie poche ma calde parole sortirono il migliore desiderabile effetto. Si levò immantinente una concorde ed unanime voce di mia rassicurazione, concludendo che stessi tranquillo in mia casa con la mia famiglia, che il popolo di Bronte sapeva far giustizia e che la consegna per la tutela della mia casa e della mia famiglia era sacra per tutti. Per darmene la più solenne prova moltissimi dei miei più affezionati si misero a sedere attorno alla mia casa per farne la sentinella. In segno di gratitudine, In paese era grande agitazione e scompiglio; un correre qua e là popolarmente, tumultuariamente chiamando e invitando alla sommossa.- Chi non è con noi è contro di noi - Guai a chi è contro il popolo - E molti di buone famiglie borghesi, volenti o nolenti, ingrossavano lo stuolo dei faziosi.prii la mia cantina e la misi a loro disposizione. [Probabilmente la cantina era stata aperta prima per cui si può dire (parafrasando Dante ) che “più che il discorso, potè il vino”]. Si avvicina la sera ed io abbattuto e affranto […] credei opportuno manifestare a taluni di quei rivoltosi che erano in mia casa il mio vivo desiderio di uscire dal paese, da quell’infernale pandemonio e recarmi a Catania. Si accettò di buon genio la mia domanda ecc. […]”

(25) Ibidem cit.. pag. 458 - A questo punto il Radice, nella nota (54), fra l’altro precisa: “Non ostante le ingerenze della politica inglese il Parlamento siciliano abolì l’azione penale contro i Brontesi. […]

(26) Ibidem cit. pag.459 - A questo proposito viene citato, oltre al Cimbali, anche P. Gesualdo De Luca (con la sua Storia della città di Bronte, pag. 205).

(27) Ibidem cit. pag. 467 - Vediamo che il primo storico di Bronte, P. Gesualdo De Luca, testimone di quei tristi avvenimenti, ora ne diventa attore.

(28) Ibidem cit. pagg. 468/9 – Il Radice a questo punto nella nota (62) precisa la fonte del suo racconto in : “Padre Gesualdo De Luca, Storia della città di Bronte, pag. 199 a 210.”  E  aggiunge: “Con manifesta allusione al caso di Bronte e con libertà di artista Giovanni Verga scrisse una novella intitolata: Libertà, che fa parte delle sue, Novelle Rusticane.”

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