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| Giuseppe Saitta, maestro del sapere | Personaggi illustri di Bronte, insieme |
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prodigio del sapere e sapientissimo genio universale
Giuseppe Saitta Giuseppe Saitta, è nato a Bronte il 31 Marzo 1768 da Dott. Vincenzo e Nunziata Bonina; vescovo di Patti ivi è morto il 20 giugno 1838 e trovasi sepolto in quella cattedrale. Fu profondo conoscitore delle discipline teologiche e filosofiche, giurista, poeta e apprezzato compositore e musicista, valentissimo suonatore di clavicembalo e di organo. Dai suoi contemporanei fu definito un prodigio ed un maestro del sapere e sapientissimo genio universale. Iniziò i primi studi a Bronte nel Collegio da poco fondato dal Capizzi e dal 1780 li continuò a Monreale dove si specializzo nel diritto canonico, nel diritto civile, nella storia ecclesiastica e nella musica, che era la sua passione e dove fu professore di letteratura. A Catania studiò giurisprudenza e si perfezionò nella musica. Ritiratosi in Bronte si dedicò alle opere di S. Agostino e di S. Tommaso ed alla letteratura inglese, e fondò una società filarmonica da lui stesso diretta. Fu oratore valentissimo, poeta, teologo, filosofo e grande conoscitore del Diritto romano e delle lingue e letteratura straniere. | Fu soprattutto un grande maestro e portò un vero rinnovamento nell’insegnamento e nella cultura prima, dal 1817, a Monreale (all’epoca nota come l’Atene della Sicilia), dove insegnò letteratura e ricoprì dal 1822 la carica di Direttore degli studi e poi, dal 1832 al 1833, nel Collegio Capizzi dove insegnò latino e greco e che diresse anche come Rettore (lo era stato anche nel 1820). Scrive Gesualdo De Luca (Storia della Città di Bronte, 1883) che «Mons. D. Benedetto Balsamo, Arcivescovo di Monreale, udito che l’ebbe predicar in Palermo lo chiamò a sè in quel Seminario ricco di grandi e dottissimi uomini, quali erano il Zerbo, il Guardi, il Caruso. In prima lo fece Professore di letteratura, poi di teologia rivelata, e gli affidò la carica di Direttore degli studii. Il Di Carlo (Nicolo Di Carlo, canonico, suo discepolo e biografo) prolissamente narra con quanta saviezza il Saitta alle lezioni di teologia innestava questioni di filosofia e di altre scienze: ed in qual guisa da Direttore degli studii, ne promoveva la coltura; e come per invogliare l’animo dei giovani non mai s’intratteneva a spiegare le regole della cosa (qualità dei mediocri dice il Di Carlo) ma toglieva a commentare un testo classico di qualche sommo e lo faceva ammirare.» |
| | Concorde con il pensiero di Nicola Spedalieri, Giuseppe Saitta fu partigiano della democrazia e sempre propugnatore dei diritti dei brontesi nella secolare lotta intrapresa contro le continue angherie ed usurpazioni dell'Ospedale di Palermo prima e dei Duchi Nelson dopo. Canonico della Collegiata di Monreale dal 25 febbraio 1834, su proposta di Ferdinando II di Borbone, fu nominato il 30 settembre dello stesso anno da Gregorio XVI vescovo di Patti (a destra lo stemma da vescovo di Patti), dove lasciò con le sue opere perenne memoria e dove quattro anni dopo, il 20 giugno 1838, morì. I dotti, i signori, la stessa corte spesso si rivolgevano a lui come all'oracolo per avere consigli e per precetti. A Patti completò la fabbrica del Seminario, vi fece costruire a proprie spese la cappella e accrebbe e nobilitò gli studi; creò mettendovi fondi suoi un Monte di Pietà. Nella stessa città morì il 20 Giugno 1838. Tantissimi che lo ebbero come maestro scrissero orgogliosi di lui. Così ne parla un suo discepolo, Nicolò Di Carlo: «Il merito di lui vero, intrinseco, assoluto, splendeva di luce propria, e tutta sua, nè desso era relativo all'umile luogo, dove egli abitava. Se costui fosse fiorito non in Sicilia, non tra le solitarie scene della piccola Monreale, ma in Londra, in Parigi, in Roma, ovunque sarebbe stato grande e meraviglioso». ("Opere", Dalla stamperia del Morvillo, Palermo 1849) Un illustre discepolo di Mons. Saitta, il Card. Antonino Saverio De Luca, disse di lui: «di quanti uomini illustri ho conosciuto, niuno, ho incontrato superiore al Saitta per altezza d'ingegno e per dottrina varia e profonda». «Narra una leggenda, - scrive Giuseppe Cimbali - che la madre di lui, un giorno, mentre lo teneva ancora in seno, sentisse alta la sua voce: essa ne fu atterrita; ma, poscia, per consenso unanime di tutti, trasse da questo fatto un augurio glorioso: quel figlio sarebbe stato un grande; e lo fu.» Un mausoleo a lui dedicato fu eretto a spese del fratello Leone nella Chiesa della SS. Trinità (Chiesa Madre). Si trova nella navata di sinistra, adiacente all'ingresso secondario, della chiesa. | Il vescovo di Patti Il vescovo di Patti, mons. Giuseppe Saitta ritratto in alcuni dipinti: il primo quadro, conservato nel Real Collegio Capizzi, è del 1838: una scritta in basso recita: «Ingenium moresque probos sophiamque requires[que] / invenis hac Joseph presulis effige». Trattasi certamente di una copia dell'altro dipinto (al centro) che trovasi nella sacrestia della Cattedrale di Patti, unitamente ad altri 21 quadri di Vescovi che si sono succeduti nel governo della Diocesi. Nel terzo quadro Mons. Saitta è ritratto da Agostino Attinà (1874) fra gli "Uomini illustri di Bronte". L'incisione in alto accanto al titolo è tratta dal libro di G. De Luca "Storia della Città di Bronte" (1883) | |
| Il Saitta era anche poeta Da Professore di letteratura nel Collegio Capizzi scrisse molte poesie in latino ed italiano. Nel 1818 in una tornata accademica in onore di Mons. Belviso, primo Vescovo di Nicosia, compose molti versi di varie forme su Mosè, tra quali un madrigale sul passaggio del Mar Rosso. «Ebbi io giovanetto - scrive Gesualdo De Luca - nel 1827, il Madrigale che ho conservato gelosamente, e qui lo trascrivo tal quale a mostra della valentia poetica del Saitta: Trema indegno mortal, non va la colpa Impunita per sempre: arresta il corso L’ira del ciel sovente A superbi disegni in mezzo all’opra. E quando men si aspetta Piomba sopra dei rei alta vendetta. Mira l’Egizio fasto: armi, e guerrieri Cavalli. e cavalieri. Mira quel re possente Che spreggiator del cielo ovunque passa Sparge, abbatte, sconvolge, urta, fracassa. Mira... ma in un momento Al fulminar del Nume Tutto cambia di aspetto; e se ricerchi L’apparato superbo Di cui la fama alto così rimbomba Guarda nell’Eritreo. Ecco la tomba. «Mi auguro - continua il De Luca - non esservi uomo che voglia contendermi sin dal primo verso campeggiare la grandezza del pensiero del poeta, estendervisi nei cinque susseguenti: e che la congerie dei verbi dell’undecimo verso faccia vedere ed udire le devastazioni dell’empio conquistatore. È grande quel che segue, ma la sua conclusione è per me un incanto: Guarda nell’Eritreo. Ecco la tomba.» |
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