La piccola campana in bronzo, appesa nella navata sinistra accanto all’ingresso che immette nella sagrestia, annuncia l'inizio delle cerimonie religiose da quasi 5600 anni: è del 1581; tale data ci è ricordata da un’iscrizione incisa nella fascia superiore: «Salvador mundi Deus 1581». All'interno, nella parete di ingresso, è posto un prezioso armadio in legno intagliato e scolpito, a due corpi tripartiti da lesene, con ante nel corpo inferiore e ante su cassetti nell'alzata. Finemente decorato con figure mitologiche e fronde nelle lesene, motivi fitomorfi nelle cornici degli sportelli e dei cassetti e girali vegetali nei fregi, risale probabilmente agli inizi del 1700. Nel corso del tempo ha avuto successivi rifacimenti ma conserva ancora intatti i segni dell’antica manifattura. Con una larghezza di quasi cinque metri ed un’altezza di 2,50 copre tutta la parete e continua dopo tre secoli a servire egregiamente all'uso liturgico per cui era stato costruito dagli artigiani brontesi. Appesi alle pareti dello stesso vano della sagrestia, trovasi i ritratti degli arcipreti che si sono susseguiti nella guida dalla Parrocchia e, nella parete di fondo, un dipinto di San Biagio della prima metà del secolo XVIII. «E’ bello il quadro del S. Patrono che trovasi alla parete in cornu Evangeli» scrive il Radice. L’olio su tela (142 cm per una larghezza di 102) è di autore ignoto. Fra i quadri della sagrestia ricordiamo l’olio su tela (del 1890, di Nunziato Petralia, 95 cm per 70 di larghezza) con il ritratto di Giuseppe Minissale (arciprete e parroco dall'8 Dicembre 1880), appeso sulla parete destra. Un’iscrizione documentaria dice «Al reverendo signor Giuseppe Minissalo arciprete Bronte» e, in basso a destra, «Petralia pinse 1890». Sulla stessa parete in un altro quadro del 1897 (115 cm per 80 di larghezza) è raffigurato l’arciprete Giuseppe di Bella (arciprete e parroco dal 29 giugno 1891, rettore del Real Collegio Capizzi dal 1862 al 1879, morto il 5 febbraio 1897). Un’iscrizione in basso ricorda la sua figura: «Archipresbiter Joseph Di Bella, ingenio, doctrina, pietate ac prudentia / laudem emeruit collegium Capizzi XVIII annos solertiter rexit, ac in eo / matescos ac literas latinas egregie docuit, parochus electus 1891 / animarum bonum ac decorem domus Dei ex animo promovit defletus / ab omnibus, obiit in Domino die V februarit 1897 aetatis suae 66» (8) Nella chiesa della Matrice si conserva anche un piccolo quadro che la tradizione vuole sia stato dipinto dal filosofo Nicola Spedalieri. Ecco cosa scrive in merito il Radice: «…è notevole un Cuor di Gesù dipinto nello sportellino del tabernacolo e la bella testa della Vergine, ammirevole per la finitezza del colorito e l’espressione dolce del viso. E’ conservata in una custodia di vetro. Il De Luca dice sia opera del filosofo Spedalieri…» Molti sono anche gli oggetti preziosi, di carattere religioso o cerimoniale, di proprietà della chiesa, alcuni risalenti anche ai primi anni del 1600, dono di benefattori e di mecenati ma anche di poveri contadini e di pastori che, a volte, lasciavano i propri averi a beneficio della Matrice. Oggetti in oro o lamina d’argento, sbalzato e cesellato, quali ostensori, calici, patene, croci d’altare, candelieri, lampade pensili, servizi di cartaglorie, vasi (uno, in argento sbalzato e cesellato, del messinese Francesco Bruno risale al XVII secolo), candelieri, bacili, brocche; od anche sedie in legno intagliato, o preziosi indumenti sacri (di vari materiale, manifattura ed epoche) quali pianete, stole, mantelli, paliotti (uno di fine 1600, della bottega palermitana di Michele Rizzo, è in argento in lamina, sbalzato, traforato e cesellato), e baldacchini, ombrellini e stendardi o tovaglie d’altare. Date uno sguardo, nella processione del Venerdì Santo, al manto che copre la statua della Madonna Addolorata: è ricoperto da centinaia di oggetti d’oro e d’argento (anelli, collane, braccialetti, pietre preziose) dono o ex-voto d’ignoti fedeli. Dovrebbero anche essere conservati nella chiesa della Matrice anche le tre pianete cardinalizie ed il messale con statue in avorio, donati alla chiesa dal Card. Antonino Saverio De Luca Nunzio apostolico alla Corte di Francesco Giuseppe e "Papa mancato" nel 1878. Gli oggetti gli erano stati regalati dall'Imperatrice d'Austria.
NOTE:
(1) «Giuseppe Saitta / fu prima cultore di lettere a Monreale, quindi professore di teologia e dottissimo Direttore degli studi. Fu vescovo di Patti dotato di ogni esemplare virtù, di ingegno, e magnificenza; incredibile nell’operare e nella fatica. Invogliava ed inculcava fervore nell’animo dei discepoli con la diversità e la sapienza della dottrina e con la nobiltà della sacra eloquenza. Con saggio giudizio eleggeva gli insegnanti di lettere, di religione e di scienze. Con animo grato il fratello Leone Saitta volle erigere questo monumento. E’ nato il 14 gennaio 1764 – Morì il 20 giugno 1838» (2) «D.O.M. (Deo Optimo Maximo, a Dio Ottimo Massimo) / Vincenzo Pace / Uomo laboriosissimo, sposo e padre diligentissimo ed amante del prossimo. I suoi figli e la moglie gli dedicarono questo monumento ove con cura deposero le sue ceneri. Morì il 7 febbraio 1859» (3) «Α - Ω / A Nicola Spedalieri, 1741-1831 / uomo di solida virtù, di ingegno straordinario, perseverante ed esemplare nella pratica della fede. Visse 90 anni, 3 mesi e 4 giorni. Assai benemerito di Dio e della Patria, avendo ricoperto, in modo integerrimo, tutti i pubblici uffici. Pio verso Dio, generoso coi bisognosi, ospitale con tutti. Morì con gran dolore dei suoi cari l’11 dicembre 1831. I figli Gioacchino, Giuseppe, Luigi, Carmelo, Gaetano, e la figlia Maria, fecero per amore al padre dolcissimo di beata memoria questo monumento». Questo Nicola Spedalieri, cugino di terzo grado del Filosofo Nicola Spedalieri, deve essere considerato il reale Capostipite degli Spedalieri di Bronte e di Sicilia. Lui infatti, seguendo l’esempio del Filosofo, cambiò il cognome in Spedalieri e lo trasmise ai suoi discendenti. |