In preparazione alla solenne dedicazione di questa chiesa madre sono stato invitato a riflettere su alcuni aspetti della nostra storia per aiutarvi a comprendere questo avvenimento(1). Si tratta di una celebrazione che ha un significato prevalentemente simbolico. La chiesa madre diventa il simbolo dell’identità del popolo brontese sotto l’aspetto umano e cristiano. In definitiva questa chiesa, fatta di pietre, ci rimanda alla chiesa fatta di persone e ci invita a dare una risposta all’interrogativo che ci poniamo all’inizio di questo nostro incontro: chi è il brontese come uomo e come cristiano? La domanda non è facile e questa sera non saremo in grado di darle una risposta esauriente. Si tratta di individuare gli elementi che caratterizzano il popolo brontese sotto l’aspetto etnico, culturale, religioso, ecc. Sviluppare questi aspetti nel breve arco della nostra conversazione è impossibile. Tuttavia possiamo provare a mettere insieme gli elementi di cui disponiamo per tentare un primo abbozzo di questa identità. Le tracce che seguiremo in questa nostra ricerca sono tre: il territorio, le popolazioni che lo hanno abitato, l’ordinamento della comunità cristiana di Bronte. 1. Il territorio
Bronte è sorto e si è sviluppato in una zona posta come cerniera fra le pendici dell’Etna e le falde dei Nebrodi, subendo allo stesso tempo i condizionamenti dei territori appartenenti alle due province di Catania e di Messina. A valle, in un’area pianeggiante solcata da diversi corsi d’acqua che scendono dalle montagne circostanti, si trova la pianura di Maniace, che per la sua posizione e per i suoi terreni fertili è stata punto di riferimento delle popolazioni vicine. Se le favorevoli condizioni del territorio di Maniace esercitavano un potente richiamo per gli abitanti dei Nebrodi, la malaria provocata dagli acquitrini sconsigliava loro di risiedere stabilmente nella zona. Infatti nel corso dei secoli i centri abitati che si sono formati a Maniace e vicino ai corsi d’acqua non sono durati a lungo: i loro abitanti per sfuggire alla malaria si sono man mano allontanati sulle alture circostanti. I documenti ci hanno tramandato i nomi dei casali della zona: Rotolo, Corvo, S. Leone, S. Venera, Bolo, Placa Baiana, Bronte. Quando sono sorti questi centri abitati? Possiamo dare una risposta a questa domanda o facendo ricorso a ipotesi e congetture, oppure basandoci su precise testimonianze storiche. È probabile che il casale di Bronte esistesse in epoca bizantina o durante la dominazione araba, ma questa ipotesi fino ad oggi attende di ricevere conferma. I reperti antichi ritrovati nei suoi territori testimoniano solo la presenza di insediamenti umani non meglio identificati. Nel 1178 fra i casali elencati in una concessione fatta da Nicola vescovo di Messina a Timoteo abate di Maniace non troviamo quello di Bronte(2). Alcuni spiegano questo silenzio con l’eruzione dell’Etna del 1170, che avrebbe distrutto il casale e indotto gli abitanti a disperdersi(3); ma si tratta di un’ipotesi. Il primo documento certo, nel quale troviamo citato il casale di Bronte, è del 1308: negli elenchi di coloro che riscuotevano i tributi per conto del papa leggiamo questa affermazione: «Il sacerdote Nicola di rito greco, del casale di Bronte, pagò 6 tarì(4)». È ovvio che questo sacerdote non pagava il tributo a titolo personale, ma come responsabile del casale. Pertanto da questa testimonianza possiamo affermare che all’inizio del secolo XIV il casale di Bronte esisteva e gli abitanti erano cattolici di rito greco, collegati probabilmente alla popolazione bizantina sopravvissuta alla dominazione araba. Poiché troviamo questa comunità nei primi anni del Trecento dobbiamo presumere che occupasse quel territorio almeno fin dal secolo precedente. 2. Le popolazioni del territorio
| Vers. in Pdf Relazione tenuta da mons. Adolfo Longhitano (foto a destra), docente emerito di diritto canonico nella Facoltà Teologica di Sicilia (Studio Teologico San Paolo di Catania), tenuta nella chiesa madre di Bronte il 18 marzo 2012 in occasione delle cerimonie per la solenne consacrazione della chiesa dopo il completamento di lavori di consolidamento e di restauro. Adolfo Longhitano (nato a Bronte nel 1935), dopo aver completato gli studi classici e teologici nel Seminario Arcivescovile di Catania, ordinato presbitero il 25 agosto 1957, ha conseguito a Roma nel 1968 la laurea in Diritto Canonico nella Pontificia Università del Laterano, discutendo una tesi di storia delle istituzioni locali dal titolo La parrocchia nella diocesi di Catania prima e dopo il Concilio di Trento (Istituto superiore di Scienze Religiose, Palermo 1977; 2a ed. riveduta e accresciuta, Studio Teologico S. Paolo, Catania, Ed. Grafiser, Troina, 2017). Presidente del tribunale ecclesiastico diocesano, come ordinario di Diritto Canonico ha insegnato nello Studio Teologico S. Paolo di Catania fino al 2005 e come invitato nell’Istituto Teologico S. Giovanni Evangelista e nella Facoltà Teologica di Sicilia di Palermo dal 1963 al 1983. Ha svolto un’importante attività culturale. Nelle sue ricerche, oltre al Diritto Canonico, ha privilegiato lo studio delle istituzioni, partecipando a convegni, collaborando a giornali e riviste e pubblicando libri specialistici e numerosi articoli e saggi nella rivista Synaxis dello Studio Teologico S. Paolo e in altre riviste locali e nazionali. Ha portato notevoli contributi alla conoscenza della Storia civile, religiosa e sociale della provincia di Catania, pubblicando antichi manoscritti. In tema di storia delle istituzioni si possono citare i volumi: Catania e la sua Università nei secoli XV-XVII. Il Codice «Studiorum constitutiones ac privilegia» del Capitolo cattedrale (Il Cigno Galilei, Roma 1995; Roma 2002), curato assieme a Giuseppina Nicolosi Grassi; La facoltà di medicina e l’Università di Catania: 1434-1860 (Giunti, Firenze 2000, curato da Antonio Coco); Sant’Agata li Battiati: all’origine della parrocchia e del comune (Catania 2000); Santa Maria di Nuovaluce a Catania. Certosa e abbazia benedettina (Arca, Catania 2003). Fra le sue opere: Il Vescovo Vincenzo Cutelli (1577-1589): cancelliere dello Studium (1997), Introduzione al diritto canonico (1971-72); Il codice “Studiorum constitutiones ac privilegia” del Capitolo cattedrale (1995, curato assieme a Giuseppina Nicolosi Grassi); Pietro Geremia riformatore. La società, le istituzioni e lo “Studium” nella Catania del ‘400, in F. Migliorino–L. Giordano (eds.), La memoria ritrovata. Pietro Geremia e le carte della storia, Catania 2006, 201-281; Aragonesi e Catalani a Catania (secoli XIII-XV), in Miscellània d’homenatge al Cardenal Lluìs Martìnez Sistach, Barcelona 2015; Il Clero di Catania tra Ottocento e Novecento (1999, con altri); Chiese patrimoniali e ricettizie, comunìe, sacre distribuzioni, in La Chiesa nella storia. Religione, cultura, costume - Tomo 2, Città del Vaticano, 2018. Nel 1983 iniziò a pubblicare nella rivista Synaxis la serie delle «Relazioni ad limina della Diocesi di Catania» che, dopo un’accurata revisione e i necessari aggiornamenti, fu raccolta in due volumi, editi nel 2009. In un terzo volume (Le relazioni ad limina della diocesi di Catania, 3 voll., Firenze – Catania 2009-2015, I, pp. 597-600) ha pubblicato per la prima volta le cinque relazioni del vescovo card. Giuseppe Francica Nava, inviate dal 1904 al 1927, e quella del vescovo Carmelo Patanè, inviata nel 1937. Il limite del 1939, posto per la consultazione dei documenti conservati nell’Archivio Segreto Vaticano, non ha consentito la pubblicazione delle relazioni successive. La Chiesa Madre e l'identità dei brontesi [vers. in Pdf]
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La seconda pista che ci siamo proposti di seguire nella nostra ricerca è quella delle popolazioni che hanno abitato il territorio di Bronte. Per non andare troppo indietro nel tempo, riferiamoci all’alto medioevo quando in Sicilia i Bizantini esercitavano un’egemonia culturale e politica, fino a quando non furono sostituiti dagli Arabi provenienti dal nord Africa. Gli eserciti islamici, dopo il primo sbarco a Mazara (18 giugno 827), occuparono per prime le province della Sicilia occidentale. Le ultime roccaforti della Sicilia orientale, site nel territorio di Messina, caddero a distanza di 130 anni. Non tutte le province della Sicilia risentirono allo stesso modo dei condizionamenti della lunga dominazione islamica, che per la nostra zona si protrasse per circa 170 anni. I centri abitati nei quali si conservò una prevalente popolazione cristiana e parte dell’ordinamento della chiesa bizantina furono quelli della provincia di Messina, in particolare il territorio dei Nebrodi(5). Il primo tentativo di cacciare gli islamici e riportare la Sicilia nell’orbita di Bisanzio fu fatto dal generale Maniace, che nel 1040 inflisse una memorabile sconfitta agli eserciti arabi proprio nella pianura che da lui prese il nome. La Sicilia fu restituita alla cultura occidentale e al cristianesimo dai Normanni, che iniziarono la loro campagna di liberazione nel 1061(6). Furono questi avvenimenti che determinarono un nuovo assetto della popolazione siciliana: alla componente greca e araba si aggiunse quella latina dei conquistatori. L’esercito, che nell’arco di trent’anni sconfisse definitivamente i musulmani di Sicilia, era guidato dai Normanni, una popolazione di origine francese; ma era composto anche da condottieri e soldati provenienti dalle diverse regioni italiane: Piemonte, Lombardia, Liguria, Puglia, Calabria, ecc. Gran parte delle persone che avevano partecipato alla conquista si stabilirono definitivamente in Sicilia e furono raggiunte successivamente da altri conterranei che formarono delle isole culturali e linguistiche, facilmente individuabili attraverso i dialetti. Proprio in alcuni centri abitati dei Nebrodi si insediò una popolazione proveniente dal Piemonte, precisamente dal Monferrato, al seguito della contessa Adelasia, moglie del Conte Ruggero(7). Bronte (a destra in un disegno del 1832 tratto dal quadro di Giuseppe Politi Eruzione dell'Etna - la notte del 31 Ottobre 1832) a quel tempo probabilmente non esisteva ancora o era un piccolo casale con una popolazione indigena. Come abbiamo detto, il documento del 1308 ci induce ad affermare che il primo nucleo degli abitanti di Bronte fosse di origine e di cultura bizantina. Tuttavia le popolazioni provenienti dai centri abitati dei Nebrodi, che inizialmente si erano insediate a Maniace(8) e che successivamente cercarono rifugio nelle zone circostanti per sfuggire alla malaria, costituirono a Bronte una minoranza linguistica, che man mano si fuse con la popolazione locale. Pertanto la popolazione di Bronte non proviene da un unico ceppo, ma è il risultato di un lento e progressivo accrescimento di nuclei diversi, provenienti dai centri abitati dei Nebrodi. Una conferma di ciò possiamo trovarla nel dialetto e nei cognomi. Bronte ha un dialetto proprio, caratteristico, che si differenzia da quello dei vicini centri abitati, frutto dell’apporto delle diverse popolazioni che si sono insediate(9). |
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