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| Bronte, le Origini | Insieme, per conoscere la nostra Storia | | |
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Cenni storici sulla Città di Bronte
Il nome e l'origine | La mitologia vuole che l’origine di Bronte ed il suo stesso nome siano da ricondursi al mito dei Ciclopi, giganteschi esseri dalla forma umana simbolo delle forze della natura. Vuole, infatti, la leggenda che la cittadina sia stata fondata dal ciclope Bronte (che vuol dire "tuono"). Bronte ed i suoi fratelli Sterope ("lampo") e Piracmon ("incudine ardente"), al servizio del dio Vulcano, erano stati condannati a lavorare presso la fucina del dio dentro le viscere dell’Etna con il compito di fabbricare i fulmini di Giove e le armi degli eroi. Furono i primi artigiani brontesi. Il mito sembra accreditato anche da Virgilio che nei suoi versi narra di Bronte e dei suoi due amici fabbri nell’officina divina ("All'interno d'un ampio antro manipolavano il ferro i Ciclopi Bronte, Stèrope e, nudo le membra, Piràcmon"). Sull’antica origine di Bronte dal punto di vista storico, si hanno però poche documentate notizie e peraltro esistono solo alcuni ruderi che ne testimoniano l’antica nascita. Secondo alcuni studiosi, la sua nascita risalirebbe ai Sicani. L’Odissea di Omero è il più antico libro nel quale si parla della Sicilia, allora chiamata Siikanie e, nello stesso libro, si parla di Siculi. Tucidite (guerra del Peloponneso) ci tramanda che i più antichi abitanti dell’Isola fossero i Ciclopi e i Lestrigoni. Di ambedue non ci dice né la provenienza né a quali popoli appartenessero. Nella parte occidentale della Sicilia erano insediati i Troiani che presero il nome di Elimi ed erano concentrati tra Erice e Segesta. Per ultimo, nell’isola si stabilirono i Siculi provenienti, secondo alcuni storici, dalla parte meridionale dell’Italia, perché scacciati dagli Opici. Questi, i siculi, con la forza delle armi, occuparono parte della Sicilia orientale e relegarono i Sicani nella parte occidentale dell’Etna. Qui appunto avrebbero fondato Bronte. In due contrade ai piedi dell'Etna, un tempo fertilissime poi sommerse dalla lava dell'Etna (Musa e Zucca), abitarono certamente gruppi di antichi Sìculi, spinti successivamente da terribili eruzioni ad andare verso posti più sicuri che potrebbero essere stati l'attuale Bronte, Maletto, Santa Vènera, Rocca Calanna, Cisterna, Corvo, etc.. Testimoniano quanto sopra detto le numerose cellette funerarie a forma di forni (i "gruttitti") rinvenute nelle grotte tra Maniace, Maletto e Bronte (un tipico esempio sono quelle presenti alla base della Rocca Calanna di contrada Difesa, della contrada Contura, le cosidette Grotte dei Saraceni, a pochi chilometri da Bronte), le tracce di villaggi rupestri e le capanne preistoriche ( "i pagghiari") sparse su tutto il territorio compreso tra Randazzo e Adrano. In un'area che confina con il territorio di Maletto (contrada Santa Venera) sono stati scoperti resti di una cinta muraria del periodo siculo e di abitazioni dalla forma circolare, quadrata e poligonale, unitamente a frammenti di vasi in terracotta e oggetti in bronzo. Altre testimonianze sono state rinvenute nelle contrade: Fontanamurata, Mangiasarde, Margiogrande, Cisterna, Primaria, Rinazzo, Contura, Barbaro, Fontanazza, Marotta, Sciarotta, Cantera, Serra Stivala, Bolo, Tartaraci. Il rinvenimento di altri reperti archeologici (mattoni, sepolcri, oggetti funebri, anfore, monete e medaqlie) e di vasi di fine argilla rivela anche la presenza nel nostro territorio di coloni greci; quindi, di passaggio, vi furono eserciti romani, cartaginesi e siracusani. Si colgono anche tracce incontrovertibili dell’influenza araba quali i riferimenti topografici (Piano Saraceno, Grotta Saracena, etc.) o il gran numero di parole arabe presenti nel dialetto brontese.
Sulle origini della Città di Bronte
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| Sull'origine di Bronte e sui Ciclopi Bronte, Sterope e Piracmon leggi quanto scritto nel 1883 da Gesualdo De Luca nei primi otto capitoli della Storia della Città di Bronte Scarica il file (formato , 250 pp., 3022 Kb) |
| Queste cellette funerarie a forma di forno (i gruttitti), testimonianza di una antiche civiltà, si trovano a pochi passi da Bronte in Contrada Difesa alla base della Rocca Calanna. | | | | “U pagghiaru 'n petra”, ("il pagliaio in pietra", così, anche se impropriamente, è chiamata a Bronte questa forma di trullo). E' un tipo antichissimo di abitazione mediterranea: nacque prima isolatamente e subito dopo, come unità abitativa del primitivo villaggio preistorico o protostorico. I nostri progenitori, Sicani e Siculi, probabilmente iniziarono così la loro vita di relazione, cercando di copiare ciò che la natura aveva loro offerto con le naturali grotte. |
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| «Le origini del Comune risalgono ad epoche piuttosto remote, confuse con la leggenda. Della sua esistenza ci viene data notizia in un documento del 1094, ove è indicato, col nome greco di “Brontimene”, come confine di due vastissimi poderi. Riappare, poi, nel 1105, in un altro documento tradotto in dialetto siculo, in cui Ruggeri concedeva a Gregorio abate di S. Filippo le terre di S. Nicola della Scala di Paleocastro e S. Ippolito con i loro territori, uno dei quali si estendeva “subta Bronti”. Non è difficile immaginare che ai tempi il casale fosse di modestissime dimensioni. La sua storia sin dagli inizi appare strettamente legata a quella dell’Abbazia di Maniace. Dalla pur scarsa documentazione risulta, infatti, che Bronte, insieme ai piccoli villaggi vicini, già nel periodo normanno-svevo e, successivamente, in quello angioino, dipendeva dal Baiulato di Maniace, mentre durante il periodo aragonese i due casali, Bronte e Maniace, pur avendo patrimonio separato, apparivano sempre uniti. Non si dispone di esaurienti notizie sulla vita che in questi primi anni si conduceva nel piccolo casale. Si apprende soltanto, attraverso un diploma del 1101 di Adelasia, contessa di Calabria e Sicilia, di una concessione al monastero di S. Filippo di 5 villani “per servire per sempre in esso Santo monastero, i figli dei figli loro insieme coi loro mobili ed immobili”. Possiamo, quindi, dedurre che la vita nei campi fosse caratterizzata da una specie di servitù della gleba che viveva di stenti, chiusa nell’angusto mondo del casale, mentre attraverso altre fonti ci è consentito rilevare l’esistenza nel borgo di esigui scambi sotto la rigorosa sorveglianza del feudatario, per lo più limitati a cereali e a generi di prima necessità, che, raramente, superavano i confini del territorio comunale. Ma tratto fondamentale di questo periodo è da individuarsi nella quasi totale mancanza di indipendenza del borgo, se è vero, come del resto risulta, che i suoi abitanti erano costretti, per le cause criminali, a recarsi nella città di Randazzo per essere sottoposti, nella locale Curia, al Capitano giustiziere, mentre dal punto di vista amministrativo dipendevano dall’Abbazia di Maniace, normalmente concessa in commenda “cum casali Brontis et vassallis redditibus et proventibus”.» (Luigi Longhitano, Antonino Di Gaetano e le chiese di S. Maria di Bronte e di S. Maria di Maniace, Vices temporum, Edizioni Esiodo, Bronte 2005)
| I ciclopi I Ciclopi erano nella mitologia greca, degli esseri giganti con un unico, enorme occhio in mezzo alla fronte. In Esiodo, i ciclopi erano Arge, Bronte e Sterope, tre dei figli di Urano e Gea, personificazione del cielo e della Terra. Cronos, uno dei titani, anch'essi figli di Urano e Gea, detronizzò Urano e fece precipitare i Ciclopi nel mondo sotterraneo. Quando il figlio di Cronos, Zeus, in lotta col padre, li liberò, per ringraziarlo gli donarono il tuono e il lampo con cui sconfisse Cronos e i Titani, diventando così, a sua volta, signore dell'universo. Nell'Odissea di Omero, i Ciclopi erano pastori che vivevano sulle coste italiche; barbari privi di leggi e cannibali, non temevano né gli dei né gli uomini. L'eroe greco Ulisse rimase intrappolato con i suoi compagni nella grotta del ciclope Polifemo, figlio di Poseidone, dio del mare. Il gigante riuscì a divorare molti Greci, ma Ulisse lo fece ubriacare, lo accecò con un palo arroventato e fuggì insieme ai suoi compagni sopravvissuti. Nel disegno a sinistra: Bronte, Sterope, Piracmon e Polifemo (immagine tratta dalla "Storia della Città di Bronte" di P. Gesualdo De Luca); sotto a destra il Ciclope Bronte al lavoro in un disegno di Vincenzo Russo. | «Il primo documento certo, nel quale troviamo citato il casale di Bronte, è del 1308: negli elenchi di coloro che riscuotevano i tributi per conto del papa leggiamo questa affermazione: "Il sacerdote Nicola di rito greco, del casale di Bronte, pagò 6 tarì" . È ovvio che questo sacerdote non pagava il tributo a titolo personale, ma come responsabile del casale. Pertanto da questa testimonianza possiamo affermare che all’inizio del secolo XIV il casale di Bronte esisteva e gli abitanti erano cattolici di rito greco, collegati probabilmente alla popolazione bizantina sopravvissuta alla dominazione araba. Poiché troviamo questa comunità nei primi anni del Trecento dobbiamo presumere che occupasse quel territorio almeno fin dal secolo precedente» (A. Longhitano, La Chiesa Madre e l'identità dei brontesi) «Sin da fanciullo sentiva dire, che Bronte non era nel luogo ove adesso esiste, ma sopra la Colla, al luogo lavico che giace dal S. Cristo alla prima chiesa di S. Antonio da Padova, già sepolta.
Un antico Cancelliere mi disse che nell’Archivio Comunale, esisteva in un vecchio volume copia di una pubblica iscrizione, nella quale leggevasi che Bronte era stato fabbricato alle falde dell’Etna: e coperto questo da una grande eruzione, i superstiti Brontesi sen discesero a fabbricarlo sulla Colla, ove oggidì si denomina il Santo Cristo.» (Padre Gesualdo De Luca, Storia della Città di Bronte, pag. 61) | RIFLETTORI SU BRONTE
Dalla leggenda greca a quella napoleonica Nelson, eroe della città del mito Sfogliando la storia. L’ammiraglio nominato duca di Bronte per l’eroica traversata Bronte è il luogo del mito: del mito che avvolge la storia e ne diventa il simbolo, nella letteratura. Potrebbe sembrare una definizione fantasiosa, ma corrisponde alla realtà. Bronte, tanto per iniziare, nasce dal mito. Il nome, come è evidente, risale all'alba dei tempi. Così si chiamava uno dei tre ciclopi che forgiavano tuoni e lampi per il padre Zeus con gli eterni fuochi dell'Etna. Ne parlava, in toni poetici, Esiodo, che forse precedette Omero, ne ripeterono il racconto Virgilio e Ovidio negli anni più gloriosi di Roma. A ben vedere era la favola che si sovrappone alla storia. Bronte in greco significa «tuono, rimbombo» e visto che il padre Zeus era il dio delle folgori, niente di strano che uno dei suoi assistenti si chiamasse «Rimbombo». Che poi fosse uno dei Ciclopi e che abitasse nell'Etna dipende da quella poetica creativa che permetteva agli antichi di dare forma visibile ad entità immateriali: le sorgenti erano ninfe bellissime, le ore erano fanciulle danzanti, e il tuono era un gigante possente. Mito. E la città che ne prese il nome? Dotta invenzione. Nell'antichità classica nessun abitato è stato registrato con il nome di Bronte; il Medio Evo arabo, indagato meticolosamente da Michele Amari, non registra alcun villaggio o casolare che avesse un nome simile. C'era, nei paraggi, Maniace (nome storico greco), c'era Bolo, con tanto di castello, ma Bronte no. Emerge dalle nebbie solo nel Cinquecento, con la fioritura rinascimentale, quando a qualche erudito non sarà parso vero di dare un nome epico al villaggio che guardava da nord il possente vulcano. Il momento in cui Bronte conquistò una gloria internazionale fu la fine del Settecento. I Borboni di Napoli erano in grosse difficoltà davanti all'avanzata della Rivoluzione. La regina Maria Carolina (sorella di Maria Antonietta) temeva fortemente di fare la stessa fine della sorella sulla ghigliottina. I Savoia avevano preso, non proprio di buon grado, la via di Parigi. Il papa era prigioniero. Tutto sembrava perduto. La regina, che era austriaca, figlia di Maria Teresa, sospirava la tranquillità dei monti di Salisburgo, la pace di Graz: ma come tornarci? Il re Ferdinando, che dopo le nozze aveva fatto un trionfale giro in Sicilia (e gli fu innalzato a Catania l'arco barocco che ora si chiama porta Garibaldi) sperava di riparare a Palermo. Ma come? A salvarlo intervenne l'ammiraglio britannico Orazio Nelson, che imbarcò i sovrani sulla Vanguard e fece vela verso la Sicilia. Una traversata infernale (erano gli ultimi di dicembre del 1799), la austriaca Maria Carolina era atterrita, il re stravolto, trai cortigiani nessuno che sapesse resistere, persino l'ammiraglio era allo stremo. Una sola persona, una donna, sfidava gli elementi, dominatrice della tempesta, serena tra i marosi, sicura nel dare conforto a tutti: Lady Emma, moglie di sir William Hamilton, avventuriera, affascinante con un manifesto ascendente sul comandante. Come se lei stessa avesse salvato la famiglia reale. Quando la Rivoluzione finì i reali non sapevano come ricompensarla: una parure di brillanti con la scritta «eterna gratitudine», due carrozze piene di vestiti (a compenso di quelli rovinati nella traversata), doni per 6 mila sterline dell'epoca. E all'ammiraglio il titolo di duca di Bronte (rendita calcolata 3 mila sterline annue). Così il paesello etneo passava dalla leggenda greca a quella napoleonica. E alla letteratura inglese, dato che il reverendo britannico di origine irlandese Patrick O' Prunty, in onore del novello duca si cambiò il cognome in Brontë (la dieresi per conservare la pronuncia italiana della "e") e la figlia Emily, letterata come le sorelle, ancora porta in giro nel mondo il nome del ciclope etneo in quel romanzo, Cime tempestose, che è tra le opere romantiche più lette e studiate. [Sergio Sciacca, La Sicilia, 25 Luglio 2004] |
| la Fondazione di Bronte di Pasquale Spanò Il poeta brontese Prof. Pasquale Spanò in una sua poesia del 1941 tratta dal libro "Etnei" (Torino, 1993) narra l'origine di Bronte con una leggenda che parla di Ciclopi "laboriosi e umani" (Bronte, Piràcmon e Stèrope) che abitavano sul fianco occidentale dell'Etna, lungo il quale scorreva un fiume. Aiutavano Vulcano nell'officina che questi aveva sotto il monte. Erano figli di Urano e di Gea e si chiamavamo Bronte personificazione del tuono, Stèrope del lampo e Piràcmon dell'incudine ardente. Diversi da Polifemo, insegnavano agli uomini molte cose, tra cui l'uso del fuoco, che Promèteo aveva rapito agli dei. Un giorno videro al fiume tre ninfe, Scibìlia, Salìcia e Rivòlia e furono conquistati dalla loro bellezza. Al loro matrimonio seguì la fondazione di Bronte, che fu popolato dai loro discendenti, una stirpe eccezionale per il talento. Di origini divina e per molto tempo felici, i Brontesi furono trasformati in "comuni mortali" dal desiderio sfrenato di "possedere", portato tra di loro da gente astuta. Le Ninfe e i Ciclopi, addolorati, si allontanarono dalla città, che fu distrutta da una rovinosa eruzione dell'Etna.
Popoli eterogenei hanno contribuito a fare la storia di Bronte ma naturalmente questa coincide anche con quella del Vulcano che lo sovrasta. Purtroppo nella millenaria silenziosa lotta tra Bronte e l'Etna sovente l’ira del vulcano ha devastato il territorio e seppellito, in passato, anche gli insediamenti dei nostri avi, cancellando per sempre dalla storia le prime tracce di organizzazione civile delle nostre genti. L'Etna non consente anche una minima ricerca e tutto tiene celato nel suo grembo sotto larghi e alti strati di lava. Nelle pagine seguenti diamo un breve cenno sulla presenza dei tanti popoli (padroni e, sopratutto, predoni) che hanno conquistato e dominato nei secoli il nostro territorio (greci, romani, arabi, normanni, svevi, angioini, aragonesi, albanesi). | Stirpe divina Vita ai brontesi donàro i Ciclopi stirpe divina: Piracmon fratello a Sterope e a Bronte, di cuor primo e d'anni, fùro lor padri. Sede era loro in spelonca etnea; abile mano, incùdine e fuoco davano forma ai bronzi e, per Giove, a fòlgori e tuoni. Da Polifèmo differivan chè, miti, operosi recavano agli uomini le arti che avea rapite Promèteo al Padre celeste. L'antro montano lascìato e il fumo, requie trovava lor aspra fatica in valle al fiume o sotto le querce, dono d'un Nume. Videro in acqua tre vergini un dì liete, giulive: stupìto il loro occhio tosto fu preso dal volto, l'aspetto e l'alta bellezza. Delle Driàdi l'ardente Scibìlia, delle Najàdi la bionda Salìcia, delle Oreàdi la bruna Rivòlia era più bella. Fine alla corsa desìo femmìneo pose allorquando il gorgo divino ai luschi ridiede l'antico fulgore, òrridi al nero. Alle fanciulle, represso il timore, furono grati dei Ciclòpi i detti e una foresta l'eccelsa offerta ebbe sacra ad Imène. Volto all'occaso, in declìvio etneo, fùro i lor templi e le prime dimore d'urbe preclara, ai Numi diletta, Bronte nomata. Prole fu loro felice, beata, giusta fiorente d'ingegno e dovizia, d'arti eminenti, per lunga durata, mastra al vicino. |
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