Giuseppe Melardi, è nato a Bronte nel 1940. Conosce il padre, calzolaio prima e cementista poi, assente perché in guerra, all’età di cinque anni. Unico maschio di sei figli, fin da bambino conosce la disciplina e la necessità del lavoro. Infatti, come si usava a quei tempi e prima ancora di andare a scuola, “va ‘o mastru” presso il padrino Giuseppe Caserta, calzolaio, che lo mette al banchetto “a drizzari i zìppuli”. Ricorda, scherzosamente, che erano di più le martellate sulle dita che non i chiodini raddrizzati. Ma il più lungo periodo della sua fanciullezza lo trascorre in via Minissale, nei laboratori di falegnameria dei fratelli Camuto, Giuseppe e Ignazio. Di questo precoce apprendistato, con un stretto parlare brontese, racconta che, oltre ad andare in giro per le strade a fari i suvvizzi o a fare il garzone per le famiglie dei “mastri”, spesso con don Peppino Camuto andava a sostituire i vetri rotti delle finestre e a inchiodare le bare dei morti (a ‘ntacciari 'i tabuti). Non nasconde di aver odiato la scuola. Ripete la seconda elementare per non aver concluso l’anno dopo aver ricevuto un colpo di verga in testa (dal maestro Franchina). Della terza elementare racconta il seguente piacevole aneddoto. Durante un passeggiata scolastica “o Pumaru”, com’era suo solito cantava: “Vecchia Roma sotto le stelle non canti più “i” stornelli e le serenate di gioventù…”. E il maestro Gatto che lo correggeva: “gli stornelli, Melardi!... Gli stornelli!” Ripete anche la quinta elementare, questa volta perché il padre lo ritira dalla scuola in quanto il maestro, Padre Mauro, si rifiuta di assegnare al figlio il sussidiario e il libro di lettura destinati ai bambini più poveri. Già ancora fanciullo, ricorda che il maestro Battiato lo chiamava, la domenica, a farsi riparare le gabbie dei colombi. E, sempre nella prima mezza giornata di domenica, don ‘Gnazinu Camutu, gli concedeva la chiave del laboratorio perché egli potesse fare i suoi “rattilluzzi”: ggiustari i seggi scunucchiati, costruire grucce per gli abiti, incollare e lucidare tavolette dei water…. Nel consegnarci con un sorriso queste note biografiche, gli piace ricordarci che, nonostante tutto, il periodo della fanciullezza è stato per lui il più bello della sua vita. In seguito, dopo due anni di Avviamento Professionale, con lo stesso andazzo della Scuola Elementare, indirizzato alla carriera monastica dai Frati Francescani del Convento di S. Vito, frequenta la seconda e la terza Media al Piccolo Seminario di Bronte, allora diretto da padre Antonino Calanna. Quindi, sempre nei conventi dei frati, trascorre due anni ad Acireale, un anno a Bagheria e i successivi tre anni a Palermo. Nella primavera del 1963, in vista del rinnovo solenne dei voti monastici e prima di iniziare il corso degli studi di Teologia, abbandona il saio e inizia la sua nuova vita. Conseguita la Licenza Ginnasiale al Liceo “Spedalieri “ di Catania, nella primavera del 1964 parte per assolvere ai doveri del servizio militare. In divisa, frequenta da esterno le lezioni di tirocinio, requisito necessario per poter sostenere gli esami di Abilitazione Magistrale che consegue subito dopo il congedo. Di questo periodo ricorda con gratitudine monsignor Giuseppe Zanatta, allora parroco del Duomo di Treviso, che lo ospita in canonica per poter studiare durante le ore di libera uscita; don Raffaele Crosato, direttore della Colonia Provinciale di Lancenigo, che lo accoglie come istitutore nel collegio da lui diretto e, ancora, il prof. Aldo Piccoli, in quegli anni docente di Lettere presso l'Istituto Magistrale "Duca degli Abruzzi" di Treviso, fine letterato e poeta, purtroppo prematuramente scomparso, presso il quale consegue il diploma di Abilitazione Magistrale. Nel frattempo si prende, non ricambiato, una forte scuffia per una compagna di scuola, di cui parlerà spesso nelle sue poesie. Dal 1967 al 1969 lavora in una fabbrica di confezioni fino a quando viene chiamato dal Provveditore agli studi di Treviso a svolgere in vari paesini della provincia la sua attività di insegnante di Scuola Elementare, dopo averne vinto il relativo concorso. Nel 1982 abbandona l’insegnamento e passa nell’Amministrazione Scolastica al Distretto Scolastico N° 10 di Montebelluna fino al congedo dall’attività lavorativa per pensionamento. Si sposa alla fine di luglio del 1973 e dal matrimonio nascono due maschi e una femmina. Da allora si dedica esclusivamente al lavoro e alla famiglia. Melardi scopre la Poesia nel corso della Scuola Superiore, ma la coltiva da meno di dieci anni, perché, come egli afferma, è stato travolto dalla vita. Persona schiva e riservata, non ama parlare di sé. Riferisce di non prediligere i posti comando. Racconta infatti di essersi dimesso dalla carica di decano già quando frequentava la quinta Ginnasio presso il convento dei frati di Acireale e di aver rifiutato il grado di Caporale offertogli prima del congedo. Ridendo, dice che la sua è stata una vita troppo seriosa e di aver giocato solo quando marinava la scuola con i suoi degni compari e di non essersi fermato mai dal 1963 al 2012, anno del suo ritorno a Bronte. E non chiedetegli perché è tornato a Bronte. Con la sua disarmante semplicità vi risponderebbe che, dopo aver deciso di chiudere un’altra pagina della sua vita, sono stati i suoi piedi a portarlo qui senza consultare né la mente né il cuore. Giuseppe Melardi ha scritto il suo primo libro di poesie nel 2010: “PAROLE IN SORDINA” (La Riflessione, Davide Zedda Editore, Cagliari, febbraio 2010, vedi riquadro). Fu subito un piccolo successo. Lo presenta alla IX edizione del Premio letterario nazionale “Le Nuvole Peter Russel” (IX edizione 2010) classificandosi al 3° posto e ricevendo, inoltre, nel 2011 le segnalazioni di merito al X Concorso Nazionale di Poesia “Italo Carretto”, al “Premio Golfo di Trieste - Il Salotto dei Poeti” (VII edizione, 2011) e al “Gran Premio Symposiacus (2011). Dal libro Parole in sordina vi proponiamo la lirica La mia terra (leggi la lirica). Scrive Flavia Lepre in una nota critica che accompagna questo suo primo libro: “Parole in sordina” è «un concentrato di pensieri, di ricordi, di rimpianti, di nostalgie, di parole dette a mezza voce, di languidi momenti con qualche velatura di rimorso e un fondo che, quasi segretamente, conserva dentro una bolla trasparente e preziosa, non solo sogni d’amore, ma nostalgia di amore realmente vissuto. Il poeta Giuseppe Melardi, sfoggia in questa sua Raccolta di liriche, una particolare linguistica in stretto contatto con la poetica del ricordo, ma non separata da altri elementi. Quest’ampiezza di respiro ben si rispecchia in queste pagine, dando ad esse un tono di coinvolgente dolcezza, di tanto in tanto offuscata da leggerissime velature di malinconia. D’altra parte per un giovane vissuto nell’ardente sole di un’Isola fascinosa com’è la Sicilia, deve essere un colpo molto forte quello di dover lasciare la sua terra, risalire tutto lo Stivale italico ed approdare in una città del Nord, dove usi, costumi, clima, panorami e lingua, sono completamente diversi.» A “Parole in sordina” Giuseppe Melardi fa seguire un anno dopo, nel 2011, “APPUNTI”, edito da “Il Croco - I quaderni letterari di Pomezia-Notizie”, silloge che si era classificata al 2° posto al “Premio Letterario Internazionale Città di Pomezia” - Ediz. 2010. “PERCORSI”, il terzo libro di poesie di Melardi (vedi riquadro), esce nel febbraio 2013 per la stampa dell’“Accademia Internazionale Il Convivio” dopo aver ricevuto il 1° premio assoluto al “Concorso Internazionale Il Convivio – “Pensieri in versi” Ediz. 2011. Lo stesso libro è stato insignito del 2° posto al Premio “Ricercate Estrinsecazioni Sentimentali”, Edizione 2014, indetto dall’Associazione Culturale “Francesco Petrarca” di Viterbo. «La poesia di Giuseppe Melardi – scrive nell'Introduzione a "Percorsi" Giuseppe Manitta - si abbandona alla rimembranza e, in questa dimensione, offre al lettore toccanti versi sull’amore, su quello perduto, su quello ferito, sulla gioia del vissuto. Il poeta accompagna il lettore nei suoi percorsi memoriali ed emozionali con un tono narrativo, in un’esposizione di sensazioni e momenti di vita.» “SCHEGGE”, stampato in proprio dalla Tipolitografia Mavica di Bronte, vede la luce nel novembre 2014 dopo aver conseguito il 2° premio al Concorso Internazionale Poetico e Musicale “Poeti nella società” di Lecce – Ediz. 2014 per silloge di poesia inedita. Si piazza, inoltre, al 2° posto al Premio Letterario Internazionale Città di Sarzana “Poeti solo poeti” (ediz. 2015), al 1° posto al “Premio Lettere, Arte e Scienza Per L’Area dello Stretto” di Reggio Calabria (ediz. 2015) e riceve una Menzione speciale della Giuria al Premio Letterario Nazionale “Scriviamo Insieme” di Roma, V ediz. 2015, con la seguente motivazione: «Un’opera complessa e articolata in sezioni come un saggio sui quesiti dell’uomo in relazione alla sua esistenza. Il poeta ha il merito di riuscire con un verso diretto e asciutto a realizzare l’evidente progetto di coinvolgere il lettore su una tematica di grande interiorità.» Con le sue poesie raccolte nel libro Schegge, Melardi inoltre ha ottenuto il l° posto al Premio Letterario Nazionale “Terra d'Agavi” di Gela (XXXIV, ediz. 2016) (vedi riquadro), il Premio Poesia al Premio Poem Academy Awards di Napoli (I Ediz. ottobre 2016) ed il II° posto assoluto al Premio Internazionale di Poesia e Narrativa "Cinque Terre del Golfo dei Poeti Sirio Guerrieri" (XXIX ediz., 2017). L’ultima opera di Giuseppe Melardi,"ACQUA E POLVERE", (vedi riquadro) è pubblicata nel maggio 2017 dalle Edizioni “Accademia Barbanera” di Castiglione in Teverina (VT), consegue una segnalazione di merito al Premio Nazionale di Poesia “Himera” (2017) ed una Menzione al Merito per silloge di poesie edita al 3° Premio Internazionale “Salvatore Quasimodo” (2017); la prima parte, Nuvole di polvere, si è piazzata inoltre a 3° posto al Premio Artistico Letterario Internazionale “Napoli Cultural Classic” (XI Edizione 2016). Lusinghieri, come si vede, i giudizi e la critica e significative le segnalazioni ed i premi ricevuti da Giuseppe Melardi. Nei riquadri in calce vi presentiamo anche alcune interessanti recensioni. Vogliamo, infine, segnalarvi alcuni riconoscimenti ricevuti per silloge di poesie inedite e poesie premiate singolarmente: A Sera (3° posto al Premio Nazionale di Poesia “Giuseppe Altobello”, X Edizione Campobasso 2016); Il libro della vita (3° posto al Premio Nazionale di poesia “Ottavio Nipoti”, Città di Ferrera Erbognone XXI Edizione, 2017); Un'altra primavera, segnalazione di merito al Premio letterario “Pietro Carrera”(2016); il primo posto al Premio internazionale “Città di Castrovillari”, poesia, prosa, arti figurative (2017); menzione al merito al 3° Premio Internazionale “Salvatore Quasimodo”( 2017); Tempo presente, 2° posto al Premio nazionale “Ingenium volat, liber manet” Vivi i libro d' artista (2017). Hanno, inoltre, ricevuto segnalazioni di merito e figurano nelle rispettive antologie dei premi le liriche: Tristezza - Il gesto - Amarti - Veduta. Oggi Giuseppe Melardi, pensionato, dopo aver trascorso decenni in Veneto, vive a Bronte dove, dice lui, lo hanno portato d'istinto «i suoi piedi senza consultare né la mente né il cuore». (aL) Novembre 2017 |
Leggendo le poesie di Giuseppe Melardi Acqua e polvere «Acqua e polvere del Melardi è diario di vita, di pensieri e insieme una profonda e nuda azione metamorfica della visione di sé e del mondo, una ricerca di senso, una lotta dialettica estenuante per la sintesi fra le immagini simboliche e antitetiche delle “Nuvole di polvere” e de “Il rumore dell’acqua”. All’inizio lutto è frammentazione, separazione, abbandono, dissoluzione, le nuvole di polvere sono tutto quanto il poeta raccolga della condizione diveniente dell’uomo, del tempo che corre. “E questo è il quanto / che del tuo tempo raccogli: / una nuvola di polvere e voci / che nella polvere si spengono”: cosi l’uomo non è che puro transito, inarrestabile. “In verità non è così?” è l’urlo che separa le dimensioni umana e divina e che denuncia la morte immanente dell’essere: rivela la condizione sostanziale d’impermanenza delle cose umane e del mondo, la negazione del ‘così è in verità, la sofferenza dell’umana impossibilità di accesso alla verità e al senso, l’impossibilità di “dare una ragione / al nostro ineluttabile”. L’autore abita l’universale condanna occidentale platonica, “Il cielo, questo cielo, alto, infinito , / che tutto e tutti ci contiene, / sereno e immutabile ai nostri occhi, / tranquillo pare se ne stia a guardare / il concitato fermento che sotto ribolle”: la netta Spaltung (dipartizione), che separa essere ed ente, insegue l’oggettualità assoluta e consegna allo scacco dell’illusione del desiderio ingannevole dei sensi ...» (Fulvia Minetti) | Schegge premiato a Terra d'Agavi Schegge Nel 2016 nella XXXIV edizione di Terra d’Agavi, il Rotary International di Gela ha assegnato a Giuseppe Melardi il primo premio nella Sezione B - Poesie, in lingua italiana, edite in volume, con la raccolta Schegge «Schegge, di Giuseppe Melardi, - si legge nella Motivazione - è un viaggio attraverso la vita, la religione e l'io nascosto di ogni uomo che sulle ali della poesia accompagna il lettore, tenendolo per mano e svelando così in modo a volte crudo e a volte oscuro quanto riserva la vita all'uomo. “Il paradiso è lontano / e dell'inferno abbiamo qualche idea”, così si chiude la prima poesia di questa brillante silloge, un pessimismo a tratti leopardiano e una dolcezza a tratti disarmante. Impossibile non restare catturati nel vortice delle emozioni e delle parole tracciate da Melardi con sapienza e maestria. […] Divisa in quattro parti la silloge esplora tutte le fasi della vita umana con una disincantata rimembranza, dalle sue origini con il primo quadro “Preambolo” al suo svolgimento con “in fieri” e “postille”, in un incalzante susseguirsi di autunno e primavera, di dolcezza e di dolore, “infatti, il libro di ciascuna vita / è un'opera che va in stampa / alla sua prima stesura / e in edizione unica”. L'umanità è il filo conduttore di questa silloge, l'inizio da cui tutto comincia e la fine a cui tutto tende, odiata eppure desiderata, premio supremo e fonte di dannazione, distingue l'uomo dall'animale e allo stato animale lo riporta. Tutto questo è racchiuso nella lirica finale, “Vorrei”, chiusura brillante di questa silloge, punta di diamante dell'intera raccolta, sintesi perfetta della delicata e sottile poetica dell'autore: “vorrei chiudere un ciclo' / [.. ] che soggetto io sia di una mutazione / e da bruco in farfalla volare. Con soli tre versi Melardi già esplicita la pulsione, lo scopo che spinge gli uomini a trascinarsi attraverso le stagioni: la speranza di mutare, di diventare migliori, diversi; la realtà però è ben diversa, se cambiassimo infatti non saremmo più umani e con questo messaggio il poeta chiude la sua silloge “capisco che vorrei non essere un uomo”. Per queste motivazioni, per lo stile diretto e schietto, per la profondità del messaggio, per il sublime intreccio di parole e suoni che colpisce l'anima del lettore e per la pacata bellezza della silloge in sé, abbiamo deciso di conferire il primo premio alla raccolta “Schegge”». | Percorsi (...) Mi colpisce la storia di Melardi. Un’infanzia vissuta tra gli insegnamenti del calzolaio Giuseppe Caserta e presso la falegnameria dei fratelli Camuto in via Minissale. Quando arrivò in terra veneta fece l’operaio in fabbrica per poi diventare maestro elementare e amministratore scolastico. Una vita certamente intensa, vissuta lontano dai luoghi più cari senza dimenticare quel senso di appartenenza che gli isolani custodiscono come una fede. Bronte è una cittadina catanese immersa nel Parco dei Nebrodi a due passi dall’Etna. I miei occhi di bambino hanno assorbito per sempre il fascino inconfondibile di un luogo da scolpire nella memoria. Giuseppe Melardi poeta non può essere separato dal groviglio di vicende, figure e sapori che lo hanno forgiato come uomo. La consistenza di quella terra che si sbriciola tra le mani corrisponde spesso allo spirito dei suoi figli. Percorsi è la terza raccolta poetica di Melardi. Anche se è uscita nel 2013 merita di essere riproposta come una silloge di rara delicatezza. La scelta del titolo definisce già la densità di un cammino che traduce in versi immagini, legami e rimembranze. Lo ricorda bene Giuseppe Manitta nella sua introduzione, richiamando sia lo spirito di Cesare Pavese de Il mestiere di vivere, sia la profondità dell’espressione “lavorare nelle ossa” di Giovanni Arpino. Melardi si rivela proprio perché può raccogliere il prodotto di una lunga sedimentazione. Ci vuole tempo per capire e chiarire. Servono giorni buoni e stagioni cattive. Gli anni che sembrano depositarsi uno dopo l’altro senza concedere pause in realtà lasciano fessure. La poesia è anche questo: muoversi come l’acqua e aderire a dimensioni lontane, per rivivere una, cento, mille volte quello che giace negli strati più bassi. I Percorsi sono questo affidarsi alle parole che scivolano per recuperare le sequenze decisive di un racconto personale. È l’eco di un canto “che serpeggiava / tra le stradine rovinose / o sugli spigoli / di gradinate irregolari / rotolava”. La memoria è un prodigio di istantanee fotografiche che ripropongono prodigi sensibili: “Fra quegli odori / ti perdi di fieno, / di pesce appassito / e di pane / appena sfornato”. Affiorano tutti i riti di un piacere domestico: “Ci si incontrava la sera / nel nido intorno alla fiamma / di un lume a petrolio / mangiando polenta di ceci”. La poesia di Giuseppe Melardi cattura gli istanti con tutta l’essenzialità di una composizione leggera e sapiente. L’eleganza è la diretta conseguenza di una costruzione in cui le parole sono dosate come gli ingredienti di una ricetta da riprodurre con meticolosa fedeltà. (…)» Natale Luzzagni (La Nuova Tribuna Letteraria, n° 126 - 2° trimestre 2017) | Parole in sordina «Leggendo le poesie di Giuseppe Melardi è facile sentire l’eco della terra natale fatta di colli, di odori di ginestra, di spiazzi di lava posta alle pendici dell’Etna dalla cima ora biancheggiante sotto il sole splendente ora oscurata da nubi tempestose “Ai piedi di quel dio / che tuona e infuoca il cielo ...”. Quella terra verso la quale svilupperà, come succede a chi per le ragioni più svariate è costretto ad abbandonarla, quel sentimento di odio e amore già presente nei versi: “… Laggiù la nebbia / non risale il tempo / e gli ultimi ritorni. / Giunchi ginestre / ed orizzonti angusti / tra ruderi di Grecia / e fuoco vivo / su ogni solco antico / su ogni volto / non più amico ...” ed una nostalgia che dice di aver riposto sotto gli strati dell’oblio ma che inconsciamente risale alla superficie in lampi di memoria: “ ... L’odore di collina / e le ginestre sulla sabbia nera. / E poi le more sul rovo spinoso / e i fichi acerbi bianchi di latte. / E ancora lava, lava nera, e cielo di cobalto / nella scenografia di colori cocenti”. Di questo lembo di terra ha nostalgia il poeta dove visse la sua fanciullezza nei crudi anni del dopoguerra col rimpianto di una perdita non più recuperabile. Laggiù “ ... si sfalda / la mia fanciullezza / e i suoi brandelli / asciuga al sole / appesi ai rami / di un mandorlo fiorito”. …» (Ottorino Stefani, La terra e la donna, Prefazione a Parole in sordina) La poesia di Giuseppe Melardi
Parole in sordina (...) Si tratta di un denso canzoniere, ben introdotto dal compianto Ottorino Stefani, dai toni ora aggraziati ora solenni, che quanto ai luoghi rappresenta una sorta di “cocktail” (è il titolo di una composizione) tra terra d’infanzia e terra di approdo, tra la Sicilia con i suoi “colori cocenti” ed il Nord con le sue nebbie, tra il vulcano e le acque: quelle acque che qui sono il territorio veneziano e il fiume Sile, tra paesaggio reale e allegoria. Un lirismo vitale di adesione alla vita “fra immani pensieri / e nobili assiomi”, parole terse e angosce laceranti, un “rosario di misteri” sgranato “tra desideri innumeri / e rarità precoci”, con eleganza di concetti e d’immagini, anche intrise d’amore e dì pudica corporeità (la fanciulla “che nel tenero aprile / i tuoi piccoli seni / schiudevi alla bellezza”) o di pura, arresa ammirazione (la donna “Eva di ieri e di oggi”, “minuta goccia di rugiada / e giunco d’acqua a un tempo”). Si fanno strada “i segni della vita / fra mille quinte / e ricamati intrecci / nel quieto scivolare / della luce”, le “piccole storie / nel calderone / della grande storia”, le contrapposizioni “lungo le parallele / dell’esistenza”. Procede spesso per dualità, questa poesia, a conferma del doppio luogo dell’anima e della vita, una frattura compunta e ricomposta anche in virtù della poesia (“liberare / una parola ferma / e scongelare / un pensiero che valga”), sentendosi in fondo l’autore un “mucchietto di molecole” che aspira soltanto alla normalità del prima, dell’ora e del poi: “ho camminato ai margini”, afferma. “mai ho incalzato / la ribalta”. Scrive, come Quasimodo, intense lettere alla madre, ha un “conto in sospeso” con l’illusione, avverte il tempo che “senza agganci in alto / né radici in basso” tutto “fagocita e rigurgita”, mentre “slaccia i covoni e sparge i grani”. La vita è un tripudio nel quale “si beve il sole prima e l’ombra poi”, un “albume di grovigli”, ma in fondo sono tutti “inutili affanni / per esser cancellati” dall’oblio, tra “le lacune e i pochi rimpianti” che ci accompagnano “dal primo pianto all’ultimo sogghigno”. Il libro, che come detto riepiloga la prima produzione di Melardi, è suggellato da una “apostrofe alla poesia” che per lunghi anni lo abbandonò, preso da altri impegni ed urgenze, e che adesso ritorna come una donna matura di cui assaporare la bellezza. incoraggiandolo ad “evocare volti e rovistare luoghi”, cercando “qualche finestrella / da cui possa entrare / aria pulita”. L’aria, appunto, della parola che si fa nuovamente scrittura. Stefano Valentini (La Nuova Tribuna Letteraria, n° 128 - 4° trimestre 2017). |
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