L'antica chiesetta ed il terreno circostante qualche decennio dopo furono, quindi, concessi dal Comune ai frati Minori osservanti dell'Ordine di San Francesco per fabbricarvi il convento. Le prime notizie certe sono dell'ottobre 1589 quando l'arcivescovo di Monreale, in una nuova visita pastorale a Bronte, ordinava che fosse tolto l'altare fuori della chiesa e del 1592, quando il vicerè conte di Olivares disponeva "... che per la fabbrica di detto convento fosse concessa per tre anni la gabella della carne, che importa onze 25 all'anno". Da queste due date la piccola chiesa ha subito nel corso dei secoli numerosi restauri e rifacimenti: fu una prima volta ristrutturata nel 1643 (dai maestri Matteo e Michele di Palermo, essendo guardiano padre Antonio da Bronte, com'è riportato sull’architrave della porta maggiore); l’interno fu restaurato e decorato nel 1879 (per cura di Nunzio Capizzi Monachello); l’abside venne rifatta a nuovo con ricche dorature e fregi nel 1880 (dall’arciprete Giuseppe Ardizzone); la balaustra dell’altare maggiore fu fatta nel 1894 (a cura del frate Francesco di Bronte). Un ultimo restauro è stato fatto recentemente (2019/2020) con la sistemazione del tetto e della facciata, il rifacimento della pavimentazione ed il ripristino degli intonaci interni. In quest'ultimo lavoro sono state
scoperte e ripristinate semplici ma preziose decorazioni che abbelliscono la navata risalenti presumibilmente al restauro del 1879. Non si hanno notizie, invece, circa la costruzione della cantoria, composta da una solida volumetria voltata poggiante su colonne di marmo (vi si accede esclusivamente dall’attiguo convento). Certo è anche che il prospetto che ci ha tramandato Agostino Attinà nel disegno pubblicato da P. Gesualdo De Luca (Storia della Città di Bronte, 1883 ) è, specie nell'ubicazione del campanile, molto più bello e diverso dalla forma attuale. Risulta dal censimento del 1714 che nel Convento vi erano soli 8 frati, diventati 10 in quello del 1736. Sul prospetto, semplice e composto, concluso in alto dal timpano appena accennato, risaltano la sagoma nera del portale basaltico di belle proporzioni, con decorazioni floreali scolpite a bassorilievo, e la scalinata prismatica centrale in pietra lavica. Sull'arcosolio è scolpita la scritta "Pax et bonum". L’interno ha una configurazione volumetrica semplice ed unitaria anche se è certo che è risultato di interventi succedutesi in epoche diverse. E' ad unica navata, con abside e cantoria. Le ricche dorature ed i fregi raggiungono il massimo della decorazione nella parte emisferica dell’abside. La chiesa ha sette altari: a destra entrando, quelli di Sant’Antonino, San Vito e San Pasquale; a sinistra gli altari di San Giuseppe (prima era dedicato alla Beata Vergine degli Angeli), San Francesco ed il Crocifisso, un tempo altare di Maria SS. della Purità. L’altare maggiore, adorno di marmi policromi, è consacrato alla Vergine Immacolata (preziosa la statua in legno). Su di esso sono impostate quattro colonne con capitello corinzio che sorreggono l’aggetto della cornice su cui è impostata la volta della cupola. Nella cantoria (accessibile solo dall'interno del convento) si notano un coro ligneo con sedili e schienali raccordati in alto da una cornice intarsiata su colonnine e capitelli scolpiti, un legio girevole su basamento esagonale ed un dipinto su tela raffigurante un monaco francescano seduto. Accanto al convento, un tempo, esisteva un piccolo camposanto dove erano seppelliti i poveri (l'attuale via Campo dei Fiori, vedi mappa del 1850 riportata sotto), diritto che si era riservato la Universitas di Bronte nel cedere la chiesa ai frati Minori. Scrive ancora il Radice che «Nel 1903, in maggio, gli amministratori del Comune cedettero in enfiteusi a quattro frati il convento, di cui per la legge di soppressione era divenuto proprietario il Comune. Quando per l’amenità del sito, la salubrità dell’aria avrebbe potuto essere adibito a scopo di pubblica beneficenza, costruendo una via di circonvallazione, che dall’orto degli Artale, che è al principio della strada principale, a mezzogiorno, conducesse a S. Vito, e di là alla stazione. Una via larga avrebbe abbellito il paese, in verità molto inestetico; e rese praticabili le sue viuzze sassose, fangose, tortuose; ma gli interessi di parte sono prevalsi a quelli del popolo: come sempre!» |