Un accenno alle nostre tradizioni per ricordare le nostre radici
Molti, alcuni antichissimi, le tradizioni, gli usi, i riti, anche orali, di carattere religioso o culinario, che i brontesi si tramandano di generazione in generazione; legati al piccolo mondo contadino, al susseguirsi delle stagioni, al duro lavoro dei campi o alle ricorrenze religiose.
Per secoli la vita della nostra piccola Città si è svolta nel ritmo dei cicli stagionali, con ben presente in ogni periodo dell’anno la corrispondente fase dei lavori agricoli. Erano questi a dettare il ritmo del tempo e per essi i giorni, le stagioni, le intemperie assumevano significato.
La cosiddetta "civiltà" industriale non ha rotto ancora del tutto l’antico ritmo stagionale, per sostituirvi il tempo matematico dell’orologio ma molte nostre tradizioni hanno perso sempre più il loro significato originale.
Con la fine della civiltà contadina ed il prevalere della società tecnologica, molte consuetudini, alcune feste o particolari usanze, via via affievolite, sono state offuscate delle antiche origini, restano ormai solo nella memoria dei nostri anziani.
Altre, nel procedere degli anni e nella frenesia del moderno vivere, stanno via via scomparendo, soppiantate dai ritmi crescenti delle trasformazioni sociali e dall’affermarsi del nuovo mondo fatto di continue innovazioni e di nuovi modelli dove il “vecchio” sembra non trovare posto.
L’attaccamento alla propria terra e alle proprie origini è, invece, un modo per sentirsi ancora parte integrante di una comunità, per condividerne la stessa storia, le stesse tradizioni e la stessa identità culturale. Conoscere la cultura del nostro territorio, la civiltà di cui facciamo parte significa interagire con l’ambiente in cui si vive e riappropriarsene, per sentire di avere comuni radici in un determinato luogo.
Di fronte al progressivo allontanamento delle nuove generazioni dalla pratica e dal culto delle proprie tradizioni è fondamentale far ricordare e rivivere quella cultura di cui sono evidenti i segni, è doveroso far rivivere la memoria delle tradizioni che perdurano e promuoverne la conoscenza e la diffusione anche tra i più giovani affinché possano comprenderne l’importanza e valorizzarne gli aspetti più significativi.
Acquisire una piena consapevolezza della ricchezza che possediamo, conoscere ed amare la cultura tradizionale ma anche valorizzarla e proporla al di fuori della nostra realtà locale, può diventare un’occasione di rilancio per Bronte e i suoi abitanti.
La maggior parte delle tradizioni che sono arrivate fino a noi riguardano le feste della Chiesa proprio per il carattere profondamente religioso del popolo brontese (il Natale, i riti della Settimana Santa, i graziosi altarini allestiti nelle viuzze di Bronte durante il Corpus Domini, l'Ascensione, la festa dell'Annunziata).
TRADIZIONI DI BRONTE
La mostarda di ficodindia e "I crozzi 'i motti" (fra i doni tradizionali della Festa dei Morti)
Di qualche antica nostra tradizione vogliamo in queste pagine ricordarci e presentarne sommariamente alcuni aspetti.
I «Virginelli»
La tradizionale festa ai "virginelli" è molto antica e legata alla ospitalità ed alla profonda religiosità del popolo brontese. Ricorre il 19 Marzo, giorno della festa di San Giuseppe, protettore dei poveri e di chi patisce fame e freddo, quando molte famiglie brontesi, ancora oggi, preparano il banchetto ai "virginelli" (originariamente erano i ragazzi poveri del paese, oggi sono i nipoti, qualche ragazzo del vicinato e figli di amici).
Il numero dei ragazzi ospiti nelle varie case varia secondo il voto espresso dagli offerenti e le possibilità economiche. Tipiche tradizionali vivande del banchetto sono un primo a base di pasta con i ceci e un secondo di baccalà fritto con insalata di finocchi o broccoletti affogati. Alla fine vengono regalate arance e un pane da portare a casa (una forma particolare di pane, piccola, decorato con una croce). Il tutto viene prima benedetto da un prete davanti ad un altarino preparato in casa per l’occasione e quindi distribuito ai convitati e in parte anche ai parenti ed ai vicini che hanno aiutato nei preparativi.
Tradizione vuole che le vivande siano consumate tutte nello steso giorno ed eventualmente spartite nella ruga con i vicini. Il gesto del dono del pane, un cibo sacro, ha per i brontesi un'importante funzione protettiva, solidaristica, di reciproca affettività ed uno dei tanti modi di sciogliere i voti.
La Festa dei Morti
Anche a Bronte i doni ai bambini si fanno a Natale o per la ricorrenza della Befana; ma resiste ancora un’antica e non scomparsa tradizione, comune ad altri paesi siciliani, che è quella di far trovare doni ai bambini la notte del 2 novembre, giorno dedicato alla commemorazione dei defunti.
E di farli trovare dentro una scarpa che i bambini stessi la sera hanno posato davanti una porta o sotto il letto e che i morti riempiranno la notte di doni o di carbonella. Torrone, mostarda, fichi secchi, noci, dolci vari (particolarmente i tradizionali “crozzi ‘i motti”), qualche giocattolo, i doni di una volta ma anche pezzetti di nero carbone per i bambini “cattivi” quasi ad invitarli a essere più buoni.
E’ la “Festa dei Morti”. Una ricorrenza con radici millenarie, dalla profonda e sentita umanità, che per fortuna, non è scomparsa ed a Bronte si tramanda ancora oggi.
E’ quasi un legame spirituale fra i vivi ed i morti che dall’aldilà, nel giorno della loro ricorrenza, visitano i loro cari entrando nelle case e si ricordano affettuosamente dei bambini. Portano doni e li aiutano ad esorcizzare le loro paure facendo apparire la morte non come un evento tragico e pauroso ma come passaggio obbligato e sereno che tutte le persone devono affrontare. E per i più piccoli, nel giorno di universale mestizia della Commemorazione dei defunti, è un momento d’autentica gioia. A differenza delle zucche di Halloween, della vecchia e sdentata Befana con la sua scopa o del rosso, panciuto, Babbo Natale con le sue renne (ricorrenze di chiara importazione) la tradizionale ricorrenza della Festa dei morti continua ad avere indubbiamente un maggiore senso di poesia e di umanità.
Mantenerla ci serve anche a ricordare le nostre radici e rispettarle facendo sì che anche le nuove generazioni possano conoscerle e apprezzarle.
U Bambinellu
Nel periodo natalizio in ogni famiglia, in un angolo della casa o sopra un mobile (in genere il ripiano di marmo del "cantaranu"), un tempo trovava sempre posto un piccolo presepe, molto semplice ed ingegnoso.
La figura centrale "u bambinellu" contornato a volte da pochi "pastorelli" ed un ambiente che rappresentava una grotta il cui pavimento era fatto di muschio ('u lippu) e la volta con i tralci dell'asparago selvatico, disposti ad arco, a mo' di cielo, con mandarini e batuffoli di cotone posti nelle intricate ramificazioni per simulare i fiocchi di neve.
«Crisci e nnobirisci»
Resiste ancora nelle famiglie una tradizionale usanza pasquale: nella domenica di Pasqua, nel momento in cui suona il Gloria, i bambini sono afferrati per le orecchie dai genitori e sollevati leggermente da terra dicendo loro la frase augurale «crisci e nnobirìsci» (cresci e nobilitati).
E i preti spazzavano le strade...
Fino ai primi anni del '900, la vigilia del Corpus domini i preti uscivano in processione portando in mano una scopa con manico di canna. Quest'antica consuetudine, ormai completamente scomparsa e dimenticata, derivava dal fatto che per rispettoso atto gli antichi sacerdoti brontesi praticavano l'umile ufficio di spazzare le strade nelle quali doveva transitare il giorno dopo l'Ostia eucaristica.
L’àbburu ra Maronna
Un tempo era in uso in ogni “loco” dedicare un albero di pistacchi alla Madonna Annunziata, chiamato proprio “L’àbburu ra Maronna Nunziata”. Il ricavato della vendita dei pistacchi prodotti da questo albero veniva poi dato come offerta all’omonimo Santuario.
L'acqua muta
Fino ai primi decenni del 1900 dietro l’attuale cimitero (costruito nel 1879) vi era un piccolo santuario dedicato alla Madonna della Venia (o del Perdono) e, ogni anno, nella seconda domenica di settembre vi si celebrava il rito dell’acqua muta.
I fedeli in segno di pentimento per le bestemmie e altri peccati della lingua e per ricordare il valore del silenzio e del perdono si riempivano la bocca d’acqua nella fontana all’uscita del paese di fronte alla chiesetta della Madonna delle Grazie e ovviamente senza parlare si recavano in processione nella piccolo santuario per assistere alla Santa Messa.
Mirabile era un affresco della Beata Vergine della Venia o del Perdono che si conservava nella chiesetta ancora in buono stato all’epoca del Radice che lo giudicava del secolo XVII o XVIII.
“Il Comune - scriveva - ha il dovere di conservare questo bel lavoro d’arte. E’ tanto povero Bronte di cose belle!” Oggi non sappiamo nemmeno quale fine abbia avuta.
I «Laddarori»
Una maschera carnevalesca brontese che trae origine da un tipica tradizione scomparsa e dimenticata quasi del tutto e riproposta qualche rara volta solo a fini turistici o folcloristici.
Fino a qualche decina di anni fa, il giovedì prima della festa di Carnevale - giovedì grasso o, nella tradizione brontese, "gioveddì laddaròru" (quello precedente è invece dedicato ai maccheroni e chiamato "gioveddì maccarrunàru") - alcuni ragazzi, in genere molto poveri, vestiti di stracci e con velli di pecora sulle spalle e con il volto annerito dal carbone, giravano per le stradine del paese con un lungo spiedo in mano('u spitu).
Bussavano casa per casa, seguiti da una coda di altri ragazzi vocianti. Lo scopo era di raccogliere qualcosa da mangiare regalata loro infilzando pezzi di carne, di lardo, formaggio, pane ed altro cibo nello spiedo.
Una velata minaccia veniva gridata a chi apriva la porta di casa con la tradizionale cantilena: - "O mi fa' u laddaròru, o ti zziccu stu cagnòru!"
Il termine “laddaroro” è sinonimo di sporco, poiché forse inizialmente quegli sventurati erano vestiti di stracci ed avevano il viso sporco di carbone. Probabilmente, si trattava di carbonari che lavoravano alle falde dell’Etna.
I «Laddarori» ormai rivivono solo in qualche rara rievocazione della Pro Loco.
I "VAMPI DELL'ASCENSIONE
La sera della Festa dell’Ascensione di Cristo al Cielo, una festosa tradizione, che sa d’antico rito, religioso e profano, riunisce ancora nei crocicchi delle strade di Bronte le famiglie che abitano nelle case vicine ("'a ruga").
Durante il giorno i ragazzi hanno raccolto quanta più legna possibile e tutto ciò che di vecchio c’è da bruciare in ogni casa (tavole, sedie, panche, porte).
Il tutto viene accatastato con cura al centro della strada e si aspetta con ansia il momento dell’accensione del fuoco.
Fra i ragazzi dei rioni vicini diventa quasi una gara, una competizione fra chi riesce a innalzare la catasta più alta e le fiamme più durature.
Fiamme altissime si elevano la sera ad accompagnare l’ascensione del Cristo al Cielo e mentre, intorno, seduti a semicerchio sulla sedia portata da casa, gli anziani recitano il Rosario si alza festosa la tradizionale cantilena che parla del miracolo dell’Ascensione
"S’indi cchianaiu in cielu ccu ttutti li so’ àngiri ccu San Micheli Accàngiru e l’Angilu Gabrièl! ….
La festa continua oltre la mezzanotte, fra preghiere e canti, finché c’è legna da bruciare. I ragazzi, nell’apprensione dei genitori, girando per le "rughe", spiccano lunghi salti attraversando le fiamme.
Forse un tempo era la prima dimostrazione di coraggio!
Alla fine, una volta, "un parittuni" di brace ardente, benedetta e quasi sacra, veniva portata nelle case e messa nella "conca" (braciere) a riscaldare l’ambiente domestico.
La vigilia dell'Ascensione
E' mezzanotte. Le fiammate s'alzano, serpeggiano scherzose fra i tuguri ammonticchiati ed un bagliore fumido projettano sui muri.
Chiassosi crocchi aggiransi e tumultuano attorno ai fuochi. Sbucan da le vie le fanciulle e, con voce incerta e tremula, cantan le litanie.
Ne la grave, notturna quiete, tremano quell'argentine, accalorate voci: tremano e poi si sperdono, per l'ampia oscurità, veloci;
e l'eco gaia, penetrante, fondesi con altre note, anch'esse penetranti… Intanto verso il ciel stellato guizzano le fiamme crepitanti
Da “Primavera triste” di Vincenzo Schilirò, Stabilimento Tipografico Sociale, Bronte 1912
«Le tradizioni patronali e i riti della Settimana Santa hanno da sempre raccolto ed espresso in sentimento religioso le ansie ed il tragico fondo vitale della gente di Bronte, lasciando in eredità anche alle nostre generazioni un patrimonio che, pur nel mutare delle linee di riferimento sociali e nello smarrirsi della dimensione comunitaria, sembra ancora conservare un registro simbolico in grado di attrarre il senso intimo e religioso dell'individuo».
(V. Pappalardo, "La Corte Spirituale di Bronte", 1993)
I solenni festeggiamenti che Bronte fa in onore della propria Patrona In quest’ultimi decenni hanno avuto cadenza triennale, più riavvicinata rispetto a quanto avveniva in passato: quelli del 2012 seguono, infatti, i festeggiamenti di tre anni prima (dal 25 luglio al 10 agosto 2009), quelli del 2006 (dal 3 al 13 agosto) e quelli del 2003, (dal 3 al 10 Agosto) organizzati cogliendo l'occasione del 460° anniversario dell'arrivo a Bronte delle due statue dell'Annunziata e dell'Angelo (1543-2003). L'ultima solenne festa in onore della Madonna Annunziata è stata fatta ad Agosto del 2012 (dal 6 al 15).