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[Prima parte] [Seconda parte] Terza parte “Sull’area della antica cappella di S. Rocco […] sorge in gran parte la moderna chiesa del Sacro Cuore, fra la parte antica artistica del collegio e la nuova. Fu cominciata a fabbricare nel 1907, mercè l’indefessa opera del rettore sac. Giuseppe Prestianni; ma il perimetro dell’abside era stato già costruito molti anni prima. Fu benedetta da Mons. Ferrais e aperta al pubblico il 15 novembre 1914. L’architrave della porta è sostenuto da due belle colonne di lava. La decorazione interna, i fregi di stile barocco con elementi classici del Rinascimento sono opera di Giuseppe D’Arrigo da Catania, su disegno dell’ ingegnere Sciuto Patti, di cui è anche il prospetto della chiesa. Le statue del Sacro Cuore, di S. Eligio e di S. Rocco sono opera della Ditta Rosa Zanazio di Roma. “La chiesa è adorna di cinque altari di marmo, artisticamente lavorati dal marmista Domenico Spampinato, su disegno di Sciuto Patti: […] il più bello è quello dedicato alla martire fanciulla Santa Caritosa, il cui quadro è del prof. Alessandro Abate da Catania […] che rappresenta la santa dopo il suo martirio, in atto di presentarsi innanzi al trono della Vergine.
Questa chiesa sorse nella parte bassa estrema del paese nel 1610 “che leggesi nell’architrave della porta maggiore.” I fondatori furono il sig. Domenico Vellina, oriundo calabrese e il figlio sac. Bartolomeo. Nel terremoto del 1818 la chiesa patì qualche danno e ne fu fatto ricordo in alto sulla facciata con queste parole: Melior denuo surgo.”
Questa chiesa “sorge a poca distanza dalla stazione ferroviaria, e dovette essere edificata nella prima metà del secolo XVII, poiché di essa non è menzione nella visita sacra del Torres del 1574. […] La tremenda eruzione del 1651/54 […] investì la chiesetta da tre lati […] ma si fermò dinanzi la porta che abbruciacchiò. A memoria del tremendo avvenimento venne murata una lapide nel muro esterno della chiesa a spese di un ricco brontese, Spedalieri Francesco. […] La chiesetta aveva cinque altari […]” Vi sono quadri di Giuseppe Dinaro e di Agostino Attinà. “Il S. Luigi ritrae le sembianze del S. Luigi di Paolo Veronese. Nella sacrestia è un bel quadro di S. Antonino, nel quale sono dipinti varii episodi della vita del Santo.
“Nel testamento del sac. Matteo Uccellatore del 22 settembre 1720, ai rogiti di Giovanni Mancani si legge che una cinquantina di passi più lungi dalla presente chiesetta di S. Nicolò di Bari, posta giù a valle, nella contrada S. Nicolò, detta anticamente contrada Zenia, corrispondente ora al piano della Sena, esisteva un’altra chiesa dedicata allo stesso Santo, che la lava fatale del 1651 seppellì insieme colla chiesa di S. Antonino.” […] Segue tutto il testo latino del documento per cui il Radice entra in polemica con Gesualdo De Luca il quale nella sua Storia di Bronte farebbe risalire la distruzione di S. Antonino il vecchio all’eruzione del 1536. In detta eruzione “perì forse la chiesa del Purgatorio, della quale s’ ignora il sito. […] |
“La chiesa della Madonna delle Grazie esiste sin dal secolo XVI, come appare dalla visita di Monsignor Torres del 1574. E’ lungi un 300 metri dalla città, nello stradale che conduce ad Adernò (ora Adrano).
“E’ un piccolo santuario, al quale popolarmente ogni anno, nella seconda domenica di settembre, accorrono i fedeli. E’ posto un po’ più su del cimitero, sconquassato da tutte le parti, da quando il Comune lo convertì in deposito provvisorio di cadaveri.
“La romita chiesuola della Madonna del Riparo si troverà, fra non molto, dentro l’abitato per via delle nuove case che si costruiscono negli orti vicini. E’ posta sotto lo stradale provinciale che porta a Maletto, vicino la Croce Salici, dirimpetto all’Etna. La data del 1784, che si legge in alto, nell’abside, indica il suo rifacimento. […] Adornano la chiesetta tre altari e quello maggiore è dedicato alla Madonna del Riparo. La chiesetta nella sua semplicità è graziosa; stucchi e fregi dorati l’abbelliscono. […] L’abside è ben decorata”.
“La chiesuola sorge accanto a un turrito castello feudale, un tempo, in territorio di Troina […] Guarda in giù la Ricchigia, ove erano altre chiesette e ode lo scroscio del Simeto, quando scende ingrossato per il dimojare(28) delle nevi. La chiesa ha dinanzi un piazzale di circa 747 mq. E ha un solo altare di marmo bardiglio dedicato all’Annunziazione: Il quadro sembra opera del secolo XVI. […] Accanto alla chiesa è un piccolo cimitero […] che fino al 1720 accoglieva ancor dei morti nel suo seno, il che fa supporre che anche dopo l’unione molti coloni vi rimasero.
“E’ una chiesina solitaria, al cui piè rumoreggia il Simeto. Ci si va dal vecchio ponte normanno, la Cantera. […]
“Di questa chiesa e del convento attiguo è fatta menzione da Monsignor Ludovico Torres I, nella sua prima visita pastorale in Bronte nel 1574. Già fin da quel tempo, chiesa e convento minacciavano rovina. L’arcivescovo ordinò che fosse restaurato, e con senso di praticità che non ebbero i presenti reggitori delle opere pie, d’accordo con i giurati ordinò che ivi fosse eretto l’ospedale. […] Più salubre, bella e pittoresca località certo non poteva scegliersi.
“Sorgono la chiesa e il convento sul poggio omonimo nella parte più alta e salubre del paese. La chiesetta ebbe povero e debole nascimento, cementata di argilla, come usava allora fabbricare in Bronte. Se ne dice fondatore D. Rocco Papotto. Nessun cenno ne fa Monsignor Torres nella visita del 1574. […] Nei registri matrimoniali è ricordata il 1 giugno 1600. Fu ceduta ai frati Minori Osservanti per fabbricarvi accanto il convento. Ignorasi l’anno preciso, ma è certo dopo il 1574. “Da un documento del 21 agosto 1592, datato da Messina, si vede che già a quel tempo il convento era finito. […] La chiesa fu fatta a nuovo nel 1643, dai maestri Matteo e Michele da Palermo, essendo guardiano P.F. Antonio da Bronte, come è cenno nell’architrave della porta maggiore: […] “Il corpo della chiesa fu restaurato e decorato per cura di Nunzio Capizzi Monachello nel 1873; e l’abside venne rifatta a nuovo con ricche dorature e fregi verso il 1880 dall’arciprete Giuseppe Ardizzone […] La chiesa ha sette altari […] l’altare maggiore è consacrato alla Vergine Immacolata, di cui si conserva una graziosa statua in legno. Nulla di notevole e d’artistico hanno le altre statue e i quadri. Poi il Radice ricorda che nel 1903 il Comune cedette “in enfiteusi a quattro frati il convento, di cui per la legge di soppressione era divenuto proprietario,” anzicchè costruire una strada di circonvallazione che, passando da S. Vito e dalla stazione, si raccordasse alla provinciale per Maletto. “Una via larga avrebbe abbellito il paese, in verità molto inestetico; e rese praticabili le sue viuzze sassose, fangose, tortuose; ma gli interessi di parte sono prevalsi a quelli del popolo: come sempre!” Adesso il progetto del Radice è stato realizzato da tempo, assieme ad un’altra circonvallazione a valle, riservando a zona pedonale il Corso Umberto I.
“La chiesa di S. Silvestro, che sorge in fondo alla piazza Spedalieri, è menzionata nella visita pastorale del 1574 […] è quasi coeva delle altre, che la fede innalzava per comodo dei popoli sopraggiunti. Il tetto a travatura, come in tutte le altre chiese, fu fatto a volta posteriormente. La chiesa fino al 1828 era ornata da grandiosi festoni ad oro zecchino; annerito questo dal tempo, fu ristaurata nella forma presente dall’abadessa Marianna Caruso Nascarussa. “La chiesa è ornata da sei altari […] l’altare maggiore è dedicato allo Spirito Santo. Sono notevoli i quadri della “Comunione di S. Maria Egiziaca”, copia di quella del Novelli, il cui originale ammirasi al museo nazionale di Palermo, che il P. De Luca ha preso per S. Zita o S. Maddalena. […] è il più bel quadro artistico che possiede la chiesa. “Crescendo la terra di popolo, a decoro della città e delle famiglie, si pensò di fondare accanto alla chiesa un monastero di donne, dedicato a S. Scolastica, che sorse verso il 1610. […] Il secondo (piano), scrive il De Luca, fu fatto a spese dell’arcivescovo di Monreale.
“Questo dei padri cappuccini di Bronte fu il 34.mo convento dell’Ordine. “Col consenso della S. Sede del 30 marzo 1640 fu venduto il vecchio convento a vantaggio del nuovo. “La chiesa ha sette altari: […] L’altare maggiore è dedicato alla Madonna degli Angeli. Sono degni di nota: il quadro della Deposizione […], il quadro della Vergine […] Nel quadro dell’altare maggiore è un gruppo di Santi: […] Sono graziosi gl’intarsi dell’altare maggiore, opera di un frate cappuccino. La campana della chiesa viene dal soppresso Conventazzo. Affreschi un po’ grossolani di santi cappuccini vedonsi nel corridoio laterale alla chiesa […] Vi è pure affrescata l’eruzione dell’Etna del 17 novembre 1843 […]
“Cacciati via dalla malaria, e più dal terremoto del 1693, in cui rovinò parte della bella chiesa normanna e dell’abazia di Maniace, i Basiliani cercarono rifugio in Bronte al fondaco Stancanelli. “L’arcivescovo di Monreale intanto, […] aveva dato il permesso di trasferire in Bronte il monastero […] e non mancò il compiacimento dei Brontesi […] Procurato il denaro per la compra di alcune case, attigue alla chiesa di S. Blandano, […] l’abate chiedeva al Governo che il monastero sorgesse […] nella parte superiore del paese, vicino S. Blandano, sito più salubre.[…] Il monastero sorse presto, comodo ed ampio a spese dell’abate Guglielmo Stancanelli. Esso è ora sede del municipio, ma è stretta ed incomoda; invece potrebbe adattarsi come istituto scolastico.(32) “Nel 1824 la chiesa fu quasi rifatta dalle fondamenta per opera dell’abate D. Giuseppe Auriti, come leggesi nell’architrave della porta […]. Con decreto capitolare del 2 luglio 1751, fu aggregata alla Basilica di S. Maria Maggiore, per partecipare ai suoi privilegi spirituali e alle sue indulgenze;” nel 1749 era stata data facoltà di erigere canonicamente, con tutti i privilegi, la confraternita dello Scapolare della B. V. Addolorata. “La chiesa è adorna di cinque altari […] ed è la più ricca di reliquie. L’altare maggiore è consacrato a S. Maria di Maniace. Il quadro è imitazione bizantina e rimonta al secolo XIV […]. I PP. Basiliani, nel loro esodo dal monastero di Maniace, nel 1693, lo portarono seco e lo collocarono nella novella chiesa a loro donata. […] “Dirimpetto alla chiesa di S. Blandano sorgeva un ospizio dei padri gesuiti, come si vedeva dalla sigla I.H.S nella centinatura dell’architrave del portone; vi abitarono gesuiti.” |
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