«La chiesa di sant'Antonio da Padova - scrive lo storico brontese B. Radice - sorge a poca distanza dalla stazione ferroviaria. Dovette essere edificata nella prima metà del secolo XVII, poichè di essa non è menzione nella visita sacra del Torres del 1574, nè nei riveli del 1584, 1593, 1607, e neanche nei registri della chiesa Madre.» La tremenda eruzione del 1651-1654, che per tre anni devastò il territorio di Bronte e tanti danni recò al paese seppellendo tre chiese (S. Pietro dell'Illichito, Sant'Antonino e la chiesa del Purgatorio), case, boschi, vigneti e fertili contrade, investì la chiesetta, allora sita alla periferia di Bronte, in aperta campagna, circondandola da tre lati: nord, est, sud. «La lava - ci narra il Radice - salì fin sul tetto, aderendo strettamente alle mura est e sud e scorrendo anche dentro i buchi della fabbrica, e come per riverenza o timore, venuta meno la foga, si fermo dinanzi la porta che abbruciacchiò.» «Ne abbruciò la porta, ma non seppellì il fabbricato», aggiunge p. Gesualdo De Luca. Per ricordare ai posteri il tremendo avvenimento un ricco brontese, Spedalieri Francesco, fece murare a proprie spese una lapide accanto all'ingresso laterale della chiesa. «La chiesetta - continua il Radice (Memorie storiche di Bronte, Bronte 1926) - aveva cinque altari: a destra, vi erano gli altari di S. Giovanni di Dio e di Santa Domenica; a sinistra, S. Luigi e S. Gaetano Tiene. Il quadro di S. Gaetano è opera di Giuseppe Dinaro fatto al 1821, quello di Santa Domenica è opera di Agostino Attinà del 1874. Bello e pieno di fede è il volto del pastore genuflesso dinanzi alla Santa, a cui raccomanda il suo gregge. Il S. Giovanni di Dio forse è opera dello stesso Dinaro. Il S. Luigi ritrae le sembianze del S. Luigi di Paolo Veronese. Nella sacrestia è un bel quadro di S. Antonino, nel quale sono dipinti varii episodii della vita del santo. Nel trono dell’altare maggiore eravi una piccola immagine della Vergine Maria, che ora si conserva nella sacrestia: appartiene a scuola bizantina, ed è il più bel viso di Madonna, che sia in Bronte. Il procuratore cappellano la espone sull’altare maggiore nelle feste principali.» La piccola chiesa dedicata a Sant'Antonio da Padova ("Sant'Antuninu", com'è chiamata a Bronte) fino agli inizi del 1900 sorgeva alla periferia del paese, in aperta campagna (vedi nel riquadro a destra un particolare di una Mappa del 1850). Oggi trovasi al centro di un popoloso quartiere, quasi affogata in mezzo alle costruzioni che via via sono sorte adiacenti ai suoi muri perimetrali. Qualche casa sovrasta addirittura in altezza anche il suo piccolo campanile. L'interno, a differenza del prospetto, poco significativo dal punto di vista artistico, è aggraziato e piacevole e, sopratutto, ricco di preziose tele opera anche di artisti brontesi. Una delle opere più antiche (un olio su tela del XVII sec. di 32,50 cm di altezza per 25,50) è appesa nella parete di fondo della sacrestia. Il quadro di autore sconosciuto raffigura la Vergine Maria (foto a destra) ed il Radice lo attribuisce a scuola bizantina definendolo il più bel viso di Madonna, che sia in Bronte. P. Gesualdo De Luca lo descrive come dipinto ad olio raffigurante «una testa della Madonna delle Grazie, della scuola Romana del passato secolo». L’opera più antica della chiesa è un crocifisso del 1590. E' appeso nel braccio destro del transetto, parete sinistra; in legno scolpito e dipinto, misura 2 metri e 50 di altezza per 1,60 di larghezza e porta la seguente iscrizione: «1590 / rest(aurato) 1797 / restaurato da Agostino / Attina' 1865 / 1993 rest(aurato) Triscari Antonino / Belpasso». | La lapide del 1654 La lapide, in pietra lavica scolpita, murata nel 1654 nella parete del prospetto laterale destro (misura 101 cm di altezza per una base di 47,00) riporta scolpita la seguente iscrizione: D. 0. M. / Novi hanc Hyspaiarum / Serafini Italiae Sideris / Brontisqe e voracis / Etnae flammis liberatoris / molem Francisc. Spi[da]ri / propijs sumptibus co[n]str[uenda curavit. 1654 Fu fatta murare sulla parete esterna della chiesa da Francesco Spedalieri, subito dopo la fine e in ricordo della spaventosa eruzione del 1651. Una traduzione potrebbe essere la seguente: «A , il più buono, il più grande. Francesco Spedalieri curò a proprie spese la costruzione della lapide in nome della liberazione della Spagna e dell’Italia dalla nuova stella cometa e di Bronte dalle voraci fiamme dell’Etna. 1654». Scrive il Radice che «l'eruzione del 1651 fu una delle più terribili eruzioni che hanno funestato e danneggiato Bronte. Il 4 di febbraio precipitava giù dal cratere per vie diverse un torrente di fuoco. Un braccio corse sopra Bronte, percorrendo in 24 ore, 16 miglia. Le belle e fertili contrade della Musa e della Zucca divennero un lago di fuoco; seppellì parecchie case a tramontana del paese, la chiesa del Purgatorio, di cui s’ignora il sito, la chiesa di S. Pietro del'Iliceto o Ilichito, e l’eremo di S. Antonino il Vecchio. La lava investì pure l’altra chiesetta di S. Antonino, e girandole attorno, salì sul tetto e ne bruciò la porta; più giù, nella contrada detta Zenìa incendiò la chiesetta di S. Nicolò di Bari, che poscia fu rifabbricata, dov’è presentemente una cinquantina di passi più lungi dalla prima...» |
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| | | Sopra e a destra, il campanile e la cupola della chiesa dedicata a Sant'Antonio da Padova posta al centro di un popoloso quartiere, quasi affogata in mezzo alle costruzioni che via via sono sorte adiacenti ai suoi muri perimetrali (Visualizza con Google Maps) | Nella immagine a destra, particolare tratto da una mappa del 1850. Si può notare come la chiesa di Sant'Antonio ed il Convento dei Padri Cappuccini furono costruiti in aperta campagna, all'estrema periferia di Bronte. La lettera "A" (in alto a destra nella mappa) stava ad indicare la "Sezione di S. Antonino", che unitamente alla "Sezione della "Catena" costituiva il "1° Quartiere" di Bronte. ll "2° Quartiere" era composto dalla "Sezione SS. Nunziata" e da quella "di S. Blandano". Nelle due foto sotto, l'interno della graziosa chiesetta. Sulla parete esterna è murata una lapide in pietra lavica con una scritta che ci ricorda la spaventosa eruzione del 1651-1654 che distrusse la stessa chiesa e molte abitazioni di Bronte. |
| | | «E' pari tradizione che avesse esistito una Chiesa sacra a S. Antonio da Padova in sito più alto della moderna investita, ma non sepolta dalla lava del 1654. L'antica si vuole sepolta tutta dalla lava, e che avendo quella prima chiesa il suo campanile, anche questo venne soverchiato dalla corrente vulcanica in tal modo, sì che passandovi sopra l'incrostò tutto di pietra lavica, e scorrendo giù la massa ignea liquida, il campanile incrostato dal vulcano liquido, rimase sovreminente alla massa universa impietrita: ed i vecchi da padre in figlio, hanno detto ai posteri che là era la prima chiesa di S. Antonio, e quello lì il suo campanile.» (Gesualdo De Luca, Storia della città di Bronte, Milano 1883) |
A destra la statua di “Sant’Antonio il Vecchio”. La tradizione vuole che, durante l’eruzione lavica del 1651-54 che distrusse l'antica chiesetta, sia stata "rubata" dagli abitanti di Maletto, di ritorno dal lavoro della mietitura. La chiesa di Sant'Antonio il Vecchio sorgeva nella contrada ancora oggi denominata “Sciara di Sant’Antonio” nelle vicinanze della contrada Borgonuovo. La statua è stata fotografata nella chiesa della Matrice in occasione dei festeggiamenti del 2004 quando i malettesi hanno voluto riportare per pochi giorni "Sant'Antoninu 'u vecchiu" nei luoghi dove un tempo era onorato. |
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Alcune opere della Chiesa di Sant'Antonio
| Sant'Antonio da Padova In stile quasi naif, sono dipinti vari episodi della vita del Santo. Il dipinto, della seconda metà del XVII secolo (olio su tela, cm 202 per 104 di larghezza), è posto nella prima arcata cieca della parete sinistra. | Santa Domenica, dipinto nel 1874 dal brontese Agostino Attinà (1840 - 1893). Intensa e ben curata la figura del pastore che raccomanda il suo gregge. Appeso nella parete destra del transetto rappresenta l’apparizione di Santa Domenica ad un viandante (olio su tela, cm 208 di altezza per 120). | Madonna e S. Giovanni di Dio Il quadro (olio su tela di cm 180 per 105 della seconda metà dell'800) è attribuito dal Radice a Giuseppe Dinaro. Rappresenta l’apparizione della Madonna a San Giovanni di Dio. In basso due iscrizioni: a destra, “S. Giovanni di Dio”, sulla sinistra “Maria Ss della misericordia”. | Il quadro Madonna con Bambino con San Gaetano da Thiene, è stato dipinto nel 1821 dal brontese Giuseppe Dinaro (1795 - 1848). L'olio su tela (cm 204 per 115 di larghezza) è appeso nel lato sinistro della controfacciata. Un'iscrizione in basso a sinistra: “Joseph Denaro pin[xit] 1821” | San Luigi Consaga Scrive il Radice che "ritrae le sembianze del S. Luigi di Paolo Veronese". Il quadro (olio su tela di 191 cm di altezza per 103) è di autore sconosciuto. Databile della fine del 1700, è posto nel parete destra del transetto. | L’opera più antica della chiesa è un Crocifisso del 1590, restaurato nel 1797 e da Agostino Attinà nel 1865. In legno scolpito e dipinto misura una altezza di 2 metri e 50 per 1,60 di larghezza. |
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