1727
Nell’eruzione del 22 novembre 1727 - scrive il Gemmellaro - «dalla suprema voragine, e indi a poco dallo stesso cratere, ad occidente, sgorgava un torrente di lava, che rapido scorreva verso Bronte, in varie braccia, bruciando il bosco de' Vitulli (Betula).
Minacciava il torrente d'invadere i contorni ed anche la città stessa di Bronte, con grave spavento degli abitanti; ma rallentato il corso, e dopo sei mesi, e dopo aver percorso un tratto di otto miglia, si estinse a 10 Maggio 1728.» 1832
Nell’eruzione iniziata il 31 Ottobre del 1832 la lava vulcanica - continua il famoso vulcanologo catanese – «minacciò di seppellir Bronte, per esser situato nel pendìò di due colline, del Margio grande, cioè, e Corvo a N.O. e de' Colli a S.O. e l'Etna che lo sovrasta par che voglia invaderlo ad ogni istante». «...Vario era il corso della lava principale di M. Lepre, ed ora verso S.O., ora a O. ora a N.O. a seconda del pendìo del suolo, e degli urti de' colli co' quali incontravasi ora da un punto ora dall'altro andava invadendo i boschi di Adernò, di Bronte e di Maletto, con un fronte spesso di 160 palmi, alta più di 40. Si diresse quindi lungo la lava del 1651 verso Bronte, e campeggiò per due giorni nel fertile suolo dei Musa, recando indicibile spavento agli abitanti di Bronte, che già vedevano vicina la totale distruzione della loro città; dapoichè a 10 novembre, la lava minaccevole era appena quattro miglia lontana, e la sua fronte non era divenuta meno di 400 passi di larghezza.» [...] «La lava non cessava d'avanzarsi verso Bronte facendo guasto de' coltivati campi a levante della città. Il Governo ne fu interessato e tutte le misure presero perchè la desolazione non avvenisse, di una popolazione di presso a 13,000 abitanti; e muri a secco si alzarono ne’ colli superiori della città…». «Ma finalmente a 15 novembre i fenomeni dell’eruzione indebolirono. L’esplosioni succedevasi a lunghi intervalli: la lava lenta correva ed in minor quantità, e nella contrada di Salici, il suo fronte non avanzava che pochi passi in un giorno, e gradatamente si estinse a 22 novembre».
La stessa eruzione così è descritta nella Storia della Città di Bronte da p. Gesualdo De Luca allora diciottenne: «Spalancatosi il suolo vulcanico quasi verticalmente alla manca del Sorbo nel fondo di orrida fenditura apparvero quindici gole, delle quali dodici eruttavano globi di nero e denso fumo, e tre lanciavano colonne di fuoco dell’altezza di quasi duecento palmi, diametro sessanta. Spaventevole era l’aspetto delle scorie infuocate, che a guisa di gemme luccicanti si ergevano tra quelle fiamme, ricadevano parabolicamente al perimetro delle nuove gole e formavano un nuovo cratere. Continue detonazioni ed al sommo fragorose riempirono l’aere ad un raggio di quasi trenta miglia: tremava il suolo circostante, e mentre le più leggiere proiezioni ergevansi a grande altezza, una massa fusa usciva da quelle gole, che bipartita a piè del Monte Egitto, un braccio, si diresse a tramontana di Monte Lepre, e quinci a mezzogiorno di Monte Cassano, e verso Dagala Chiusa; portando una larghezza di canne duecento, e l’altezza di palmi trenta, a distanza sei miglia dal paese: l’altro seguì l’opposto lato. Il giorno nove sembrò rallentare il suo furore, fu però un’apparenza: poichè il braccio lavico di tramontana scaricandosi per declive suolo su la Chiusitta, sezione del bosco di Maletto, arse parte di questo, ed investì le belle ed ubertosissime contrade della Musa e Zucca circondate dal Piano del Palo: da cui per la declive giacitura del suolo, e suo sovrastare a Serro Lungo e Salice minacciava il fianco boreale di Bronte.
Nello spazio di nove giorni avea percorso otto miglia in larghezza di circa cinquecento canne, ed altezza di canne sedici. Nei giorni dodici e tredici occupò i vigneti della Musa, rinnovando sua attività con lo spavento di continue e fragorose esplosioni: ed in tre giorni rese luoghi di orrore i bei vigneti della Musa e della Zucca, ed estendendosi, e via via rigonfiandosi, si ridusse ad un’altezza di palmi cinquanta e ad un’estensione maggiore di un miglio.
In tale stato si mantenne dal giorno quattordici sino al diciasette, percorrendo non più di circa settecento palmi in un intero giorno, quando prima ne, avea percorso quasi sei mila. Ai diciotto incominciarono a menomarsi le altezze dei projettili, che non cadevano più parabolici, ma quasi verticali; si attenuarono ai dicianove, cessarono ai venti del mese, non avanzandovi che sole fumigazioni bianche, indici della cessata attività del vulcano.» La colata lavica si estinse il 22 novembre 1832. Si gridò al miracolo ringraziando la Madonna Annunziata. Pochi giorni dopo, il 5 Dicembre, Bronte proclamava la SS. Annunziata «Patrona e Protettrice principale» del Comune. Una lapide murata nella chiesa dell'Annunziata, ci da ancora testimonianza dello scampato pericolo corso dalla popolazione con le seguenti diciture (in greco ed in latino): «la Signora dell'universo la celeste Regina salvò Bronte dal fuoco dell'Etna». Ed ancora: «(il 18 novembre) ... il Cappellano della Vergine,... portò in processione i capelli virginei e le reliquie della Croce ripetendo le preghiere litaniche. Al calar del sole il fuoco si fermò all'ordine della Vergine. All'uscire dal tempio della Regina e divina protettrice degli uomini e davanti alle preghiere del popolo di Bronte, il fuoco cominciò a ritenere la propria violenza».
Nelle foto sopra. La roccia cannone è quel che resta di un bosco dopo il passaggio di una colata lavica: solo le impronte degli alberi, per la loro forma denominate "roccia cannone". La lava circondandoli e distruggendoli come un fiammifero ha lasciato solo il vuoto con l'impronta del tronco che ha preso la forma di un fusto di cannone. A seguire, un reperto conservato nel Real Collegio Capizzi: «Bomba dell'Etna (epoca preistorica) raccolta lì 16 Agosto 1900 al Poggio nel territorio di Bronte». Nella foto a destra, i resti di un bosco sommerso dalla colata lavica del 1981. 1843
L'eruzione del 1843 (vedi), si ricorda per le estese devastazioni di boschi, vigne e pistacchieti e per aver provocato la morte di 50 persone in seguito ad una "esplosione freatica". 1949
Una delle ultime eruzioni che ha interessato il versante brontese dell'Etna fu quella del 1949: «'A Muntagna» entrò in attività eruttiva, preceduta da forti scosse telluriche accompagnate da sordi e prolungati boati, alle ore 5.25 del 2 dicembre con una fase esplosiva terminale, caduta di scorie e fuoriuscita di magma. Dopo circa un’ora si apriva una frattura eruttiva laterale, con la formazione di diverse bocche esplosive ed espulsive, da quota 3100 circa a quota 2650. La lava scendendo piuttosto lentamente, raggiungeva alle 19, Monte Pecoraro (quota 1950 circa). Poco dopo si aprivano nuove bocche eruttive alla base del cratere centrale, nelle zone poste a quota più elevata, fra «Monte Maletto» e «Monte Egitto» ed un altro braccio di lava, in parte sovrapponendosi alla prima colata, scendeva con una velocità al fronte di circa 70 metri orari dirigendosi verso nord-nord ovest. Con forte velocità e in volume veramente impressionante, la colata lavica cominciò a defluire in direzione di Bronte che visse momenti angosciosi, specie nelle prime ore del pomeriggio, quando ancora erano incerte le notizie sulla consistenza e sulla portata della nuova eruzione. Al cader della sera, il bosco di “Nello Pappalardo” investito dalla colata lavica bruciava destando nuovo e più vivo allarme. “I pini s’incendiano come immense torcie”, intitolava in prima pagina il quotidiano La Sicilia del 3 Dicembre 1947. “Il pericolo per l'abitato di Bronte pare ormai scongiurato”, titolava il giorno dopo (4 Dicembre) in prima pagina il Corriere d'Informazione (così all'epoca si denominava il Corriere della Sera) e, fortunatamente, la distruzione del "Bosco di Don Nello" fu l’unico danno che apportò questa breve eruzione.
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1949, La processione dei brontesi contro la lava dell'Etna Una fotografia (a sinistra) pubblicata in quei giorni da “L'Europeo”, un settimanale di attualità molto diffuso in Italia, documenta la mobilitazione religiosa di Bronte contro questa eruzione che mise allora a rischio il paese (a destra la notizia dell'eruzione riportata in prima pagina dal Corriere di Informazione del 4 Dicembre).
La foto della processione è stata nuovamente pubblicata da Ernesto Oliva nel suo Blog “ReportageSicilia”.
«L'immagine – scrive Oliva - tratta dal settimanale “l'Europeo” del 4 dicembre del 1949, ritrae un gruppo di abitanti di Bronte in preghiera con due sacerdoti il 2 o il 3 dicembre. In quei giorni - dopo una violenta scossa avvertita in paese alle 5.25 del giorno 2 - un fronte lavico si mosse in direzione di Bronte, distruggendo un bosco di pini. Quell'eruzione riaprì vecchie paure e il ricordo di antiche tragedie: nel 1843, l'azione distruttiva dell'Etna era costata la vita ad oltre 50 brontesi». La didascalia che accompagnava la foto pubblicata da L’Europeo era: «Don Luigi Longhitano, parroco di Bronte, circondato da un gruppo di fedeli e con in mano una reliquia va incontro alla colata dell'Etna per fermarne la marcia. L'eruzione è stata preceduta da una forte scossa sismica verso quota 3000 del versante Sud-Ovest del cratere centrale. Si è prodotto un vasto squarcio, mentre tre altre bocche si sono aperte nella stessa direzione, alcune centinaia di metri più in basso. Il paese di Bronte era direttamente minacciato, ma la lava non l'ha raggiunto». La reliquia, come già era avvenuto un secolo prima, il 18 novembre 1832, durante un altra eruzione dell'Etna (vedi la lapide murata nella chiesa dell'Annunziata), è molto probabilmente il filo di capello intrecciato con fili d’oro che una tradizione secolare dice di essere della Madonna che furono donati al popolo brontese nel 1642. Mons. Luigi Longhitano (nato a Bronte nel 1914, morto a Maletto nel 2007) all'epoca era arciprete della Chiesa della SS. Trinità (la Matrice) e vicario foraneo. | La notte del 31 Ottobre 1832 L'«Eruzione dell'Etna - la notte del 31 Ottobre 1832» vista da un pittore brontese dell'epoca, Giuseppe Politi.
Il dipinto (una tempera di cm. 95x48), deteriorato dal tempo e poco leggibile, è della stessa epoca dell'eruzione. Porta la scritta "Eruzione dell'Etna la notte del 31 Ottobre 1832" (prima del restauro però leggevasi invece "la furia dell'eruzione del 1943: la lava scendendo copriva Casolari, Frutteti e vigneti"). «L’avvenimento - scrive Vito Librando - è colto con occhio attento nel riprodurre l’abitato di Bronte e la colata lavica che avanza rischiarando appena, e con qualche effetto, le tenebre della notte del 31 ottobre». Il quadro, recentemente restaurato dalla brontese Antonella Biuso su input della nostra Associazione (vedi foto a destra), si conserva in un corridoio del Real Collegio Capizzi ed una sua foto, fornita da noi, è stata pubblicata dal quotidiano La Sicilia del 19 settembre 2014 a corredo di un articolo scritto dal prof. Vittorio Cigoli della Cattolica di Milano dal titolo «Sulle orme dei pittori “abbagliati” dall’Etna - Il paesaggio del Vulcano, “locus horribilis” e “locus amoenus”». «Come controbattere la violenza del male (la bocca di fuoco); - scrive Cigoli - il demoniaco che dal ventre della terra si riversa sulla medesima tutto distruggendo?» (...) «A nessun altro monte è dato di essere contemporaneamente “locus horribilis” e “locus amoenus”.
Ora, il monte Etna è patrimonio dell’Umanità, ma tale patrimonio, riprendendo Goethe, attende di essere rinnovato e offerto come frutto da gustare così da rendere il turista un vero viaggiatore.» La descrizione pittorica del Politi corrisponde alla perfezione con quanto scrive il Gemmellaro (vedi): il 10 novembre dalla contrada Musa si diresse verso Bronte; il 15 i fenomeni eruttivi si indebolirono e la lava scorreva lentamente di fronte alla contrada Salice. Il 22 cessarono definitivamente estinguendosi. A testimonianza dell'evento una lapide murata nella chiesa dell'Annunziata recita che «... il Cappellano della Vergine, ... portò in processione i capelli virginei e le reliquie della Croce ripetendo le preghiere litaniche. Al calar del sole il fuoco si fermò all'ordine della Vergine. All'uscire dal tempio della Regina e divina protettrice degli uomini e davanti alle preghiere del popolo di Bronte, il fuoco cominciò a ritenere la propria violenza». Molto probabilmente il Politi riprese l’evento guardando il tutto dal poggio di Salice, sovrastante lo stradone che da Bronte porta a Randazzo, integrando nella parte bassa, a destra, del dipinto una panoramica molto particolareggiata e precisa della città di Bronte (vedi foto a destra ed in altra pagina, è la rappresentazione più antica della nostra cittadina). Lo stemma del Comune di Bronte, disegnato in alto a destra, deriva dal fatto che quasi certamente l’incarico al Politi di immortalare l’evento fu dato dal sindaco del tempo Dott. Giuseppe Zappia.
Pochi giorni dopo l’eruzione, a testimonianza dello scampato pericolo corso dalla città, con delibera del Decurionato civico del 2 Dicembre e con successiva del 5, quest’ultima della Deputazione del Collegio Borbonico, solennemente si proclamava la SS. Annunziata Patrona e Protettrice principale del Comune di Bronte. Si ipotizza anche che il Sindaco come capo dell’Amministrazione Comunale e come membro di diritto del Consiglio di Amministrazione del Real Collegio Capizzi abbia, per l’occasione, omaggiato il quadro al Collegio dove tutt’ora si conserva. Scrive Santo Scalia (Il Vulcanico) che «proprio perché l’eruzione ebbe inizio il giorno dedicato a tutti i Santi, il cono piroclastico generato dalle esplosioni fu inizialmente denominato Monte d’Ognissanti (carta di Sartorius von Waltershausen). Solo pochi giorni dopo la fine dell’eruzione» l'Annunziata veniva proclamata Patrona di Bronte e «al nuovo cono eruttivo fu attribuito il nome di Monte Nunziata». | Sulle eruzioni del 1536, 1651 e dei secoli successivi leggi anche quanto scritto nel 1883 da Gesualdo De Luca nei Capitoli IV e X della 2a Parte della Storia della Città di Bronte - Scarica il file (in formato , 250 pagine, 3022 Kb).
Etna: Bronte e
l'Etna, La mia Etna,
lA sCIARA DELL'eTNA /
La strage del 25 Novembre 1843 / L'Etna e le sue eruzioni attorno a Bronte / Il MonGibello di Don Natale Di Pace
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