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L'Etna nei «Ricordi d'un viaggio in Sicilia» di Edmondo De Amicis «O mio benevolo lettore, che andrai un giorno a Catania, ricordati di fare il giro della ferrovia Circumetnea, e dirai che è il viaggio circolare più incantevole che si possa fare in sette ore sulla faccia della terra.
Questa ferrovia che, girando intorno al grande Vulcano con un tragitto di più di cento chilometri allaccia fra di loro tutti i più popolosi Comuni delle sue falde, parve da principio un'impresa utopistica, fu attraversata da mille difficoltà, e non condotta a termine che nel 1895. Ora non si riesce quasi più a capire come non si sia fatta vent'anni prima, tanti sono i vantaggi che ne ricavano i trent'otto paesi grandi e piccoli fra cui è distribuita la popolazione dell'Etna; la quale ha una densità superiore a quella delle parti più popolate della Germania. È una ferrovia che attraversa un paradiso terrestre, interrotto qua e là da zone dell'inferno, e che da Catania donde parte fino alla costa dove si congiunge una strada ferrata del littorale, e da questo punto fino a Catania, è tutta una successione di vedute meravigliose dell'Etna e del mare, di giardini e di lave, di piccoli vulcani spenti e di valli lussureggianti di verzura, di graziosi villaggi e di lembi di foreste, di quelle antiche foreste di quercie, di faggi e di pini, che fornivano il materiale di costruzione alle flotte di Siracusa, e che le eruzioni dall'alto e la cultura dal basso hanno in grandissima parte devastate. La strada sale fino ad altitudini oltre mille metri, discende, risale, passa attraverso a vigneti, a oliveti, a vaste piantagioni di mandorli, a boschi di castagni; corre per ampi spazi coperti di detriti delle eruzioni, fra muraglie di lava alte come case, fra mucchi di materiale vulcanico rabescato, striato, foggiato in mille strane forme di serpenti e di corpi umani mostruosi, dove non appare un filo d'erba; fiancheggia altri spazi dove la natura ricomincia a riprendere i suoi diritti sulle ceneri e sulle scorie, già disgregate e decomposte dalla vegetazione nascente; passa sopra eminenze fiorite da cui si vedono sotto, in conche verdi deliziose, biancheggiar ville, chiesette, stradicciuole serpeggianti fra macchie brune d'aranci, di mandarini, di cedri, lungo corsi d'acqua argentati che paiono striscie di neve scintillante al sole.
E durante tutto il tragitto è sempre visibile l'Etna ma in cento aspetti diversi, cangianti secondo la generatrice del cono che essa ci presenta allo sguardo. La regolarità della sua forma conica, quando si vede da Catania, non è che apparente. A chi le gira intorno essa mostra successivamente enormi pareti dirupate, scalinate immense, piramidi dietro piramidi, che riescono inaspettate come trasformazioni istantanee; appare in qualche punto decapitata del suo cono supremo, in vari luoghi spezzata, ora tutta bianca di neve, ora bianca sulla cima soltanto, qualche volta così diversa dalla immagine fissa che se n'ha nella mente da far sospettare che quella che si vede sia un'altra montagna da cui essa rimanga nascosta! E quanti mirabili aspetti offre la sua cima ora colorata di rosa dal sole, ora ravvolta dal fumo, che s'innalza a vicenda come un gigantesco pennacchio, o s'allunga da un lato come uno smisurato golfalone ondeggiante, o discende e s'allarga sui fianchi del cono in veli candidi leggerissimi d'una trasparenza di trina!
E verso il termine di questo incanto di viaggio si sbocca in faccia al mare, donde si vede ancora disegnarsi lassù, sopra il candore delle nevi etnee, quanto resta dello smisurato castagneto di Cento Cavalli, e d'altra parte la bellezza sovrana di Taormina, quasi sospesa nell'azzurro. Ed ecco infine la più meravigliosa costa dell'isola, sede dei suoi primi abitatori; maravigliosa per la pompa della vegetazione e per la poesia delle leggende: ecco il vago lido dove fu sbattuto il naviglio d'Ulisse, dove approdò Enea, e pascolò le capre Polifemo; ed ultimo l'arcipelago dei Ciclopi, le sette strane isolette rocciose, quella fantastica fuga di coniche teste nere decrescenti d'altezza, che sorgono dalle acque, come teste di una famiglia. di giganti sommersi, che rialzino la fronte per dare all'«Isola del sole» l'ultimo addio. O divina Sicilia! Quanti Italiani, che hanno corso il mondo per diletto, morirono o moriranno senza averti veduta!» (Edmondo De Amicis, Ricordi di un viaggio in Sicilia, Giannotta Catania, 1908)
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