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Per ricordare i tragici fatti del 1860, nel 1988, negli antichi granai del Castello Nelson, si è svolta una straordinaria mostra di "Dipinti e disegni di maestri italiani ispirati alla novella di Giovanni Verga o all'oppressione". La mostra, iniziativa dell’artista brontese Nunzio Sciavarrello, fu realizzata dall'Istituto per la Cultura e l'Arte di Catania con la partecipazione di numerosissimi artisti italiani. | ||||||||||||||||||
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Bronte trae origini da un gruppo di casali popolati un tempo di contadini e pastori sempre in lotta per l'esistenza, che in uno sfortunato giorno divennero protagonisti di gravi eventi sottolineati da significative date: 1849 e 1860. La mostra è ordinata negli antichi granai. Accanto alle opere sopra accennate si raccolgono altri significativi dipinti ispirati all'oppressione con ampia apertura artistica quale documentazione di quanto oggi avviene nel mondo dell'arte. La cornice è stupenda anche perché racchiude la realizzazione di un sogno da tempo celato nella memoria dei padri. La chiesa di S. Maria di Maniace, con le sue preziose sculture e dipinti appare più fulgida e più suggestiva. Nunzio Sciavarrello, Luglio 1988
«L’idea di dedicare una mostra alla libertà o alla repressione nacque qualche anno addietro forse quando Bronte celebrò, dopo oltre cento anni, il processo a carico di Nino Bixio, il prode garibaldino responsabile della cruenta repressione dei contadini in rivolta, avvenuta in Sicilia ai tempi dell’impresa dei Mille, per la divisione della terra, contro il potere dei «galantuomini», proprietari terrieri. In breve tempo il proposito di Nunzio Sciavarrello (di promuovere e sollecitare gli artisti) trovò sostanza nel rispettivo messaggio e l’immediata disponibilità dello scrivente. L’invito fu accompagnato da una copia della novella del Verga Libertà che appunto si riferiva a quel massacro affinché si comprendesse lo spirito della nostra iniziativa, anche perché le opere dei maestri avrebbero dato una nuova veste al racconto verghiano che l’Istituto per lo cultura e l’arte avrebbe, per l’occasione pubblicato. Oggi le vecchie mura del castello, che fu amena dimora dei Nelson, ritornato al demanio di Bronte dopo secoli di vassallaggio, onorano i maestri della originale rassegna: Pietro Annigoni, Remo Brindisi, Ennio Calabria, Agenore Fabbri, Pericle Fazzini, Quinto Ghermandi, Alberto Gianquinto, Emilio Greco, Piero Guccione, Sante Monachesi, Domenico Spinosa, Orfeo Tamburi, Ernesto Treccani, e poi Saro Mirabella, Renato Guttuso. Ci sono anche Nunzio Sciavarrello, D’Inessa, Michelangelo Spampinato, Nunzio Urzì che fanno gli onori di casa. Questo particolare incontro con l’arte, di lontani e cari ricordi spesso assai dolorosi ai figli di Bronte, sarà certamente di spinta ai giovani cui additiamo i valori dell’uomo e dell’artista che sono indivisibili, ponendo in prima l’uomo che ci guida alla ricerca e comprensione del secondo.» D’Inessa (Giuseppe Finocchiaro, Luglio 1988) | ||||||||||||||||||
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Viva l'Italia, due atti di Dacia Maraini
Il personaggio principale è Malopesce, un cantastorie di Bagheria, personaggio filo conduttore dell’intera storia; lo spettacolo, in atto unico, ripercorre le vicende dell’Unità d’Italia, all’immediato indomani dell’unificazione, assumendo come prospettiva quella di Ventosa, immaginario paese della Basilicata. Di seguito ve ne presentiamo un breve brano che parla proprio dei Fatti di Bronte dell'agosto 1860. Viva l’Italia Tratto da “Viva l’Italia” di Dacia Maraini, due atti scritti nel 1971, pubblicati nel ’73 da Einaudi e ripubblicati recentemente (Ed. Perrone) (...) Malopesce: Una volta c’era un paese di Sicilia bianco di terra e nero di carne, con le ginestre gialle che le increspavano la fronte, Bronte la pura, che allungava il collo per bere nel Simeto e poi dormiva quieta appoggiata all’Etna gigante. Di questa racconta Esiodo essere nati tre figli dall’unione di Gea con Urano, tre ciclopi dolci, barbuti e miopi che ebbero nome Bronte, Sterope ed Argo, cioè Tuono, Lampo e Splendore. Questa cittadina chiara e veggente fu donata da Ferdinando IV all’Ammiraglio Nelson d’Inghilterra nel millesettecento e novantotto. Immagina un paese dove il grano cresce glorioso e i limoni vivono di solo sole. Un paese dove i contadini lavorano venti ore su ventiquattro e non sanno, in verità non sanno se sono ancora uomini o animali a quattro zampe tanto sono curvi e poveri e affamati e neri. In questo paese dove solo gli uccelli sono contenti, arrivò l’anno milleottocento e sessanta delle gesta gloriose del nostro eroe guerrigliero santo Giuseppe Garibaldi di Caprera. E con l’anno d’improvviso a Bronte nasce l’orgoglio, splendida pianta di carne e di olio che nessuno la credeva più capace di crescere dopo essere stata pestata come uno straccio sotto i piedi tronfi del padronato. Si alzano i popolani il trentun luglio con le mani doloranti per la troppa voglia di guerra e in men che si dice e non si dice scendono in piazza armati delle vanghe, dei chiodi e del furore per attaccare il barbaro invasore. Il popolo insorge come spumazza e trabocca gridando viva Bronte, viva l’Italia, morte ai Borboni! E nel due di agosto di quel gran giorno viene assaltato il palazzo del Comune , bruciato tutte le carte, occupato gli uffici delle Poste, bruciato con le fiamme cinque case dei ricchi, scannato propriamente e per vendetta santa numero sette proprietari che prestavano a usura. Viene fatto un processo nelle piazze e il popolo arrabbiato condanna i suoi tiranni all’ammazzagione.
In quella arriva Bixio di Piemonte, grande altero e bello come un angelo di puro sale, con la spada al fianco e la pistola in pugno, piantato su un cavallo bianco che dicevano era salito quella mattina dall’inferno per baciare Bronte nella bocca sua. E Bixio fu feroce cieco e volante, fucilò il muratore, l’avvocato e altri guerrieri, fece incarcerare trecentotrentasette contadini, con due parole sole di sultano impermalito. E poi scappò via furioso e gelato sul suo cavallo bianco che non toccava manco la terra con le zampe. Così cadde Bronte la bella straziata cieca e di saggezza piena e assillata. E dopo Bronte ci fu Randazzo e poi Castiglione e Regalbuto e Centorbi e tanti altri paesi di fieno e di fiori che ballarono al vento e alla furia delle sue mani sferzanti di eroe. Gli gridarono dietro: Belva! Stridore! Malanno! Ma Bixio di nome Nino aveva cresciuto due bianche orecchie di gesso e l’Italia tutta intera aveva cresciuto orecchie bianche di gesso come lui. Silenzio. Malopesce guarda Giacomo che sembra addormentato. Poco dopo si apre la porta e il secondino lascia cadere dentro Genova (pastore lucano, ventenne) con visibili tracce di torture. Malopesce gli pulisce le ferite. Giacomo apre gli occhi. Ma si capisce che non distingue. (…) | |||||||||||||||||
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