Degno di essere definito
monumento nazionale, il portale della Chiesa di Santa Maria
è opera di grande valore artistico risalente probabilmente
ai primi anni della fondazione dell’abbazia.
La
volumetria rientrata ogivale segue la nervosa modulazione
dei piedritti su cui è impostata. La cornice è adornata di
vari condoni, grossi e piccoli, vagamente sagomati e
sporgenti. Tre delle modanature centrali riproducono
grosse gomene marine. Due gruppi di colonnine laterali
lisce e rotonde, costruite con pietra arenaria, marmo e
granito, sorreggono il grande arco. I capitelli che
raccordano la struttura hanno un modulo stilistico che
rimanda ad analoghe opere eseguite a Monreale, sede della
giurisdizione vescovile. Le figure scolpite sono piccole
cariatidi poggianti su splendidi catini ornati di foglie
d’acanto lavorate a ricamo. Raffigurano scene della
creazione del mondo, ma anche scene la cui interpretazione
rimane molto misteriosa (come i corpi di donna intrecciati
con esseri mostruosi), malgrado la precisa descrizione che
ne fece lo storico brontese
Benedetto Radice nelle sue
Memorie storiche di
Bronte. Sculture simili si ritrovano nelle chiese e
nei monasteri benedettini sorti nel XII secolo in Sicilia.
Sono in modo particolare le
inquietanti figure rappresentate nei capitelli
di sinistra (per chi guarda) a porre l’interrogativo del
significato complessivo di questa rappresentazione
scultorea.
Ispirate ai "bestiari" medievali
le figure descrivono esseri mostruosi, deformi, forse
simboli dei vizi del genere umano.
Narrano storie di lussuria viste attraverso
l’intreccio del corpo femminile con satiri, dal ventre
gonfio e dalle zampe pelose di grifo, e con serpenti avvolti
alle membra. Scene disperate di dannati e scene
raccapriccianti di corpi e volti deformi e d’ogni altra
mostruosità fisica.
Le figure di capitelli di
destra, simbolicamente composte, narrano invece le
vicende del genere umano a partire dalla cacciata dal
Paradiso Terrestre e dall’uccisione di Abele. Ogni capitello
svolge un tema diverso: il lavoro dei campi, la caccia, la
guerra.
Mentre
i capitelli di destra raccontano, quelli di sinistra ne sono
la logica contraddizione, la negazione di qualsiasi
narrazione e della Storia stessa, l’allegoria del genere
umano travolto dalle tentazioni e dal peccato.
Così lo storico B. Radice descrive il portale nelle sue
Memorie storiche di Bronte: «Mirabile è il portale
della chiesa il cui arco a sesto acuto adorno di vari
cordoni grossi e piccini, sporgenti nella cornice ogivale, è
sorretto da dieci colonnine: cinque per ogni lato, delle
quali tre di marmo e una di porfido, e le altre di pietra
arenaria giallognola, di media grossezza.
Le colonne non sono nè scanalate, nè a spirale, (...) ma lisce e rotonde. Le basi delle colonne sono tagliate e modellate e somigliano allo stile di transizione in Inghilterra. Tre delle modanature, ora sfaldate, riproducono la gomena normanna.
Bellissimi e variati i capitelli di carattere nordico, o meglio romanico dei neo-campani, la cui cimasa, ornata di foglie di acanto e di figure, ricorda alcuni dei più vecchi capitelli delle colonne del sontuoso chiostro di S. Maria Nova in Monreale.
Nei capitelli, a sinistra dello spettatore, sono scolpite figure di uomini, di animali, di uccelli con volti di scimmia, un serpente che si attorciglia e snoda e morde la bocca a un mascherone: sono piccole cariatidi che sostengono l’arco ogivale.
Le foglie dei cinque capitelli delle colonne di destra sono un lavoro di fine ricamo. Una figura di donna, fra due uccelli, è riprodotta nei primi due capitelli.
Negli altri è rappresentata la prima storia umana: l’angelo espelle Adamo ed Eva dal paradiso terrestre. Il lavoro è simboleggiato da una filatrice, da uno zappatore e da due opere, che abbicano covoni di grano.
Nel capitello centrale è scolpita la seminagione: un uomo sparge la semente, un altro colla zappa la copre e spiana le porche. Nei due seguenti capitelli abbinati è la caccia, figurata da uno che suona il corno, da un cinghiale atterrato, mentre un altro cinghiale salta addosso a una donna. Due guerrieri imbraccianti lo scudo, scolpiti nell’ultimo capitello, simboleggiano la guerra, l’eterna guerra del genere umano.
L’insieme delle sagome, delle cimase, della cornice ogivale, con i capitelli variamente scolpiti, dà un aspetto solenne al nordico portale e alla facciata. Reputo essere l’opera della fine del secolo XII, coeva del famoso tempio e chiostro di Monreale.» Questa l'interpretazione che delle figure scolpite nei capitelli del portale dava nel 1923 B. Radice. Ma il Radice era uno storico e certamente non un esperto d'arte medievale. Nella descrizione andò incontro quindi a qualche inesattezza.
Recentemente è uscito un articolo estremamente interessante dal titolo "Sculture medioevali a Bronte" di Ada Aragona e Claudio Saporetti (quest'ultimo docente di Assiriologia che si è occupato anche di arte medioevale, di Ciprominoico e di Archeologia greca) nel quale gli autori correggono gli errori del Radice e “svelano” con dovizia di argomentazioni e di particolari un altro significato di alcune raffigurazioni dei capitelli del portale la cui interpretazione, pero, malgrado le varie ipotesi, rimane ancora molto misteriosa. «Benedetto Radice - scrivono Ada Aragona e Claudio Saporetti (Foglio d’Arte, a. VII, n. 1 Gennaio 1984, pagg. 19-24) – ha descritto la scena dei capitelli facendo numerosi e ingenui errori.
Nei capitelli di sinistra vede uomini, animali ed uccelli con volto di scimmia, ed un serpente che si attorciglia e snoda, e che morde la bocca a un mascherone, come figure che fungono da piccolo cariatidi. Non riconosce dunque la presenza di figure femminili, non sottolinea il fatto che gli animali sono ibridi, non nota che gli uccelli con volto di scimmia sono in realtà dei
“dragoni”, né che il serpente, invece di mordere la bocca del
“mascherone”, in realtà ne esce.
Nel primo capitello a destra, la donna è “tra due uccelli”, e dunque non evidenzia che sono antropocefali.
Il resto delle scene della strombatura è anch’esso frainteso: pur riconoscendo esattamente la “cacciata”, vede in Adamo ed Eva condannati alla fatica una generica scena rappresentante il lavoro; di conseguenza l’offerta di Caino e Abele non è altro che una scena che raffigura due persone che
“abbicano covoni di grano”.
La scena dell’uccisione di Abele è poi la rappresentazione della seminagione: un uomo sparge la semente (in realtà è Caino che colpisce) un altro con la zappa (sic!) la copre e
“spiana le porche”, cioè i solchi.
Dal fatto che la scena non è stata compresa, possiamo dedurre che la rottura di parte delle due figure è avvenuta prima del 1923. Le due scene successive rappresenterebbero la caccia (con un cinghiale atterrato, mentre un altro salta addosso ad una donna) e la guerra.
L’interpretazione è dunque errata almeno nella prima parte (l’animale non è un cinghiale, ma probabilmente un cane e non è affatto atterrato). Purtroppo i numerosi errori tolgono alle parole del Radice la necessaria credibilità riguardo alla seconda parte, che ci è poco visibile dalla fotografia.
Un altro accenno al portale è in G. Di Stefano, ma per l’interpretazione delle figure abbiamo solo l’ipotesi che
“il capitello coi pennuti dal volto umano” possa essere una satira anticlericale. La stessa idea (“la lunga tradizione guelfa della storiografia locale ha voluto vedere allusioni anticlericali, di spirito ghibellino”) è in S. Bottari.»
«L'interpretazione delle sculture del portale di Maniace - scrive Salvo Nibali ne
Il Castello Nelson - deve comunque ancora essere oggetto di studi più completi ed accurati. Gli storici dell'arte non dovrebbero continuare a trascurare questa magnifica testimonianza della scultura medievale in Sicilia».
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