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| Normanni, Svevi, Albanesi ed altri | Conoscere la nostra Storia, insieme | | |
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Cenni storici sulla Città di Bronte
Normanni, svevi, angioini, aragonesi, albanesi ... La Guerra Santa, avente come fine anche la conquista della Sicilia, fu portata a termine dagli Arabi nel 902, esattamente dopo 75 anni. Da quel momento e fino al 1038, gli Arabi furono con alterne fortune gli incontrastati padroni dell’Isola. Successivamente agli Arabi, furono i Normanni, provenienti dalla Danimarca e dalle penisole scandinave, a porre piede nell'Isola e a dominarla, anche loro, per oltre duecento anni. I Normanni, venuti alle armi contro i Bizantini d’Italia, tolsero loro nel 1042 parte della Puglia e della Calabria. Quindi, nel 1060, passarono alla conquista della Sicilia araba, sconfiggendo uno dopo l'altro gli emirati arabi. La guerra si protrasse per un trentennio e la conquista venne completata solamente nel 1090-91. I Re Normanni diedero un grande impulso a tutte le attività produttive dell'Isola, favorirono gli scambi commerciali e protessero gli studi e le arti. Sotto di loro il territorio di Bronte, Maletto, Corvo, Ròtolo, Santa Venera, fino a Randazzo, non faceva parte del demanio, ma dell'appannaggio o "dotario" della Regina. Il paese s'ingrandì estendendosi oltre San Vito, verso i colli Colla e San Marco, e oltre la chiesa di Maria SS. del Rosario, diventando una vera e propria cittadina. Nel 1121 il Conte Ruggero II di Sicilia, il Normanno, fece costruire sul Simeto il ponte, detto dagli Arabi Càntera, che diede poi il nome alla contrada e lo dedicò alla memoria della madre sua Adelasia del Vasto, morta in Patti nel 1118. Metteva in comunicazione - scrive il Radice - «le varie masse della sponda sinistra del Simeto: Maniaci, Rotolo, Corvo, S. Venera, Bronte, e le altre masse con gli abitanti della sponda destra: Bolo, Cesarò, Carbone, Placa Baiana, Troina, Messina, capitale allora del Valdemone e Palermo capitale dell’Isola». Intorno all’anno 1174, per espresso desiderio della Regina madre, Margherita di Navarra, re Guglielmo II il Buono fece costruire, sulle rovine dell’eremo basiliano contenente l’icona della Vergine col Bambino, fondato attorno al 1040 dal bizantino Giorgio Maniace, un monastero benedettino sotto il titolo di Santa Maria di Maniace. Il Monastero, con diploma del 1° Marzo 1174, dipese dalla Diocesi di Messina e, dal 1178, da Monreale. Guglielmo II morì nel 1189 senza lasciare eredi per cui agli Svevi venne offerta l’occasione per impossessarsi dell’Isola. Anch'essi, divenuti padroni dell'Isola, governarono dal 1194 al 1268, in special modo con Federico II, molto colto e di ingegno aperto definito "il primo sovrano moderno d'Europa" e il più grande Re della Sicilia che egli chiamava "Pupilla dei miei occhi". Successero loro gli Angioini fino al 1282 e infine gli Aragonesi dal 1296 al 1516, buoni solo ad arricchirsi a danno della già povera popolazione.
Gli Albanesi
Verso la metà del 1400 l'emigrazione dalla Sicilia, che diventerà come una piaga inguaribile nel corpo della popolazione isolana, non era ancora iniziata. Stranamente in quel periodo la nostra Isola diventò la "terra promessa" di un altro popolo: gli albanesi, l'unico popolo che non venne per conquistarla o dominarla ma per trovarvi rifugio, lavoro e benessere. Con la conquista da parte Turca e Ottomana di Costantinopoli, antica Bisanzio, nel secolo 15°, solo l’Albania resistette all’invasione diventando l’ultimo baluardo della cristianità in Europa, essendo di rito greco-cattolico. Dopo la morte di Giorgio Castriota (soprannominato Skanderbeg) l’esodo dall’Albania, iniziato alla spicciolata attorno al 1448, divenne più consistente e, a partire dal 1468 al 1491, soprattutto verso la Sicilia dove i feudatari, essendo aumentato il prezzo del grano, incoraggiavano la colonizzazione. | Anche Bronte accolse in quel periodo una nutrita rappresentanza di cittadini albanesi. La maggior parte proveniva dalla Morea e, in Sicilia, trovò una seconda patria nel momento che popolarono vuoti casali causa guerre, terremoti e pestilenze. La fondazione di Biancavilla risale al 1488 mentre quella di Bronte può essere di poco successiva o dello stesso periodo in quanto smarriti i "Capitoli di Fondazione" non ne conosciamo l’esatta data. In questi "Capitoli" o leggi da osservare si riscontra una certa benevolenza, da parte dei feudatari e/o ecclesiastici. Gli albanesi, infatti, godevano di una certa libertà: potevano spostarsi da un sito all’altro; vendere i propri averi; avere propri ufficiali e sacerdoti; non essere oggetto di angherie. Degli usi e costumi o della religione albanese ben poco è rimasto nel nostro territorio; solo qualche cognome è indicativo della provenienza albanese (Scafiti, Schiros, Schilirò, Triscari, Zappia) e molte tipiche parole di sicura origine albanese. Benedetto Radice (Memorie storiche di Bronte) scrive che a Bronte esisteva anche una chiesa, Santa Maria della Scala, dedicata alla Patrona delle colonie albanesi, Santa Maria dell’Odigitria. Le macerie di questa chiesa (era la chiesa del Casale di Santa Maria della Scala in contrada Scalavecchia) sono ancora visibili accanto alla strada Provinciale 211 che da Bronte conduce al Ponte Passopaglia (l'antico "guado della paglia"). Il Radice precisa anche che era «detta anche S. Maria dell’Odigitria, patrona delle colonie albanesi», che è «posta nei balzi vicino la Piana», e «di cui ancora esistono le mura di una canonica e sacrestia». In una nota scrive anche che dai «riveli 1714, vol. 1348, fede di notai 21 agosto 1706, d. Antonio Papotto assegnava a questa chiesa una vigna».
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Tipiche parole del parlare albanese sono conservate a Bronte nel ristretto ambito lavorativo agricolo-pastorale, dove la ripetitività delle fatiche quotidiane e i pochi contatti col mondo esterno hanno contribuito a mantenere pressoché uguali tali termini fino ai nostri giorni: canari (tegola) / kanàar (in albanese), conca (braciere) / kunk, cuppinu (mestolo) / kupin, curatru (caseificatore) / kuratug fumeri (letame) / fumèr, rruga (rione) / rruga (via) scumma (schiuma) / shkum, etc.. | Esistono a Bronte anche alcuni nomi di famiglie di origine greche albanesi come Scafiti, Schiros, Schilirò, Triscari, Zappia... (vedi) | La chiesa di Santa Maria della Scala (detta anche di Santa Maria dell'Odigitria, patrona delle colonie albanesi). Le sue rovine sono ancora visibili adiacenti alla Strada provinciale 211. (Visualizza in Google Maps). |
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| Lo stemma della Città di Bronte Lo stemma del Comune di Bronte non è originariamente proprio. Fu adottato alla fine del secolo 18° per iniziativa del Giureconsulto Antonio Cairone, e ricalca molto lo stemma di Carlo III° di Borbone ad indicare la dipendenza demaniale di Bronte dai re spagnoli. L'avv. Cairone, martire eroe invittissimo, aveva ripreso la causa di demanialità contro l’Ospedale Grande e Nuovo di Palermo e il nuovo stemma dell’Universitas brontese doveva avere principalmente lo scopo di sostenere la vertenza contro l’Ospedale e le petizioni al Re per affrancare Bronte e il suo territorio dal dominio assoluto dei Palermitani facendola dichiarare città demaniale. Lo stemma consiste in un'Aquila ad ali spiegate, ornata di due corone, che mostra uno scudo in cui sono riuniti altri stemmi: due aquile, un leone incoronato, una torre, gigli e palle, reminiscenti gli stemmi di Leone e Castiglia e quello della Casa Borbonica francese. Probabilmente le coccarde appese al collo dell'aquila stanno ad indicare i casali riunitisi a Bronte tra il 1535 e il 1548. Con le zampe l'uccello sostiene un festone con il motto: "Fidelissima Brontis Universitas". Uno stemma altamente blasonato che non ha nessun nesso con la storia di Bronte che proprio niente ha di nobiliare. «Non prosapia di re, - ci ricorda il nostro concittadino Benedetto Radice - di guerrieri, di nobili furono i fondatori dell'antico e nuovo Bronte, ma pastori, zappatori, borghesi». E, potremmo aggiungere noi, anche carbonai. «La leggenda narra che costrette le varie borgate a riunirsi in Bronte, ogni capo di famiglia piantava il suo bastone ferrato sul luogo dove doveva sorgere la sua casa: come il soldato romano piantava la sua lancia sul suolo che si appropriava. Ogni contadino, ogni pastore lasciata la vanga e la zappa, preso il martello e la cazzuola, costruì il suo tugurio; onde è vano cercarvi l’arte edilizia, se ne togli le case di pochi ricchi, fabbricate solidalmente.» Una piccola curiosità: il secondo Duca di Bronte, il fratello di Horatio Nelson, il reverendo William Nelson (Duca di Bronte dal 1805 al 1835), voleva inserire nel proprio stemma anche quello della "sua" Città di Bronte. Ma, il suo amministratore, il marchese palermitano Antonio Forcella, in qualche modo, spense gli entusiasmi: «Circa l'armi di Bronte - gli scrisse nel 1807 - devo farle presente che qui generalmente le Città, terre e Castelli non hanno che l'armi dell'Aquila nera, ch'è nell'armi reali ancora, e Bronte ha questa per sue armi. Dipenderà dal piacere di V. E. se vorrà chiederne la facoltà d'inquartarla nelle sue armi». Lo stemma del Comune fu leggermente modificato nel secolo scorso: nel petto dell'aquila fu apposta la croce dei Savoia. «Avvenuta la rivoluzione piemontese, - scriveva padre G. De Luca, fervente borbonico, nel 1883 - con infelice pensiero vi fu sovrapposta la Croce Savojarda, che non concorda con l'Aquila Reale, che non mostra alcun emblema peculiare di Bronte. E' questione di Blasonica, ne giudichino i periti.» Una nuova bozza di Statuto, approvata dalla Giunta Leanza il 15 Dicembre 2002, prevedeva che nel nuovo Stemma accanto all'Aquila fosse presente anche un Ciclope. La modifica di Statuto però non veniva ratificata dal Consiglio. Nella nuova versione approvata nel Gennaio 2005 dal Commissario Ernesto Bianca si è ritornati alla tradizionale "Aquila, con due corone una sulla testa e l’altra al collo. Nei quarti appaiono riuniti altri stemmi: a destra, in alto cinque palle sul fondo giallo, due aquilotti coronati e due strisce rosse; sul fondo nero un leoncino e un’aquila sul fondo giallo, l’intermezzo dei due stemmi è sparso di gigli: a sinistra, in alto sette gigli su fondo bianco, una torre e un leoncino; in basso leone su fondo roseo, tre liste gialle trasversali su fondo bianco; tre gigli su fondo giallo; nel mezzo a sinistra altri due quarti; uno con gigli a destra, l’altro con palle a sinistra e il motto “Fedelissima Brontis Universitas”. Fino al 1866 il Comune di Bronte non ha avuto una propria sede. Il primo progetto di "Casa comunale" fu quello del sindaco Antonino Cimbali (1869) che iniziò le opere di trasformazione del Convento dei p. Basiliani (adiacente alla chiesa di San Blandano) in sede del Comune. (Nelle foto alcune versioni dello stemma del Comune di Bronte e del Labaro con la figura del Ciclope (sindacatura Leanza, 2002); lo stemma in alto a sinistra è tratto da carta intestata del Comune del 1890, l'immagine a destra è tratta da un dipinto di Giuseppe Politi del 1832 raffigurante l'eruzione dell'Etna dello stesso anno, probabilmente commissionato dall'Amministrazione comunale). | PROPOSTE DI MODIFICA
Juan Carlos I di Borbone, Re di Spagna dal 1975 al 2014, è stato l’ultimo dei Re spagnoli a portare il titolo di “Re delle Due Sicilie”. I titoli usati fino alla sua elezione erano tanti: Solo i titoli reali erano 25 e fra i primi di questi era il titolo di “Re delle Due Sicilie”. Re Juan Carlos abdicó nel 2014 in favore del figlio Felipe VI. Il nuovo Re non volle più usare i titoli storici e con essi quello di “Re delle Due Sicilie”. Sarebbe quindi l’ora che la Sicilia e Bronte aggiornassero i loro emblemi. “L’attuale stemma del Comune di Bronte - scrive Bronte Insieme - non è originariamente proprio. Fu adottato alla fine del secolo 18° per iniziativa dell’avv. Antonio Cairone, e ricalca molto lo stemma di Carlo III° di Borbone ad indicare la dipendenza demaniale di Bronte dai re spagnoli.” Esso è quindi la copia dello stemma spagnolo e non ha nessunissimo attinenza con il Comune di Bronte, neanche la coccarda; questa non rappresenta i 24 casali di Bronte, ma è la coccarda dei Re di spagna. “Uno stemma altamente blasonato che non ha nessun nesso con la storia di Bronte.” dice Benedetto Radice. È uno stemma arcaico e non consono con l’identità propria della nostra città. I Brontesi dovrebbero promuovere la sostituzione del presente stemma con uno più attinente alla nostra storia. Mi permetto di proporre il seguente. Pur conservando la relazione storica dell’aquila (Sacro Romano Impero) e delle due corone (quella degli Asburgo e quella dei Borboni), la parte centrale riporta il tema della riunione dei 24 Casali attorno alla Chiesa dell’Annunziata, la santa Patrona che protegge il paese dal fuoco minaccioso dell’Etna. L’iscrizione in fascia, sotto lo stemma, trae la prima parola dalla promessa che, secondo la leggenda popolare, avrebbe fatto la Santa Vergine: “Brons Civitas mea dilecta protegam te semper”. La parola “Fidelissima”, esprimeva la fedeltà ai Borboni. Bruno Spedalieri, 1 Dicembre 2021 «Non bisognando più la tutela regia, e Bronte divenuta per legge, comune libero, conviene che rinunzi a questa regale nobiltà blasonica e adotti uno stemma che ricordi la sua origine mitica e storica che io figuro alla mia mente così: In uno sfondo bleu l’Etna nevoso e fumante con qualche squarciatura ignea in direzione di Bronte, rappresentato da varii tugurii e capanne. A sinistra, a piè dell’Etna, in una grotta il Ciclope monocolo che lavora il ferro sull’incudine; attorno a lui fulmini guizzanti nel cielo nuvoloso. Invece della nobiltà inquartata o regale Bronte avrebbe il blasone del lavoro: la sola e vera nobiltà di un popolo colla leggenda: Labor» Benedetto Radice (Memorie storiche di Bronte, 1927).
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