SICILIA […] La butto lì: che collegamento esiste tra l'ammiraglio Horatio Nelson, il famoso eroe navale privo di un occhio e di un braccio, e una coppa di gelato al pistacchio? La risposta, naturalmente, è l'Etna. Confusi? Perplessi? Continuate a leggere e vediamo se riuscirò a scuotere le vostre convinzioni. Primo: sto per sostenere che Nelson era un furfante e un farabutto. Secondo: sto per tentare di convincere i miei compatrioti che il gelato al pistacchio è una proposta più interessante dell'orrenda pappetta amarognola cui sono probabilmente abituati. Ma cominciamo da Nelson! Dopo aver sgominato i francesi nella battaglia di Abukir del 1798, Nelson si recò a Napoli per far riparare le sue navi e rimase coinvolto nella drammatica situazione politica del Paese. E qui che avvenne il famoso incontro con Emma Hamilton, che in quanto consorte di sir William Hamilton, ambasciatore britannico di lunga data, aveva stretto un forte legame con il re di Napoli Ferdinando e in particolare con la regina, Maria Carolina, sorella di Maria Antonietta di Francia, da poco ghigliottinata. [...] Napoli, comunque, stava diventando una città nervosa e turbolenta e il re e la regina erano chiaramente preoccupati per il loro futuro. Memori forse della triste fine di Maria Antonietta nella Francia rivoluzionaria di qualche anno prima, si prepararono a lasciare la città sotto la protezione di Nelson e a fuggire in Sicilia. […] La coppia reale fu fatta sgattaiolare attraverso passaggi segreti mentre ufficialmente stava intrattenendo un nobile turco, e imbarcata alla volta di Palermo sulla Vanguard, la nave di Nelson, piena fino all'orlo del tesoro reale per un valore di oltre due milioni di sterline. Partiti i sovrani, Napoli cadde in preda all'anarchia. […] Con il vento rivoluzionario del nord che soffiava alle porte del regno e il sovrano temporaneamente fuori gioco, ebbe inizio una breve fase repubblicana: la Repubblica partenopea, proclamata il 22 gennaio 1799. Queste idee liberali erano un anatema per il re, la regina, Nelson e i britannici. Partì dunque una lunga campagna per restaurare il re, che avrebbe fatto scorrere sangue repubblicano. […] Mentre Nelson in Sicilia proteggeva la coppia reale, un certo capitano Foote fu nominato comandante della flotta britannica, che ormeggiata al largo di Napoli osservava gli sviluppi della situazione in città. Fu costui che alla fine concordò una tregua fra i repubblicani, ormai abbandonati dai loro protettori francesi, e i monarchici napoletani. Il nostro monocolo eroe, (…) si rifiutò di accettare la clausola (…) che concedeva a tutti i soldati francesi rimasti e ai simpatizzanti repubblicani di scappare impunemente e di imbarcarsi per la Francia. E così Nelson, con il pieno sostegno della potente regina, tentò di rinegoziare l'accordo. … alla fine ai repubblicani non fu concesso di andarsene in piena libertà e molti di loro furono fucilati o impiccati. […] La seconda macchia d'infamia riguarda il processo al comandante Caracciolo, ufficiale della Marina napoletana. Lui e Nelson si detestavano. Non essendogli stato affidato il compito di scortare il re e la regina nella loro fuga in Sicilia, Caracciolo, evidentemente, rivide le sue posizioni e decise di unirsi alle file dei repubblicani, cosa che risollevò considerevolmente il loro morale. Alla fine, però, fu catturato e consegnato ai monarchici; pallido, smunto, dimostrava ben più dei suoi quarantasette anni. Avocando a sé il procedimento giudiziario, Nelson mise in piedi in fretta e furia una corte marziale per lo sventurato Caracciolo, che fu impiccato senza le consuete ventiquattr'ore concesse a un condannato per prepararsi al proprio destino. Il corpo fu gettato in mare, «con tre palle di cannone a testa doppia, del peso di duecentocinquanta libbre, legate alle gambe». Qualche settimana dopo un pescatore terrorizzato accostò la nave di Nelson, ancorata nella baia di Napoli, e disse di aver visto Caracciolo che camminava verso la riva, la testa chiaramente visibile sopra le onde. Nelson andò a investigare e vide lui stesso il corpo, che in qualche modo era riuscito a tornare provocatoriamente in superficie. Il cadavere di Caracciolo fu recuperato dalle acque e gli fu data cristiana sepoltura sulla spiaggia. Se Nelson ci appare criticabile a distanza di duecento anni, re Ferdinando nutrì invece per quest'uomo una stima illimitata. Per i monarchici fu un eroe. Il re gli aveva chiesto di trattare l'insurrezione come se fosse stata una rivolta irlandese, ed è proprio quel che lui fece, istigato, senza alcun dubbio, dalla fascinosa figura di Emma Hamilton, che pare fosse diventata intima della regina Maria Carolina tanto quanto lo sarebbe poi diventata di Nelson. Quando il re e la regina misero finalmente piede sulla spiaggia di Napoli - per molte settimane erano rimasti al sicuro sul la nave di Nelson, il Foudroyant - l'ammiraglio fu invitato a terra e celebrato in feste di un lusso sfrenato. Fu ricoperto di onori, e in segno di speciale favore re Ferdinando assegnò a lui e ai suoi eredi in perpetuo il ducato di Bronte, che si trova in una valle a ovest dell'Etna, in Sicilia. Non so se Ferdinando avesse un morboso senso dell'umorismo, ma secondo la mitologia greca Bronte era uno dei Ciclopi che forgiavano i fulmini per Zeus nelle turbolente viscere dell'Etna. Quale onore più grande per il guercio Nelson che un ducato ai piedi dell'Etna? Risalendo la strada da Catania sulla mia potente Seicento, mi avventurai sulle zone più alte della montagna attraversando il borgo di Nicolosi, anch'esso passato alla storia per l'ultima grossa eruzione del 2002. […] Ma veniamo al pistacchio. Non è una pianta autoctona dell'isola. Fu introdotta in Sicilia dagli arabi, che a loro volta avevano imparato a coltivarla dai persiani. Così si dice, almeno. La cittadina di Bronte si è imposta come capitale italiana del pistacchio e detiene ben l'1% della produzione mondiale. Il pistacchio è difficile da coltivare perché richiede molte ore di lavoro, e ore di lavoro vuol dire soldi. Avevo una vaga idea di questi problemi perché avevo saputo che Slow Food stava richiamando l'attenzione sulla questione. Contattai la benemerita associazione per avere informazioni, ma la loro risposta fu, diciamo, poco sollecita. Al mio arrivo, dunque, non sapevo assolutamente nulla di questi frutti. Mi aggirai per le intricate viuzze di Bronte sperando di vedere bancarelle piene di pistacchi. Non vidi niente, così presi la strada che portava al castello di Nelson e la seguii fino alla fine. Il castello era stato eretto intorno a un'abbazia dell'undicesimo secolo, le cui origini come sito spirituale sono bizantine. Nelson non mise mai piede, nemmeno una volta, a Bronte, ma Ferdinando gli concesse piena libertà di nominare chi voleva alla successione del ducato, e lui lo passò al suo sciagurato e venale fratello, il reverendo William, che a sua volta lo trasmise alla figlia Charlotte, moglie di un altro eroe della marina inglese, l'ammiraglio Hood. In realtà Bronte causò qualche imbarazzo a Nelson, soprattutto quando si sparse la notizia del suo comportamento a Napoli e la sua relazione con Emma Hamilton fornì alla stampa ampio materiale per commenti salaci. Così lo attaccò il «Morning Herald»: «Sua Signoria... considera molto giustamente che a un prode inglese non possa venire gran credito da un nome italiano». Meglio ancora fu la tagliente vignetta di Cruikshank che mostrava lady Hamilton, sir William Hamilton e Nelson che discutevano del fumo. Lady Hamilton dice: «Toh, la pipa del vecchio è sempre spenta, mentre la vostra arde con pieno vigore!». E Nelson risponde: «Già, già, vedrete anche voi come tira bene!». La pipa è piuttosto lunga e ha palesemente la forma di un fallo. Il castello è stato acquistato dal comune negli anni Ottanta, ma conserva un'atmosfera prettamente britannica. Quando lo visitai, oltre a me c'era solo un gruppo di bambini che cantavano inni religiosi in una delle stanze sul retro. La visita è esclusivamente guidata, e si viene debitamente informati, entrando in una camera con un letto, che si tratta di una camera da letto, e che una stanza con la vasca da bagno è un bagno. […] Peccato che i ragazzi debbano andare a scuola. Si sarebbero divertiti con l'Etna, il gelato al pistacchio l'incessante ricerca della pasta perfetta. […] Ma il castello di Nelson avrebbe messo a dura prova la loro limitata pazienza. Persino io stavo diventando un po' insofferente. Mi consolai ammirando l'Etna dalle finestre e dando un'occhiata alla libreria per vedere cosa leggevano la notte i discendenti di lord Bridport (a sua volta discendente di Charlotte). I manuali di equitazione spopolavano, insieme agli inevitabili testi sulle battaglie, sulle guerre e su Horatio Nelson. Alla fine della visita ringraziai la guida, gli spiegai dove fosse Bridport e domandai, un po' in disparte, se sapesse qualcosa dei pistacchi. Zino Sanfilippo si illuminò e si portò i pollici al petto come per dire «so tutto io!». Mi prese per un braccio e mi mostrò una pianta dall'aria macilenta in un angolo. Ecco il pistacchio. E anche il terebinto, "scornabecco" in dialetto, un parente del pistacchio, ancora più abile a penetrare la "sciara" vulcanica - la distesa di lava - con le sue piccole robuste radici. Il terebinto viene innestato sul pistacchio per farlo fruttificare, anche se a complicare le cose la pianta del pistacchio dà frutti solo ogni due anni: quelli dispari anziché quelli pari, in Sicilia. Forse pensavate, come me, che coltivare il pistacchio fosse una cosa semplice: vai su e giù per i filari di piante, aspetti, spruzzi enormi quantità di veleni, raccogli e vendi. Non è così. Per le consuete ragioni servono piante maschio e femmina, anche se pare che basti un maschio circa per duecento femmine. Quando si cammina per i "lochi", i pistacchieti, si fatica a mettere un piede davanti all'altro sull'accidentata superficie vulcanica, anche se le piante sembrano trovarsi benissimo. Di usare macchine, quindi, non se ne parla. Al momento del raccolto si lavora di nuovo a mano, e i frutti vengono spiccati e poi asciugati al sole per qualche giorno. Capirete quindi che il pistacchio necessita di una smisurata quantità di attenzioni, e anche se cresce bene sul terreno vulcanico, è molto costoso da produrre, e questo è il nocciolo del problema. Perché anche se la produzione italiana è limitata - i maggiori produttori sono l'Iran e la Turchia - si teme che stia diventando troppo onerosa per mantenerla. Se il futuro sarà roseo, bisognerà dire grazie a un mercato di nicchia formato da appassionati. Qui si produce una varietà, chiamata semplicemente "rosso di Bronte", che è l'apogeo del pistacchio, esportata in tutto il mondo, amata e coccolata e tuttavia interamente sconosciuta a molti di noi. Il rosso di Bronte potrebbe essere la salvezza del pistacchio siciliano. A volte queste rarità gastronomiche sembrano strette in un isolamento quasi drammatico. Ma questi pistacchi hanno un colore straordinariamente intenso, di un rosso voluttuoso all'esterno e un verde particolare, quasi elegante, all'interno. E se questo elogio vi pare eccessivo, aspettate di assaggiare un vero gelato al pistacchio. Aspettate e vedrete. Dalla tecnica di coltivazione dei pistacchi il logico passo successivo era il consumo. Volevo sapere se ci fossero delle particolarità nella tradizione culinaria di Bronte, Zino andò a fare una telefonata. «Vada a parlare con il mio amico Nunzio a Bronte.» Così dissi addio all'imbarazzante eredità nelsoniana e tornai indietro. Nunzio Sampieri è un giovane albergatore pieno di entusiasmo che gestisce un hotel a due stelle chiamato Il Parco dell'Etna. Non ci sono molti posti in cui alloggiare da queste parti, quindi suggerisco a tutti coloro che hanno un minimo di interesse per l'Etna o per i pistacchi di spingersi fino a Bronte e di fare in modo di assaggiare il gelato al pistacchio di Nunzio, perché è strepitoso. […] Fu dunque un vero piacere parlare con Nunzio. E la mia sensazione era esatta. I brontesi hanno effettivamente un modo tutto loro di usare i pistacchi. Esiste persino un libro con duecento ricette coi pistacchi, ma il repertorio di Nunzio era un pò più tradizionale. Per vedere se riuscivo a carpire qualche altra idea chiesi a Nunzio se potevo dare un'occhiata al menu. «ll menu!» rise lui. «Non ce l'ho. E le spiego perché.» Per un attimo mi parve di essere a Londra. Quando negli anni Ottanta tutti cominciarono a interessarsi seriamente alla cucina, ogni chef degno di questo nome si compiaceva di far sapere a chiunque lo stesse a sentire che andava al mercato tutti i giorni e comprava solo il meglio. Una volta feci il seguente ragionamento: dato che di solito gli chef lasciano il ristorante non prima di mezzanotte e che il mercato del pesce apre alle cinque, e visto che dovevano riposarsi, lavarsi (non sempre) e guardare la tivù, dovevano soffrire di una perenne carenza di sonno. Erano tutte balle, naturalmente, e noi - a quei tempi facevo il fornitore - lo sapevamo, ma per loro era un modo di attirare l'attenzione. La differenza era che Nunzio lo faceva davvero, ma gli bastava fare qualche centinaio di metri per trovarsi nel bel mezzo del paese della frutta perfetta e dei perfetti pistacchi. E della ricotta, e del formaggio. Lui fa quel che tutti cuochi di città sognano di fare, e soprattutto sa come trattare la merce. In città si trovano ingredienti particolari provenienti da ogni parte del mondo, ma gli italiani restano fedeli alle loro radici. In certi giorni i contadini venivano al mercato con ceste di asparagi selvatici o di porcini delle montagne. Si era parlato persino di tartufi trovati sull'Etna. E così Nunzio comprava ciò che c'era di meglio ogni giorno, e in base a questo creava i suo menu. Proprio in quel momento arrivò sua figlia, dolce e graziosa come il gelato che stavo mangiando. Altrettanto dolce e graziosa era la moglie, e Nunzio cominciò a distrarsi. Lo ringraziai e partii per andare a passare la serata a Siracusa massacrato dalle zanzare. Difficile immaginare un posto più adatto delle pendici dell'Etna per mangiare il gelato al pistacchio. Prima che la refrigerazione, ahimè, si diffondesse spazzandolo via per sempre, esisteva un fiorente commercio del ghiaccio dell'Etna, raccolto in anfiteatri naturali chiamati "tacche della neve". Durante l'inverno la neve veniva fatta rotolare giù dalle colline in gigantesche palle e ammucchiata nelle grotte, separando i vari strati con del feltro in modo che l'ammasso non diventasse un unico enorme blocco di ghiaccio. La neve dell'Etna veniva esportata in lungo e in largo, in Italia e persino a Malta. Fu questo ghiaccio che permise ai siciliani di sviluppare una duratura passione per i gelati e le granite, che nella loro semplicità sono forse la cosa migliore che si possa mangiare in una calda, caldissima giornata d’estate in Sicilia. […] Al giorno d’oggi, mentre noi in Gran Bretagna abbiamo macchine che agitano e rimescolano zappette al lampone fatte con estratti industriali, i siciliani, grazie a Dio, prendono la loro granita ancora sul serio. (William Black) |