La lotta contadina divampava per tutta la Sicilia e per tutto il meridione d'Italia, e molti braccianti durante le manifestazioni per l'applicazione dei Decreti caddero sotto il piombo delle forze di polizia. Lo Stato pervenne ai primi provvedimenti legislativi di riforma agraria a favore del Mezzogiorno ed anche il Parlamento siciliano, nel dicembre del 1950, votò la riforma, prevedendo lo scorporo di una vasta porzione di feudi baronali da lottizzare ed assegnare ai braccianti. Il continuo sommovimento contadino, iniziato e tenuto desto dalle sinistre anche sul feudo Nelson, lo spettro incombente dell'esproprio in forza della legge siciliana di riforma, considerazioni di natura politica e pressioni delle autorità tutorie dell'ordine pubblico, avevano indotto il duca di Maniace, già prima della promulgazione della legge di riforma, a predisporre un piano di vendite “volontarie”. Queste vennero effettuate per lo più negli anni 1950-52. E si trattò di atti di vendita – riguardanti circa 1.600 ettari di terreno – stipulati, in parte, con libera contrattazione, in parte, regolamentati dalla legge del 4.2.1948, fautrice della formazione della piccola proprietà contadina. Agli inquilini del duca fu data la precedenza sull'acquisto delle terre. A coloro che non avevano denaro fu detto di farselo prestare. Ma chi non comprava doveva abbandonare il feudo. I contadini si indebitarono e quelli che non poterono acquistare furono cacciati via. Contro tale fenomeno, diffusosi in tutte le terre della Sicilia baronale, reagirono i partiti di sinistra, le associazioni sindacali “Federterra” e “Liberterra” e alcuni giovani parlamentari democristiani, soprannominati “Giovani turchi”, reclamando l’immediata applicazione della legge di riforma. Le proteste vennero recepite dall'Ispettorato Regionale per l'Agricoltura che, con proprio decreto, dichiarò nulla l’intera operazione di vendita attuata dai latifondisti, perché condotta, fra l 'altro, dopo i termini conseguiti dalla legge di riforma del 28 dicembre 1950 e sottopose a scorporo il feudo Nelson per una superficie di circa 4.000 ettari, includendovi anche i terreni già venduti. L'intero feudo ammontava a 6.594 ettari. Contro il decreto, il duca, nel dicembre del 1951, inoltrò ricorso all'Assessorato regionale per l'Agricoltura e le Foreste. Il processo di riforma agraria venne a subire una lunga fase d'arresto. Nel frattempo circa 1200 ettari di terreno ducale passavano all'Azienda forestale dello Stato per essere sottoposti a rimboschimento. Le circa cento famiglie, inquiline del duca e ivi dimoranti, venivano invitate ad abbandonare case e terreni e dinnanzi al loro rifiuto si fece ricorso all'uso della forza. Vennero scoperchiate le abitazioni asportate “manu militari” le masserizie. E molti, tra cui delle donne, furono arrestati, tradotti in carcere e, poi, lasciati letteralmente sul lastrico. L’applicazione della riforma, dunque, tardava. Permanevano, invece, tra il duca e i suoi coloni, situazioni, ancora, di conflitto circa l'applicazione delle vecchie leggi sulla ripartizione dei prodotti. A peggiorare, poi, le cose sopraggiunsero due anni consecutivi di siccità, quelli del 1960 e del '61, che determinarono un forte calo della produzione. Di fronte a tanto squallore i contadini di Bronte e Maniace decisero di osare il tutto per tutto: scrollarsi di dosso, una buona volta per sempre, il retaggio dell'asservimento feudale che li condannava a languire in continua miseria. Cosi, nell'estate del 1961, intrapresero, con la guida della locale Camera “Unione e risorgimento”, aderente all'Alleanza provinciale coltivatori diretti, una compatta azione di sciopero. Partiti inizialmente con una semplice richiesta rivolta ad ottenere per quell'anno una maggiorata ripartizione del prodotto a loro favore, i contadini della Ducea finirono col reclamare lo scorporo e l'assegnazione delle terre, giusta la legge di riforma. Per ben quaranta giorni e altrettante notti si astennero dai lavori di trebbiatura, bloccando le trebbiatrici e presidiando i covoni di grano. Incrociarono le braccia tutti gli inquilini delle contrade: Boschetto, Fondaco e La Piana. L'amministrazione del duca, nel tentativo di rompere il fronte contadino, alle esortazioni alternò le minacce e passò alle denuncie. I contadini non mollarono e una notte d'agosto giunsero duecento militari a cavallo che allestirono un ospedaletto da campo tra gli alberi del parco ducale. Alle prime luci dell'alba la campagna fu posta in stato di assedio. |