«Siamo cani rinnegati come al tempo dei saraceni» dice un contadino a Levi, che prende spunto da questa frase per ricordare la repressione sanguinosa fatta da Nino Bixio nel 1860, quando Garibaldi, per far piacere agli inglesi, lo inviò sul luogo. Bixio, come racconta Verga, non ebbe pietà nel reprimere la rivolta fucilandone i capi. Nel gennaio del 1953 il duca di Bronte, visconte di Bridport, si era rivolto all'ambasciata britannica per chiedere il parere su un'azione legale contro Levi in seguito a un articolo che questi aveva scritto ne L'illustrazione italiana, intitolato «Attorno all'Etna», che, a suo parere, conteneva varie affermazioni diffamatorie su di lui e sulla sua proprietà. Nel libro Levi fa così riferimento a questo episodio: «Dopo che il mio scritto era stato pubblicato, ricevetti una gentilissima lettera personale del duca di Bronte che mi invitava a essere suo ospite nel suo “maniero'', nel castello di Maniace, e diceva di essere sicuro che un sincero scambio di vedute tra noi sarebbe stato di giovamento alle condizioni dei poveri contadini della zona. Accettai l'invito con grande piacere ma, ahimè, circostanze varie e indipendenti dalla mia volontà mi hanno finora impedito di tornare tra i pagliari della ducea». Il duca, sostenendo di non avere avuto nessuna conferma o replica al suo invito, prima dell'uscita nel 1957 della traduzione del libro in Inghilterra da parte di un editore, si rivolse al suo avvocato di Londra. Il duca affermava che era molto offensivo e privo di fondamento quanto Levi scriveva, perché gli si attribuiva la responsabilità della disoccupazione a Bronte e lo si dipingeva come un pessimo proprietario e agricoltore, e insinuava addirittura che Levi avesse ricevuto del denaro dai comunisti perché, scrive, «L’Ente di riforma, che e collegato al Partito comunista, mira soltanto a far mandar via dalle mie terre i vecchi coloni per affidare la terra ai contadini comunisti». L'avvocato inglese Fladgate risponde al duca che, pur essendo d'accordo che il testo è molto diffamatorio, non conviene svolgere un'azione legale e propone di scrivere soltanto delle lettere di protesta. Probabilmente il duca finì per accogliere questo parere e si arrivò a un accordo amichevole. Il libro Maniace, l'ex ducea di Nelson, ricco di splendide foto di Giuseppe Leone, che documentano le lotte per la riforma agraria, edito da Giuseppe Maimone e curato da Nino Recupero, testimonia la trasformazione di un antico feudo in una comunità che ha saputo mantenere il rapporto con la tradizione protendendosi nei tempi nuovi: nello stemma del neonato comune di Bronte, il castello del duca si rovescia da simbolo di oppressione nel segno di una ritrovata identità. (Giovanni Russo ) L'articolo è stato pubblicato dal Corriere della Sera del 24 Maggio 2005
Nelson non è più l'origine di tutti i malanni di Bronte
di Nunzio Galati «I duchi "Amanti di questi luoghi e interessati alle sorti agricole del ducato essi, stando alle "memorie" del duca Alessandro, ...avrebbero avuto il merito di introdurre su un latifondo, pressoché deserto e trascurato da secoli, elementi nuovi di bonifica e di trasformazione fondiaria portandovi "la benedizione della civiltà e del progresso" come recita il grande epitaffio marmoreo posto alla base dell'obelisco in arenaria, eretto sulla vetta di "Serraspina" a quota 1500. In merito anche Nelson, in una lettera alla moglie, aveva manifestato l'intenzione di fare della tenuta "il posto più felice d'Europa" sperando che tutti i siciliani avrebbero benedetto il giorno in cui era stato mandato loro. Ma tutto ciò restituirebbe davvero alla storia un'immagine nuova, migliore, dei duchi inglesi oppure rimanderebbe più semplicemente a figure di duchi ispiratisi, nella promozione del loro "dominion", soltanto ai dettami e agli indirizzi del colonialismo inglese tipico, fra l'altro, di quel tempo? ... Con l'acquisto da parte del comune di Bronte, la residenza dei Nelson, un tempo rigidamente riservata ed esclusiva, è diventata, oggi, per le opere di interesse storico ed artistico nonché per la bellezza e la tranquillità del paesaggio circostante, un bene di pubblico interesse, una promettente meta di turismo. Ma in nome della presenza basiliana e benedettina, dei grandi uomini di cultura, letterati e artisti che vi hanno soggiornato, oltre che promettente meta di turismo, come lo è già, l'ex dimora dei Nelson ha anche la vocazione a diventare rinomato centro culturale, sede di biblioteca, di archivio storico, centro di studi e di ricerche, di convegni, di iniziative etno-antropologiche e quant'altro. Benedetto Radice nel suo j'accuse spietato, drammatico, dettato da sincera passione e amor patrio aveva descritto negli anni '20 in termini tristi il potere esercitato dai duchi riportando un adagio: due sono i mali di Bronte, l'Etna e la Ducea. Ma, poi, cedendo quasi a una sorta di ispirazione profetica lasciava spazio, anche, ad una alternativa più ottimista. “… Se il duca seguisse, invece, gli impulsi dell'animo suo - conclude - egli potrebbe far scordare l'origine delittuosa della Ducea… E allora Bronte beneficato potrà con gioia unire il suo antico nome o quello glorioso di Neson”. Stranezze e sorprese della storia! Ciò che non si è verificato fino a ieri, con la presenza dei duchi, sto avvenendo ora. Adesso, per Bronte, Nelson non è più l'origine di tutti i suoi malanni, non è un famigerato nome da rimuovere dalla memoria, tutt'altro, è diventato un nome di bandiera, un'operazione marketing, un'importante credenziale per il suo sviluppo economico-turistico». (Articolo di Nunzio Galati, tratto da “…d’Inverno un viaggiatore”, rivista semestrale di studi sul territorio di Bronte, Numero 0, Dicembre 2003) |