La ducea inglese ai piedi dell'Etna (1799 - 1981)

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Cenni storici sulla Città di Bronte

Horatio Nelson

Primo Duca di Bronte

L'apoteosi dell'Ammiraglio in Palermo e la Ducea (versione in), Il testamento di Nelson,

Il Borgo Francesco Caracciolo, Il Gemellaggio, Nelson (e i pistacchi) visto da W. Black

Nel Dicembre 1798 re Ferdinando I delle Due Sicilie, a seguito di moti rivoluzionari che sfoce­ranno nella nascita della "Repubblica Partenopea", dovette abbandonare Napoli e rifugiarsi con l’aiuto di Nelson in Sicilia, a Palermo.

L’anno dopo re Ferdinando fu rimesso sul trono di Napoli, grazie all’aiuto inglese e di Horatio Nel­son, in particolare, che aveva sconfitto la flotta francese nella battaglia di Abukir impedendo alla Francia la supremazia nel Mediterraneo.

Nelson soffocò nel sangue la repubblica partenopea (salvando la vita e il trono al re) e liberò la monarchia borbonica da uno scomodo avversario avuto in consegna, il Caracciolo, eroe della rivoluzione napoletana.

Con una decisione che suscitò sdegno e che gli venne rimproverata dai suoi stessi conna­zionali, lo impiccò sulla sua nave, dopo un sommario processo, alla presenza della sua com­piaciuta amante, l'avventuriera Emma, la giovane moglie dell’anziano ambasciatore inglese, Sir William Hamilton.

Ferdinando I, in segno di riconoscenza, concesse a Nelson, in perpetuo, l'Ab­bazia di Maniace, le terre e la città di Bronte nello stesso modo come in pas­sato erano appartenuti all’Ospedale di Palermo. E l'Ospedale - scrive Gesualdo De Luca - nel passaggio di proprietà «vi congiunse come diritti il novero di tutte le usurpazioni, abbenchè contraddette e condannate». La munificenza regale, per verità storica, non si limitò ad offrire la sola Bronte ma una terna di allettanti doni, per la circostanza messi su di un piatto d’ar­gento, dove il Nelson, a suo piacimento, avrebbe potuto scegliere. L'ammiraglio poteva optare fra i feudi di:

  Bisacquino, posto nelle vicinanze della felix Palermo, appartenuto alla Chiesa di Mon­reale;

  Partinico, un tempo proprietà della Badia di Santa Maria di Altofonte;

  Bronte, ex proprietà dell’Ospedale di Palermo, già affrancatosi dopo secoli di lotte e grandi sacrifici.

Al "munifico" re Ferdinando, molto addentro in mitologia, piaceva l'idea che Nelson scegliesse Bronte e su un biglietto destinato al suo Ministro scrisse di sua mano: «Questa terra di Bronte è la più adatta al caso; ma non sofficiente la rendita (allora il reddito di Bronte era calcolato in onze 5500), che dovrebbe essere non meno di onze 6000, nè più di 8000, dunque se ci siano altre terre confinanti per fare un tal pieno, ci si dovrebbero annessare (sic), dando l'equivalente agli attuali possessori, dan­dosegli la forma e carattere feudale col titolo di Duca che in Inghilterra suona meglio che gli altri.
Il biglietto di avviso deve essere adattato alle circostanze del soggetto a cui io lo mando».

 

La Ducea Inglese ai piedi dell'Etna

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1915: Briganti a Maniace, brevi storie
1924: The Duchy of Bronte, le memorie del V Duca
1930: Spionaggio e controspionaggio a Bronte e Maniace
1941: L'Azienda Agricola Maniace, Il Borgo Caracciolo
         Giulio Leone, gli anni trascorsi a Maniace
1952: Bronte e la Ducea visti da Carlo Levi
          La Sicilia di Levi
1953: Un duello in Sicilia. E Nelson sfidò Carlo Levi
1956: La vittoriosa marcia dei contadini sulla Ducea
1966: La fine della Ducea Nelson
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1981: L'Archivio Privato Nelson
1991: Il viaggio di Giorgio Bocca a Bronte

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Horatio Nelson non deluse il re: preferì scegliere Bronte e del perché di tale scelta non c’è dato sapere. Forse per l’origine greca del nome (che significa "Tuono") o per la maestosità del­l’Etna che lo sovrasta; oppure per l’estensione territoriale o per la salubrità e feracità  del suolo o per i versi del poeta palermitano Giovanni Meli.

Probabilmente scelse il territorio di Bronte perché si identificò con il mitico Ciclope: anche lui, infatti aveva un solo occhio, avendo perso l'altro (il destro) pochi anni prima (nel 1794) durante una battaglia.

Al caro Ammiraglio venne anche conferito il titolo di Duca di Bronte, fu esentato dalla grossa somma che bisognava pagare alla Regia Corte per diritti di investitura e il munifico re Ferdinando gli concesse pure la facoltà di trasmettere la Ducea, a suo piacimento, non solo a qualsiasi dei suoi parenti ma pure ad estranei.

Gli alberi della Victory, trasformati in forca, avevano fruttato all’amante di Lady Hamilton ed ai suoi eredi «… in perpetuo la terra (quasi 25.000 ettari) e la stessa città di Bronte, … con tutte le sue tenute e i distretti, insieme ai feudi, alle marche, alle fortificazioni, ai cittadini vassalli, ai redditi dei vassalli, ai censi, ai servizi, alle servitù, alle gabelle …» ed anche il diritto di "mero e misto impero".

Scrive in Risorgimento perduto lo storico brontese Antonino Radice che «inoltre il re, annul­lando successivamente alcuni diritti un tempo appartenuti all'Ospedale palermi­tano, conce­deva al Nelson e agli eredi che sarebbero venuti in seguito, la facoltà di intervenire nella amministrazione della comunità cittadina di Bronte, dentro i cui limiti territoriali la nuova Ducea veniva a trovarsi, e di poter nominare alcuni diretti rappre­sentanti della Ducea (o giurati) scegliendoli fra persone del luogo che naturalmente, per effetto della nomina, diven­tavano da quel momento dipendenti a tutti gli effetti del Duca inglese.

Per tale diritto ag­giuntivo concesso al nuovo padrone, una prima crepa accompa­gnata da continue ostilità cominciò a formarsi in mezzo alla stessa popolazione brontese che un po' alla volta assi­stette al sorgere di due partiti, il primo favorevole per ovvi motivi d'impiego e di assunzione, alla parte “ducale”, il secondo schierato a sostegno, degli interessi del Comune e per questo denominato “comunista”.»

Horatio Nelson ebbe così cittadini vassalli, terre fertilissime, censi, servitù, gabelle ed anche il diritto di sedere in Parlamento nel braccio militare e la giurisdizione civile e criminale (il  mero e misto impero, Merum imperium, il puro, il sommo, il più elevato fra tutti i diritti che esercitava il re, cioè il jus necis), diritti che, secondo il munifico Borbone, l'ammiraglio poteva esercitare in perpetuo e lasciare in eredità.

Da notare che nella sua regalìa il Borbone non tenne in alcun conto diritti acquisiti (o, meglio, letteralmente, acquistati) dai brontesi: quello del "mero e misto impero", per il cui acquisto alcuni secoli prima, nel 1638, la popolazione si era dissanguata per oltre un secolo con la stipula di un mutuo, e l’affrancamento dal potere feudale dall’Ospe­dale di Palermo raggiunto con immani sacrifici dopo secolari lotte pochi anni prima (nel 1774).

«La gente di Bronte - scrive Vincenzo Pappalardo - avrebbe fatto volentieri a meno di tanto onore. Negli stessi anni in cui a Parigi l'abate di Mirabeau e Napoleone limano i dettagli del nuovo mondo, della libertà e della democrazia, l'atto di creazione del feudo riporta la giurisprudenza borbonica all'epoca dei nobili cavalieri che partivano per le Crociate.

Ai nuovi duchi è persino concesso il diritto di mero e misto impero, la giurisdizione civile e criminale, togliendolo alla Città di Bronte che l'aveva riscattato nel 1638 con immani sacrifici.

Con lo spirito modernamente liberale che li rende famosi nel mondo, gli ammini­stratori inglesi dissotterrano un polveroso armamentario di jus, gabelle, pedaggi e angherie varie da far invidia alle pagine più sinistre dell'oscurantismo medievale.»

"L'aborrito Ferdinando I" (così lo definisce lo storico brontese Benedetto Radice) donò la città, le terre e i «villani" "nello stesso modo in cui erano appartenuti all’Ospedale grande e nuovo di Palermo».

Il "munifico" Borbone salvò l'Ospedale commutando i mancati introiti e le rendite che ricavava di netto dallo Stato e terra di Bronte e di tutte le sue dipendenze in un assegno annuo di onze 5.600 a carico del Regno (due milioni e mezzo di euro ca., cfr. AN, Vol. 303-D pagg. 3-12), ma condannò i brontesi, vanificando i sacrifici ed i risultati ottenuti con le lotte di molte generazioni davanti ai tribunali.

Scrive il Radice che «innalzando la terra a Ducea si abbassarono i cittadini a vassalli, da liberi che s'eran fatti con sacrifici pecuniari enormi e rovina del proprio Comune per la compra del mero e misto impero, costata 22.000 scudi, dei quali il Comune pagò 9.000 prendendo il denaro al 9 per cento.

Così Bronte per la favola del nome ebbe l'onore della Ducea e confermata la sventura del vassallaggio, appunto come il cane a cui il padrone mette al collo una bella catena di argento o di oro.»

 

Sopra il Borbone Ferdi­nan­do I, re delle due Sicilie, (ebbe anche i titoli di IV re di Napoli e III re di Sicilia).

A seguire alcune imma­gi­ni del  primo Duca di Bron­te, visconte Horatio Nelson, ammiraglio di S. M. Britan­nica, simbolo del valore navale della nazio­ne britan­nica e unico ammi­raglio inglese ad avere la statua al centro di Londra.

Horatio Nelson, nato a Burnham Thorpe (Contea di Nor­folk, nord Inghilterra) il 29 settembre 1758, morì il 21 Ottobre 1805 a bordo della sua nave (la "Victory") du­ran­te la vittoriosa batta­glia di Trafalgar, identifi­ca­to per la vistosità della divi­sa e le onorificenze sul pet­to e col­pito dal tiro di un cec­chino appollaiato sul­la gab­bia di mezzana del vascello francese "Redoubtable".

 

L’apoteosi dell’ammiraglio Nelson in Palermo
e la Ducea di Bronte

la monografia di B. Radice (tratta dal II° volume delle Memorie storiche di Bronte) in formato
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L'ammiraglio Horatio Nel­son in una stampa con­servata nella Pina­coteca del Real Col­le­gio Capizzi (in basso una scritta recita:

Stemma di O. Nelson

"Presentato alla libreria del Real Collegio Capizzi da Ales­sandro Nelson Hood, figlio del visconte Bridport, Duca di Bronte, 1878).

Nelle altre foto alcuni stemmi che adornano il soffitto di una piccola sala (denominata appunto Sala degli Stemmi) del Museo Nelson

Ducea, sala degli stemmi
Ducea, sala degli stemmi

Da quì nacque un’altra aspra contesa giudiziaria fra il nuovo padrone, il Duca di Bronte (Nelson e tutti i suoi discendenti, fino all'ultimo), e il Comune di Bronte che si protrasse per quasi un secolo, fino alla transazione del 1861, per proseguire poi, sotto altre forme per altri cento anni. E fu una lite giudiziaria dura e senza pause. Ancora nei primi anni del 1900 alla Ducea si rimpiangeva di aver perso il diritto del jus necis. Sarebbe stato veramente comodo averlo.

Il poeta scozzese William Sharp, che fu ospite del V duca interpretò bene questo rimpianto quando nel suo "Attraverso la ducea Nelson" scriveva che «non è passato molto tempo da quando i ducali diritti di vita e di morte sono stati abrogati.
Immagino che ci sono volte in cui l’odierno paziente Duchino e il suo amministratore, Mr Charles Beek, darebbero una buona fetta delle piantagioni di arance che si esten­dono per miglia giù nella valle del Simeto, dei grandi boschi di faggio di Serraspina e Serra del Re, lì verso Nord, se soltanto quell’utile vecchio privilegio potesse essere restaurato! Certamente semplificherebbe le cose negli eterni problemi che sorgono dentro e intorno alla scontenta e turbolenta Bronte.»

Il munifico regalo fatto a Nelson con la conseguente restaurata situazione di vassal­laggio del popolo brontese e l’asservimento ad un nuovo più agguerrito padrone, saranno anche motivi di tensioni sociali che accompagneranno i moti rivoluzionari del 1820, del 1848, che trove­ran­no tragico epilogo nei più noti avvenimenti dell’Agosto del 1860 e che si protrarranno fino ad oltre la metà del secolo scorso (1963 - 1965).

Tanto che il Radice - scrive N. Galati - «...nel suo j'accuse spietato, drammatico, dettato da sincera passione e amor patrio aveva descritto negli anni '20 in termini tristi il potere eser­citato dai duchi riportando un adagio: due sono i più grandi mali che affliggono Bronte: l'Etna e la Ducea.»

Horatio Nelson fu felicissimo dei suoi terreni e del suo titolo, e immediatamente cominciò a pianificare, come far diventare la sua, una proprietà modello.

Diede incarico ad Andrea Graefer, primo amministratore della Ducea, un esperto giardiniere di origine tedesca cui si doveva la realizzazione del Giardino inglese della Reggia di Caserta, di ristrutturare e trasformare l’antica abbazia in una comoda e sontuosa dimora signorile. Furono progettati giardini, prati, piscina, ed anche una suntuosa dimora a Bronte.

L'Ammiraglio e la sua amante ufficiale, lady Hamilton, con la quale trascorse gli ultimi anni della sua vita, non ebbero però il tempo nè la fortuna di mettere piedi nei possedimenti siciliani e di abitarvi.

Sfortunatamente, le guerre napoleoniche lo tennero occupato a bordo delle sue navi perciò non abitò mai nel suo nuovo castello. Alla sua morte  i suoi parenti, i Bridports, ereditarono le proprietà e la mantennero visitandola e vivendoci stabil­mente fino a pochi decenni fa.

Nei pochi anni di vita che gli rimasero l'Ammiraglio amava anche firmarsi "Nelson Bronte".

Il nome "Bronte" era bello, persino gli inglesi lo potevano pronunciare con facilità e, unito alla gloria dell’eroe di Abukir e di Trafalgar, divenne così prestigioso che l’irlandese Patrick Brunty (o Branty), grande ammiratore di Nelson, mutò il suo cognome in Brontë, limitandosi a porre una dieresi sulla "e", e come Brontë divennero famose le sue tre figlie Emily, Charlotte e Anne.

Anche la toponomastica dell’United Empire, il sistema colonialistico imperiale dell'Inghilterra, ribattezzava col nome di Bronte numerosi villaggi in Australia, Nuova Zelanda o Canada ancora durante gli anni Trenta dell’Ottocento.

Il primo Duca di Bronte, morì nell'ottobre del  1805 a bordo della sua nave (la "Victory") al largo di Capo Trafalgar al termine di una furiosa e violenta battaglia; i suoi resti furono tumulati a Londra nella cattedrale di San Paolo.

Morendo aveva affidato l'amante e la loro figlia Orazia al suo Paese, che però, in questo caso, non gli dimostrò alcuna gratitudine. Emma non ebbe la pensione ripetutamente chiesta ed invocata nè l'eredità che le fu sottrat­ta dai suoi parenti. Non avendo l'ammiraglio eredi diretti (la figlia Orazia non fu neanche considerata, perchè illegit­tima) la Ducea passò al fratello, il rev. William, che divenne il II° duca di Bronte. Lady Emma e la figlia di Nelson, Orazia, - scrisse il Radice - morirono "nella più abbietta miseria".

Nella cittadina etnea, intanto, con la donazione di re Ferdinando I del 1799, terminava la sottomissione dell’abbazia di Maniace e dei suoi possedimenti all’Ospedale di Palermo, voluta nel 1494 da Innocenzo VIII, ma per la popola­zione ed i contadini brontesi non cambiava assolutamente nulla.

Il loro territorio, e loro stessi, erano ancor più e sempre proprietà di qualcuno. Questa volta - e durerà quasi due secoli, la bandiera inglese sventolava sui torrioni del castello ancora fino a pochi decenni fa - erano proprietà feudale di una dinastia straniera: i fortunati discendenti dell'ammiraglio che oltre ad amministrare l'immenso feudo come una proprietà privata avevano anche grande influenza sugli avvenimenti politici ed amministrativi del piccolo Comune.

"Aveva origine - ha scritto Michele Pantaleone - la "Ducea maledetta", causa delle lotte, delle persecuzioni, delle violenze e delle illegalità delle quali sono stati vittime i brontesi per oltre un secolo e mezzo".

In quell’anno Bronte contava una popolazione di circa 9.500 abitanti, legati da sempre al lavoro della terra, ed aveva un reddito di 5.500 onze; non era quindi nemmeno una cittadina ricca e giusto la presenza degli eredi dell’ammiraglio (i Nelson-Bridport) inasprì attorno alla Ducea quelle tensioni sociali che sarebbero poi sfociate nei tristemente famosi fatti di Bronte del 1860.

Durante le agitazioni del 1820, i moti del 1848 e del 1849 ma soprattutto durante la rivolu­zione del 1860, la miseria delle masse contadine e la secolare fame di superfici agrarie resero naturalmente l’immenso patrimonio terriero della Ducea l’obiettivo principale dei rivolu­zio­nari brontesi e della zona. «Nel 1860, a Bronte, - afferma Michele Pantaleone - non fu una guerra contro i Borboni ma una lotta degli oppressi contro gli oppressori e gli oppressori, grandi e piccoli, erano i notabili paesani al servizio della Ducea "maledetta"».

Ma la Ducea di Nelson, comprendente migliaia di ettari di buon terreno, malgrado la liberazione garibaldina e l’unificazione italiana del 1861, rimase ancora in mano dei proprietari inglesi che continuarono a spadroneggiare e la repressione ed il feuda­lesimo proseguirono.

Solo nel luglio del 1940, dopo la dichiarazione di guerra dell’Italia all’Inghilterra, al grido di Mussolini "Dio stramaledica gli inglesi", gli eredi di Nelson ed il loro amministratore, mr. George Niblet, dovettero abban­donare Maniace costretti a far ritorno in patria.

Il Castello, molte case e 6.595 ettari di territorio - beni stranieri - rimasti alla Ducea furono posti sotto sequestro e passati prima nelle mani del Banco di Sicilia e dopo in quelle dell’Ente di colonizzazione del latifondo siciliano (ECLS). I terreni furono in parte quotizzati ed assegnati ai contadini del circondario. I 6.595 ettari di feudo furono suddivisi in quegli anni in circa 509 spezzoni (12 grandi affittanze, 335 piccoli affitti e 162 mezzadrie).

Il Castello fu adibito a sede amministrativa; successivamente, nel 1943, ospitò il feldmaresciallo Kesserling e, durante l'avanzata alleata, il generale sir Harold Alexander.

L'Ente, fra le altre opere, realizzò nel parco del Castello (vicino all’ingresso della residenza dei duchi) un villaggio rurale chiamato "Borgo Caracciolo", per ricordare la vittima italiana più illustre di Nelson e dello strapotere inglese nel Mediterraneo.

Ma il sogno durò ancora una volta pochissimo, fino allo sbarco degli Alleati e all’arrivo delle truppe inglesi in Sicilia. Il 25 febbraio 1944 il Prefetto di Catania («ritenuto che per gli eventi bellici sopravvenuti si è mutata completamente la posizione delle cose») revocava il sequestro; nel mese di novembre l'Ufficio Controllo Beni degli Alleati disponeva la riconsegna dei beni nelle mani del Procu­ratore del Duca, cav. Luigi Modica.

Il suddito britannico Visconte Bridport Nelson Hood riprese il possesso della Ducea ed alcuni anni dopo distrusse con le ruspe le costruzioni del Borgo Caracciolo (i resti del borgo sono ancora visibili nel parco antistante l’ingresso alla Ducea).

I contadini che avevano tentato di migliorare le terre furono cacciati ed qualcuno trasferito a Gela nei campi di reclutamento per essere internato in India. Ancora per un lungo periodo di tempo, dopo la guerra, l’immensa Ducea continuò quindi ad essere al centro di rivendicazioni e di dure lotte contadine.

Ancora nel 1950 il duca - aveva alle dipendenze ben 105 guardie ducali - pretendeva il pedaggio per il transito su un vecchio ponte di legno costruito sul torrente Saraceno, sulla cui adiacente riva sinistra è posto il Castello. Negli stessi anni dirigenti politici e sindacali, alla guida del movimento contadino, venivano perseguiti ed arrestati.

Ancora nel 1950 Carlo Levi scriveva che  «… la Ducea di Bronte può essere presa ad esempio del più assurdo anacronismo storico, della persistenza di un perduto mondo feudale e dei difficili tentativi contadini per esistere come uomini» (Le parole sono pietre, 1955).

Il 12 Dicembre del 1950 la Regione Siciliana promulgò la Legge di riforma agraria, ma la legge stranamente non ebbe applicazione nei feudi della Ducea. «Il duca straniero - scrive l'on. Franco Pezzino, organizzatore delle lotte contadine per l'applicazione della riforma agraria e la divisione delle terre - era riuscito a calpestare la legge e a tenersi il feudo. Si era giovato dei cavilli frapposti dai suoi ben pagati avvocati e di una catena di complicità politiche locali e regionale.»

Quale era la "trama" che il duca aveva intessuto per cercare di farla franca riuscendo per anni a eludere la riforma? Lo stesso Pezzino ci da una risposta: «Lo seppi il 6 marzo del 1956, quando un funzionario della questura di Catania mi mostrò copia di una incredibile nota diplomatica, diretta al governo italiano, con la quale quello inglese sosteneva la tesi aberrante dell'extra-territo­rialità della Ducea, per cui il governo di sua maestà britannica dichiarava che non si doveva procedere alla riforma agraria secondo le leggi italiane, essendo quei terreni di proprietà di un suddito inglese...».

Anche la Ducea, naturalmente, alla fine fu quotizzata e distribuita a chi ne aveva diritto. Ma solo quindici anni dopo la legge di riforma agraria -  negli anni ’63/’65 - le terre ducali furono assegnate ai contadini ed il Comune di Bronte, che già a seguito della costituzione del 1812 aveva ottenuto l’emancipazione dal vassallaggio ducale, ottenne la reintegra di quasi tutti i suoi beni.

Oggi l’odiata Ducea inglese del "boia di Caracciolo" (così Bene­detto Radice definì l’ammiraglio Nelson ma anche lo scrittore ingle­se D. H. Lawrence ne da un giudizio altrettanto poco lusinghiero) è diventata proprietà dei cittadini brontesi. Il 4 Settembre 1981, l’ultimo erede dell’Ammiraglio, il Duca Alexander Nelson Hood visconte Bridport, ha venduto al Comune di Bronte il complesso architettonico e l’an­nesso parco per l’importo complessivo di un miliardo e settecento­cin­quantamilioni (di cui 950 per il Castello vero e proprio e per il terreno, 237 per gli altri immobili, 570 per i mobili, i cimeli, i quadri ed ogni altra cosa mobile).

L'acquisto, deliberato dalla Giunta comunale il 30 aprile 1981, fu finanziato dall'Asses­sorato ai Beni Culturali della Regione siciliana con i benefici previsti dalla L. R. 80/77. Dopo secoli di espro­priazione e di vassallaggio, di lotte e di interminabili cause legali, l'antico potere feudale era final­mente cessato. La vecchia Abbazia Bene­dettina veniva finalmente restituita alla comunità brontese per essere convertita in un centro turistico culturale.

Oggi la Ducea Nelson con gli appartamenti signorili dei Nelson (trasformati nel Museo Nelson), l’antica Abbazia benedet­tina, la Chiesa di Santa Maria di Maniace, i piccoli laboratori, i magazzini, le stalle, il granaio (trasformati in un centro culturale polivalente di studi, di congressi e mostre d’arte), il parco (dove è visibile uno straordinario Museo di scultura all'aperto) sono diventati una grande attrattiva turistica di straordinario interesse.

Gli abitanti di Maniace hanno ottenuto l’autonomia amministrativa con Legge Regionale N. 62 pubblicata sulla G.U. dell’11.4.1981; al nuovo Comune è stato assegnato un territorio di 3.588 ettari.

 

1799, La donazione

La donazione fatta a Nelson doveva corrispondere ai be­ni mantenuti fino ad allora dall'ospedale: 10.320 etta­ri. Ma reputando Ferdinando insuffi­ciente la conces­sio­ne fatta nella misura del patri­mo­nio pos­se­duto dall'ospe­da­le, stabilisce che biso­gna ag­giun­gere le terre e la cit­tà di Bronte per un am­mon­tare patri­moniale com­ples­sivo di oltre 25.000 ettari in modo che la donazione fosse degna di un re. A Nelson e ai suoi eredi toccarono anche, - fin la dove arri­va­vano i confini del Ducato -  i diritti del me­ro e misto im­pero (po­tere giudiziario), della spa­da (potere di ese­guire la condanna a morte), di sede­re in Parlamento nel braccio militare ed anche il titolo ed il diritto di un aba­te.

Bronte fu costituito in Ducato ed il feudo concesso al Nelson col regio diploma del 10 otto­bre 1799 e del 27 feb­braio 1801, con tutti i dirit­ti, gabelle, oneri, perti­nen­ze e limitazioni che già regolavano i rapporti pre­ce­denti del feudo coll'Ospedale Grande di Palermo, dal qua­le era ritornato alla Mano regia.

A precisare l'estensione e natura delle diverse ga­belle e dei diritti spettanti su ciascun fondo, il Sovra­no fece ob­bligo agli ex amministratori del­l'Ospe­dale di formare l'elen­co dei fondi e delle rispettive gabelle. Ed "i buoni rettori" del Nosocomio oltre ai diritti legit­timi vi inclu­se­ro anche tutte le usurpazioni, già contraddetti e con­dan­nate nei vari giudizi. L’elenco, incluso nell'atto del 13 febbraio 1801, fra l’al­tro, dice:
«… illustri Horatio Nelson pro se suisque haeredibus de suo corpore legitime descendentibus conce­dimus ter­ram et oppidum ipsius Brontis, tamquam rem no­strarn propriam in hoc nostro regno ulte­rioris Siciliae et in Val­le memorum positum, cum omnibus, et sin­gulis suis te­ni­mentis et districtis, ac cum feudis, marcatis, forti­li­tiis, hominibus, vas­sallis, vassallorurn redditibus, censi­bus, aggraviis, decimis, laudemiis, ser­vi­tutibus, gabel­lis, dominiis, et possessionibus eidem terrae sive oppido aduexis et pertinentibus (…)» E seguivano, descritte per categorie, le diverse specie di gabelle di feudi, di tenute, di masserie, di chiuse, di censi in denaro, in frumento o in introiti diversi.

Bronte che aveva tribolato per i suoi diritti durante il se­colare impero della feudalità, non superò senza altri con­trasti l’abolizione di quella, si vide costretto anzi a riprendere contro il nuovo padrone – il Duca ed i suoi discen­denti - le secolari contese giudizia­rie intraprese con l’Ospedale due secoli prima - nel 1606 - dinnanzi alla Gran Corte Civile di Palermo ed al Tribunale del Real Patrimonio.

Nella foto sopra, una visione d'insieme dal torrente Saraceno del  com­ples­so denominato Ducea (o Castello) Nelson con l'Ab­ba­zia bene­dettina, la Chiesa di Santa Maria, gli appar­tamenti ducali, l'orto botanico, le mura ed i vecchi torrioni che cir­condavano l'antica Abbazia benedettina.

Il regio diploma del 10 ottobre 1799

1888, La croce celtica

Ducea Nelson, Cortile con Croce celticaLa croce celtica eretta nel 1888 nel cortile della Ducea in onore di Horatio Nelson ("Heroe Immortale Nili", all'eroe immortale del Nilo), dal V duca Alexander Nelson Hood, barone Bridport.

In memoria di quest'ultimo è stato invece eretto dal figlio l'obelisco, impropriamente detto di Nelson, posto sulla cima di Serra del Mergo.

«La grande croce di pietra lavica del cortile fu disegnata da me sulle linee di una croce Iona, dietro sollecitazione di mia zia, Lady Hotman, la quale quando nel 1888, ven­ne in visita con mio padre obiettò che non c'era nessun monumento in memoria del suo pro­zio Lord Nelson.
... Desiderando qual­cosa di più defi­nito, mi die­de una som­ma suffi­ciente a coprire il costo di una croce che portas­se, sulla base, l'iscrizione "Heroi immortali Nili"; fu realiz­za­ta da tagliatori di pietra della Ducea, la pietra fu rica­vata dalla cava. Croce e base sono di pietra lavica.» (Alexander Nelson Hood, The Dychy of Bronte)

Il completamento e l'inaugurazione del monumento sono del 1891.

Sempre su progetto dello stesso Sir Alexander Nelson-Hood, il V Duca, un'altra croce celtica, anche se meno ornata ed appariscente, fu eretta nel piccolo cimitero inglese sulla tomba del suo caro amico e frequentatore assiduo della Ducea il poeta "celtico" William Sharp.



 

1941, Il Borgo Caracciolo

Borgo CaraccioloNel parco antistante l'ingresso al Castello Nelson si vedono ancora i monumentali re­sti del borgo contadino costruito dal­l'En­te di Colo­nizzazione del Latifondo Si­ciliano negli anni dal 1941 al 1944 e deno­mi­nato "Borgo Caracciolo" in onore dell'eroe della rivoluzione napoletana impiccato da Horatio Nelson.

Nel giugno 1940, infatti, a seguito della dichiarazione di guerra dell'Ita­lia all'In­ghilterra ed al grido di Mussolini "Dio stramaledica gli inglesi!" la Ducea era stata confiscata ed il VI° Duca, Rowland Arthur Herbert Nelson-Bridport, dovette abbandonare il Castello insieme al suo ammi­nistratore George Niblett.

Castello e Ducea, sequestrati il 19 set­tembre 1941, passarono nelle mani del­l'Ente di colonizzazione del latifondo sici­liano, che, nel giro di qualche anno, as­se­gnò le terre ai contadini, progettò e costruì un nuovo tipo di casa colonica e, fra le altre opere, realizzò nell'ampio par­co antistante l'ingresso della residenza dei duchi un borgo contadino.

Il villaggio fu polemica­men­te chiamato "Borgo France­sco Carac­ciolo" per ricordare la vittima italiana più illustre dell'ammiraglio Nelson e dello strapotere inglese nel Mediterraneo.

«La progettazione del Borgo - scrive Mario Carastro - fu affidata all’Arch. Francesco Fichera (1881-1950), professore all’università di Catania e autore di opere importanti quali il Palazzo delle Poste ed il Palazzo di Giustizia di Catania. (...)
E’ un professionista affermato quale richiede la dimostrazione magi­strale che il regime intende dare di fronte al mondo della redenzione di quel latifondo già proprietà di nobili inglesi.

L’importo totale dei lavori, poi affidati a licitazione privata all’im­presa Castelli di Roma, era di Lire 4.228.000, compren­dendo sia le opere a carico dello Stato che quelle a carico dell’Ente di colonizzazione del latifondo siciliano con il contributo dello Stato.

Nel caso specifico, essendo il latifondo della Ducea pervenuto in proprietà all’Ente, le opere sono tutte a carico dello Stato e dell’Ente, che opera per la parte statale quale Concessionario dello Stato.

Come tipologia è del Tipo A, cioè del più dotato di costruzioni. Manca solo la Chiesa, perché, certamente nelle intenzioni dell’Ente la Chiesa doveva essere sempre e solo quella di Santa Maria di Maniace nel Castello con l'Immagine miracolosa della Vergine.»

Costruito insieme ad altre case coloniche che la ditta Castelli di Roma aveva appaltato in Sicilia, non fu però mai portato a termine perché la guerra e l'occupazione degli alleati ne impedirono il completamento.

Ducea Nelson, rovine del Borgo CaraccioloDucea Nelson, resti del Borgo Caracciolo
Ducea Nelson, resti del Borgo CaraccioloDucea Nelson, rovine del Borgo Caracciolo
Ducea Nelson, rovine del Borgo CaraccioloDucea Nelson, rovine del Borgo Caracciolo

Le rovine del Borgo Caracciolo, lasciate sul posto, giacciono ancora fra gli alberi del parco del Castello Nel­son, prive non solo di vita ma ormai anche di quel monito che i Duchi, distruggendolo, vollero cancellare.


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Il 18 Agosto 1943, infatti, gli Alleati sbarcati in Sicilia prende­vano possesso del feudo permettendo al discendente di Nelson, il VI Duca Rowland Arthur Herbert Nelson-Hood, di tornare ad impossessarsi della Ducea.

Nel 1956 una speciale commissione di conciliazione italo-britan­nica, istituita per occuparsi dei danni di guerra, stabilì che il duca Nelson-Bridport era il proprietario legittimo della Ducea e che lo stesso "Borgo Caracciolo" gli apparteneva.

Ritornati, dunque, i Duchi a Maniace, le imponenti costruzioni del Borgo Caracciolo vennero in un primo tempo adibite a fienili e a magazzini e, dopo qualche anno, nella primavera del 1964, abbattuti dalle ruspe.

Le rovine di quei fabbricati, impressionanti, furono lasciate sul posto e giacciono ancora fra gli alberi del parco del Castello Nelson, prive non solo di vita ma ormai anche di quel monito che i Duchi forse vollero, distruggendole, cancellare.






Il gemellaggio

Un’iniziativa intrapresa da alcuni amministratori, cir­ca dieci anni fa, ha lasciato perplessi e stupiti molti cit­tadini brontesi: Il gemellaggio fra il comune di Bron­te e Burnhan Thorp, la cit­tadina inglese nel Worfolk, paese natale dell’ammiraglio Nelson.
Quale affinità di tradizioni, di realizzazioni, di propositi ci fosse tra i due paesi è rimasto però un mistero.

Li univa solo il ricordo di Horatio Nelson.

Quel nostro sindaco aveva forse dimenticato (o, forse meglio, sconosceva del tutto) l’aspra contesa fra la Du­cea e il Comu­ne di Bronte che dissan­guò il Comu­ne e si protrasse per quasi due se­coli, lo stato di vas­sallag­gio, le prepotenze e le offe­se, le ingiu­stizie pati­te, i moti del 1848, i mor­ti del 1860, le dure lotte conta­dine.

Tom Pocock, nella biografia di Horatio Nelson, descri­ve le celebrazioni che si sono fatte a Burnham Thorpe nel suo 180° Anniversario di Trafalgar:
“...una carrozza si fermò davanti alla locanda di Lord Nel­son… ed una delega­zione di siciliani sce­sero. Facce mediterranee, giallastre, cappotti di pelo di cam­mello, ed occhiali neri mescolati a facce di mela, abiti e stivali infangati, in salotto come brindisi all’”im­mortale memoria” si beveva nel East Anglian birra e vino di Marsala".

Analogo gemellaggio fu siglato due anni dopo, nel luglio 1987, con la cittadina di Drogheda solo perchè vi era nato il nonno delle tre sorelle Emily, Charlotte e Anne Brontë, che ha voluto cambiare il suo cognome da Brunty o Prunty a Brontë, per la grande ammira­zione che portava nei riguardi dell’ammiraglio Horatio Nelson.

In quell'occasione una folta delegazione di Bronte, guidata dall'allora sindaco Paparo ed accompagnata dal sen. Firrarello, per sei giorni era stata ospite di Drogheda.

Nel giugno 2003 un'altra rappresentanza di nostri concittadini, questa volta guidata da un vice sindaco e da un asses­sore, si recò nella cittadina irlandese per rinnovare il gemellaggio con Bronte.

La Ducea dei Nelson

Dal 1938 alla Riforma Agraria del 1950

di Rosario Mangiameli

Il latifondo viene quotizzato ed assegnato ai contadini e si crea il vil­laggio dedicato all'am­miraglio Caracciolo. Ma il so­gno dura po­chis­simo.
Rosario Mangiameli insegna Storia contemporanea alla Facoltà di Scienze politiche dell'Università di Catania. Ha pubblicato studi sulla politica di occupa­zione alleata nel cor­so della se­con­da guer­ra mon­diale e sulla nascita dell'auto­nomia sici­liana. Collabora a diver­se ri­viste, tra cui "Meridia­na"; è mem­bro del direttivo della Società Ita­liana per lo stu­dio della Sto­ria Contemporanea.

 

Gemellati con Bronte nel nome di Nelson

E’ il villaggio inglese di Burnham Thorpe

Nel nome di Orazio Nelson, gemel­lag­gio tra il villag­gio inglese di Burnham Thorpe e la cittadina siciliana di Bronte, sul versante nord-occiden­tale dell’Etna.

A lega­re i due paesi c’è il ricordo comune dell’eroe di Trafal­gar. Burnham è orgoglioso d’avergli dato i natali; Bron­te è al centro di quella che fu un tempo la Ducea dei Nelson, donata all’am­mi­raglio dai Borboni per l’aiuto ricevuto nel soffo­care la rivoluzione napoletana del 1799.

Cosi, nel castello dell’antica Ducea, acquistato tre anni fa dal Comune di Bronte, stasera la delega­zione di Burnham ricambierà la visita fatta nel mese di aprile in Inghilterra dai rappresentanti del centro siciliano, gui­dati dal sindaco Pino Firrarello. Sarà il completamento del gemellaggio, l’inizio di un’intensa attività.

Quali le prospettive dell’inizia­tiva? «Intensificare i rapporti turistici, sto­rici e di natura commerciale», sottolinea Salvatore Leanza, deputato regionale socialista, presidente del premio «De Aetna».

Agli eredi di Nelson (l’ammiraglio a Bronte non mise mai piede) e alla loro Ducea è legata parte della storia del paese.

[tratto da La Stampa del 3 Agosto 1985]

Cenni storici su Bronte

La Ducea inglese ai piedi dell'Etna
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