La ducea inglese ai piedi dell'Etna (1799 - 1981)

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Horatio Nelson, Duca di Bronte

La donazione di Ferdinando I di Borbone

 

La Ducea inglese ai piedi dell'Etna

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Testo del Real diploma del 10 ottobre 1799 con cui il «re lazzarone» concesse all'Ammiraglio Orazio Nelson lo Stato di Bronte e il territorio di Maniace, con tutti i suoi abitanti che il Borbone riscattò dall'Ospedale Grande e Nuovo di Palermo mediante cessione di una rendita di onze 5600 prelevabili dal donativo del milione fatto al Re dal Parlamento siciliano.

«Ferdinando per grazia di Dio Re delle Due Sicilie e di Gerusalemme. Infante di Spagna. Duca di Parma e Piacenza. Grande Principe ereditario della Toscana. Ecc.

Nulla è più conveniente alla Regia Maestà, data ai popoli per un dono divino, che onorare con lodi, premi, ricompense e con ogni riconoscimento di stima le gloriose gesta degli uomini illustri, soprattutto quelle imprese che, per l’impegno profuso, si sono risolte in bene dell’umanità. Tutto questo a memoria d’uomo è stato ritenuto giusto osservare religiosamente soprattutto con questo criterio: là dove il valore supera quello degli altri, la giustizia e la liberalità debbono rifulgere con straordinario splendore.

Questa necessità si è resa manifesta in seguito ai moti eversivi, durante i quali uomini scellerati e malvagi hanno tentato di sovvertire le umane e divine cose e la stessa civile società.

Avendo seguito con stima e ammirazione la gloria che si è diffusa in tutto il mondo sia per le gesta navali dell’illustrissimo lord Orazio Nelson, cioè signore della flotta britannica del Nilo e comandante di tutto il Mediterraneo, il cui nome non può essere pronunziato senza lode; sia per la sua singolare fedeltà dimo­strata nei nostri confronti e la diligenza con cui difese e ripulì del pericolosissimo nemico questi due Regni, abbiamo provato verso di lui un sentimento di gratitudine e di benevolenza sì da essere indotti a istituire un rapporto di amicizia e a stipulare un favorevole patto di alleanza con il Re britannico (per ordine del quale e con l’aiuto della cui valorosa flotta egli ha eliminato il nemico dai nostri lidi) e ad offrire all’illustre Nelson una testimonianza perenne della nostra gratitudine.

Pertanto per ricordare il merito, il lustro e la gloria che hanno dato ad un uomo così grande un nome famoso, non solo nel nostro tempo ma anche per i secoli futuri, concediamo in perpetuo al predetto illustre Orazio Nelson, per sé e per i suoi successori, discendenti legittimi della sua

Questa terra, che dai nostri predecessori era stata donata all’abazia S. Maria di Maniace nell’atto di fondazione e di dotazione del Re di Sicilia (ma rimaneva soggetta al nostro diritto di patronato), con l’atto di aggregazione della suddetta abazia disposto dal re Ferdinando il Cattolico era posseduta dall’Ospedale grande di Palermo (in favore del quale abbiamo già provveduto con una permuta);
ora la doniamo ad Orazio Nelson, come nostra proprietà, sita in questo nostro Regno, nella Sicilia, che si trova al di là del faro e nella valle dei boschi, con tutte le sue pertinenze, con il distretto, con i feudi, i mercati, le fortifi­cazioni, gli uomini soggetti, le rendite delle valli, i censi agrari, le decime, i laudemi, le platee, le provviste, i servizi, le servitù, le gabelle, le case, i possedimenti annessi e pertinenti al suddetto comune o terra e a qualsiasi modo, titolo, nome o causa spettanti e pertinenti;
per qualsiasi nostro diritto o causa, tutto questo spetti e con tutti i diritti, ragioni, leggi, territori, monti, colline, valli, cortili, piazze, selve, saline, campi, divisioni, pascoli, uliveti, terraggi, vigne, boschi, terreni coltivati e incolti, cave di pietra, giardini, mulini, acque, canali, cascate, riserve di caccia e di pesca, miniere e pertinenze di ogni genere, usi e patrimoni dovuti solitamente al predetto comune o terra o spettanti per diritto e in qualsiasi modo pertinenti;
in particolar modo concediamo tutto questo con tutti gli altri diritti, immu­nità, esenzioni e grazie con cui il suddetto nostro predecessore Ferdi­nando il Cat­to­lico concesse e diede all’ospedale grande di Palermo il comune o terra e con ogni giurisdizione civile e criminale, incluse la pos­sibilità di comminare la pena di morte e con la facoltà di creare e istituire gli officiali allo stesso modo con cui usano crearli e istituirli gli altri baroni che possiedono feudi abitati.

 

Il "Re Lazzarone"

Ferdinando I di Borbone, il «re lazzarone»

Ferdinando I di Borbone (Ferdinan­do An­to­nio Pasquale Gio­van­ni Nepo­mu­ce­no Se­ra­fino Gen­na­ro Benedetto; Na­poli, 12 gen­naio 1751 – 4 gennaio 1825). Con il nome di Ferdi­nando IV fu re di Napoli dal 1759 al 1799, nonché re di Sicilia dal 1759 al 1816 con il nome di Ferdi­nando III di Sicilia.

Con l'unificazione delle due mo­nar­chie nel Re­gno delle Due Sicilie, dal 1816 al 1825 pre­se il nome di Ferdi­nando I delle Due Si­cilie.

È passato alla storia con i nomignoli di "Re Laz­zarone" e di "Re Na­so­ne", affib­biatigli dai napoletani.

Diamo questa giurisdizione spontaneamente, coscientemente e in quanto è necessario la confermiamo deliberatamente: anzi in segno di particolare bene­volenza concediamo ed elargiamo in perpetuo all’illustre Orazio Nelson e ai suoi eredi, discendenti legittimi della sua persona, il mero e misto imperio e il diritto di vita e di morte sugli abitanti della terra e del comune di Bronte.

Pertanto separiamo ed esentiamo il comune e la terra di Bronte e tutto il suo distretto da ogni altra giurisdizione ad eccezione della nostra supre­ma potestà: tuttavia riserviamo alla nostra curia l’appello delle cause civili e criminali, secondo gli usi, la consuetudini e le leggi di questo Regno di Sicilia.

Inoltre, per accrescere ancor più i segni della nostra benevolenza verso la persona del predetto illustre Orazio Nelson, così come desideriamo ono­rare ed innalzare a maggiore dignità e gloria e contribuire allo sviluppo della terra e del comune di Bronte con tutti i suoi diritti e pertinenze, in piena coscienza e in forza della nostra piena potestà, lo eleviamo a Duca­to e di nuovo costituiamo ed eleviamo a Ducato la stessa terra e Comune di Bronte con tutte le dignità, i privilegi, le prerogative, diritti e le giuri­sdizioni che la stessa dignità del Ducato gode e possiede.

Doniamo questa terra, o comune eretto in Ducato, come feudo onorifico, all’illu­stre Orazio Nelson a titolo grazioso, in modo che egli stesso, i suoi eredi, discendenti legittimi della sua persona o chiunque egli stesso indicherà, come sarà specificato in seguito, possano essere chiamati per sempre, e da tutti siano trattati e ritenuti, sia nei parlamenti di questo Regno sia in qualsiasi altra riunione, come Duchi del Comune di Bronte.

Nello stesso Ducato, comune o terra di Bronte, come si deduce dalle suddette nostre concessioni, i suoi eredi vivranno secondo il diritto dei franchi, e cioè, nella successione il primogenito deve essere preferito ai fratelli minori e il maschio alle femmine.

E per dare una testimonianza più grande di stima, scientemente e nella pienez­za della nostra regia potestà, concediamo ed impartiamo che egli, sia che abbia sia che non abbia eredi discendenti legittimi della sua per­sona, possa nominare una persona all’interno o al di fuori della sua parentela, in linea diretta o tra­sver­sale, alla quale noi daremo ugual­mente l’investitura, a norma delle leggi e dei capitoli di questo Regno di Sicilia, osservando quanto alle successioni le norme stabilite dalle leggi dei franchi.

Inoltre vogliamo e comandiamo espressamente che lo stesso Duca Orazio Nelson, gli eredi e i suoi successori, secondo quanto abbiamo già detto, riconoscano il predetto Ducato di Bronte come feudo in capite da parte della nostra Regia Curia, siano tenuti al servizio militare in nostro favore e siano obbligati a pagare le tasse in proporzione al reddito e ai proventi del Ducato, secondo gli usi e la consuetudine di questo nostro Regno di Sicilia.

Lo stesso illustre Duca Orazio Nelson in nostra presenza, per sé e per i suoi eredi e successori, offrì spontaneamente questo servizio a noi e ai nostri eredi e successori, dopo aver prestato il dovuto giuramento di fedeltà e di omaggio nelle nostre mani, pronunziandolo a voce secondo la forma delle sacre costituzioni imperiali e dei capitoli di questo Regno di Sicilia.

Concediamo tutto questo a condizione che restino sempre salve e intatte le costituzioni e i capitoli di questo Regno, soprattutto quelli del serenis­simo re Giacomo e degli altri nostri predecessori riservando anche il diritto di racco­gliere legna (diritto che escludiamo dalla presente nostra conces­sione), che even­tualmente è in vigore nelle proprietà del detto feudo, nelle nuove miniere, nelle terre pubbliche, nelle foreste, nelle antiche di­fese, che si trovano nel nostro Regio Demanio; esso in quanto spet­tan­te al nostro antico Demanio vogliamo che rimanga riservato allo stesso.

A futura memoria di questa nostra concessione e di questa grazia, perché rimangano sempre in vigore, abbiamo ordinato di scrivere questo privi­legio, che è sottoscritto con la nostra firma, rafforzato con il nostro sigillo e rivisto dall’illustre Tommaso Firrao, Principe dei Latini, nostro Consigliere di Stato e Segretario.

Dato a Palermo il 10 ottobre dell’anno 1799 dalla natività del Signore, quarantesimo del nostro Regno, Ferdinando e Tommaso Firrao.»

 

 

Il feudo donato dal Borbone a Oratio Nelson

Il feudo "graziosamente" donato a Nelson dal Borbone, nella sua ori­ginaria estensione secondo l'atto di donazione. In giallo ciò che ri­mase al piccolo Comune di Bronte, uno spicchio di Etna ed un mare di sciara, le terre vulcaniche (in grigio il ter­ritorio di Malet­to).

Praticamente, tolti i due Feudi di Fo­resta Vecchia e del donato "in perpetuo", compresi gli abitanti di Bronte (i vassalli del­l'epoca). «con ogni giurisdizione civile e cri­minale, incluse la possibilità di comminare la pena di morte».

B. Radice scrive che il Borbone innalzando la terra di Bronte a Ducea  ab­bassò «i cittadini a vassalli, da liberi che s’eran fatti con sacrifici pecuniari enormi e rovina del proprio Comune per la compra del mero e misto impero […]. Così Bronte per la favola del nome ebbe l’onore della Ducea e confer­mata la sventura del vassallaggio, appunto come il cane a cui il padrone mette al collo una bella catena di argento o di oro.”

Il "munifico" Borbone salvò l'Ospedale commutando i mancati introiti e le rendite che ricavava di netto dallo Stato e terra di Bronte e di tutte le sue dipendenze in un assegno annuo di onze 5.600 a carico del Regno (due milioni e mezzo di euro ca., cfr. AN, Vol. 303-D pagg. 3-12), ma condannò i brontesi, vanificando i sacrifici ed i risultati ottenuti con le lotte di molte generazioni davanti ai tribunali.

Ducea Nelson, il Castello



Vedi pure
La grande liteL'apoteosi dell'Ammiraglio in Palermo

La Ducea di Nelson, Bronte e i Thovez

Inglesi sotto il vulcano, La Ducea di Nelson




Il testamento di Nelson sul castello di Bronte

E’ comprensibile, dopo aver perso un occhio e un braccio in battaglia e aver visto la morte in faccia di giorno e di notte, pensare a fare testamento, a prescindere dall’età che si porta addosso. A maggior ragione se ci si chiama Horacio Nelson, si ha un nemico come Napoleone Bonaparte e di mestiere si fa il guerriero in rotta per tutti i mari del mondo.

di Tano Gullo

E’ il 10 maggio 1803 quando Horacio Nelson il più celebre ammiraglio della marina inglese, allora quarantacinquenne, scrive di proprio pugno le quindici pagine in cui sono dettagliate le sue ultime volontà; a nove anni dalla ferita rimediata al largo della Corsica che lo priva dell’occhio destro e a sette anni dall’inutile attacco contro la città di Santa Cruz di Tenerife, nel corso del quale è colpito al braccio destro che poi viene amputato.

Due anni e pochi mesi prima della battaglia di Trafalgar, dove troverà la morte per colpa di una pallottola francese che centra la sua spalla sinistra.

La firma in calce al prezioso documento (recentemente rinvenuto nella traduzione italiana nella Biblioteca regionale) è Nelson of Bronte. E questo particolare la dice lunga su quanto ci tenesse l’ammiraglio al titolo di Duca di Bronte concessogli dal re delle Due Sicilie Ferdinando IV di Borbone grato all’eroe inglese per averlo salvato dalla furia dei giacobini partenopei. (...)

Il primo pensiero dell’ammiraglio nel testamento è per il luogo della sepoltura «nella Parrocchiale Chiesa di Burnham Thorpe vicino alle spoglie mortali dei miei estinti genitori, a meno che a Sua Maestà significherà esser suo piacere che il mio cadavere fosse sepolto altrove»; il secondo è per i poveri della «sua» contea di Norfolk, che si affaccia nel mare del Nord, ai quali destina 100 lire; il terzo è per la donna amata lady Hamilton.

«Do e lascio alla Dama Emma Hamilton vedova dell’onorevole cavaliere Guglielmo Hamilton, insignito dell’onorevolissimo ordine del Bagno, la mia stella di diamanti come un segno della mia amicizia e riguardi. Parimenti do e lascio alla suddetta il vaso d’argento marcato E. H. che ella medesima mi regalò».

Alla donna della sua vita lascia anche molti altri beni di valore, tra cui la grande dimora in Merton nella contea di Surrey, altre case, officine, giardini, «terreni di delizia», canali e molo.

E’ una grande passione quella che li travolge ai tempi in cui Nelson corre nella città partenopea in aiuto del re Borbone assediato.

E’ il 1793 ma per la verità il sentimento per la lady, moglie dell’amba­sciatore britannico alla corte di Napoli, sboccia nel 1799 nel corso di una precedente missione in quegli anni di sommovimenti che vede contrapposti la rivoluzionaria Francia, che alimenta i venti di democrazia e di illuminismo, e la conservatrice Inghilterra, interessata a mantenere lo status quo che la vede egemone.

Per lady Hamilton, nata Lyon, il nostro eroe lascia la moglie, vicecontessa Francesca Herbert.

La consorte non deve essere in cima ai suoi pensieri quando stila il testamento - la troviamo posizio­nata solo al nono posto nella gerarchia degli eredi - ma Nelson la tiene lo stesso in gran conto: dispone per lei un lascito di mille lire annuali vita natural durante che sommate alle 8 mila lire in contanti e ad altri possedimenti che le lascia la mettono al sicuro da ogni necessità.

Su questo aspetto l’ammiraglio è molto scrupoloso. Infatti vaglia tutte le combinazioni che riesce a immaginare per far sì che alla fine di ogni anno la somma predisposta arrivi alla destinataria senza decurtazioni di sorta.

Gli altri beneficiati sono il fratello reverendo Guglielmo (gli lascia a livello simbolico la tabacchiera d’oro regalatagli dalla città di Londra e altri beni che vedremo dopo) le sorelle Caterina Matcham (a lei la spada avuta in dono sempre da Londra) e Susanna Bolton (il vaso d’argento ricevuto dalla Compagnia di Turchia).
E ancora lo schioppo turco, scimitarra e cantina ad Alessandro Davison e «al vessato mio Capitano e degno amico Hardy tutti i miei telescopi e strumenti nautici e lire cento in denaro da pagarglisi tre mesi dopo la mia morte».

Oltre alla moglie, il grosso delle proprietà viene assegnato al fratello Guglielmo e al nipote Guglielmo (anche lui) Haslewood, figlio della sorella Susanna.

Ai due e ai «loro eredi e assegnatari in successione dopo la mia morte» viene destinata la Ducea di Bronte «nel regno dell’ulteriore Sicilia, e nella terra e stato di Bronte nello stesso regno, ed in tutti e singoli abitazioni, terre, tenimenti, giurisdizioni, immunità, franchigie, ed altri effetti siti nel regno dell’ulteriore Sicilia che mi furono concessi dall’attuale Sua Maestà Ferdinando per la grazia di Dio Re del Regno delle due Sicilia, e di Gerusalemme, Infante di Spagna, Duca di Parma, Piacenza, Castro etc. etc Gran principe ereditario di Toscana etc. etc. in forza di real diploma, ed altri strumenti portanti la data circa del 10 del mese di Ottobre nell’anno 1799».

La prosa ampollosa del tempo non lascia però margini di incertezze.

A Bronte, come ulteriore riprova dell’importanza che ricopre nel complesso delle proprietà di Nelson, sono dedicate diverse pagine del documento.

Il testamento è per un secolo e mezzo al centro di una diatriba che contrappone gli eredi dell’am­mi­raglio all’amministrazione di Bronte, allo Stato unitario e al governo fascista.

I primi vogliono mantenere i privilegi concessi dal Borbone al loro avo, gli altri fanno di tutto per impossessarsi della Ducea.

Dopo una estenuante disfida nelle aule giudiziarie (di volta in volta incentrata ora sull’abolizione della feudalità in Sicilia nel 1812, ora sulla non validità della legge Franca, promulgata da Carlo Magno, che esclude le donne dall’asse ereditario, e così via) nel 1922 arriva il verdetto definitivo favorevole agli inglesi e così gli eredi finalmente possono godere i frutti dei loro possedimenti, pistacchi, vigneti, mandorleti e altre colture che forniscono le rendite a loro indispensabile per arginare il tracollo di un casato ormai sulla china del declino.

Ma prima e dopo il verdetto è una continua guerra anglo-brontese: minacce, attentati, divieto di fruire della legna del bosco, fughe e ritorni, con i britannici (che definiscono selvaggi gli abitanti) interessati a seguire le dispute politiche locali per ipotizzare i possibili scenari che vanno maturando in modo da prendere le contromisure del caso a loro cautela.

Non c’è stata mai pace per il territorio di Bronte, in passato sottomesso a possidenti esterni e infine teatro della più sanguinosa repressione garibaldina quando i picciotti pensano di dover fare davvero la rivoluzione. Infine, durante il secondo conflitto mondiale la Ducea viene requisita da Mussolini come tutti gli altri beni appartenenti ai nemici di guerra.

Nel dopoguerra la restituzione.

La partita si chiude definitivamente nel 1981 quando l’ultimo erede Duca Alexander Nelson Hood, visconte di Bridport vende al comune di Bronte la proprietà per un miliardo e 750 milioni delle vecchie lire (poco meno di un milione di euro). (...)

[Tano Gullo, La Repubblica — 28 novembre 2006, pagina 1, sezione: Palermo]
 

Immagini di lady Emma Hamilton e della figlia, Oratia, avuta da Nelson.
Il disegno a destra, una matita di Thomas Baxter, raffigura Emma e Char­lotte e trovasi al National Maritime Museum di Londra.
Nelson lasciò la Ducea di Bronte al fratello reve­rendo Guglielmo e al nipote Guglielmo Haslewood.

 

 

Emma Hamilton e la figlia Oratia Nelson

 Firma di Nelson
"Nelson Bronte"
anche così amava firmare l'ammiraglio

 

IL TESTAMENTO DI NELSON
Testo completo, in PDF


 

«All'amico Hardy destinò telescopi e stru­menti nautici

Un testamento che non dimentica nessuno

Ecco i lasciti per la moglie e per l’amante

A lady Hamilton la sua stella di diamanti, oltre che varie proprietà in Inghilterra. A sua mo­glie, la vice contessa Francesca Herbert, un lascito di mille lire all’anno vita natural du­rante, diversi possedimenti e ottomila euro in contanti.

Sistema le cose per bene, l’ammiraglio Nel­son, nel testamento scritto di suo pugno il 10 maggio 1803.
La prosa è un piccolo capolavoro di ipocrisia per­benista, se l’amante viene defi­ni­ta «ve­do­va dell’onorevole cavaliere Gu­gliel­mo Hamil­ton, in­si­gnito dell’onore­vo­lissimo ordine del bagno» l’ambasciatore bri­tan­nico a Napoli che per buo­na parte del­la sua vita tenne sulla testa le corna più famose d’Europa.
E se i poveri della sua contea di nascita, Nor­folk, ricevono cento lire, al fratello reve­rendo Gu­glielmo e al nipote Guglielmo Haslewood va la Ducea di Bronte, alla quale il testamento dedica parecchie pagine.

Gli altri beneficiati sono le sorelle Caterina Matcham (una spada preziosa avuto in dono a Londra) e Susanna Bolton (il vaso d’argento re­galatogli dalla Compagnia di Turchia).
All’amico Alessandro Davison lo schioppo turco, scimitarra e cantina e «al vessato mio Capitano e degno amico Hardy tutti i miei telescopi e stru­menti nautici e lire cento in denaro da pa­garglisi dopo la mia morte».

Morte avvenuta due anni dopo la redazione del testamento, il 21 ottobre del 1805, al termine del­la battaglia vittoriosa di Trafal­gar. Un soldato nemico si apposta sul vascello fran­cese Redoubtable e prende la mira sulla divisa più scintillante della flotta inglese, piena di mo­strine e di ori. Centra con una pallottola la spalla di Nelson e lo uccide, proprio mentre l’ammira­glio si ap­pre­sta al trionfo.»

(Laura Anello, Giornale di Sicilia del 20 Febbraio 2007)


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