Le prime scosse sono di tipo sussultorio per poi diventare ondulatorie da nord-est verso sud-ovest e poi da sud-ovest verso nord-est. Il mare sembra ritirarsi per poi formare delle onde immense, alte anche sino a 10 metri, che per quattro volte si scagliano sulla costa completando la distruzione e trascinando con se uomini e cose; si dice che furono raccolti dei cadaveri anche sulle coste turche e greche. Poi il silenzio. Per pochi istanti. Il silenzio della morte e dell’annientamento viene quindi spezzato dalle urla dei sepolti vivi e dei feriti, dal pianto dei disperati superstiti, dal latrato dei cani… nel buio di quell’alba piovosa ancora più profondo per la polvere. Furono istantaneamente distrutte le vie di comunicazione ferroviarie e stradali e le installazioni portuali. Il Telegrafo rimase muto. Le rovine di Messina e Reggio completamente isolate dal resto del mondo intanto cominciarono a bruciare essendo saltate le condotte del gas. La terra continuò a tremare tanto che si contarono almeno 138 scosse. Quel che restava delle due città e dei paesini dei dintorni era completamente isolato dal resto del mondo. Il sisma fu registrato dai sismografi di tutto il pianeta (Ottawa, Tokio, Sofia, Melbourne, Edimburgo..); in Italia, data l’ora, non ci si rese subito conto dell’ubicazione dell’immane disastro. All’Osservatorio Ximeniano di Firenze la prima scossa fu registrata alle ore 5 21’ 42’’, mentre Rocca di Papa la percepì alle ore 5 21’ 31’’, Palermo alle 5 21’. Gli studiosi dell’Osservatorio Ximeniano annotarono sui loro registri: “stamani alle 5,21 negli strumenti dell’Osservatorio è incominciata una impressionante, straordinaria registrazione: Le ampiezze dei tracciati ...non sono entrate nei cilindri. Da qualche parte sta succedendo qualcosa di grave”(7). Solo nella tarda mattinata del 28 dicembre, come riferisce il Corriere della Sera del 29 dicembre, cominciano a pervenire via telegrafo all’Ufficio Centrale di Meteorologia e Geodinamica di Roma le prime notizie sul sisma dagli osservatori di Domodossola, Pavia, Padova, Urbino, Macerata, Caggiano, Lecce e Foggia. In queste due ultime città il sisma è stato non solo registrato ma avvertito anche dalla popolazione. Si legge sullo stesso Corriere della Sera: “…Gli Osservatori di Reggio e di Messina non hanno ancora telegrafato all’Ufficio Centrale, ciò che fa supporre siano rotte le comunicazioni”. Le città ed i paesi dello stretto erano schiacciati nella morsa dell’Apocalisse ed il resto del mondo cominciava, con molto ritardo, solo a percepire le dimensioni dell’immane tragedia ed accoglieva le prime notizie con grande incredulità. Alle ore 12,05 del 28 dicembre, infatti, giunse al Ministero degli Interni dalla Prefettura di Catania il seguente telegramma inviato alle 9,10(8): “Ore 5,20 di stamattina avvertitasi violenta scossa di terremoto ondulatorio durata vari secondi. Popolazione impressionatissima, riversatasi piazze, strade, accalcandosi specialmente lungo banchina porto (…). Telegrammi giunti finora da diversi comuni della provincia accennano soltanto a danni fabbricati ma senza disgrazie...” Il ritardo nei soccorsi
Alle ore 17,25 (dodici ore dopo la tremenda scossa tellurica) sempre del 28 dicembre giunge al Ministero degli Interni il telegramma spedito alle ore 14.40 dalla cittadina di Marina di Nicotera dal Sottotenente Bellini, comandante la torpediniera Serpente, inviata poco prima delle 9 dalle autorità militari di Messina, in perlustrazione lungo la costa tirrenica calabra verso nord con il compito di trovare un telegrafo ancora funzionante. Il telegramma di Bellini annunciava al resto del mondo che “viveva ancora”: “Ore 5,20 terremoto distrusse buona parte di Messina – Giudico morti molte centinaia – case crollate – sgombro macerie insufficienti mezzi locali – urgono soccorsi per sgombri, vettovagliamento, assistenza feriti – ogni aiuto insufficiente” (5). Da questo momento, dodici ore dopo, inizia l’organizzazione dei soccorsi da Roma. Messina e lo Stretto sono raggiunti però solo all’alba del 29 dicembre(9) dalla Squadra Navale Imperiale Russa con la corazzata Makarov ed alcuni incrociatori e da una squadra navale della Royal Navy comprendente la corazzata Sutley. Gli stranieri, comunque, che per primi prestarono soccorso ai messinesi furono i tedeschi del piroscafo Salvador presente in porto. L’arrivo delle navi testimoniò che non si era trattato della fine del mondo e che questo poteva dare una speranza. I marinai russi ed inglesi furono determinanti nell’aiutare immediatamente la popolazione e collaborare con le autorità militari italiane che, dissoltasi ogni autorità civile, avevano assunto totalmente il comando di tutta l’area devastata. Raleigh Trevelyan scrive in proposito(3) che con l’aiuto dei marinai russi ed inglesi nei primi tre giorni dal sisma furono estratte dalle macerie di Messina 15.000 persone. Gli ufficiali medici russi in breve tempo organizzarono anche un efficiente ospedale all’aperto sulle banchine del porto sopperendo alle conseguenze della distruzione totale degli ospedali cittadini. Altri aiuti erano partiti dalle altre città siciliane: Catania, Siracusa e Palermo si adoperarono con generoso slancio, accogliendo in particolare i numerosissimi profughi in fuga con i piroscafi che facevano la spola da Messina. Catania diede complessivamente ospitalità a 30.000 profughi(2). La prima nave militare italiana a giungere fu la corazzata Napoli. Erano le 13,30 del 29 dicembre; seguirono altre navi e nella mattinata del 30 dicembre entrava in porto la corazzata Vittorio Emanuele con a bordo i Sovrani, il Guardasigilli V. E. Orlando ed altri ministri. L’arrivo dei Reali fu decisivo per le iniziative di soccorso. La loro partecipazione al dolore fu totale, sincera e commossa. Alcuni storici parlano a tal proposito del primo vero contatto fra i piemontesi e le derelitte province meridionali. Le terrificanti scene che si presentarono agli occhi del Re gli fecero inviare al suo Primo Ministro Giolitti il seguente telegramma: “Qui c’è strage, fuoco e sangue. Spedite navi, navi, navi e navi”. Scrive efficacemente Sandro Attanasio(5): “Vittorio Emanuele ed Elena del Montenegro (…) impersonarono degnamente la Nazione. (…) I sovrani rappresentarono lo stato paterno, giusto, benefattore e comprensivo sempre sognato dalle popolazioni meridionali, che accorreva in aiuto ai suoi figli più sventurati. Uno stato che nulla aveva a che fare con quello brutale, ingiusto, poliziesco e sfruttatore che avevano conosciuto fino ad allora. Per un momento sembrò fosse scomparso il proverbio: Guvernu italianu guvernu buttanu!” L’attivismo del Duca di Bronte
Ci sembra opportuno fermare a questo punto l’informazione sommaria sull’evento. Siamo, infatti, certi che nei mesi che seguiranno, quanto più ci avvicineremo alla ricorrenza del centenario tanto più avremo modo di conoscere meglio la storia del terremoto e delle sue conseguenze e di approfondire questioni e polemiche, che si posero immediatamente in quel dicembre 1908 e continuarono poi per decenni durante la ricostruzione per poi cominciare assopirsi durante il ventennio fascista. Si parlerà così dei ritardi dei soccorsi, della loro disorganizzazione, della spietata legge della sopravvivenza che regnò fra i superstiti, degli atti di sciacallaggio veri o presunti e delle esecuzioni sommarie anche per opera dei russi, dello stato d’assedio, delle risorse dedicate a mettere in salvo, con precedenza sugli esseri umani, i caveaux delle banche, del panico delle Borse, dei profittatori che con cinismo vi speculavano, delle manovre messe in atto da spregiudicati circoli finanziari e massonici, degli enormi profitti delle compagnie d’assicurazione forti delle clausole di calamità, dei depositi non reclamati delle vittime incamerati dalle banche e dalle poste, del progetto di completare a cannonate la distruzione di Messina, del mercato degli orfani organizzato da associazioni di beneficenza, dello sfruttamento delle ragazze adolescenti avviate a fare da cameriere presso famiglie benestanti desiderose di aiutare i profughi e spesso anche alla prostituzione, dei profittatori delle innumerevoli sottoscrizioni di aiuti economici provenienti da tutto il mondo, del tentativo di abolire il prestigioso ateneo messinese, del ruolo della stampa, dei baraccati messinesi… Altre osservazioni saranno dedicate alle costruzioni antisismiche e si ricorderà che molto del disastro dello stretto fu dovuto alla qualità scadente delle edificazioni. Ma si dovrà anche parlare più positivamente degli atti di eroismo, dell’abnegazione dei soccorritori russi ed inglesi, e soprattutto della solidarietà dei siciliani e della generale partecipazione al dolore ed agli aiuti di tutto il popolo italiano in un momento di vera unità nazionale. Alexander Nelson Hood non poteva restare insensibile a quanto gli accadeva attorno. Il suo impegno fu subito rivolto al sollievo delle popolazioni della provincia messinese. A Bronte non devono esserci stati danni gravi ne tanto meno vittime; dai nostri anziani, infatti, non ci è giunta memoria di simili eventi. Il nostro comune ricade in una zona caratterizzata dai gradi VI-VII della scala Mercalli ed i danni dovettero consistere solo in lesioni come quelli che il Duca cita per il Castello di Maniace(6): “Praticamente nessun danno qui. Ci sono lesioni nel soffitto dell’atrio e nel corridoio, dell’intonaco è caduto da uno degli archi sotto, anche in quattro camere da letto, ma niente di più di questo”. Forse per quanto riguarda Bronte gli archivi comunali e delle Chiese e quelli del Real Collegio Capizzi potrebbero darci qualche notizia in più in proposito. Le cronache dell’epoca(2) (5), invece, ricordano che annegarono alcune persone a Catania e Riposto per effetto del maremoto e che ci furono dei crolli a Maletto, Belpasso, Mineo, Caltagirone, Riposto, Misterbianco, Paternò, Acireale e Giarre. Probabilmente ancora più motivato per la fortuna che lo aveva salvato, a differenza di tanta altra gente, nella persona e negli averi dalle terribili conseguenze del terremoto, Alexander Hood moltiplicò i suoi sforzi tesi ad aiutare le vittime. Il suo primo impulso fu quello di correre a Messina nonostante le difficoltà per le strade ingombre di macerie. Pratt riporta(6) dei brani, tratti dai diari del Duca e da Sicilian Studies(1), che sono molto simili ai reportages dei grandi giornalisti che per primi arrivarono a Messina. «Non dimenticherò mai sino a quando vivrò. Il panico era ancora più angosciante della devastazione. La gente era accampata sotto rifugi costruiti con botti da vino vuote aventi per tetto delle lenzuola, in barche in secca sulle vie principali con la vela che faceva da copertura, sopra e sotto di carretti, ovunque ma non all’interno di ciò che rimaneva delle case. (…) Un vecchio sedeva su un cumulo di rovine che erano state la sua casa, diceva di avere perso tre bambini e piangeva: “se il mare non li ha portati via loro sono qui, sotto di me”». Dopo la visita Alexander Nelson Hood capì subito come poteva essere efficacemente d’aiuto e cominciò ad agire: “Mi sono avventurato a telegrafare – scriveva nel suo diario – al Lord Mayor nella speranza di indurlo, se ancora non lo aveva fatto, a promuovere una pubblica sottoscrizione di denaro, offrendomi di provvedere personalmente alla gestione dei fondi per evitare che sparissero nelle tasche dei distributori com’era già accaduto due anni prima in occasione del terremoto di Calabria”(6). Così grazie al suo intervento il Sindaco di Londra raccolse 160.000 Pounds, che furono impiegati dal Duca per interventi ad personam ma soprattutto per l’organizzazione di centri di distribuzione di latte e pane, di ambulatori e per offrire ospitalità ai profughi a Taormina, dove considerevole fu anche la collaborazione della numerosa comunità inglese ed americana. Una parte del denaro, all’incirca 500 sterline, servì anche per rimettere in ordine il Cimitero Inglese di Messina e per la sepoltura di quegli inglesi morti per il terremoto, i cui parenti non erano in grado di sostenerne le spese(10). |