Poco prima dell'alba del 5 marzo 1956, così come avviene ogni mattina, dall'areoporto di Londra partivano, diretti in tutto il mondo, gli aerei che trasportano i giornali inglesi, gli autorevoli organi della borghesia britannica. Nitidamente stampato sulla sottile carta velina dell'edizione destinata all'estero, il «Daily Telegraph» di quel giorno recava notizie dalla Sicilia e informava i suoi fiduciosi lettori che Lord Bridport, duca di Bronte e benefattore del popolo siciliano, aveva recentemente confessato che «la sua popolarità tra i suoi contadini lo imbarazza» dato che essi sempre «insistono per baciargli la mano». Ignari di tutto ciò e della gratitudine da essi dovuta a Lord Bridport, esattamente nello stesso giorno e nello stesso momento i contadini di Bronte, Maletto e Randazzo si preparavano a una manifestazione sulle terre del duca, la quale però, per quanto ciò possa dispiacere agli zelanti redattori del «Daily Telegraph», non aveva precisamente lo scopo di andare a rendere l'omaggio di un solenne e collettivo baciamano feudale e romantico all'erede di Lord Orazio Nelson, ma quello, assai più prosaico, di chiedere la sua immediata estromissione dalle terre della Ducea, da oltre un secolo e mezzo usurpate ai loro padri e oggi soggette alla riforma agraria. Nel chiarore incerto dell'alba, nel quale, spente ormai le poche lampade dell'illuminazione stradale, cominciavano ad affiorare dall'ombra i profili delle case, mentre il sole non era ancora apparso sull'orizzonte, un intenso scalpiccìo si avvertiva nei vicoli e nei cortili di Bronte, e poi nelle vie del centro, sulla piazza dell'Annunziata, sulla strada provinciale che conduce Maletto. Da porta a porta era un bussare discreto, un avvisarsi cambievole: «Alzati è tardi, è ora di andare». «Vediamoci tra poco, alla Barriera». C'era stato il comizio in piazza, il giorno prima, e poi l'assemblea della camera del lavoro e alla sezione comunista, e si era convenuto sulla necessità di manifestare nuovamente con forza la volontà di ottenere la terra. Le esitazioni degli incerti, i quali obiettavano che le occupazioni di terre si erano sempre fatte nel mese di settembre e che ora, invece, eravamo nel mese di marzo, erano state vinte in accalorate discussioni alle quali decine di braccianti, di contadini poveri avevano partecipato. E così la notte i più attivi dirigenti della lega braccianti, delle sezioni comunista e socialista, dell'unione contadini, avevano dormito appena qualche ora e alle due del mattino erano già in piedi, avevano cominciato a bussare alle porte dei compagni. E ognuno che si alzava svegliava altri così come è ormai costume, in Sicilia, nelle grandi giornate di lotta. Alla Barriera si è in pochi, alle cinque. Ma poi, a poco a poco, dalla strada provinciale, dalla strada della stazione cominciano a venire, isolati, a gruppetti, i contadini. Molti recano con sé i loro muli alti e robusti, capaci delle grandi fatiche che ad essi si richiedono in queste zone di montagna. Alle sei lo stradale provinciale è ingombro di uomini a piedi, di muli, di biciclette, di carretti. È una folla. La gioia è negli occhi e nelle parole di tutti. La manifestazione riuscirà. «Noi siamo tanti e lui, il duca, è uno solo: noi vinceremo la nostra lotta». «Avanti le bandiere, poi i ciclisti, poi gli uomini a piedi; i muli dietro». Lentamente, ordinato, solenne e lunghissimo si forma il corteo. Sono più di millecinquecento. Le bandiere rosse e tricolori, la bandiera della pace, garriscono al vento, e si inizia la marcia. Sono i figli del fiero popolo di Bronte, geloso della sua libertà, di quel popolo che contro i governanti che da Palermo lo taglieggiavano di tasse esose insorse in armi nel 1820 e proclamò la propria indipendenza rivendicando le terre usurpate della Ducea e raccogliendo intorno a sé Maletto, Troina, Biancavilla. Sono gli eredi dei contadini del 1848 che insorsero contro la tassa sul macinato e contro i Borboni e riuscirono, nell'aprile di quell'anno, a strappare alla Ducea le vigne del Boschetto, poi rese al feudatario straniero dal governo del tempo. Si ricordano, ancora, tra il popolo, ma ormai soffusi da un alone di leggenda, anche i giorni dell'ira, di quel terribile 1860, quando era sembrato ai brontesi che Garibaldi avrebbe fatto restituire loro, finalmente, le terre rubate e vennero invece la tremenda reazione di Bixio, le fucilazioni dei patrioti, il processo di Messina, gli ergastoli e le deportazioni. Ma questi figli di così nobile tradizione di lotta per la terra e la libertà oggi non si danno più a saltuarie e improvvise esplosioni di violenza; oggi essi hanno le loro organizzazioni politiche e sindacali di classe attraverso le quali si sono conquistate la Costituzione, l'Autonomia regionale, la legge di riforma agraria e perciò, coscienti del loro diritto, ora manifestano con la marcia pacifica e redentrice. Quante volte, negli ultimi dieci anni, si sono visti sulle strade e sulle terre di Sicilia questi cortei! Nel 1944, nel 1947 e poi, dopo Melissa, la più grande ondata, nel 1949. |