I FATTI I DI BRONTE DEL 1860
Proclami, decreti e messaggi di Garibaldi Per inquadrare meglio i "fatti di Bronte" è necessario ricordare che il successo dei Mille dipese anche dal concorso dei contadini insorti che si univano a loro. Perciò, al fine di soddisfare le masse rurali, Garibaldi prese rapidamente delle misure sociali importanti: abolì la tassa sulla molitura del grano, particolarmente odiata, ordinò la ripartizione, a favore dei contadini poveri e dei combattenti, delle terre del demanio comunale. E' opportuno anche riportare i seguenti decreti dittatoriali: 14 Maggio 1860, Proclama di Salemi:
"Siciliani, Io vi ho guidato una schiera di prodi accorsi all'eroico grido della Sicilia, resto delle battaglie lombarde. Noi siamo con voi! Non chiediamo altro che la liberazione della nostra terra. Tutti uniti, l'opera sarà facile e breve. All'armi dunque! Chi non impugna un'arma è un codardo e un traditore della Patria. Non vale il pretesto della mancanza d'armi. Noi avremo fucili; ma ora un'arma qualunque basta, impugnata dalla destra d'un valoroso. I municipi provvederanno ai bimbi, alle donne, ai vecchi derelitti. All'armi tutti. La Sicilia insegnerà ancora una volta, come si libera un paese dagli oppressori colla potente volontà d'un popolo unito". 19 Maggio 1860, da Passo di Renna:
Garibaldi sanciva che i reati avvenuti durante la guerra, di qualsiasi natura, commessi da soldati o civili, venivano giudicati da un Consiglio di Guerra (etc.). 28 Maggio 1860, da Palermo:
Garibaldi emanava un decreto avente per oggetto: Sanzione di morte per i reati di furto, omicidio, saccheggio e devastazione. Pertanto detti reati venivano puniti con la pena di morte mediante fucilazione alla schiena; pertanto nessuno era autorizzato a fare da sé vendetta ma reclamare giustizia dal Governo. Si vietavano, così, nel modo più categorico, tutti quegli atti che potevano causare scene di furore popolare, linciaggio verso i fautori del passato regime borbonico. Il decreto sanciva anche che chiunque con parole o scritti eccitava il popolo contro tali cittadini veniva arrestato come reo di "omicidio mancato". Se il perseguitato veniva gravemente ferito, percorso o ucciso, il o i responsabili venivano condannati alla pena di morte. 2 Giugno 1860, da Palermo:
«Italia e Vittorio Emanuele Giuseppe Garibaldi comandante in capo delle forze nazionali in Sicilia, in virtù dei poteri a lui conferiti, decreta: - Art. 1. Sopra la terra dei demani comunali da dividersi, giusta la legge, fra i cittadini del proprio comune, avrà una quota senza sorteggio chiunque si sarà battuto per la Patria. In caso della morte del milite questo diritto apparterrà al suo erede. - Art. 2. La quota, di cui è parola all'articolo precedente, sarà uguale a quella che sarà stabilita per tutti i capi di famiglia poveri non possidenti, e le cui quote saranno sorteggiate. Tuttavia se le terre d'un comune siano tanto estese da sorpassare i bisogni della popolazione, i militi e i loro eredi otterranno una quota doppia di quella degli altri condividenti. - Art. 3. Qualora i comuni non abbiano demanio proprio, vi sarà supplito colle terre appartenenti al demanio dello Stato e della Corona. - Art. 4. Il Segretario di Stato sarà incaricato della esecuzione del presente decreto.» 13 Giugno 1860: Messaggio ai cittadini
"A voi robusti figli dei campi, io dico una parola di gratitudine in nome della Patria italiana, a voi che conservate il fuoco della libertà sulle vette dei monti, affrontando in pochi e male armati le numerose ed agguerrite falangi dei dominatori. Voi potete tornare oggi alle vostre capanne colla fronte alta, colla coscienza di aver adempiuto un'opera grande. Come sarà affettuoso l'amplesso delle vostre donne inorgoglite dì possedervi accogliendovi festose nei focolari vostri. E voi conterete superbi ai vostri figli i pericoli trascorsi nelle battaglie per la santa causa dell'Italia. I vostri campi non saranno più calpestati dal mercenario, vi sembreranno più belli e più ridenti. Io vi seguirò col cuore nel tripudio delle vostre messi, e delle vostre vendemmie e nei giorni in cui la fortuna mi porgerà l'occasione di stringere ancora le vostre destre incallite, per narrare delle vostre vittorie e per debellare nuovi nemici della Patria, voi avrete stretto le mani di un fratello!” 28 Giugno 1860
Decreto avente titolo "Legge elettorale …" (etc.) che regolamentava per ogni Comune la composizione della Commissione elettorale, la scelta dei locali per le sedute, la compilazione degli avvisi da bandizzare o affiggere, la trascrizione nel registro su quanto deliberato. Le liste dovevano contenere pure nome, cognome, paternità, età, professione e domicilio dell’elettore che riceveva un biglietto, firmato e numerato progressivamente, da presentare all’atto della votazione. Era infine vietata l’iscrizione degli aventi diritto fuori parrocchia o in più quartieri.
I FATTI DI BRONTE DEL 1860
La situazione locale
Bronte, in quell’anno aveva una popolazione di poco superiore agli 11.000 abitanti (due anni prima, nel 1858, in un documento dell'Intendenza di Catania risultavano 11.629) molti dei quali esercitanti attività agricolo-pastorale (i dati ci provengono dai "riveli", cioè autodichiarazioni fatte sotto giuramento). Nel panorama siciliano il paese etneo, allora, rappresentava un caso limite: la piccola proprietà terriera, che le diverse leggi emanate dopo l'abolizione della feudalità dovevano favorire, era rimasta un sogno: l'81% del territorio comunale (quello più fertile) era in mano a pochissimi: la Ducea Nelson, il Comune, 7 nobili e 11 benestanti. Gli altri (cioè tutta la popolazione brontese) vivevano e lavoravano nella speranza di possedere un giorno un pezzetto di terra. I nuovi padroni inglesi, sul territorio già dal 1799, avevano peraltro stravolto anche i precedenti, precari, equilibri sociali, acuitisi ulteriormente con l’abolizione degli "usi civici", quest’ultimi voluti dal Governo Borbone. Gli amministratori ducali, da perfetti padroni, soggiogavano le masse dei lavoratori chiudendo le vecchie trazzere che facilitavano l’accesso ai campi e imponendo, con guardiani armati, i diritti di pedaggio. Davano anche inizio al taglio dei boschi per farne carbone da vendere ai brontesi e nel contempo proibivano l’ingresso negli stessi boschi e negli altri superstiti, a quanti vi andavano per pascolo, per legnare, raccogliere frutti o erbe mangerecce. Così, terre prima aperte al pascolo, venivano chiuse, coltivate o seminate. I trasgressori, sorpresi all’interno dei feudi da servili campieri (anche brontesi) al servizio del Duca, esercitavano il diritto di scudisciare, elevare salate contravvenzioni anche per banali motivi (di solito per legna raccolta nei boschi ducali) ed anche incarcerare. In poche parole, sulle masse di diseredati brontesi, la Ducea esercitava "diritti di vassallaggio" poggianti su ingiustizie, angherie e sopraffazioni. Amministratori comunali, brontesi di nascita, pilotati e votati ai "forestieri" gestivano la "cosa pubblica" privilegiando gli interessi inglesi a tutto svantaggio della povera popolazione locale. I popolani covavano dentro quindi antichi sentimenti di vendetta per i molti torti subiti, per la stagnazione economica come pure per l’aumento dei prezzi. A stento il popolo brontese cela rabbia e malcontento. Scrive Benedetto Radice (Nino Bixio a Bronte): "Erano trecento cinquanta anni che Bronte lottava per i suoi diritti, dei quali le fatali donazioni di Papa Innocenzo VII nel 1491 e di Ferdinando I nel 1799 l’aveano spogliato. Aveva visto il suo territorio assottigliarsi di giorno in giorno fino a sparire interamente per novelli diritti, cavilli e pretese…". "Senza dire - continua Leonardo Sciascia nella prefazione del libro -, delle libertà sessuali che i galantuomini si concedevano con le ragazze del popolo: e basti considerare che nel 1853 c’erano a Bronte (su circa 10.000 abitanti) 38 balie comunali, nutrici cioè dei bastardi di ruota". L’occasione del riscatto sociale e della fine di tanti secoli di ingiustizie è data dall’arrivo di Garibaldi in Sicilia, dalle sue vittorie fulminee sui Borboni, dai proclami di scioglimenti dei consigli civici, dai decreti riguardanti la divisione delle terre e dall’abolizione della tassa sul macinato. Questo fornì alla massa lo spunto per riunirsi in comitati "liberali" e tentare di scrollarsi di dosso, in un solo colpo, sia i padroni ducali come pure i "cappelli" i quali approfittando del proprio ruolo egemone sotto i borboni, si erano appropriati delle terre comunali. Con lo scioglimento del Consiglio Civico per decreto dittatoriale, a Bronte era venuta meno anche la carica di Giudice; quindi il Governatore di Catania, a seguito delle solite pressioni pervenutegli a mezzo dispacci dal Console generale inglese Goodwin, nominò Presidente del Municipio il cittadino Sebastiano Luca e alla carica di Giudice l’avvocato Nunzio Cesare, ambedue di tendenze filoducali. Avrebbe dovuto tenere in debito conto le giuste aspettative dei Comunali (o dei Comunisti) e del popolo tumultuante che riconoscevano nell’avvocato Nicola Lombardo il loro capo, dividendo le due cariche in modo più equo. Il non aver saputo egli resistere alle pressioni inglesi né ponderare la delicatezza del momento fu un grave errore politico che avrebbe avuto, da lì a poco, ripercussioni funeste sul sociale. A Bronte, fatto inspiegabile per le masse, non venne abolita la tassa sul macinato che penalizzava i più poveri, ma, soprattutto, non venne realizzata la divisione delle terre della Ducea, dal momento che, caduto il regime borbonico in Sicilia, credevano tutti fosse venuto meno la donazione a suo tempo fatta al Nelson. Il popolo, stanco di subire prepotenze, identifica nei "cappelli" i possidenti "ducali-borbonici", conservatori e oppressori; mentre chi ha cuore gli interessi del Comune e sta col popolo è considerato "liberale, reazionario, antiborbonico". Aspirazioni deluse, sete di vendetta, rabbia ed odi inveterati spingono le categorie più basse alle estreme conseguenze, e il 31 Luglio arriva l'irreparabile, anche se la prudenza e l'intervento di cittadini liberali (fra i quali lo stesso Nicolo Lombardo), cercano di frenare l'irruenza spaventosa del popolo. Vedi anche B. Radice in "Nino Bixio a Bronte" di B. Radice. Sopra, un antico disegno di Bronte tratto dalla Storia della città di Bronte di G. De Luca, (Milano 1883): così doveva apparire, arrivando da Catania, il paese all'epoca dei "Fatti". Nel 1860 la città contava circa 10.000 abitanti.
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