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Chiese di Bronte

San Vito

Visitiamo, insieme, la Città di Bronte

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Chiesa e Convento di San Vito

La Chiesa di San Vito e l’omonimo attiguo convento sorgono nella parte più alta del paese e prospettano sulla grande piazza panoramica in prossimità dell’asse viario più antico del paese: la via Santi che partendo da Piazza Maddalena (oggi Piazza Nunzio Azzia) arriva fino al santuario dell'Annunziata, nella parte bassa di Bronte.

L'edificio è posto in posizione angolare rispetto alla piazza; la tipologia è quella tipica della chiesa ad aula a navata unica con ingresso sopraelevato e scale in pietra lavica, a tre lati.

Sicuramente la chiesa è di umili origini; «ebbe povero e debole nascimento» scrive Benedetto Radice. Inizialmente fu costruita dove sono ora la sacrestia ed il corridoio del refettorio e forse, come si usava allora fabbricare a Bronte, era stata cementata con argilla.

Nessun cenno è fatto nè del convento nè della chiesa nel resoconto che il vescovo di Monreale, Mons. Torres, fece in occasione della su visita pastorale a Bronte del 1574.

P. Gesualdo De Luca nella Storia della Città di Bronte scrive che verso la fine del 1500  «D. Rocco Papotto, a sue spese fabbricò la Chiesa di S. Vito, dalla quale poi sorse la più ampia costrutta dai Padri Osservanti.»

L'antica chiesetta ed il terreno circostante qualche decennio dopo furono, quindi, concessi ai frati Minori osservanti dell'Ordine di San Francesco per fabbricarvi il convento.

Le prime notizie certe sono, infatti, dell'ottobre 1589 quando l'arcivescovo di Monreale, in una nuova visita pastorale a Bronte, ordinava che fosse tolto l'altare fuori della chiesa e del 1592, quando il vicerè conte di Olivares disponeva "... che per la fabbrica di detto convento fosse concessa per tre anni la gabella della carne, che importa onze 25 all'anno".

Da quella data la piccola chiesa ha subito numerosi restauri e rifacimenti:

  San Vito, planimetriafu ristrutturata nel 1643 (dai maestri Matteo e Michele di Palermo, essendo guardiano padre Antonio da Bronte, comè è riportato sull’architrave della porta maggiore);

  l’interno fu restaurato e decorato nel 1879 (per cura di Nunzio Capizzi Monachello);

  l’abside venne rifatta a nuovo con ricche dorature e fregi nel 1880 (dall’arciprete Giuseppe Ardizzone);

  la balaustra dell’altare maggiore fu fatta nel 1894 (a cura del frate Francesco di Bronte).

Non si hanno notizie, invece, circa la costruzione della cantoria, composta da una solida volumetria voltata poggiante su colonne di marmo (vi si accede esclusivamente dall’attiguo convento).

Sul prospetto, semplice e composto, concluso in alto dal timpano appena accennato, risaltano la sagoma nera del portale basaltico di belle proporzioni, con decorazioni floreali scolpite a bassorilievo, e la scalinata prismatica centrale in pietra lavica. Sull'arcosolio è scolpita la scritta "Pax et bonum".

L’interno ha una configurazione volumetrica semplice ed unitaria anche se è certo che è risultato di interventi succedutesi in epoche diverse.

E' ad unica navata, con abside e cantoria.

Le ricche dorature ed i fregi raggiungono il massimo della decorazione nella parte emisferica dell’abside.

La chiesa ha sette altari.

A destra entrando, Sant’Antonino, San Vito e San Pasquale; a sinistra San Giuseppe (l'altare prima era dedicato alla Beata Vergine degli Angeli), San Francesco ed il Crocifisso, un tempo altare di Maria SS. della Purità.

San Vito in un disegno del 1883 (a sinistra) e (sopra) com'è oggi.

A destra e sotto, il bel porta­le in pietra lavica con deco­razioni floreali scol­pi­te a bas­sorilievo.

Posti in posizio­ne elevata rispet­to al paese, la chie­sa ed il convento di San Vito spic­ca­no nel pano­rama bron­tese.
A destra una spet­tacolare colata lavica fa da sfondo ai due edi­fici. (foto Currenti)


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L’altare maggiore, adorno di marmi policromi, è consa­crato alla Vergine Immacolata (preziosa la statua in legno).

Su di esso sono impostate quattro colonne con capitello corinzio che sorreggono l’aggetto della cornice su cui è impostata la volta della cupola.

Nella cantoria (accessibile solo dall'interno del convento) si notano un coro ligneo con sedili e schienali raccordati in alto da una cornice intarsiata su colonnine e capitelli scol­piti, un legio girevole su basamento esagonale ed un dipin­to su tela raffigurante un monaco francescano seduto.

Accanto al convento, un tempo, esisteva un piccolo cam­po­santo dove erano seppelliti i poveri (l'attuale via Cam­po dei Fiori, vedi mappa del 1850 riportata sotto), diritto che si era riservato la Universitas di Bronte nel cedere la chiesa ai frati Minori.

L'altare maggioreLa cantoria

L'interno della chiesa e la Cantoria con un grande organo poggiante su colonne di marmo. A destra, un prezioso quadro, raffigurante Maria SS. della Purità, conservato nel convento.

Scrive ancora il Radice che «Nel 1903, in maggio, gli am­mi­nistratori del Comune cedettero in enfiteusi a quattro frati il convento, di cui per la legge di soppressione era divenuto proprietario il Comune.

Quando per l’amenità del sito, la salubrità dell’aria avrebbe potuto essere adibito a scopo di pubblica beneficenza, costruendo una via di circonvallazione, che dall’orto degli Artale, che è al principio della strada principale, a mezzogiorno, conducesse a S. Vito, e di là alla stazione.
Una via larga avrebbe abbellito il paese, in verità molto inestetico; e rese praticabili le sue viuzze sassose, fangose, tortuose; ma gli interessi di parte sono prevalsi a quelli del popolo: come sempre!»




San Vito

di Luigi Margaglio

San Vito, disegno di Nunzio SciavarrelloE’ ubicata al vertice, quassù, - trivio e quadrivio insieme - coi quattro vicoletti che la spiamo, e le tre larghe strade che vi sboccano: attraversandola, due vi si congiungono, la terza sale a correre pei campi, e si smarrisce nel deserto lavico.

San Vito, acquerello di Mario SchiliròPiazza San Vito (se tale può chiamarsi) - dominata ad oriente dal convento, e intorno da casette che la cingono -di cui sol una mostrasi agghindata tra il verde ombroso di pampinea vite: l'altre coi muri scuri e sgretolati, quasi corrosi dalla lebbrosìa.

C’era una volta (sono ormai molt'anni) un filo limpidissimo di acqua, che sembrava sgorgasse dal convento, al pari di una mistica fontana. Scendeva dalla cànula di pietra, e scivolava tacito sul musco, lunghesso il muro, nella vasca verde.

Donne e bambini andavano ad attingere; bestie si dissetavano passando; uccelli, all’alba, discendeano a volo, a spruzzarsi di gocciole le piume; ed era, ogni pozzetta, un beverino. Esigua vena, ma ristoratrice! Poi venne meno, misteriosamente: e pullulò altrove nell'altura.

Adesso c’è qualche altra fontanina, ma scroscia a volte e giovani e ragazze rissano per colmare le mezzine.  L'acqua non ha la forza di salire, giù, dalla valle al vertice del colle.

E la piazza è più sola ed intristita, come se fosse esclusa dalla gioia.

Radi i passanti. Qualche bimbo ruzza. Nell'iner­zia dell'aria mattinale palpita il bianco volo d'un colombo.

Le capre, munte, sostano nell'ombra; poi vanno insieme al cenno del pastore.

E le ore del giorno sono lente a scorrere, e il silenzio le conduce. Sembra che il tempo - qui - trascorra invano, nulla arrecando, nulla cancellando.

In alto, a destra del sagrato, appare un lembo della "Silva" dei Minori, sempre invariato nella fronda eterna dei cipressetti aguzzi e i glauchi ulivi.

Il convento e la chiesa francescana - grigi di miserezza e di stanchezza, stanno ancora a guardare, da tre secoli, la lontana pianura del Simeto - e le colline digradanti in giro - sfumate di cerulea lontananza.

Invano il treno scivola rombando sulle rotaie lucide del poggio, e la desta ogni giorno col suo fischio. La piazza resta immobile e immutata.

Cantano - salmodiando - a nona e a vespro, i frati con la tunica marrone.

Squillano a festa, o annunziano il trapasso, le tre campane in cima al campanile. I due martelli battono in cadenza - sulla rovente incudine del fabbro.

Echi e rumori noti e ripetuti, che sono stati e che saranno sempre.

E qui la gente - umile e paziente vive la vita semplice e solare, nell'attesa che varchi il limitare l’Eguagliatrice ultima e silente.

(Il brano è tratto da "Il Ciclope", Bronte allo specchio del 22 settembre 1946. Il disegno in bianco e nero è di N. Sciavarrello (1946); quello a colori è un acquerello di Mario Schilirò.
 

Bronte, Convento di S. Vito, mappa (1850)

All'alba del 10 Agosto 1860, vicino al portone della Selva, così detto perché immet­teva in una spaziosa selva del convento di San Vito (sopra in una mappa dell'epoca), in presenza di tutta la popo­lazione bron­tese, Nino Bixio fece fucilare i cinque presunti colpevoli di stragi e incendi dei Fatti di Bronte del 1860.

In loro ricordo, nell'Ottobre del 1985 in occasione di un Convegno-processo sui fatti del 1860, ai pie­di della scalinata che immette sul piaz­zale della chiesa, il Comune ha fatto erigere un monu­mento.

Le due targhe apposte sul monumento recitano:

"Ad perpetuam rei memoriam che nell'agosto 1860 di cittadini bron­te­si donò la vita in olocausto - Ammi­ni­stra­zione Comunale 10 ottobre 1985". Il monu­mento alle vittime del 1860, eretto ai piedi della scalinata che immette sul piaz­zale antistante la chiesa è opera dello scultore brontese Domenico Girbino

 

    

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