Gesualdo De Luca
Scrittore versatile, passionale uomo di cultura, patì il carcere per le proprie opinioni ed
anche un libro messo all'Indice
Giuseppe Ignazio De
Luca, in religione Gesualdo, figlio di Giosuè, nacque a Cesarò il Agosto 1814, in uno dei brevi periodi che la mamma - Maria Savoca Panneri - originaria di quel paese, soleva trascorrere nella casa paterna.
Custode Generale e Priore cappuccino e autore di numerose e dotte opere teologiche, canoniche e storiche.
Firmò sempre le sue opere Gesualdo De
Luca da Bronte, quelle edite vanno dal 1843 e sono oltre 40; quelle
inedite sono molte diecine e si trovano a Messina.
Brillante oratore ed educatore, uomo
del fare dal carattere focoso ed irruente, si interessò e scrisse di
tutto di Teologia, Diritto civile e canonico, Storia, Fisica,
Apologetica ed altro.
Probabilmente svolse i suoi primi studi nell'allora "Regie Scuole di Bronte" del Collegio Capizzi, fondato da pochi decenni e già in grande fulgore, anche se un suo biografo, Salvatore Paternò (nel suo
"G. De Luca, Teologo del sacramento del matrimonio", Ed. Dehoniane, 1979) scrive che anche se può affermarsi almeno una sua dimestichezza con l'atmosfera del Capizzi", «le ricerche condotte non ci autorizzano a dedurlo; il Radice non ne parla nè lo stesso De Luca».
«Se il giovane De Luca - continua Paternò - non frequentò il Capizzi certo non era da meno nè viveva ai margini; già era vivo in lui l'interesse culturale che lo metteva a confronto con i giovani dello stesso Collegio e che, in seguito, l'avrebbe distinto tra i Cappuccini».
Dopo aver superato a Bronte gli esami e le formalità preliminare per essere ammesso all'ordine il giovane Giuseppe Ignazio Biagio De Luca, nell'ottobre del 1829, lascia il paese e a Castelbuono veste l'abito cappuccino assumendo il nome di Gesualdo.
Dopo un anno di noviziato trascorso in questo convento fu mandato dai superiori nel Santuario di Gibilmanna per completarvi gli studi.
Fu ordinato sacerdote il 23 settembre 1837 e probabilmente ritornò a Bronte fino al 1840 per prepararsi al cosiddetto "esame di predicatore" in uso allora nell'Ordine dei Cappuccini.
Il suo ingresso nella "scena pubblica" lo fa nel 1843 quando è chiamato come segretario di padre Felice Fenech da Lipari, superiore provinciale a Messina e Siracusa e successivamente Procuratore generale dell'Ordine.
Nel 1846 lo troviamo già Guardiano del Santuario di Gibilmanna, dove
riordinò l'Archivio riunendo ordinatamente tutte le scritture e si meritò il titolo di
Benemerito per le varie opere fatte, descritte nel suo opuscolo "Il Santuario di Gibilmanna".
Ottenne
dalla Santa Sede vari Rescritti che accordavano molti privilegi e grazie
spirituali al Santuario.
Trasferitosi a Roma, nel 1847 fu nominato segretario generale della Procura "per le risposte e consulte alle Sacre Congregazioni
e membro della Commissione formata per l'esame delle Ordinazioni e Decisioni dei Capitolo Generale.
Nel 1848, seguendo Pio IX che lasciata Roma si era rifugiato a Gaeta, padre Gesualdo si trasferisce a Napoli nel convento di S. Eframo Nuovo. Nelle due città ebbe modo di frequentare alti esponenti del mondo ecclesiastico e culturale dell'epoca (fra i quali i fratelli De Luca, Antonino Saverio, il cardinale, e l'economista Placido, a lui legati anche da rapporti di parentela).
Un anno dopo, nell'agosto del 1849 torna a Bronte, dove la notorietà che lo aveva preceduto gli aprì subito le porte dell'insegnamento.
Fu nominato lettore di Teologia Dogmatica e Morale delle scuole dell'Ordine (dove insegnò per quattro anni) e
successivamente nel Real Collegio Capizzi dove - scrisse lui stesso - «per lunga stagione
fu Professore sulle cattedre di Diritto Canonico, di Teologia Dogmatica, di Filosofia, di Rettorica,
e Letteratura latina, ed italiana» (dove ebbe fra i suoi allievi lo scrittore Luigi Capuana).
I libri e la Storia della Città di Bronte
A Palermo (in quella università alla fine del 1859 ebbe dalla Regia Deputazione la patente di professore sostituto di diritto Canonico) iniziò per primo a ricercare antichi documenti e fonti sulla storia brontese riportandoli nel suo più famoso libro la "Storia della Città di Bronte", un ponderoso volume di 450 pagine edito a Milano nel 1883
(Tipografia di S. Giuseppe, Via S. Calogero, 9. Prezzo L. 8 in carta comune, e
L. 10 in carta di lusso).
L'opera, ristampata recentemente da Atesa editrice
(Bologna 1987) per la Banca Mutua
Popolare di Bronte, è divisa in tre parti: la prima, Epoca storica
favolosa capp. I-VIII pagg. 15-84; la seconda, Epoca luminosa capp. I- XXI
pagg. 85-358; la terza, il Territorio capp. I-VI pagg. 359-440. Contiene 47
illustrazioni riproducenti luoghi, chiese, personaggi e fregi vari.
«Le origini della città di Bronte - scriveva il 5 luglio 1884 la Civiltà
Cattolica
nel recensire il libro - si perdono nella più remota antichità, e probabilmente
si rannodano coll’epoca favolosa della Sicilia. Ma le memorie veramente storiche
sono relativamente recenti, non rimontando che al decimo o all’undecimo secolo
dell’era cristiana; ed anche queste sono assai scarse. «Il ch. P. Gesualdo De
Luca, consigliato da patrio amore, si è studiato di ricercare
colla maggiore possibile diligenza i primordii di questa sua terra
natale fin nei tempi favolosi, argomentando di congetture, dove non
poteva per via di monumenti diretti. In cotesto arringo egli dà pruova di ampia e molteplice erudizione geografica ed
etnografica; la quale, se non sempre gli offre conclusioni certe o almeno
abbastanza probabili per la esistenza di Bronte in quegli antichissimi tempi,
gli apre però il campo di porgere al lettore notizie utilissime intorno alle
condizioni telluriche dell’isola ed ai suoi abitatori in quelle vetustisslme
età.» «La storia di Bronte propriamente detta, ha principio nel secolo XV; e il nostro
ch. Autore la descrive in tutte le sue particolarità e con somma accuratezza,
sia nei pubblici avvenimenti e nelle relazioni politiche e attinenze coi popoli
vicini, sia nelle condizioni religiose, sia finalmente nei fatti particolari più
degni di memoria. Vi ha una rassegna degli uomini più ragguardevoli che l’hanno illustrata, o
colla santità della vlta e con opere di zelo, o con cariche illustri, massime
ecclesiastiche, ovvero colla dottrina e con libri dati alla luce.» «Termina il lavoro con uno studio accurato intorno alle vicende patite per le
eruzioni vulcaniche ed altre condizioni del terreno, vuoi sotto il rispetto
geologico, vuoi sotto il rispetto della fertilìtà e dei prodotti. È un lavoro
che non solo deve esser tornato gradevole ai brontesi, ma sarà accolto con
favore dagli amatori degli studii storici. Lo stesso Santo Padre l’ha degnato di
onorifico Breve.» Molti, come la stessa Civiltà Cattolica, giudicano
molto "fantasiose" le ricostruzioni storiche fatte dal
frate cappuccino, scritte più con «patrio amore» che con ricerche, documenti e studio; un altro nostro storico,
Benedetto Radice, definì "caotico" il tentativo fatto anche se, afferma, "di che gli va pur
data lode". Lo stesso padre Gesualdo, nel "Proemio", nel dichiarare di sentire superiore alle sue forze
intellettuali, «alle acquistate cognizioni» ed sue «letterarie abitudini»
l'intraprendere a scrivere la Storia di Bronte così dichiarava: «esprimo il sincero voto del mio cuore, che sorga dopo di me un Brontese migliore
di me nell’ingegno e nel sapere; per produrre cosa maggiore e più utile.» E
l'auspicio del frate Gesualdo si è avverò perfettamente alcuni decenni dopo
con Benedetto Radice e le sue Memorie storiche di Bronte. In quegli anni, nonostante
le ricerche e l'intenso studio per portare a compimento
l'opera, l'insegnamento e la pubblicazione di numerose altri
libri, lo zelo pastorale del De Luca non accusa attenuazioni. Fervido oratore, con le sue predicazioni quaresimali interessava tutta la Sicilia ed era conteso dai vescovi dell'Isola. Ne danno testimonianza le tre edizioni della sue "Orazioni Sacre" (Catania 1866 e 1868, Roma 1874). Il suo biografo Salvatore Patanè cita quelle sicuramente accertate: Riposto (1850), Piedimonte (1851), Palazzolo (1855), Barcellona (1856), Termini Imerese (1858), Gangi (1860), Francavilla (1861), Messina 1874, Cesarò (1877).
Uomo di studio e di azione, dalla lineare condotta morale, dotato di ingegno versatile e profondo, pubblicò oltre
100 opere, fra libri, opuscoli e commemorazioni varie, delle quali molte si trovano nella Biblioteche
del Convento dei Padri Cappuccini (prima a Bronte, ora a Messina).
Tra le sue opere vogliamo ricordare: "Storia della Città di Bronte"
(Milano, Tipografia S. Giuseppe, 1883, 450 pagg., il suo libro più noto e con il
quale ancor oggi è ricordato e che vi doniamo in formato Pdf); Storia del Collegio Borbonico di Bronte (estratto dal Giornale Gioenio di Catania - 1852), "Il diritto di proprietà nell'insegnamento e nei fatti della chiesa" (due volumi, Catania 1853), "I diritti divino e umano" (in due volumi, Catania 1854 di 422 pag. e Palermo 1857 di 325 pag.),
Esame di controversie ecclesiastiche (Catania, 1859, pag. 325), Vita del Sac. D. Ignazio Capizzi da Bronte, uomo apostolico di Sicilia
(Catania, tipografia di C. Galatola - 1861); Questioni di Diritto Pubblico Ecclesiastico
(Catania - tip. di C. Galatola - 1868); Orazioni sacre (terza edizione. Roma 1874, pag. 540),
"Cur verbum caro factum est" (Catania 1869 (ebbe una notevole risonanza, testimoniata anche dalla recensione che ne fece la Civiltà Cattolica, X, 1970, 59, ss.), "Consecrator christiani matrimoni" (Catania, 1871 e 1876, quest'ultima edizione messa all'Indice da Leone XIII).
Padre Gesualdo, da "buon compaesano", attaccato alla tradizione ed alle proprie vedute, si unì anche al coro dei nemici e dei detrattori che cercavano di confutare e demolire le tesi anticipatrici di Nicola Spedalieri.
Conservatore e filoborbonico, si scagliò specialmente contro le "assurde,
false teorie"
(così le definì nella Storia della Città
di Bronte) sostenute dallo Spedalieri nel Libro primo "De' Diritti
dell'uomo" ove, scriveva, «sragiona dei diritti e dei doveri dell’uomo e del contratto sociale, che forma la grande sventura di questa opera di lui».
In un altro suo libro "Il contratto sociale discusso a mente dei sacri canoni" (Catania, 1882) rivolse feroci critiche al pensiero del filosofo definendolo, fra l'altro, "un miserabilissimo copista delle più empie teorie che forsennati ("Rousseau e simili deliranti") avevano scritto intorno all’origine e qualità de’ diritti e doveri naturali degli uomini…" e loro "ombra nefasta" che "…si avvolse in tante contraddizioni …".
Si propose anche "eccitato da buoni amici, a raddrizzare questa grande opera del sacerdote Spedalieri ...se Dio gli avesse accordato vita longeva".
"Ma - scrisse Giuseppe Cimbali (Attorno a Spedalieri, I vituperi di un secolo, Roma 1899) - l'annunziato scempio non fu compiuto. Per fortuna, Iddio non concesse ... la sperata longevità e lo scempio rimase allo stato di criminoso tentativo".
Il carcere
|