L’Italie, giornale in lingua francese ("politique quotidien" stampato a Roma) di Lunedì 27 Giugno 1881 così ne scriveva: «Sine ira et studio, M. Cimbali s’est comformè à cette èpigraphe inscrite en tête de sa brochure L’histoire des partis politiques, c’est-à-dire de la droite et de la gauche, est tracèe avec assez d’exactitude, avec impartialité, mais surtout dans un langage èlevè , calme, honnête. (...)» Nel 1885 Enrico Cimbali partecipa al concorso a cattedra presso la Regia Università di Torino, classificandosi ex equo col prof. Polacco il quale però viene prescelto sia per la giovane età di Enrico come pure perché ritenuto, negli scritti, rivoluzionario. Un anno dopo, nell'ottobre del 1886, ottiene l’ordinariato nel concorso a cattedra presso la Regia Università di Messina ed il 25 Gennaio 1887 inaugurava da professore ordinario le sue lezioni. Enrico Cimbali ebbe anche una singolare attitudine alla vita politica e con la sua integrità morale, l'eloquio preciso ed elegante, un'acutezza speciale nel cogliere il giusto punto di ogni questione e nel vedere chiaro tra i vari partiti e gli uomini che li capeggiavano (come attesta la sua opera "I partiti politici in Italia") egli avrebbe portato nella vita politica dell'epoca il vigore della giovinezza, l'entusiasmo del suo temperamento e la saggezza dei suoi consigli frutto della sua profonda cultura giuridica. La sua prima esperienza in campo politico fu quella di giovanissimo consigliere provinciale a Catania seguita, a 31 anni nel 1886, dalla candidatura a Montecitorio del 2° Collegio di Catania. Viene eletto e salutato come il più giovane deputato d’Italia; la Giunta elettorale, però, non convalidava l’elezione ed al suo posto, anche se per pochi voti di scarto, venne eletto l'on. Romeo. Un anno dopo, a maggio 1887, muore l’on. Romeo, deputato del 2° Collegio di Catania, e si fissano nuove elezioni per domenica 26 giugno. Viene nuovamente proposta, anche dal partito d’opposizione, la candidatura di Enrico Cimbali, da sei mesi professore dell'Ateneo messinese. "Egli - scrive un suo collega, il prof. A. Fleres - dubita dapprima, poi si risolve a deporre la toga di insegnante per accettare la medaglia di Legislatore". Per lui si prepara non un’elezione ma un vero voto plebiscitario. Improvvisamente, però, la morte lo colse il giorno prima della data delle elezioni. Nei sui scritti teorizzò rivoluzionari concetti giuridici sull'allargamento del suffragio elettorale contro l'esclusivismo dei pochi che comandavano sul popolo, sul lavoro delle donne e dei bambini, sugli infortuni sul lavoro, sulla tutela dell'igiene e della salute pubblica, sulla ricerca della paternità naturale e fu autore, fra l’altro, di uno studio sul divorzio che appare come prefigurazione della legislazione vigente in materia. Si affermò subito in campo nazionale tanto da essere riconosciuto ed acclamato capo della nuova scuola italiana di diritto privato, meritandosi la fama di propagatore delle nuove dottrine giuridiche, non solo in Italia ma anche in Europa. Fu l’iniziatore della riforma delle legislazioni civili moderne: pubblicò importanti saggi e studi sul diritto civile, prospettò riforme alle leggi dell’epoca e aprì nuove vie nel campo del diritto pubblico e privato. Nei pochi anni di vita scrisse numerosi libri: ricordiamo - "La nuova fase del diritto civile nei rapporti economici e sociali con proposte di riforma della legislazione civile" (Torino, Utet, 1885, in 8° di pag. 376), -
"Del possesso per acquistare i frutti" (Napoli, Marghieri Editore, 1879, Vol. 35° della Biblioteca di Scienze Giuridiche e Sociali), - "La proprietà ed i suoi limiti nella legislazione italiana" (Bologna, Fava e Garagnani, 1880), - "Studi di diritto civile" (Torino, Utet, 1900), -
"Della Capacità di contrattare secondo il Codice civile e di commercio" (Torino, Utet, 1906), - "Questioni di diritto". Enrico Cimbali morì giovanissimo nel 1887 a Messina, a soli 31 anni, dopo una breve e violenta malattia e alla vigilia di una plebiscitaria elezione che lo avrebbe portato nel 2° Collegio di Catania alla Camera dei Deputati. L'elezione era indetta per Domenica 26 Giugno 1887; un giornale locale due giorni prima scriveva: "Non è solamente un'elezione che si dovrà fare domenica, ma un plebiscito ed una grande manifestazione di affetto e di entusiasmo". Enrico moriva, invece, alle tre pomeridiane di Sabato 25 Giugno, colpito da infezione tifoidea in una stanza dell’albergo “Belle Vue” a Messina. "La gioia della sua plebiscitaria elezione a deputato del Parlamento, in un baleno, fu convertita nel lutto più profondo, nella delusione più sconfortante", (così lo commemorava Benedetto Radice). La coscienza popolare, e dei suoi concittadini in modo particolare, si ribellò all'idea di una morte naturale e, come fece nel caso del filosofo Nicola Spedalieri, lo volle vittima a tutti i costi del veleno. Ma tutti gli obiettivi che si era prefissato di raggiungere, li superò nel breve arco della sua vita. Nella scienza fu riconosciuto e acclamato Capo della nuova scuola italiana di diritto privato. Nella Cattedra fu subito professore ordinario. Nel Foro aveva già acquistato la fama di uno dei primi avvocati d'Italia. Nella Politica rimase fulminato davanti alla soglia di Montecitorio.
Il suo libro, "La nuova fase del diritto civile", dove "assurse ad antesignano della riforma del Diritto privato", è stato tradotto e utilizzato in molti Stati esteri. Rappresentò la sintesi più profonda di tutte le idee riformatrici che si manifestarono in Italia in quel periodo e da cui attinsero molte nazioni per tracciare le linee delle loro nuove legislazioni (Germania, Spagna, Svizzera, Brasile e altre).
Citiamo, a titolo di esempio, il fatto che, a soli 27 anni, il Governo spagnolo gli affidò il delicato incarico di esaminare il progetto del suo nuovo codice civile. Il fratello Giuseppe, ventiquattro anni dopo la sua morte, curò nel 1912 la pubblicazione delle opere complete (Torino, Unione Tipografica-Editrice), aggiungendovi l’"Epistolario" (lettere al padre, ai fratelli, elettorali, ai grandi dell’epoca) e, in appendice, le "Lettere di illustri italiani e stranieri" scritte ad Enrico Cimbali. Di lui hanno scritto il Clovis Belaqua dell’Università di Recife (Brasile), Renè Worms, Federico Castejòn, Francisco Esteban (traduttore dell'edizione spagnola del libro del Cimbali, pubblicato a Madrid nel 1893). Benedetto Radice lo definì "giureconsulto continuatore della sapienza giuridica romana, glossatore del Diritto che si evolve nel tempo secondo i nuovi bisogni, decoro del Paese e dell'Italia giuridica". Vittorio Emanuele Orlando all'inaspettato annunzio della sua morte dichiarò che il nome di Cimbali "ormai fa parte inseparabile della storia delle discipline giuridiche del nostro tempo". |