La lunga esperienza fatta a traverso il corso dei secoli e l'alternarsi
delle generazioni ha portato con sé l'affermazione dell'individuo e
dello Stato come i due termini essenziali nei quali si sostanzia e
s'integra il concetto completo dell'umanità. Ma la semplice affermazione astratta della loro rispettiva personalità non
basta, quand'essa non sia seguita da un ordine corrispondente di relazioni
armoniche fra queste due potenze che, dopo aver combattuto disperatamente
per demolirsi a vicenda, hanno dovuto finire col riconoscere di essere la
loro mutua esistenza una condizione primitiva di necessità pel mantenimento
e lo sviluppo della convivenza sociale. Uscite entrambe salve dalla feroce
battaglia per la vita è d'uopo ora si intendano fra loro perché trovino il
modo più adatto di vivere in armonia, essendo il vivere insieme divenuto
necessità indeclinabile per ciascuna.
La pace dopo la lotta non può dirsi sicura né durevole, se allo stato di
mutua affermazione non risponda uno stato di cordiale ed amichevole
relazione, se lo stato di diffidenza reciproca sin oggi accentuata non ceda
il luogo allo stato più adatto di deferenza e di benevolenza reciproca, e se
infine questi due elementi, oggi entrati in una nuova fase di amicizia,
anziché trovare cagione di debolezza e di sgomento, non trovino nella loro
coesistenza una sorgente inesauribile di forza e di conforto. Tutto annunzia ormai che un nuovo periodo di rapporti pacifici tra lo
Stato e l'individuo possa inaugurarsi, se pur non siasi di già,
anche ad insaputa di coloro che se ne rendono necessario strumento,
cominciato ad inaugurare. Della quale legislazione fin soltanto il nome suol
destare un sacro orrore nei più timorati di coloro che per lunga
consuetudine si sono abituati a ravvisare un elemento di oppressione e di
tirannia nello Stato; mentre altri più moderati, ma meno logici, senza
nutrire l'avversione dei primi contro l'ingerenza dello Stato, si sforzano
virilmente per giustificarne l'azione nelle materie sopra enumerate, dicendo
che in esse lo Stato non eccede il limite del suo ufficio ordinario di
tutela, il cui esercizio è riconosciuto legittimo universalmente da tutti.
Credono con questa pietosa finzione di tranquillare i mesti risentimenti
della loro coscienza. Ma il certo è che un nuovo campo fecondissimo, prima ignoto ed inesplorato,
si dischiude all'azione dello Stato di cui è vano sofisticare sul nome,
quando nel fatto essa non è che il prodotto di una recente evoluzione
compiutasi nell'organismo dello Stato. È d'uopo quindi vedere in che consista siffatta evoluzione e quale sia la
natura e il valore della funzione corrispondente che il compiersi di essa ha
reso necessaria nell'organismo trasformato dello Stato. Come nel mondo fisico, anche nel mondo sociale due grandi forze si
contendono il dominio dei fenomeni molteplici che si svolgono nella vastità
del tempo e dello spazio; le quali forze, mentre nel primo campo prendono il
nome di attrazione e di ripulsione, nel secondo invece
vogliono denominarsi egoismo ed altruismo.
Queste due forze hanno dominato e domineranno sempre nel mondo, ma la
loro azione si spiega in senso perfettamente opposto. La tendenza egoistica si esercita nel trarre la maggior somma di utilità e
di vantaggio a spese del tutto, in beneficio della parte, dalla quale muove
come punto di partenza ed alla quale ritorna come punto di arrivo. La forza altruistica invece segue il processo opposto esplicandosi in modo
da raccogliere, con danno e perdita evidente delle parti, la maggior somma
di utilità e di vantaggio possibile in beneficio del tutto. La natura provvida però ha mirabilmente disposto che ciascuna di queste due
forze non debba agire isolatamente e senza correttivo, poiché ciò renderebbe
inevitabile la rovina e l'annullamento completo della forza contraria. E
così, studiando attentamente tutte le fasi graduali dell'evoluzione sociale,
vediamo come, in ogni tempo ed in ogni luogo, siasi sprigionata con perfetta
regolarità una somma di forze proporzionale e al principio egoistico e
all'altruistico, quant'era necessario per la conservazione ed il progresso
ordinato dell'umanità. |
|
Il saggio di E. Cimbali "La funzione
sociale dello stato moderno" è di poco
posteriore alla prolusione al corso di Diritto civile tenuta nel 1881
dal Cimbali nella Regia Università di Roma.
Fa parte dei manoscritti
conservati nella biblioteca del Real Collegio Capizzi e doveva essere
pubblicato su la “Rassegna settimanale
di politica scienze lettere ed arti”, prestigiosa rivista nata a Firenze nel
gennaio del 1878 sotto la guida di Franchetti e Sonnino, ma non vide
mai la luce, probabilmente a causa delle difficoltà del periodico che
qualche mese dopo la consegna degli articoli sospendeva le
pubblicazioni. Unitamente ad un altro saggio dal titolo “Le prime due fasi dell'
azione dello Stato” è stato recentemente pubblicato e
commentato da Paoladele Fiorentini dell’Università di Catania (“Enrico
Cimbali e la funzione sociale dello stato moderno”, Giuseppe Maimone
Editore, Catania 1987, euro 9,00). In questo saggio Enrico Cimbali – scrive la Fiorentini - «applica
rigidamente uno schema di tipo evoluzionistico, i cui due termini di
riferimento, nello sviluppo dell'uomo e delle società umane, sono
rappresentati da un lato dall'individuo, dall'altro dallo Stato,
“termini essenziali nei quali si sostanzia e si integra il concetto
completo dell'umanità”. A questo impianto di tipo dicotomico, che di
fatto costituisce il fondamento di ogni struttura sociale, Cimbali
applica una interpretazione rigorosamente organicistica, che mutua dalla
realtà fisiologica i propri concetti esplicativi e li estende al mondo
sociale, analizzato secondo le forze che in esso si manifestano, e che è
tesa soprattutto a riconoscere e identificare gli elementi determinanti
che sono alla base della molteplicità dei fenomeni. E come nel mondo fisico le due forze principali sono quelle di
attrazione e di repulsione, così in quello sociale le due forze
elementari e fondamentali sono rappresentate dall'egoismo e
dall'altruismo, principi di fondo che agiscono in senso opposto e
conflittuale, le cui manifestazioni storiche si concretizzano nelle
forme dell'autoritarismo e del liberalismo, l'uno volto alla sola
conservazione del tutto e della collettività, l'altro alla difesa
esclusiva del solo interesse privato.»
NEL NOSTRO SITO SU ENRICO CIMBALI
Enrico Cimbali, vita ed opere E. Cimbali nei giornali dell'epoca
Cimbali
esponente di punta del socialismo giuridico
Cimbali nel 1° centenario della morte
del ven. I. Capizzi |
|
Questi due principii, nelle loro manifestazioni storiche, si sono rivelati
con la forma concreta di autoritarismo e di liberalismo, compendiandosi
nell'uno di essi l'azione esercitata dallo Stato in servigio esclusivo
dell'intera convivenza, mentre nell'altro si compendia l'azione contraria
esercitata dall'individuo nel suo interesse esclusivamente privato. La loro
potenza però, nei primordi dell'umanità, del pari che in ogni altro ramo
della vita, anziché distinta si è mostrata confusa ed involuta; e la
medesima sorte è toccata di necessità alle singole azioni nelle quali la
medesima si è incarnata. È agevole difatti l'osservare come nei gruppi
primitivi elementari della convivenza sociale (famiglia tribù)
l'interesse privato si identifichi mirabilmente coll'interesse collettivo e
come si mostri là più, imponendo a tutti i membri della convivenza una
cooperazione decisamente obbligatoria. A questo tipo di società organizzata militarmente, dove lo Stato è tutto e
l'individuo nulla, si contrappone, come antitesi, il tipo della società
industriale, a cui si giunge per una serie graduale di evoluzioni, quante ne
sono necessarie perché dallo stato di completo accentramento si passi a
quello opposto di discentramento non meno completo.
E tali evoluzioni
successive nell'organismo dello Stato non sono che la conseguenza immediata
di una evoluzione corrispondente per cui, con ordine graduale, il sistema e
le arti della guerra cominciano a cedere il luogo al sistema e alle arti
della pace. Col declinare del militarismo, che determina la struttura politica di
accentramento dello Stato, comincia a formarsi la struttura politica di
discentramento determinata dal regime industriale e dalle arti della pace,
che ne sono causa ed effetto nel medesimo tempo. Cessando la forza di compressione onde tutti i membri della convivenza
sociale trovavansi
violentemente stretti e soggiogati in servizio del tutto, quelli cominciano
ad acquistare un valore personale proprio, per cui rivendicano
progressivamente una parte di autonomia che prima trovavansi d'aver perduto
intieramente in beneficio dello Stato. Questo perciò si trova costretto a ritirar mano mano una parte della sua
ingerenza dalle materie dove si sperimenta più e più incompatibile colla
cresciuta libertà degli individui, i quali acquistano gradatamente quella
sfera di potere che lo Stato trovasi costretto ad abbandonare.
Anzi la fonte
stessa del potere che prima riconoscevasi, senza contrasto, intera nello
Stato, poscia viene a riconoscersi anche intera negli individui medesimi dei
quali lo Stato comincia a considerarsi come un semplice mandatario e
depositario della sovranità. Quel che prima s'impone coattivamente per autorità dello Stato, comincia a
compiersi ora spontaneamente per libera iniziativa dei privati; e così
l'associazione libera prende il posto dell'associazione forzata in tutte le
faccende che trovavansi devolute al potere centrale, cercando nel proprio
interesse il movente, e nel proprio diritto la giustificazione degli atti
che si compiono. Così il moto che già veniva a raccogliersi tutto nel centro si spande e si
diffonde nelle diverse parti del corpo sociale, le quali dopo aver
rivendicato la propria autonomia, divengono la causa determinante di
qualunque impulso e di qualunque iniziativa. La compagine primitiva onde i
molteplici elementi della convivenza trovavansi, per vincolo esterno di
coesione legati nell'unità di una forza e di una volontà comune, si rompe;
ma si creano invece, con lento e graduale lavorio di spontanea cooperazione,
dei legami intimi tra gli elementi più prossimi e più affini che si trovano
in contatto, da costituire il primo tessuto cellulare, da cui dee sorgere in
seguito la formazione dei vari ed effettivi organi del corpo sociale. S'invertono quindi le veci: allo Stato onnipotente nel cui seno trovavasi
involuto ed annullato l'individuo si contrappone l'individuo onnipotente
che, detronizzando lo Stato, si colloca al suo posto, ne riveste tutte le
prerogative ed esercita tutte le funzioni. L'unità del potere centrale dispotico ed esorbitante si risolve nella
immensa varietà del potere individuale non meno dispotico ed esorbitante;
l'autorità cede il luogo alla libertà. E tutto quel che prima veniva
compiuto per necessità di comando, si compie ora per libertà di elezione. Allo Stato non restano altre funzioni da esercitare che quelle soltanto che
gli vengono affidate dall'arbitrio degli individui, funzioni meramente
negative le quali si riducono alla semplice tutela del diritto, quand'anche
non sono gl'individui che provvedono direttamente loro alla difesa dei
propri diritti, come nel Medioevo, epoca burrascosa in cui la sovranità
dello Stato venne ridotta completamente a zero.
Dallo svolgersi realmente e praticamente di tali rapporti nella vita
trasformata dello Stato trasse origine una teoria corrispondente in perfetta
antitesi a quella dello Stato antico, la quale fece dello Stato una mutua
associazione di diritti e d'interessi legati insieme dalla libertà
dell'arbitrio. E lo Stato apparve fondato sul contratto di diritto nell'ordine giuridico,
sul contratto di scambio nell'ordine economico, contratto in ambi i casi di
cui gl'individui, com'erano stati liberi nel determinarne le clausole
fondamentali, dovevano reputarsi parimenti liberi nel modificarle alla loro
realtà.
Teoria questa non ancora bandita dal campo della scienza e della
pratica; la quale compendiandosi nella famosa massima: lasciate fare,
lasciate passare, ha finito, quando si vollero trarre le ultime
conseguenze, col lasciar passare l'arbitrio, l'ignoranza, l'immoralità e la
miseria. Sotto l'impero di tale teoria tocca allo Stato lo sterile ufficio di
rimanere spettatore freddo ed impotente nella lotta spietata ed in uguale di
tanti interessi e di tante pretensioni, la quale risolvendosi
inevitabilmente colla sconfitta dei deboli, lascia i forti vincitori non
pure arbitri dei loro debellati rivali, ma arbitri altresì dei poteri e
delle sorti dello Stato medesimo, non potendo questo vietare che si
organizzi, sotto i suoi occhi e suo malgrado, la resistenza legale contro
gli atti più elementari della sovranità, il cui esercizio desta sospetti e
diffidenze inaudite. Le due fasi percorse sinora dallo Stato nell'esercizio delle sue funzioni in
rapporto all'individuo non sono che due fasi storiche di preparazione e di
avviamento di un assetto più normale e più adatto alle trasformate
condizioni della vita sociale, di cui i primi elementi, imposti dalla
necessità stessa delle cose a misura che si annunziano nella pratica,
vengono raccolti ed elevati a sistema dalla nuova scienza sociale che è
ancora in via di formazione. Uno alla volta si sono affermati fin oggi, nel corso dei secoli, tutti e due
gli elementi costitutivi della vita sociale, l'individuo e lo Stato: ma la
coesistenza simultanea di entrambi come termini necessari nei quali
s'integra l'essenza dell'uomo reale, non ha trovato ancora le condizioni
favorevoli d'adattamento. Onde l'affermazione dell'uno ha portato con sé la negazione recisa
dell'altro di questi due elementi. Da capo il processo storico però, non essendo arbitrario, ma essenzialmente
fondato sulla necessità inesorabile delle cose non potea svolgersi
altrimenti. Nel primo periodo era la forza soltanto che, di fronte al pericolo di una
catastrofe comune nella battaglia per la vita con forze rivali, potea
determinare la coesistenza e la cooperazione obbligatoria di tanti elementi
omogenei e perciò ribelli, autonomi, incoerenti, sdegnosi così d'imperio
come di servitù. La forza però, imponendo coattivamente i primi vincoli sociali, servì a
determinare la formazione di legami più intimi e più caldi fra quegli stessi
elementi che sotto l'azione della necessità si trovarono costretti a vivere
insieme a misura che, cessando l'imperio della necessità, trovarono nella
convivenza comune, in seguito alle felici esperienze fatte, il mezzo più
adatto per conservarsi e progredire. Fu perciò che nel secondo periodo la
cooperazione volontaria potè prendere il luogo della cooperazione forzata,
elaborando così isolatamente gli organi rudimentali di una vita più alta e
più completa. Nel primo periodo si affermò l'autorità dello Stato, nel secondo la libertà
degl'individui, il primo imponendo l'associazione forzata, per vincolo
esteriore di coesione, servì di punto necessario di passaggio perché nel
secondo periodo potesse, per vincolo più intimo di elezione, generarsi la
possibilità di una associazione libera la quale avendo provato, per lunga
esperienza, i vantaggi della convivenza sociale, si sentisse poi liberamente
disposta a mantenerla e svolgerla con gara feconda di volontà e di azioni
coordinate nelle serie progressive dell'evoluzione. Però come avviene in tutte le cose l'azione esorbitante ed
onnipotente dello Stato nel primo periodo, per cui venne ridotto a nulla il
valore dell'individuo, fu causa di una reazione non meno esorbitante
ed onnipotente per parte dell'individuo, onde nel secondo periodo venne
ridotta alla più completa impotenza, dopo dispendiose lotte secolari, la
forza dello Stato. Ma finalmente quando cominciaronsi ad avvertire i pericoli opposti derivanti
da un esagerato individualismo, sorse col bisogno, il desiderio di fare
appello nuovamente allo Stato per temperare, colla sua azione moderatrice ed
imparziale, l'azione interessata ed egoistica dei privati. Si delinea così la terza fase di evoluzione nei rapporti dell'individuo
collo Stato; ma di essa si annunziano appena i primi segni, con progressivo
movimento, nell'ultimo mezzo secolo. E già si aprono gli animi alla speranza
di veder cessata una lotta secolare, che ha consumate molte forze, fra due
elementi che dovrebbero vivere in pace ed in armonia fra di loro.
La coesistenza armonica dell'individuo e dello Stato in cui, senza negarsi
il valore e la libera iniziativa dell'uno, possa esercitarsi provvidamente
l'azione moderatrice, integratrice e civilizzatrice dell'altro costituisce
il carattere differenziale della nuova fase nei rapporti tra l'individuo e
lo Stato. Elementi entrambi nei quali si reintegra mirabilmente l'essenza
completa dell'umanità, l'individuo e lo Stato hanno già acquistato
irrevocabilmente, nella lotta dei secoli, il diritto alla vita: bisogna che
trovino ora il modo di poter vivere armonicamente. La soluzione di questo problema però si connette nuovamente alla soluzione
di un problema ancora più arduo, la questione sociale, che è chiamata quando
si sarà costituita, nelle sue basi, a risolvere la nuova scienza sociale.
Enrico Cimbali
|
Ricordi di Roma, Enrico Cimbali
(1885)
Un ritratto a tutto tondo di Enrico Cimbali fatto un anno prima della sua morte dal
giornalista Mira Fiorenza Giuseppe.
E’
stato pubblicato dalla Gazzetta del Popolo (Giornale politico
bisettimanale, anno III, n. 4, Catania
15 Gennaio 1886):
«Io conoscevo il Prof. Cimbali da Catania, quando ancora giovanetto
Egli faceva il suo corso universitario. Ma non ebbi mai occasione di
parlargli; soltanto, quando mi trovavo in biblioteca, io il vedeva
occupato in mezzo ai sapienti libri dell'antichità e dal suo parlare e
dal suo sguardo penetrante, ben si poteva prevedere che uomo doveva
diventare quel giovanetto. Mancante di amici e di relazioni, stordito dal possente umore di
quest'alma Città, mi avvicinai al signor Cimbali.
Egli mi riconobbe
per suo concittadino ed è così che ho potuto ammirare e confessare
nell'animo mio la meritata fama che si è acquistata nella scienza e
nel foro. Figuratevi un uomo che non ha ancora trent'anni, robusto, dalla fronte
spaziosa, dall'occhio nerissimo e vivace, dai forti lineamenti, direi
quasi ruvidi, tutto fuoco, tutto nervi, tutto vigore. Che dirvi
dell'ingegno e della sua dottrina? Ma, Enrico Cimbali non è solo un dotto professore che insegna dalla
cattedra, Egli insegna dal suo gabinetto coi suoi libri; è il
pensatore profondo, è lo scrittore originale che vuol dare nuovo
impulso alle leggi sociali, poichè «la società presente, Egli dice, ha
nuovi bisogni, e però nuove leggi debbono governarla.» E questo Egli
ha fatto colle sue opere: «Lo studio del Diritto Civile negli stati
moderni» - «La nuova fase del Diritto Civile» ed altre
molte che io non rammento, tutte ammirate, studiate e discusse dai
migliori giuristi italiani e stranieri. L'ingegno di questo scienziato é multiforme: lo trovate analitico,
sintetico, astratto, sperimentale. In Lui è maravigliosa la rapidità
del pensiero; la parola è vibrata, è nervosa, insinuante, persuasiva. Ed é curioso - Egli, avvocato, alla cattedra si trasforma; le sue
lezioni scorrono limpide, chiare, precise; pare di sentire un
professore di matematica, tanto é misurato e circospetto. Nel foro
invece trovate l'oratore al quale nulla manca per affascinare anche i
più grandi magistrati. La ragione che mette il Prof. Cimbali nelle cause è qualche cosa di
commovente. Pare che difenda se stesso; il diritto conculcato gli dà
una forza e un calore insuperabili.
I dolori, le ansie i disinganni
sono da Lui sentiti più che dai suoi clienti. Ecco l'uomo di cuore - E
cuore, e ingegno - sentimento e dottrina, fanno del Professore
Cimbali, non un uomo, ma un principio, Virtù e sapere. Che dirvi poi della sua straordinaria attività? Egli non ha un momento
di riposo: nuota in un pelago di affari. Consigliere di codesta
provincia, avvocato e professore, presta l’opera sua indefessa alla
Provincia, difende le sue cause e detta le sue lezioni. E ciò non
basta. Quando annotta e si dovrebbe riposare, eccolo nella solitudine
del suo gabinetto, a meditare le importanti pubblicazioni che dà
successivamente alla scienza. In altre parole il Prof. Cimbali è l'incarnazione del pensiero e dell'azione. » […] Roma 10 Dicembre 1885
Mira Fiorenza Giuseppe
Nella foto
sopra a destra Enrico Cimbali in un quadro di Natale Attanasio; il dipinto si conserva a Bronte nei locali del
Circolo di Cultura a lui intitolato e venne commissionato al pittore dallo stesso Cimbali. |
Luigi Natoli
ricorda E. Cimbali (1910)
«Per una gloria nostra
Io amo Giuseppe Cimbali, oltre che per il suo ingegno e per la sua
cultura e per la bontà dell'animo, anche pel suo ardore di fede e per la sua
tenacia nel sostenere difendere, far trionfare una nobile idea, ma più
ancora per la venerazione che egli ha verso la memoria del suo grande
fratello Enrico, del quale non soltanto ha curato nuove edizioni di opere
che hanno meritata fama, e raccolto gli scritti sparsi; ma ha cercato di
ravvivarne la memoria (non spenta in verità nè oscurabile), e celebrarne,
dopo quasi un trentennio della morte, la gloria.
Ed è veramente pia e commovente questa testimonianza di riverenza e di
affetto fraterno vivi, oltre la tomba; resi anzi più vivi da una ammirazione
che il tempo non ha affievolito, Ammirazione di studioso verso un grande;
nella quale nessuno oserà dire che l'entusiasmo del sangue prenda la mano e
offuschi la chiara e obbiettiva valutazione del merito: chè Enrico Cimbali
nel breve corso della sua vita, spentasi repentinamente nel suo più bello e
promettente fiorire, seppe affermare la potenza e l'originalità del suo
ingegno, e conquistarsi nel campo degli studi giuridici quel posto al quale
molti pur illustri non son pervenuti che dopo lunga e laboriosa vita
scientifica.
Se fosse il caso di comporre epigrammi si potrebbe modificare la sentenza
dell’antico poeta greco, che muor giovane chi è caro agli dei. Enrico
Cimbali mori giovane perché destò invidia agli dei.
Egli in verità appariva
come uno di quei rari spiriti predestinati a rapire una favilla al sole per
animare la creta mortale. Giovane pianta, gittava già grande ombra, che
parea dovesse oscurare molte luci.
Spirito irrequieto e novatore, era sorto
sui campi della scienza del diritto, con l'impeto di un rivoluzionario,
l'audacia di un conquistatore, la volontà di un dominatore.
Aveva la piena
coscienza della sua forza, e una grandissima, fede nell’avvenire. Sentiva di
avere in pugno il destino; e la morte gli era alle calcagna, inesorabile.
Quante speranze uccise in un attimo quel 25 giugno del 1887, alla vigilia
del primo trionfo politico, che doveva schiudere a Enrico Cimbali
l'ascensione al dominio!...
A ventisette anni, con la sua opera La Nuova fase del Diritto Civile,
aveva affermato la sua personalità nella scienza, e destata ammirazione in
Europa e in America: a trent'uno si apparecchiava a entrare nel Parlamento
per imporvi le sue idee rinnovatrici. La morte glielo vietò. (...)
Io sono ignorantissimo di scienze giuridiche, e non posso, ne sarebbe poi il
luogo e l’occasione per esaminare l’opera di Enrico Cimbali, e giudicarne
l’importanza e l'originalità.
Altri, competentissimi l’ha fatto, altri ha,
con autorità incontestabile dato il suo giudizio.
Questi uomini si chiamano
Pasquale Stanislao Mancini, Luigi Landolfi, Enrico Pessina, Antonio Labriola,
Francesco Schupfer, G. Carnazza-Amari, Oronzo Quarta, Pietro Nocito, Enrico
Ferri, Pietro Cogliolo, Giuseppe Carle, Guido Fusinato, Vittorio Emanuele
Orlando, G. F. Gabba, Angelo Majorana, Vittorio Scialoja, Mattirollo,
Barillari, si chiamano Worms, Costejon, Carvalho, Sanchez-Roman,
Esteban-Garcia, Comas, ed altri ed altri ancora.
E tutti convengono nell’affermare che Enrico Cimbali aveva pel primo fatto
penetrare «nel meccanismo interno del Diritto Civile» (cito le parole di un
professore dell’Università di Recife nel Brasile) «rutilante e feconda la
luce delle nuove idee».
(…) …è detto che sulla sua tomba sarà scolpito un leone dormente. No: non mi
sembra che il simbolo risponda. Poichè la scultura non può effigiare il
vanir di una nave, io immaginerei il monumento a Enrico Cimbali, molto più
semplice. Una lastra marmorea col solo nome, e sotto incisa la terzina
dantesca:
E legno vidi già dritto e veloce
correr lo mar per tutto suo cammino,
perire al fine all’entrar della foce.»
[Luigi Natoli] (Giornale di Sicilia, 1-2 Giugno 1910) |
|
|