«U Trabanti»
Era un quindicinale che si definiva "politico-umoristico"; fu fondato da Vincenzo Schilirò (anche questo giornale gli causò guai ed in particolare l'accusa di Modernismo). Stampato dallo Stabilimento Tipografico Sociale pubblicò solo pochi numeri (il primo,
foto a destra, porta la data del 7 settembre 1913). Con il tono del più fine humor - scriveva Antos nel suo "Vincenzo Schilirò - Profilo" (1931) uscì «fino al quarto numero nel periodo che più infuriava la lotta politica del 1913, e redatto in un miscuglio di dialetti della provincia, non escluso il latino maccheronico. In esso l'amara ironia del popolo brontese, che spesso è beffa, e la contesa di parte si svestono, per opera dello Schilirò che scrive o dirige, d'una forma originale e artistica che rende piacevole la lettura del foglio anche a chi non è interessato alla lotta.» Aveva come "gerente responsabile" Illuminato Pace, «inteso “Bajorcu” - scrive Francesco Longhitano Ferraù -, che era il cameriere del Circolo dei nobili di Bronte E. Cimbali». Questo quindicinale, ricco di vignette, caricature e poesie (ha anticipato in qualche modo quello che sarebbe stato negli anni '50 "Il Ciclope"), aveva la caratteristica di cambiare ad ogni numero il colore di stampa utilizzando inchiostri di diverse tonalità: rosso il primo numero, verde il secondo, rosso-azzurro il terzo e così via. Le firme del politico umoristico “U Trabanti”? Eccole: Il futurista (forse dietro c'era lo stesso Schilirò), Lo stròlico di Cesarò, Mastru Pasquali, Il barone Mbuttapaglia. Il titolo delle News?: “Notizie ammuzzu”.
Il primo numero
di "'U Trabanti" (era il soldato al servizio di un ufficiale,
l'attendente insomma) si presentò con questo editoriale in rime baciate:
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NEL PRESENTARMI Nel presentarmi a te, lettore caro, mi trema quasi quasi il pillizzone e sento in bocca lo sputazzo amaro. Somiglio all'onorevole barone(*) che in Adernò parlando si smarria e del discorso fece un minestrone. Lo stomaco anche a me pollicinìa e dal calcagno al sommo dei capelli tutta la carne mi formicolìa. Che volete? ai periodici novelli sfidare il pubblico non è un piacere com'è dolce socar de' caramelli. Un giornaletto frisco ha da temere e forficia e minacce e sparramento quando non pur carezze nel sedere. Ma sa qual'è il mio massimo spavento che qual pollastra in sen mi sbolazzìa esser trabante per convincimento. Però m'arraggio sino alla follia se qualche volta vedo sbeffeggiare un povero trabante sulla via. (...) |
(*) Si riferiva al
randazzese on. Barone Giovanni Romeo, sostenitore dell'allora sindaco di Bronte, Vincenzo Pace De Luca. |
Da "U Trabanti" vi riproponiamo due pezzi: "C'era una volta", una
simpatica satira di costume dell'epoca (o forse anche di oggi!?) con la vignetta che accompagnava il pezzo (la caricatura della guardia - come annota nel giornale Longhitano Francesco Ferraù - è quella di Salvatore Talamo) e "Il cittadino che protesta" sull'eterno problema della
mancanza d'acqua a Bronte, affrontato questa volta con ironia ed il sorriso:
C'era
una volta ... «...una vanella piena di sdirriponi e scilliconi, da far rompere il catenaccio del collo. Le donne di quella vanella pensarono, confabularono, e stabilirono il come e la maniera. La più tosta e la più spartana, la comare Nina, fece il giro delle comari e raccolse un palancone da ciascuna. La somma, tre tarì e quindici grana, fu investita in sedici uova grosse, che parevano di papara. Poi fu scelta una commissione di quattro comari, che si recò dal Mastro di piazza o vice sindaco. Parlò la signa Antonina: - Arritorniamo a pregare, se Vossia tanto crire, di fare il lampione nella nostra vanella… Rispose lui: - Si vede che non conoscete il regolamento, qualmente dice che fra un lampione e l'altro ci vuole la lontananza legale... Allora si voltò la signa Marianna e ci disse: - Voscenza scusa, la vanella è troppo storta e il scuro si pezzìa. Egli arrispose: - Impossibile, il regolamento lo dice chiaro e tondo. Allora la signa Peppa, femmina di mondo, scoprendo il canestro con le uova, disse: - Se voscenza vuole, tutto è fatto. 'Mpremorare la preghiamo d'azzittare questo fiure. - Che? per sedici uova devo fare il lampione? A questo punto la moglie del Mastro di piazza, vedendo il marito arraggiato, si avvicina e gli dice nell'orecchio: Poverelli, facci il lampione e accetta le uova che sono di razza, perchè divo riempire la fiocca che da quattro giorni è allitticata e divo riempirla prima della scunchitura della luna. I vice sindaco, si calma, prende le uova, e congedando le comari, aggiunge: Io farò il lampione, ma ricordatevi che sedici uova sono troppo picca.» ("U Trabanti", numero 2, anno I, del 21.9.1913)
Il
Cittadino che protesta Signor Sindaco (all'epoca era il cav. Pace De Luca Vincenzo),
ce l'ho detto l'altra viaggia: io non sogno di quelli che fanno due faccie come le cipulle; quello che aio di dire, senza fare tanti scagliozzi, lo spipito davanti a chi sia sia, perché nella panza non saccio tenere niente. Per esempio l'altra volta lo sentii ciocioliare per qualche ora di sechito e mi assiccò il cuore quando, nel terminare il descurso, disse tutto contento: Fra due o tre anni avremo in Bronte l'acqua potabile. E con questo siccarizzo, Signor Sindaco, como si fa? Io ho dovuto lavarmi la impigna una volta la settimana e cambiarmi la cammisa ed i cazitira ogni mise per mancanza di acqua. Anzi ci sono altri guai e tacchi d'oglio. Giorni addietro, se si ricorda, quando sotto i loggi portarono i ciavorelli, ce ne accattai un quarterone della regnonata per mia moglie, la quale poveretta, è impacciata da sette mesi, e per me mi accattai una posente coratella. Andai a casa per cucinarla ma prima volevo darci una sciasqualiata perchè, come lei mi insegna, le coratelle sogliono essere un poco lordate! Andai al quartararo e mi addono nella quartarotta grande ma acqua non ce n'era; poi nella lancella, ma nemmeno, poi nel cocomello, manco una stizza. Ci dico la verità, mandai qualque gastimma e forse anche a lei, perchè mi nichiai. Ma dico la verità, siccome stavo allampando dalla fame diedi una poliziata come fu fu alla colatella, la bottai nella patella e la misi sopra. Quando fu cotta, me la mangiai, ma era un poco amarostica. Tando non ci feci soppa, ma quando penso che ho mangiato tutte quelle schefenzie, mi arrammarico e mi affronto macari a dirlo. Ora, Signor Sindaco, scusa se ci dico questa palora: lei l'ha fatto laria, laria davvero! Vossignoria che è il nostro caporione, che è uomo di mondo, avrebbe dovuto pensare che la povera cittadinanza ha moruto e muore di sete. Che cosa ce n'era a lei, o sindaco amabolissimo, di arritirare per mezzo dei vagoni che chiamano giosterna, un poco di acqua di Adernò ove ce n'è in grande abbondanza? Ma lei per sua costumanza se ne è stato intabaccato e frisco più delle rose. Non pensi solo al suo Romeo, Signor Sindaco, pensi anche per noi!!
[Mastru Pasquali] [“U Trabanti”, anno I n. 3 del 5.10.1913 - Sul problema dell'acqua a Bronte,
vedi anche ciò che scriveva G. De Luca nel 1883] |