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I
Fatti del 1860 |
Dibattiti, Ricostruzioni, le Opinioni... |
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ANTEFATTI - DECRETI DI GARIBALDI - SITUAZIONE LOCALE - I FATTI DAL 2 AL 9 AGOSTO - DIBATTITI E RICOSTRUZIONI |
I DIBATTITI E LE RICOSTRUZIONI DEI FATTI DI BRONTE |
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1985, Bronte
processa Bixio
La Corte:
Giuseppe Alessi, Antonio La Pergola, Ettore Gallo, Vittorio Frosini e Martino Nicosia |
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Per ricordare e riscrivere i tragici fatti del 1860, Bronte
celebrò, dopo oltre cent’anni,
dal 17 al 19 Ottobre 1985 nel salone del Collegio Capizzi, un
convegno-processo a carico di Nino Bixio.
Si è cercato in questo modo far luce su un episodio oscuro della spedizione
garibaldina in Sicilia e, attraverso un giudizio sull'operato di Garibaldi ma
sopratutto del suo luogotenente, porre nella giusta ed inequivocabile
prospettiva gli avvenimenti di Bronte.
Al convegno, che ebbe grande risonanza anche sulla stampa nazionale,
parteciparono studiosi, giuristi, intellettuali, uomini di studio, storici di
notevole livello.
Tra gli altri parteciparono gli storici Emilia Morelli, Massimo Gangi, Giuseppe
Giarrizzo, Salvatore Candido, gli avvocati Armando Radice, Guido Ziccone,
Sebastiano Aleo e Cesare Zaccone.
Massimo Ganci, nel suo intervento, affermava l'esigenza di attenersi ai fatti
più che alle opinioni e che gli avvenimenti di Bronte offrivano l'occasione per
una nuova ricerca storica sulla spedizione garibaldina in Sicilia.
La sommossa
brontese rientra, infatti, per Gangi fra quelle ribellioni scatenate sotto
l'impulso della fame, della miseria e dell'ingiustizia. Non c'erano risvolti
ideologici nè politici in quelle violente insurrezioni, ma solo motivi di ordine
economico e sociale.
La relazione del prof. Giarrizzo, ampia, documentata e ricca di profonde
considerazioni critiche, evidenziava come l'insurrezione brontese affondasse le
sue radici a circa trent'anni prima, da quando si era incominciato a parlare
della distribuzione delle terre demaniali ai contadini, distribuzione che si era
realizzata altrove, ma non a Bronte, per l'ostacolo della Ducea.
Stupiva il
fatto poi che i garibaldini ignorassero sostanzialmente la situazione brontese.
Unico difensore di Bixio era il prof. Candido, che non ha aveva alcun dubbio sul
suo operato che rientrava negli specifici doveri militari frutto di leggi e
decreti che obbligavano il suo agire.
Alla tavola rotonda fece seguito, con inizio nella mattinata di venerdì 18, il
«Processo a Bixio».
La Corte, che giudicò Bixio per i
fatti del 1860, presieduta dall'ex presidente della Regione siciliana, all'epoca
presidente della Enciclopedia Italiana, Giuseppe Alessi, era composta dai
giudici Antonio La Pergola, Ettore Gallo, Vittorio Frosini e Martino Nicosia.
Sostennero l'accusa l'Avv. Sebastiano Aleo
assieme all'amico di gioventù Armando Radice, rispettivamente del Foro di
Catania e di Milano. Non risparmiando
colpi duri nei riguardi del braccio destro di Garibaldi, asserirono che il
processo con cui furono condannati a morte i cinque rivoltosi brontesi, si
svolse sommariamente e che Bixio, prima ancora di conoscere le prove, ne aveva
già deciso la condanna, e quindi a lui erano da addebitare responsabilità anche
storico-politiche.
Per la difesa
si impegnarono Guido Ziccone e Cesare Zaccone (rispettivamente del foro
di Catania e di Torino), rivelandosi ancora una volta tutti e due
intransigenti assertori delle regole fondamentali dello stato di diritto
e democratico.
Hanno sostenuto, infatti, che Bixio andava assolto sia
sul piano storico-politico che su quello prettamente giuridico e morale,
poichè il processo del 1860 si era svolto con una commissione
giudicatrice legittimamente costituita, e la sentenza, inoltre, produce
diritto e nessuno può disapplicarne il contenuto.
Con le arringhe
degli avvocati difensori si concludeva la giornata di lavori, rimandando
all'indomani la sentenza.
Ma la manifestazione non si
concluse con un giudizio sull'operato del Generale garibaldino. L'esito
venne rimandato di alcuni mesi per meglio documentare la Corte e poter
valutare, alla luce di ulteriori ricerche storiche, il copioso carteggio
al fine di stilare un documento che ponesse nella giusta ed
inequivocabile prospettiva i fatti del lontano 1860.
Le conclusioni, illustrate dal sen. Alessi
nel marzo del 1987, furono una assoluzione sia per Bixio sia per i rivoltosi:
ogni responsabilità fu addossata alle circostanze che davano ragione sia
all’avvocato Lombardo, sia ai massacratori, sia a Bixio il quale fece fucilare
senza distinzioni l’uno e gli altri pur di non essere intralciato nella marcia
trionfale dei garibaldini verso l’Unità d’Italia.
Il Collegio, composto
esclusivamente da giuristi, si limitò a dare, alla luce della legislazione
dell'epoca, un giudizio di revisione critica attorno ad un episodio cruento
occorso nella storia del Risorgimento italiano.
La sentenza, dal taglio squisitamente giuridico,
chiarisce il valore che i fatti ebbero nella loro realtà storica e, con attento
rigore storico, analizza anche il complesso di cause, variamente interferenti,
che determinarono la selvaggia esplosione di violenza.
«La responsabilità della sentenza - scrissero i giudici nelle conclusioni - dev’essere ascritta esclusivamente ai giudici che la hanno deliberata.»
Nel corso del Convegno, il 10 ottobre del 1985, il Comune fece erigere in
memoria delle vittime di Bixio un monumento che fu posto ai piedi
della scalinata che immette sul piazzale della Chiesa
di San Vito luogo della fucilazione. La scultura è opera del brontese
Domenico Girbino.
Con molta enfasi, le due targhe apposte sul monumento recitano:
«Ad perpetuam
rei memoriam che nell'agosto 1860 di cittadini brontesi donò la vita in
olocausto - Amministrazione Comunale - 10 ottobre 1985».
Stranamente, però, a
pochi metri dal monumento (proprio dalla piazza San Vito, dal n. 4) inizia una
stradina che porta ancora il nome del Generale Bixio.
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Gli atti del convegno, il dibattimento processuale e la sentenza della Corte sono stati da noi pubblicati in una
edizione digitale liberamente scaricabile dal ns. sito
Scarica il
"Processo a Bixio"
(in formato PDF, 830 Kb, 71 pagg.) |

Il tavolo degli storici che parteciparono al
"Convegno-Processo a Bixio":
da sinistra
Massimo Gangi,
Emilia Morelli,
l'allora sindaco di Bronte Pino Firrarello,
Giuseppe Giarrizzo e
Salvatore Candido.
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Ottobre 1985: Nel corso del Convegno-Processo il sindaco Firrarello inaugura in Piazza S. Vito
un
monumento in memoria delle vittime trucidate da Nino Bixio. Alle sue spalle lo scultore Mimmo Girbino, autore dell'opera,
Salvatore Anastasi (allora consigliere comunale) e l'on. Turi Leanza; fra gli altri sono presenti il sen. Grassi Bertazzi,
l'on. Urso, il sen. Parisi, l'on. Salvo Andò, il prof. Gallo.
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PROCESSO A BIXIO
Le conclusioni della Corte
Ritiene la Commissione che:
1°) La responsabilità per gli eccidi, le violenze, le
devastazioni e gli incendi occorsi in Bronte dal 2 al 5 agosto 1860 è
complessa, e si articola in più componenti che, in varia misura,
concorsero a determinare la selvaggia esplosione.
Vi contribuirono,
innanzitutto, la sordità politica e l'egoismo delle classi dirigenti,
che si ostinarono a negare, ad una popolazione indigente vessata da
antiche ingiustizie, le riforme minime disposte dagli editti di
Garibaldi.
Vi si aggiunsero l'ira, a lungo repressa, e la disperazione
dei villici, esaltate dall'interferenza di autentici delinquenti, evasi
dalle carceri od accorsi dai torbidi circonvicini e dal tumultuare della
folla.
Vi concorse, infine, l'indifferenza o la sottovalutazione delle
Autorità provinciali, che lo stesso Lombardo aveva tempestivamente
informate della pericolosa tensione.
2°) La sentenza 9 agosto 1860 della Commissione mista di Guerra,
che condannò a morte l'avv. Lombardo e gli altri quattro cittadini di
Bronte (eseguita mediante fucilazione il 10 successivo), è
manifestamente ingiusta.
A tale risultato la detta Commissione è
pervenuta sul piano del merito, mediante unilaterale e capziosa
valutazione della prova e, sul piano processuale, a seguito di numerose
e gravi violazioni che hanno ignorato o vulnerato fondamentali diritti
della difesa, quali: a) La nomina di un unico difensore per tutti
gl'imputati, espressa da uno solo di essi, e mantenuta dalla Commissione
anche quando ebbe a rilevare incompatibilità fra due imputati. b) La
mancata contestazione del fatto. c) La concessione di un termine
assolutamente irrisorio per la predisposizione delle difese (1 ora).
d) Il rifiuto negli atti preliminari, reiterato al dibattimento, di
assumere il testimoniale indicato dalla difesa. e) L'avere giudicato
e fatto fucilare un imputato, indicato notoriamente come grave defedato
psichico, senza alcun accertamento sulla capacità di intendere e di
volere.
3°) La responsabilità della storica grave ingiustizia ricade
esclusivamente sui giudici straordinari che hanno deliberato la
sentenza.
Non esiste alcun dato, nemmeno indiziario, da cui desumere che
Nino Bixio abbia esercitato pressioni sulla Commissione, Organo
giudicante che non è stato costituito da Bixio, perché precostituito
dai Governatori provinciali sulla base di decreto dittatoriale, e che
diresse gran parte dell'istruttoria e del dibattimento, mentre Bixio era
assente da Bronte.
4°) L'ostilità di Bixio nei confronti degli imputati, e talune
sue intemperanze verbali, debbono essere ascritte alla dolosa
informativa delle autorità comunali rovesciate dalla sommossa, oltre che
all'intolleranza caratteriologica e temperamentale della sua
personalità, esaltata dalle preoccupazioni per l'ordine pubblico alle
spalle della spedizione garibaldina e dal timore che l'incarico in atto
lo privasse della partecipazione all'imminente sbarco sul continente.
Questa Commissione, tuttavia, pur esclusa la corresponsabilità di Nino
Bixio nella fucilazione dei Cittadini di Bronte, non può non censurare
per grave imprudenza, in relazione alle vicende in esame, il suo
comportamento di Generale delle truppe di occupazione, e di eccessiva od
ingiustificata durezza la sua condotta nei riguardi dei condannati.
5°) Se poi i giudici della Commissione, pur senza avere ricevuto
pressioni, si fossero tuttavia sentiti condizionati dall'atteggiamento
di Bixio, oppure se, condividendone le preoccupazioni per l'ordine
pubblico, avessero inteso dare alle popolazioni un esempio di rigore che
valesse come deterrente, sono situazioni psicologiche che, purtroppo,
trovano riscontro nel corso degli eventi bellici, ma non giustificazione
nella coscienza etica dell'umanità.
La
Sentenza completa
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Attilio Bolzoni, inviato de La Repubblica, commenta la sentenza
Imputato Nino Bixio, assolto
Il più deluso, naturalmente, è il rappresentante della Pubblica Accusa: un
compromesso storico, una soluzione all’italiana…
I commenti amari e le
battute acide dei colpevolisti e delle parti civili si incrociano alla fine
di un processo-spettacolo iniziato un anno e mezzo fa. L’imputato,
famosissimo, era allora indicato come il carnefice di Bronte: Nino Bixio.
Il generale garibaldino, 127 anni dopo la morte di cinque brontesi che
pagarono con la fucilazione il loro sogno di libertà, adesso è stato
assolto.
La Corte ha deciso così: sotto il profilo giuridico, l’aiutante di Garibaldi
non può essere ritenuto responsabile per i fatti del 9 agosto 1860…
Per Nino Bixio solo una censura, una tiratina di orecchie dei giudici quasi un
secolo e mezzo dopo per l’intolleranza caratteriologica e temperamentale
della sua persona, una critica e nemmeno tanto feroce per il generale delle
truppe di occupazione per eccessiva ed ingiustificata durezza nei riguardi
dei condannati.
Questo il verdetto dei componenti della Corte, un giudizio articolato in 32
cartelle che ricostruiscono il massacro di Bronte non soltanto dal punto di
vista giuridico ma anche storico-politico.
Un documento firmato dal presidente della Commissione, il senatore Giuseppe
Alessi, dal presidente della Corte Costituzionale Antonino La Pergola, dal
giudice della stessa corte Ettore Gallo, dall’ordinario di filosofia del
diritto e componente del consiglio della magistratura Vittorio Frosini e dal
presidente della Corte di Appello di Catania Martino Nicosia.
E’ stato proprio il senatore Alessi, primo presidente della Regione siciliana,
a illustrare le conclusioni della Corte e a spiegare come e perché Nino
Bixio non può essere condannato per l’eccidio di Bronte.
Il presidente ha
precisato subito che non è stata emessa una vera e propria sentenza:
L’assoluzione o la condanna si addice ad un vero processo, non alla
complessità di un fatto storico.
Il processo al processo di Bronte, una
delle pagine più drammatiche e oscure della storia italiana, è stato
ricostruito da esami testimoniali ricavati dagli atti ufficiali.
Una verifica storica che ha anche individuato i veri colpevoli della strage:
la responsabilità della grave ingiustizia ricade esclusivamente sui giudici
straordinari che hanno deliberato la sentenza.
E scrivono ancora i giudici nelle loro conclusioni: non esiste alcun dato,
nemmeno indiziario, da cui desumere che Nino Bixio abbia esercitato
pressioni sulla Commissione.
Organo giudicante che non è stato costituito da Bixio, perché precostituito
dai governatori provinciali sulla base di un decreto dittatoriale, e che
diresse gran parte dell’istruttoria e del dibattimento mentre Bixio era
assente da Bronte.
Il carnefice non fu il generale garibaldino e i massacri di quella lunga
estate del 1860 maturarono sullo sfondo di una lotta tra rivoluzionari e
conservatori.
La popolazione di Bronte, nell’agosto di 127 anni fa, avuta notizia delle
vittorie dei garibaldini sui Borboni, si rivoltò contro i notabili del paese
uccidendone nove. E fu Giuseppe Garibaldi ad inviare subito il suo generale
a Bronte con il compito di reprimere la sommossa.
La sentenza della Commissione mista di Guerra arrivò la mattina del 9 agosto
1860: condanna a morte per l’avvocato di fede garibaldina Lombardo e altri
quattro brontesi, tra cui lo scemo del paese.
Quale fu la posizione di Nino Bixio? Il generale fu ingannato dalle autorità
comunali, vittima probabilmente di depistaggi e false informazioni. Un
generale nervoso, turbato dalle notizie che in quei giorni arrivavano a
Bronte.
La Corte composta da storici e giuristi descrive così la sua
situazione psicologica: La sua mente era esaltata dalle preoccupazioni per
l’ordine pubblico alle spalle della spedizione garibaldina, e dal timore che
l’incarico in atto lo privasse della partecipazione.
Un Nino Bixio tormentato ma non sanguinario, esasperato ma non
assassino: le accuse infamanti sono cadute.
Chi non riesce però a giustificare il generale garibaldino è l’avvocato Aleo,
che nel dibattimento ha sostenuto la Pubblica Accusa. Dice: I tribunali
speciali sono sempre asserviti al potere, quindi Nino Bixio aveva una
responsabilità ancora più grande.
Un altro avvocato, Renato Radice, figlio di Benedetto, lo storico brontese che
scrisse una minuziosa ricostruzione sui massacri del 1860, esprime con
amarezza le sue perplessità: E’ innegabile che Nino Bixio influì sulla
Corte.
[Attilio Bolzoni, La Repubblica, 24 marzo 1987, pagina 22, sezione
Cronaca] |
Il Processo a Bixio
nel ricordo del sindaco Firrarello «Dopo l’uscita del film di Florestano Vancini nel
1972 che riesaminò, in modo assai critico, l’epopea garibaldina, il
massacro di Bronte fu svelato e riconosciuto quale macchia
indelebile del Risorgimento italiano. (…) La mia idea invece era
quella di realizzare “il processo a Nino Bixio” in tre distinti
ambiti: storico, culturale e giuridico. Essendo Sindaco di una coalizione, coinvolsi l’On. Salvatore
Leanza, che si dichiarò entusiasta. Dopo qualche giorno eravamo a
parlarne con il Presidente della Corte Costituzionale il Prof. La
Pergola originario di Bronte da parte di madre, che manifestò tutta
la sua gioia.
Egli stesso scelse come data la fine di novembre del 1985, e prima
che fosse concluso l’incontro aveva già contattato diversi relatori,
ben lieti di accettare l’invito da parte di chi rappresentava una
delle più alte cariche dello Stato. La presenza di La Pergola aprì
la strada alla partecipazione di tanti altri illustri personaggi,
fino al punto che l’evento divenne, probabilmente, uno dei più
importanti che si svolsero in Italia quell’anno. Appena divulgai la
notizia che a Bronte si processava Nino Bixio e con lui il
Risorgimento, arrivarono richieste di partecipazione da tutta
Europa. (…) Una ventina di quotidiani, altrettante reti televisive nazionali
e locali e molti settimanali italiani furono presenti a Bronte per
tre giorni. L’eco della manifestazione che si teneva al Collegio
Capizzi giungeva ovunque.
Tutti gli ospiti facevano i pendolari da
Catania, poiché a Bronte non avevamo dove ospitarli. Ci eravamo
organizzati per trasmettere in diretta televisiva locale tutti gli
interventi tramite schermi giganti posti al Teatro comunale e nel
cinema Roma. Il successo fu enorme: parteciparono tutti i parlamentari della
provincia di Catania e di gran parte della Sicilia. Non mancarono
Ministri della Repubblica e personalità della scienza e della
cultura che seguirono con grande interesse tutti i dibattiti.
Nei
mesi successivi ebbi diversi inviti nelle scuole e in vari circoli
per continuare a parlare di ciò che accadde a Bronte nel mese di
agosto del 1860.» |
Processo a Bixio: eroe o violento? Giuristi e storici
giudicano il generale di Garibaldi per i fatti di Bronte
Catania — Agosto 1860. Garibaldi è da tre mesi in Sicilia. A
Bronte, villaggio di pastori e contadini, arrampicato sul fianco
occidentale dell’Etna, la gente celebra a proprio modo la liberazione
dal dominio borbonico: rivoltandosi contro i ricchi proprietari terrieri
della zona.
Al grido di «Viva l’Italia, morte ai sorci», si saccheggia, si
uccide, si chiede la divisione delle terre. Tumulti non graditi
dall’«Eroe del Due Mondi» il quale invia a Bronte Nino Bixio per
ristabilire l’ordine. Il luogotenente non si fa pregare due volte: dopo
un processo per lo meno frettoloso, fa fucilare cinque presunti
capipopolo: uno è l’avv. Nicolò Lombardo, fervente garibaldino.
Fu un episodio di ferocia gratuita o un gesto ispirato dall’esigenza di
evitare che la Sicilia liberata diventasse una polveriera?
A 125 anni da quell’oscuro episodio, il Comune di Bronte, con in testa
il sindaco Pino Firrarello, ha tentato di dare una risposta organizzando
un processo in piena regola a Nino Bixio con accusa, difesa e tribunale.
E’ mancata solo una sentenza netta e definitiva. Se ne riparlerà entro
la prima quindicina di novembre, quando il tribunale (ne fanno parte il
sen. Giuseppe Alessi, ex presidente della Regione siciliana, i
costituzionalisti Antonio La Pergola ed Ettore Gallo, il componente del
Consiglio superiore della magistratura Vittorio Frosini, e il magistrato
Martino Niosi) renderà noto un documento conclusivo, «dopo un pacato
riesame della documentazione a disposizione». E di materiale da
esaminare ce ne sarà parecchio.
Qualificate le presenze: dagli storici Giarrizzo, Ganci, Morelli,
Candido e Bottini (autore di un libro dal titolo «Rapporto sul fatti di
Bronte del 1860») al giuristi Aleo, Ziccone, Radice, Zaccone, a politici
come il socialista Andò e il vicepresidente della Camera, Azzaro. [n.
a.] La Stampa,
20 Ottobre 1985 - numero 232 - Pagina 7 |
La Repubblica: "Che fascista quel Bixio..."
“Signori della corte, io non chiedo la testa di Nino Bixio, o che sia
cancellato dal libro della storia. Ma sono qui per difendere Bronte, e
Bronte, signori della corte, non ha avuto giustizia dalla storia!”.
L’illustre avvocato, madido di sudore, chiude la sua arringa accolto da
una sala in tripudio.
Applaudono gli abitanti di Bronte accalcati nella
grande sala del “Real Collegio Capizzi” dove il processo si svolge,
applaude la folla che ha seguito il dibattito nella sala del Consiglio
comunale attraverso una televisione a circuito chiuso, applaudono gli
studenti che con lo stesso sistema hanno assistito al dibattimento dalle
loro aule.
Per tre giorni Nino Bixio è stato sul palco degli imputati, protagonista
di un processo che con puntigliosità e partecipazione ha riesaminato la
sua condotta durante i giorni dell’agosto del 1860.
Gli avvenimenti sono noti, resi anzi famosi da un
film che Florestano Vancini girò anni fa, “Cronaca di un massacro”
basato a sua volta ad una ricostruzione fatta all’inizio del secolo
dallo storico Benedetto Radice.
Allora
il libretto, intitolato “Nino
Bixio a Bronte” suscitò scandalo, ma anche in seguito per molti anni
il mito garibaldino e risorgimentale è stato tale che sui fatti di
Bronte si è preferito sorvolare.
La storiografia moderna ha fatto giustizia di questi tabù, ma come sia
difficile “parlar male di Garibaldi” si è visto anche in questa
occasione dalle reazioni indignate o distinte di alcuni storici presenti
a Bronte.
Il processo, organizzato dal Comune anche con intenti pubblicitari, è
stato preceduto da una tavola rotonda in cui sono stati rievocati i
fatti.
La rivolta a Bronte scoppio alla fine di luglio: in paese i contadini
erano esasperati dalla mancata divisione delle terre demaniali,
divisione prevista da un editto degli stessi Borboni e poi riaffermata
da un proclama di Garibaldi.
Nello stesso tempo l’eccitazione era
straordinaria per lo sbarco di Garibaldi nell’isola e per i suoi
proclami che incitavano i siciliani alla rivolta contro i Borboni.
Nell’arrivo del “dittatore” (così Garibaldi si faceva chiamare) i
contadini vedevano confusamente una liberazione dalla loro miseria, ma a
sobillarli, a Bronte, sarà anche il partito dei liberali (allora
venivano anzi chiamati “i comunisti”) capeggiato dall’avvocato Nicolò
Lombardo.
Per cinque giorni il paese fu messo a ferro e a fuoco. Contro gli
amministratori, favorevoli ai Borboni, ma anche contro vittime innocenti
furono commesse atrocità incredibili.
Raccontano le cronache di un ragazzo arrostito vivo, e peggio: “Vi è pure
chi afferma che tal Bonina da Castiglione, detto Caino, apertogli il
fianco, gli strappò il fegato e lo mangiò; ma altri lo nega”.
La
sommossa, sfuggita di mano ai capi politici che invano cercano di
sedarla, viene investita da una “furia omicida”.
Quando Bixio arrivò però la situazione si era alquanto calmata. Il
generale di Garibaldi giunge come una furia (“alla vista del paese arso
e saccheggiato, al racconto dei fatti atroci... ringhiò, urlò come una
fiera”), dichiara Bronte “colpevole di lesa umanità”, fa mettere in
prigione l’avvocato Lombardo che gli si era presentato spontaneamente e
altri sei che gli vengono indicati come i principali artefici della
rivolta, istituisce un tribunale di guerra che in poche ore, e senza
aver dato tempo alla difesa di organizzare le discolpe, emette cinque
sentenze a morte, tra le quali quella dell’avvocato Lombardo, che
vengono eseguite la mattina successiva.
Su questi fatti sono state fornite interpretazioni diverse.
Da sinistra, la spiegazione in chiave politica, data a Bronte dal preside
della facoltà di Lettere di Catania Giarrizzo e da Massimo Ganci storico
comunista, è che Garibaldi, avendo scelto di “normalizzare” l’isola
secondo il disegno sabaudo, approfittò di Bronte per stroncare la
sinistra che nutriva l’ambizione di egemonizzare l’isola.
La condanna
contro Lombardo fu quindi una condanna esemplare per quegli stessi
garibaldini siciliani che perseguivano l’ideale di una vera rivoluzione
sociale.
Nella decisione della repressione entrarono però certamente anche gli
inglesi.
Lettere e dispacci testimoniano che Garibaldi era stato
sollecitato a intervenire dal loro console a Catania, dato che a Bronte
esisteva la Ducea di Nelson: 25 mila
ettari
regalati a Nelson da Ferdinando di Borbone, di
cui si temeva che gli insorti si sarebbero appropriati.
Tutti questi
motivi spiegherebbero perchè Garibaldi affidò l’incarico proprio a
Bixio, un uomo noto per l’ impetuosità del suo carattere.
Nel processo l’accusa sostenuta dagli avvocati Aleo di Catania e Radice di
Milano ha cercato di dimostrare che Bixio giunse a Bronte già con la
sentenza in tasca.
Il generale di Garibaldi è stato trattato senza troppi complimenti: un
teste, lo storico Bettini, lo ha definito “fascista”; è stato ricordato
il giudizio che di lui dava Cesare Lombroso: “Feroce, rissante e
vagabondo”, sono state rievocate le parti più sinistre del processo del
1860.
Fra gli altri venne giustiziato anche il matto del paese, il quale
supplicò pietosamente e inutilmente Bixio di concedergli la grazia.
E’ stato tirato fuori anche il “giallo della lettera”: in una missiva
scritta l’8 agosto, ancora prima della sentenza, Bixio avrebbe infatti
già comunicato i nomi dei condannati a morte.
La difesa (avvocati Cesare Zaccone e Guido Ziccone) ha sostenuto la tesi
dell’emergenza: Bixio si trovava in una situazione straordinaria, altri
paesi si stavano sollevando, bisognava ristabilire l’ordine con
rapidità, cosa che fece, evitando altri spargimenti di sangue.
In realtà le due interpretazioni non si escludono a vicenda.
La giuria
presieduta dal senatore Alessi e formata da magistrati della Corte
costituzionale, della Cassazione e del Consiglio superiore della
magistratura, emetterà un documento tra una quindicina di giorni,
riassumendo il dibattito.
Però i brontesi, delusi dalla mancata sentenza che ha suscitato anche
qualche polemica, si sono presi lo stesso una rivincita su Bixio e sul
Risorgimento.
Rigido e severo uno studente del liceo scientifico ha
infatti letto al microfono la condanna di Bixio sancita dagli studenti
dei licei locali e ha auspicato, tra gli applausi “una revisione storica
del Risorgimento e dell’impresa dei Mille”.
Nel pomeriggio poi è stato inaugurato un monumento alle vittime di Bronte.
[Daniela Pasti, La Repubblica — 20 ottobre 1985, pagina 15 /
sezione: Cronaca] |
La Stampa: "Bixio innocente nel caso-Bronte"
Giuristi e politici cancellano l’accusa di aver fatto fucilare degli
inermi
Nino Bixio è innocente, non fu uno sterminatore di inermi: «Sotto
il profilo giuridico, l’aiutante di Garibaldi non può essere ritenuto
responsabile della condanna a morte e della fucilazione degli abitanti
di Bronte per i fatti del 9 agosto 1860».
E’ questo il dispositivo della «sentenza» emessa da una corte di giustizia
presieduta dal senatore Giuseppe Alessi — giurista e presidente
dell’Istituto per l’«Enciclopedia Treccani» — e composta dal presidente
della Corte Costituzionale Antonio La Pergola, dal giudice della Consulta
Ettore Gallo, dal componente il Consiglio Superiore della Magistratura
Vittorio Frosini, e dal presidente della corte d’appello di Catania Martino
Nicosia.
Di
quella fucilazione il «verdetto» fa interamente carico al collegio
giudicante di allora, chiamato a pronunciarsi sui disordini di Bronte, e
al processo che si concluse con le condanne a morte di 5 abitanti di
Bronte.
«Quel tribunale — ha detto Alessi — non seppe rendere giustizia a
contadini che si ribellarono chiedendo le terre loro promesse prima da
un editto borbonico, poi da un decreto di Garibaldi».
Pur se assolta la figura di Bixio non rimane, tuttavia, esente da ombre:
quella sentenza di condanna a morte tanto ingiusta — ha sottolineato
ancora il senatore Alessi — fu raccolta prontamente da Bixio che aveva
bisogno di dare un esempio per assicurare tranquillità alle
retroguardie della spedizione ormai in marcia verso la Calabria.
Cade, però, un’accusa infamante che pesava sull’intera epopea
garibaldina, soprattutto dopo la ricostruzione cinematografica
dell’episodio
realizzata da Florestano Vancini negli Anni Settanta.
Alla pronuncia del «verdetto» erano presenti, con il vicepresidente
della Camera, onorevole Giuseppe Azzaro, anche numerosi magistrati,
esponenti politici, cittadini di Bronte e di altre cittadine
dell’Etnea, dove la memoria di quei «fatti» è divenuta patrimonio
storico.
[Stampa Sera - numero 79 di Lunedì 23 Marzo 1987] |
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I DIBATTITI E LE RICOSTRUZIONI DEI FATTI DI BRONTE
Il processo di Catania
«Difesa pronunziata d'innanti la Corte d'assisie del Circolo di Catania per la causa degli eccidii avvenuti nell'agosto 1860 in Bronte» (1863)
Dopo il frettoloso e sbrigativo processo tenuto a Bronte dal 7 al 9
Agosto dalla Commissione mista eccezionale di guerra chiamata da Bixio,
il vero processo per i Fatti di Bronte si svolse dopo, a Catania e in un
tribunale ordinario (la Corte di Assise) e in tempi lunghi che si
protrassero fino al 12 agosto 1863, e con giudici togati, e con le
garanzie più complete per gli imputati e per il collegio di difesa.
Il Tribunale condannò all’ergastolo ben venticinque imputati e altri dodici a pene più lievi. Ma il dott. Luigi Saitta e il “civile” Carmelo Minissale,
due sei sette imputati nel processo dell'agosto 1860, furono assolti, già nel dicembre 1860, dalla R. Procura di Catania.
Chi sa che questa non avrebbe assolto, anche,
l'avv. Lombardo e gli altri quattro imputati che erano andati dinanzi al plotone di esecuzione il 10 agosto dello stesso anno!
La casa editrice "C.u.e.c.m." di Catania nel dicembre del 1989 ha dato alle stampe un volumetto contenente l'arringa difensiva dell'avvocato
catanese Michele Tenerelli Contessa che nel 1863 difese davanti alla Corte d'assise di Catania cinque fra gli imputati del secondo processo per i fatti di Bronte
(quelli scampati alle fucilazioni sommarie ordinate tre anni prima da Nino Bixio).
Il piccolo libro, 82 pagine, è stato curato dal brontese prof. Gino Longhitano dell'Università di Catania.
Molto interessante la sua "Introduzione": 22 pagine di ricerche storiche con una precisa, puntuale ricostruzione dell'ambiente politico-sociale brontese dell'epoca e della cause che hanno dato origine alla sanguinosa rivolta. L'avvocato Tenerelli Contessa - scrive Longhitano - ".... di quegli avvenimenti fornì nella sua arringa difensiva un'interpretazione politica d'una tale lucidità da fare accapponare la pelle a chi con un processo e una sentenza per reati comuni, inquadrati magari in un contesto di «reazione borbonica», riteneva di aver riposto definitivamente nell'armadio uno dei più ingombrati scheletri dell'unificazione italiana. [...] "E' un'arringa appassionata, lucidissima, d'un avvocato colto e intelligente, d'un politico raffinato: a leggerla si rischia in molti punti la commozione. Certo, Nunzio Cesare, tre anni prima, davanti alla commissione eccezionale di guerra, non può aver detto le stesse cose. Anche perché le sue posizioni politiche non gli consentivano di porsi il problema d'un'autocritica della gestione che i democratici avevano fatto della rivoluzione meridionale, nei termini in cui Tenerelli coraggiosamente e lucidamente li pone. Ché non si poteva, come gli uomini di Garibaldi avevano fatto, chiamare il popolo alla rivoluzione, farne il garante della legalità rivoluzionaria e ad esso esclusivamente chiedere conto poi del sangue che la rivoluzione stessa aveva fatto versare".
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